Blog di Dante Paolo Ferraris

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Caravella Italia

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nave in tempesta"Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello", Dante Alighieri, Purgatorio, Canto VI, un triste canto, che drammaticamente richiama e fotografa la politica italiana, ben oltre la metafora a 700 anni di distanza. Ormai è un ventennio che la caravella Italia viaggia a vista, persa nel mare dell'oblio, dove gli antichi principi di Libertà e democrazia sono copertine di libri contabili, scritti da banchieri e da faccendieri.
Sostituito il nocchiero alla guida della caravella con capitani di ventura, si viaggia in mare aperto senza meta, alla ricerca dell'isola che non c'è. Ogni tanto incrociamo la rotta di un altro vascello con cui scambiamo cannonate o vagheggiamo improbabili arrembaggi.
Il libro di bordo, la nostra costituzione, viene evocata quale libro del cielo, ma sempre pronti a modificarne i contenuti o darne proprie interpretazioni ogni qualvolta non ci aggrada la sua sentenza, allora diventa vetusta, logora e da cambiare.
Eppure contiene i più elementari principi di democrazia e volle essere tanto rigida quanto flessibile quasi a rispettare quanto Rousseau affermava: "la democrazia esiste laddove non c'è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da doversi vendere; nessuno così potente da avere sudditi, nessuno così misero da doversi assoggettare". Ebbene oggi ci sentiamo tutti ricchi, tutti alla pari, anzi più alla pari di altri ed ecco che la verità diventa scomoda quando ci fanno toccare con mano che siamo ricaduti nei più oscuri periodi della nostra storia, quasi si ripetesse. Non vi sono più duchi e re ma banchieri e faccendieri, non vi sono più vassalli ma politici che si sentono unti da Dio.
La democrazia non esiste di vita propria, ma si realizza solo laddove ci siano uomini capaci di mantenere quell'equilibrio meraviglioso in cui nessuno può dirsi totalmente ricco o povero, potente o misero, dove la giustizia sia amministrata per il bene di tutti e non sia complice o faziosa, dove le armi servano per difendere l'integrità nazionale, il bene comune e non l'interesse dello straniero o per imporre il nostro modo di vita sociale, considerandolo perfetto e democratico nel nome della pace, forse nostra ma non di altri.
È imbarazzante leggere dei nostri politici che vogliono accostarsi ai padri costituenti e che oggi governano questa sciagurata nazione, atteggiandosi da statisti, senza accorgersi che infuria una tempesta che scuote la caravella. Le fondamenta economiche degli Stati e soprattutto dell'Italia, in un'economia gestita da banchieri, che atterra le famiglie, cancella i servizi essenziali, blocca la crescita delle nuove generazioni sono la rotta presa dalla nostra imbarcazione. Le persone che noi abbiamo eletto con una legge elettorale dettata dalle potenti lobby familiari, come nel medioevo, sono affaccendate a giustificare maldestramente episodi d'inaccettabile immoralità. Una serie infinita e grottesca di abusi riempie le pagine dei nostri giornali, anch'essi per lo più irreggimentati, dove non si riesce più a distinguere l'umorismo dal cattivo gusto. Leggiamo e vediamo sui mass media atteggiamenti che offendono non solo la morale ma calpestano i diritti elementari e spesso la presenza di decine di "bravi" di manzoniana memoria rivela solo la meschinità dei protagonisti della politica nostrana.
Troppo spesso si intende il bene comune come il proprio bene, quello privato di facili e singole lobby, lo dimostra la campagna demolitoria contro le Province, montata da tutti i partiti politici, quasi a giustificare il loro fare per l'abbattimento degli sprechi della pubblica amministrazione, dei costi della politica e del rinnovato modernismo. Come può avere a cuore le sorti dei suoi concittadini chi concepisce i rapporti umani e il benessere della popolazione soltanto in termini di assoggettamento? Mistificando le cose come se il volere dei cittadini fosse adempiuto con il voto di un parlamento, sempre sotto minaccia di scioglimento.
La nostra caravella dovrebbe trovare come porto d'attracco, nuovamente la Democrazia, rifacendo nostra la lezione di Rousseau; dobbiamo imparare che la democrazia non può mai darsi per una conquista avvenuta, ma resta un premio che in ogni tempo ed in ogni epoca va mantenuto acceso e vivo come il fuoco del faro che deve illuminare la rotta per la nostra caravella.
Non facciamoci conquistare dallo sguardo della maga Circe, che è sempre cinico e morboso, e che oggi è rappresentato dai media che vogliono far passare l'immagine di un Paese conteso tra l'immondizia ed il fango, ma in cui comunque si vive bene, e dove la popolazione del mondo intero vi risiederebbe volentieri.
Quando si contrabbanda la libertà con la licenza, quando si mistifica la democrazia occorre che tutti, nessuno escluso, si sentano chiamati in prima persona ad ingaggiare quella battaglia che torni a fare navigare la nostra caravella in mari tranquilli e con nocchieri difensori delle nostre reali libertà, tutori della costituzione. Chi non avrà il coraggio o la voglia di farlo, dovrà chiedersi per cosa ha rinunciato alla propria libertà e di chi è suddito. Chi è indifferente alla libertà di pensiero dovrà porsi altre domande, perché l'indifferenza è ignavia e parassitismo.
Voglio riportare quello che scriveva Antonio Gramsci l'11 febbraio 1917 sugli indifferenti:
"Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L'indifferenza è il peso morto della storia. L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l'intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l'assenteismo e l'indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti"
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Il silenzio di oggi è un brutto segnale per la democrazia, il mare appare piatto, la caravella ha le vele ritirate, ma anche una piccola tempesta può travolgere da un momento all'altro la caravella, se non si trova rapidamente un nocchiere che ci porti via rapidamente da queste acque dell'indifferenza, apparentemente calme ma insidiose per tornare nei mari caldi e accoglienti della democrazia.