Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XXX parte)

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Evan RosierUna prima deviazione in via Rossini mi porta davanti al teatro Gobetti. A condurmi qui non è tanto il bel palazzo con facciata in stile neoclassico realizzato tra il 1840-42 per l'accademia filodrammatica (l'edificio è stato anche sede del liceo musicale nel 1860, e casa del soldato nel 1928), ma la lapide posta nel 1930 con l'immagine di Goffredo Mameli, per ricordare che nel teatro fu eseguita per la prima volta in una manifestazione pubblica l'Inno Fratelli d'Italia che poi, nel 1946, diverrà l'Inno nazionale Italiano, preferito al "Va Pensiero" di Giuseppe Verdi e alla "Leggenda del Piave" di Giovanni Ermete Gaeta, conosciuto con il nome d'arte E. A. Mario.
Un altra lapide è posta in via XX settembre, sul fronte del palazzo in cui Michele Novaro (1818-1885) musicò il canto Fratelli d'Italia, composto dal poeta Goffredo Mameli (1827-1849). Si racconta che la sera del 10 settembre 1847, presso la residenza del patriota Lorenzo Valerio (1810-1865), il musicista e tenore Michele Novaro, non appena ricevuto il testo inviato dal Mameli e aver letto i versi, ebbe immediatamente l'ispirazione per la creazione della melodia che diverrà poi la musica dell'inno della Repubblica Italiana.
Un portone, situato quasi di fronte al teatro, conduce al cortile della Cavallerizza, un edificio che fu costruito in stile barocco nel 1740 dal Primo Architetto Regio Benedetto Alfieri per svolgervi gli esercizi equestri. Mi piace pensarla, anziché quasi in stato di abbandono come si presenta oggi, colma di scudieri, paggi, e maniscalchi intenti a curare i destrieri della nobiltà. Anche questo posto, che meriterebbe molto più riguardo, contiene i propri segreti e misteri. Si racconta infatti che il corpo della Bela Caplera, dopo che fu ghigliottinata in piazza "carlina", fu portato alla Cavallerizza, che durante l'occupazione napoleonica funse anche da obitorio, e che il suo fantasma s'aggiri ancora oggi per il cortile per poi transitare attraverso via san Francesco da Paola e raggiungere piazza "carlina" alla ricerca dei suoi lunghi capelli tagliati con la decapitazione. Ma anche un'altra storia viene menzionata e risale ai tempi dell'ultimo conflitto mondiale. Si dice che durante la guerra nella Cavallerizza fossero stati ricavati appartamenti e laboratori e che durante un allarme aereo, dodici sartine o "caterinette" che lavoravano nell'adiacente laboratorio di sartoria, sbagliarono scala e invece di scendere in un rifugio antiaereo si ritrovarono in una scura cantina. Terminato il bombardamento si accorsero che la loro unica via d'uscita era rimasta chiusa dalle macerie del bombardamento, ed inutilmente attesero i soccorsi, morendo di fame, freddo e paura nello scantinato. Solo nel 1946, a guerra finita, sgomberando le macerie si ritrovarono i corpi delle sartine l'una accanto all'altra. Il ritrovamento fece ricordare che da tempo, nelle notti senza luna, si sentivano provenire dalle scuderie lamentose cantilene e qualcuno affermò anche di aver visto una fila di spettri di fanciulle vagare per il cortile e per le scale del fabbricato. Le sartine venivano chiamate anche "caterinette" dal nome della loro patrona Santa Caterina di Alessandria d'Egitto, anche se non mi risulta che abbia mai preso in mano ago e filo.
Riattraverso via Po e sosto brevemente a guardare le finestre del maestoso palazzo dell'Accademia Albertina; un'istituzione universitaria per lo studio delle belle arti, fondata nel 1678, che trae origine dall'antica Università dei Pittori, Scultori e Architetti sull'esempio della Académie Royale di Parigi. Vittorio Amedeo III la trasformò in Reale Accademia di pittura e scultura nel 1778.
Nel 1833 re Carlo Alberto la rifonda come Regia Accademia Albertina, dotandola di un importante palazzo donato dallo stesso Carlo Alberto e completandola con una ricca pinacoteca a scopi didattici, che continuamente si arricchì fino a diventare un'importante gipsoteca e una vasta biblioteca, oltre che una preziosa pinacoteca.
Tornato su via Po mi piace pensare che sotto a questi portici ci passeggiasse il barone Marcel Bich, e che magari frequentasse la storica cartoleria economica Mauri, ancor oggi caratterizzata dalle vetrine e dalle insegne ottocentesche. Magari andava a vendere in questa cartoleria i pennini e le stilografiche per scrivere. Marcel Bich, come potrebbe apparire dal suo cognome, non aveva origini transalpine ma proveniva dalla vecchia nobiltà savoiarda e precisamente da Châtillon, in Val d'Aosta. Nacque nel 1914 in Corso Re Umberto 60, nel cuore dell'elegante quartiere della Crocetta; diventò poi successivamente francese, quando a sedici anni emigrò a Parigi con i genitori e dove completò gli studi universitari. In gioventù fece il rappresentante d'inchiostri, anche con la vendita porta a porta, e il commerciante di lampadine. Nel 1953 incontrò László József Bíró, un inventore e giornalista ungherese che aveva trovato la soluzione al problema delle macchie d'inchiostro lasciate dalle penne stilografiche, inventando la biro. L'invenzione pionieristica di Bíró, purtroppo, non ebbe da subito un felice riscontro industriale e commerciale. Negli anni ‘40, epoca dell'invenzione, non vi era ancora una tecnologia adeguata per produrre in serie la sua penna a sfera e sviluppare un prodotto semplice ed economico, necessario per sfondare nel mercato di largo consumo. In un momento di difficoltà e scoraggiamento di Bíró, il barone Bich acquista il brevetto della penna, lo perfeziona e da avvio alla produzione della penna a sfera. L'idea di un prodotto di plastica trasparente ebbe successo e da allora le penne Bic, come il suo cognome ma mozzato della h, sono in casa di milioni di persone, vendute ovunque, ormai un marchio famoso quanto la Coca Cola. Lo sfortunato Bíró, per la cronaca, morirà poi a Buenos Aires in povertà. Il basso prezzo di vendita garantì alla biro Bic un successo internazionale, favorito dal suo design esagonale, appositamente studiato non per estetica ma perché allora i banchi di scuola erano inclinati e in questa maniera la biro non scivolava per terra. Inoltre, il fatto che la biro fosse usa e getta ne faceva un consumo perpetuo. L'azienda fu impiantata in Francia e la produzione si ampliò con l'accendino usa e getta e con i rasoi di plastica, usa e getta pure loro, che rivoluzionarono il modo di radersi in tutto il mondo. Marcel Bich morì nel 1994 a Parigi all'età di 79 anni, dopo aver creato filiali ovunque sul pianeta.
Un pensiero mi coglie, osservando via Po, realizzata ancora con grandi lastroni di pietra, confondo lo sferragliare del tram che vi corre sui binari con il cigolio della carrozza e il calpestio dei cavalli che nella notte dell'8 dicembre 1796, correvano su questa strada. Chissà se vi erano delle persone che da sotto questi portici assistettero alla partenza del re; infatti dopo l'armistizio di Cherasco del 28 aprile 1796, il re fu sottoposto a continue umiliazioni da parte delle truppe francesi di Napoleone, fino all'ordine della consegna dell'Arsenale e all'abbandono della città pena il bombardamento. Allora, in una notte ventosa e sotto una incessante pioggia mista a neve, una carrozza nera, protetta da ottanta dragoni piemontesi a cavallo a loro volta scortati da 80 francesi, percorre mestamente via po, successivamente chiamata rue Eridan, con a bordo i Savoia costretti a lasciare la città per andare in esilio.
Ormai giunto al n° 18 di via po, una piccola porta con una soprascritta incisa sulla pietra ci conduce all'accademia medica, nata come Società medico-chirurgica, voluta da 18 medici all'inizio del 1819, ma che nel periodo della Restaurazione non poteva riunirsi se non in forma privata. Successivamente, grazie al Dott. Alessandro Riberi, quello che il re Carlo Alberto volle al suo capezzale ad Oporto prima di morire, ottenne il riconoscimento come Reale Accademia di medicina il 10 febbraio 1846; inizialmente fu ospitata in casa a pigione e poi, dal 1835, a Palazzo Madama. Riberi fu anche l'ideatore del Corpo della Sanità Militare.
Successivamente il Ministro della Pubblica Istruzione, Ferdinando Martini, offrì il primo piano dell'ex convento dei frati Minimi, nel 1895, ove ancora oggi insiste la sede.
Ebbi modo di entrarvi tempo addietro e conoscere meglio un personaggio che lavorava nella Hogwart torinese e che per diletto faceva lo storico e ricercatore.
Costui, Evan Rosier, era ed è un pericoloso Mangiamorte, quanto l'omonimo Evan Rosier della Rowling. Se quello della Rowling aveva frequentato la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts nella casa di Serpeverde ed era rimasto sempre al servizio di Voldemort, quello della Hogwarts torinese era immigrato da lontano e nonostante svolgesse incarichi dirigenziali, era poco considerato dagli altri Mangiamorte, anzi spesse volte era fatto oggetto di dileggio. Tra l'altro, ma solo nell'ultimo mio periodo di permanenza a Torino, ha originato alcuni miei sospetti per strani comportamenti.
Evan Rosier è uno dei più temuti e pericolosi Mangiamorte in entrambe le Hogwarts, e se in una il suo sadismo lo portava a torturare numerosi Babbani, nell'altra lo portava ad essere un adescatore e mentore di novizi Mangiamorte. È un mago molto potente, che nella Hogwarts della Rowling risultava essere un grande combattente offrendo spesso una strenua resistenza contro gli Auror, in quella torinese invece è sempre stato un codardo che preferisce usare espedienti, falsità ed ogni altra nefandezza per raggiungere i suoi scopi.
Evan Rosier, torinese d'adozione, ha un viso ovale e ben pasciuto, stempiato con pochi capelli bianchi e molto corti e porta lunghe basette brizzolate. Gli zigomi pronunciati lo fanno apparire quasi un clown, anche la bocca lunga e sottile pare disegnata per una tragicommedia. I due grandi occhi castani sembrano quasi infossati, incorniciati da sopracciglia fini e divisi da un lungo naso con grandi narici, barbetta e baffi brizzolati alla Napoleone III. Il doppio mento e le orecchie grandi che sorreggono due spessi occhialini completano l'aspetto.
Non è strano trovare Evan Rosier vicino a via Po 18, proprio perché qui nasce la storia di Cesare Lombroso e della sua raccolta privata di reperti anatomici umani. Infatti fin da ragazzo, prima nella propria camera e poi in una specie di stalla o granaio che veniva utilizzava come laboratorio di Medicina Legale dell'Università di Torino (sito allora via Po 18), si occupò accuratamente di quella che sarà una delle più complete collezioni di reperti anatomici che io conosca. L'intera collezione venne poi trasferita in uno dei nuovi edifici universitari del Valentino, per passare nell'ex Istituto di Medicina Legale di Via Galilei e, dal 2009, trasferita definitivamente nella sede del Palazzo degli istituti Anatomici in via Pietro Giuria 15, come museo aperto al pubblico.
Evan Rosier, sicuramente si troverebbe a suo agio tra le centinaia di crani e resti scheletrici umani, ma anche cervelli umani, crani e resti scheletrici di animali, corpi di reato utilizzati per compiere delitti più o meno cruenti, ferri di contenzione, disegni e fotografie di alienati, criminali e prostitute. Molte cose legano Rosier con Lombroso, come la passione per i misteri. Infatti mi sovviene che sempre qui vicino, in una strada vicino a piazza Vittorio, via Bava 6, una volta esisteva un'osteria; nel novembre del 1900 le cronache ci raccontano che in questa osteria avvenne una manifestazione paranormale che vide l'intervento di Lombroso.
I rescoconti particolareggiati ci raccontano di bottiglie che si sollevavano da sole dagli scaffali, per poi frantumarsi sui muri della cantina dell'osteria.
Cesare Lombroso volle passare un'intera notte rinchiuso nella cantina per studiare il fenomeno, senza concludere nulla. Il giorno dopo, un giovane cameriere dell'osteria venne licenziato perché accusato di quei malfatti, scagionando il fantasma ubriacone. Gli spiritisti invece affermarono che si trattava di poltergeist. Il termine Poltergeist (dal tedesco "spirito chiassoso") è usato per indicare fenomeni paranormali, come rumori o spostamenti di oggetti e strane apparizioni, popolarmente attribuiti agli «spiriti defunti».
Su una colonna di via Po, sempre vicino al civico 18, una lapide ricorda Ascanio Sobrero (Casale Monferrato, 12 ottobre 1812 – Torino, 26 dicembre 1888) chimico e medico italiano. La targa lo ricorda sopratutto quale scopritore della nitroglicerina.
Sobrero si laureò in medicina e chirurgia presso l'Università degli studi di Torino nel 1833 e divenne direttore del Laboratorio chimico dell'Arsenale di Torino, dove iniziò ad occuparsi di chimica. Dopo aver lavorato a Parigi presso laboratori di ricerca sulle sostanze esplosive e sull'acido nitrico, rientrò a Torino, dove fu assistente alla cattedra di chimica generale e docente di chimica presso la Scuola di meccanica e chimica applicata alle arti. Dopo aver scoperto la nitroglicerina e averne osservato le proprietà esplosive, dal 1848 insegnò chimica docimastica (chimica applicata che studia la natura dei materiali per scopi industriali) presso l'Università di Torino e alla Scuola di applicazione per ingegneri del Valentino.
La targa non lo ricorda ma Sobrero scoprì anche, nel 1851, il sobrerolo ossia idrato di pirrolo, così chiamato in suo onore e ancora oggi usato farmacologicamente come stimolante respiratorio.
Via Po 18 era l'ingresso del convento dei frati Minimi la cui chiesa dedicata a san Francesco da Paola si affaccia su via Po. Questa chiesa fu eretta come ex voto di Maria Cristina di Francia. La storia devozionale dei Savoia verso questa chiesa è dimostrata dal fatto che nessun porticato gli è stato costruito davanti, proprio per metterla in evidenza al popolo tutto. È ben visibile, al di sopra del portale di ingresso della chiesa, una grande lapide sormontata dallo stemma di Cristina: la croce sabauda e di gigli di Francia. Si è molto discusso su chi abbia effettivamente progettato la Chiesa, la cui costruzione venne effettivamente cominciata solo nel 1633, tra gli architetti Carlo e Amedeo Castellamonte, Maurizio Valperga e Francesco Lanfranchi, ma sappiamo solo che dopo il 1641 vi lavora il padre carmelitano Andrea Costaguta. Mentre la facciata è molto sobria, ornata da lesene disposte in due ordini e da un frontone triangolare a cui si apre subito sotto, in corrispondenza del portone d'accesso un finestrone tipicamente barocco, con decorazioni dei maestri luganesi e di Martino Solaro, ci indica per iscritto che la conclusione dei lavori avvenne nel 1667. La chiesa però viene consacrata solo nel 1730.
Ogni qualvolta che posso entro volentieri per raccogliermi qualche minuto in silenzio, la chiesa è a navata unica con sei cappelle laterali.
Le cappelle laterali dell'importante chiesa voluta da Maria Cristina di Francia, figlia di Enrico IV, Re di Francia e sposa di Vittorio Amedeo I di Savoia, che non avevano ancora figli, viene appunto edificata come ringraziamento dopo la nascita di Francesco Giacinto (morto fanciullo) e Carlo Emanuele II.
La prima sulla destra entrando è la cappella voluta dai Marchesi Morozzo della Rocca, con i monumenti sepolcrali di famiglia ed oggi è dedicata al transito di san Giuseppe, con una bella tela ottocentesca del Lorenzone; la seconda è la cappela di san Michele, con i monumenti sepolcrali di Tomaso e Antonio Graneri. La pala che orna la cappella è del Legnanino e rappresenta l'Arcangelo Michele.
La terza cappella, detta dell'Immacolata concezione, fu costruita dalla famiglia dei marchesi Carron di San Tommaso, poi fu dei Lascaris e ancora dei Benso di Cavour.
La prima cappella, partendo invece dall'altare maggiore, è dedicata alla Vergine o Maria Ausiliatrice e fu voluta dal Cardinale Maurizio di Savoia, oggi decorata con la statua della Madonna del Buonsoccorso.
Ai piedi dell'altare della cappella di Maria Ausiliatrice, c'è una pietra che copre un loculo che si dice contenesse il cuore del cardinale Maurizio di Savoia, e pare vi fosse pure il cuore della principessa Ludovica di Savoia e di sua figlia. Il cardinale, come abbiamo visto in precedenza, fu uno dei protagonisti della storia torinese e piemontese; fu uno dei cognati di Maria Cristina di Francia che di più la osteggiarono durante la sua reggenza per ostacolare il diritto al trono del figlio Carlo Emanuele II. Qui soleva anche sostare e pregare il giovane Don Bosco,ed è forse qui che s'ispirò alla sua Ausiliatrice.
La cappella della Crocifissione e della confraternita del sacro cuore contiene sull'altare un crocifisso e ai suoi lati la Vergine e san Giovanni, di scuola genovese del XVII secolo.
Invece la cappella di santa Genoveffa, voluta dalla Duchessa Anna d'Orleans, moglie di Vittorio Amedeo II, quale ex voto per la nascita dell'erede al trono, opera del Juvarra del 1720, contiene un dipinto di Daniel Setter e Francois Jossermè raffigurante santa Genoveffa, patrona di Parigi.
Invece sull'altare maggiore, realizzato su disegno di Amedeo di Castellamonte (1664/65) con lo stemma di Maria Cristina di Francia, vi è una bella pala di Charles Dauphin raffigurante la gloria di san Francesco da Paola, con ritratti ai piedi a sinistra i due principini. Ai lati del presbiterio vi sono due tele raffiguranti una Luisa di Savoia che ottiene la Grazia per intercessione di San Francesco da Paola e l'altra che riproduce san Francesco che attraversa lo stretto di Messina.
Sulla controffaciata si trova il monumento funerario a Tomaso Carlone, lo scultore svizzero-italiano che realizzò la statua della Madonna del Buonsoccorso, posta nella cappella voluta dal cardinale Maurizio di Savoia.
La chiesa con il grande complesso conventuale fu affidata ai Frati Minimi di San Francesco da Paola, che giunsero in Piemonte nel 1623 introdotti da Carlo Emanuele I al fine di contribuire a ribadire l'ortodossia della fede e per combattere alcune forme di eresie che andavano prendendo piede in quel tempo nel ducato. I frati furono cacciati da Napoleone Bonaparte nel 1809, l'ordine fu soppresso e da allora la chiesa è stata trasformata in parrocchia e il convento adattato a laboratori, aule universitarie ecc…
La presenza dell'università in via Po, faceva della stessa luogo di ritrovo e di goliardia degli studenti, sia per la "caccia alle matricole" che per i cortei dei goliardi capitanati dal "pontefice massimo" che finivano inevitabilmente in osteria.
Sono tanti gli atti di goliardia che i giornali raccontano, io voglio solo ricordare una particolare storia che vide l'università come luogo di un tumulto. Siamo nel 1755, quando ad un buonuomo di nome Cremonese viene dato il permesso di servirsi del cortile dell'ateneo per uno spettacolo di ammaestramenti di tori e di orsi. Gli studenti presero a male questa iniziativa, in quanto non ne erano stati informati se non dai manifesti appesi per la città. Gli studenti distrussero il palco del Cremonesi, arrecandogli grande danno. Intervenne prontamente un distaccamento militare che circondò l'università, e se non fosse stato per l'intervento di Bogino, un noto magistrato della riforma, sarebbe sicuramente scorso sangue su via Po. Il Bogino spiegò agli studenti che era stato permesso al domatore di utilizzare il cortile dell'università solo per guadagnare i denari per sfamare se e i suoi animali. Il Cremonesi fece il suo spettacolo nel cortile del castello del Valentino e tutti gli studenti lo andarono a vedere per dimostrargli che non gli portavano rancore.
Un'altra terribile storia accadde la notte del 26 gennaio 1904 quando s'incendiò la biblioteca dell'università e si riuscirono a salvare i preziosi manoscritti solo facendoli passare da una finestra. L'ateneo torinese ha nei suoi annali anche storie poco edificanti, come quella che vede Maria Pellegrini Amoretti che nel 1777 vuole sostenere gli esami di laurea. Il magnifico rettore, Pertengo, era propenso ad accoglierla ma il consiglio d'istituto non volle nemmeno riunirsi per discutere il caso, anzi non vollero nemmeno riunirsi a casa del rettore per non "contaminare" la scuola, ritenendo la domanda semplicemente oltraggiosa e costringendo Pertengo a dimettersi. Maria Pellegrini Amoretti andò a laurearsi a Pavia, mentre Torino vedrà laurearsi la prima donna solo un secolo dopo.
Una vicenda storica lega l'Università con l'unità d'Italia. Tutto comincia al teatro d'Angennes, più conosciuto come teatro Gianduja, posto in via principe Amedeo 26, a pochi passi dall'Università. Era l'11 gennaio 1821 durante le feste di carnevale quando quattro studenti universitari indossarono cappelli in lana rossa, con fiocco nero, i colori della carboneria o con il berretto frigio rosso, segno distintivo dei rivoluzionari francesi. Furono arrestati e il giorno successivo l'ateneo insorse contro il provvedimento, le forze di polizia diedero quindi l'assalto all'università. Fu l'episodio iniziale dei moti del 1821 a Torino.
L'edificio dell'università con il suo cortile a doppio loggiato, benché restaurato più volte, anche a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, non ha cambiato la sua struttura, con l'ingresso principale solo dalla parte di via verdi. Mi piace pensare ad uno dei suoi illustri studenti che meravigliato si aggira all'interno del suo cortile in attesa di conseguire la laurea in teologia: Erasmo da Rotterdam, pseudonimo di Desiderius Erasmus Roterodamus (Rotterdam, 1466/1469 – Basilea, 12 luglio 1536), è stato un teologo, umanista e filosofo olandese che qui si laureò il 4 settembre 1506. Firmò le sue opere con lo pseudonimo di Desiderius Erasmus. La sua opera più conosciuta è "Elogio della follia". erasmo da Rotterdam è considerato il maggiore esponente del movimento dell'Umanesimo cristiano. Ma vi studiarono anche Rita Levi di Montacino, Renato Dulbecco, Togliatti, Gobetti, Gramsci, Gozzano Salvatore Luria (premio nobel per la medicina) e vi figurano come docenti anche i fisici Avogadro, Plana, Cesare Lombroso, Pier Alessandro Paravia, Carlo Forlanini. L'ateneo si trova in via Po dal 1720, prima era collocato in via Dora Grossa, ora via Garibaldi. L'Università fu fondata come studium nel 1404 con bolla del papa Benedetto XIII per iniziativa del principe Ludovico d'Acaia.
Una lapide, posta sulla colonna di via Po, angolo via Bogino, ricorda l'industriale Vaccarino Renato, titolare di un autorimessa, abitante in via Po 10, trucidato per mano nazifascista il 28 aprile 1943 in viale Thovez.
Impossibile non sostare al caffè Fiorio, anche solo per gustare un gelato o sorseggiare un caffè e cercare di raccogliere attraverso gli originari arredi i sussurri e le parole degli antichi avventori. Il locale fu aperto verso il 1780, e frequentato sopratutto da aristocratici che portavano i capelli lunghi legati a formare un codino, da questi frequentatori il locale venne soprannominato "caffè dei codini". Nel caffè erano disponibili sia giornali italiani che stranieri, si discuteva di politica in quanto abitualmente frequentato da diplomatici, nobili conservatori, intellettuali, tra i quali D'Azeglio, Rattazzi e lo stesso Cavour che lo frequentò fintanto che divenne luogo di raduno della nuova classe borghese dalle idee liberali. Si racconta che il re Carlo Alberto si facesse riportare ogni giorno le discussioni che si facevano al caffè Fiorio. Le ultime frequentazioni politiche furono durante il ventennio, dove spesso si radunavano gli intellettuali antifascisti. Il locale è rimasto pressoché uguale, come sempre gustosissimo è rimasto lo "zabaione Fiorio" che purtroppo non riesco ad assaggiare, ma mi riprometto di tornarci per gustarlo con tranquillità.
Sono molte le scene dei film girate in via Po, ricorderò solo "Dopo Mezzanotte" scritto e diretto da Davide Ferraio nel 2003, che ha inizio proprio a Torino dove Martino fa il custode del Museo Nazionale del Cinema ed è segretamente innamorato di Amanda, inserviente del fast food che frequenta. Una sera Amanda, esasperata dal padrone del locale, reagisce e lo ferisce versandogli dell'olio bollente sulle gambe, fuggendo poi spaventata e rifugiandosi nella Mole Antonelliana, dove Martino le offre protezione in un magazzino dismesso del museo..… o anche altre scene dei film di "The Italian Job" e "Poliziotti", ma anche il film drammatico "Preferisco il rumore del mare" del 1999 di Mimmo Calopresti, girato in molte parti di Torino, dove nella notte di capodanno Luigi, Calabrese che ha fatto fortuna a Torino, accorre in ospedale dove è stato ricoverato il figlio Matteo. Luigi come vi arriva inizia a ricordare i fatti salienti dell'ultimo anno, legati alla sua famiglia.



Fine XXX parte.