Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XXXIV parte)

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Roger DaviesD'altra parte Marcus Flitt non potevo trovarlo in nessun altro luogo, è un tipo da palcoscenico e dai comportamenti ambigui. Chissà quale cattiverie avrebbe potuto mettere in atto, per calcare i palcoscenici torinesi. Palcoscenici che furono, appunto calcati per secoli anche da voci bianche, o "Angeli di Dio" come venivano chiamati i castrati avviati al bel canto e Marcus Flitt, frequentatore, benché sporadico dei sabba torinesi, avrebbe sicuramente avuto una particolare attrattiva per tali poveri sventurati, come del resto altri mangiamorte come Peter Minus, Draco Malfoy, Evan Rosies, Amycus Carrow, Augustus Rookwood, Bartry Crouch jr, Stanley Picchetto, Thorfinn Rowle, ma anche personaggi come Theodore Nott e il prof Remus Lupin.
Infatti anche la corte dei Savoia, aveva i suoi "musici armonici", tra i quali il castrato Giuseppe Chiarini, a cui gli venne assegnato un guiderdone (retribuzione) di 2250 lire annuo, o il castrato contraltista Francesco Maria Roscarino che dieci anni dopo fu ingaggiato per cantare al matrimonio della sorella del re Carlo Emanuele II, successivamente assunto a corte per 1800 lire annui. Mentre fu conteso con Giuseppe II d'Austria, dal re sabaudo e nominato musico della real casa, il milanese Luigi Marchesi per 1172 ducati annui, così scrive Angelo La Bella sul suo libro "I castrati di Dio". Un altro famoso castrato che ebbe grande successo a Torino fu Domenico Checchi detto il Cortona, dalla città natale in provincia di Arezzo, che fu invitato a cantare in occasione del carnevale del 1689 e che divenne il castrato preferito dall'imperatore d'Austria. Cantò a Torino anche il castrato più lunatico, capriccioso ed arrogante che la storia ci consegni, ossia il pugliese di Bitonto, Gaetano Majorana, conosciuto come Caffarelli. Altro importante cantore castrato che calco le scene torinesi fu il bolognese Antonio Maria Bernacchi oltre al più ben noto maceratese di Corridonia (all'epoca Pausola), Giovan Battista Velluti, che fu anche l'ultimo cantore castrato a cantare in un teatro.
La storia dei castrati e del canto di voci "angeliche " inizia con Papa Sisto V, che nel 1588 con un ordine grottesco, vieta alle donne di esibirsi in teatro sia per cantare che per recitare, in quanto le donne conducevamo ad un «deterioramento grande del costume». Nascono così le voci bianche da una mutilazione sessuale maschile tipica dei peggiori fondamentalismi; molti giovani maschi subirono questa violenza inducendoli alla vita da castrati per la sostituzione delle figure femminili. Il Seicento produsse una quantità enorme di cantori evirati, ciò fu favorito dalle gravi condizioni economiche in cui versavano molte famiglie, disposte a sacrificare la fecondità del figlio per garantirle una dignitosa vita. Se la voce del fanciullo dopo la castrazione non risultava idonea per il canto in teatro, il suo futuro poteva essere quello di cantore all'interno del coro di qualche cappella. Moltissimi erano i fanciulli evirati che venivano accolti nei cori di voci bianche che li portava a divenire cantori del papa. Per alcuni secoli furono quindi i castrati a interpretare molti ruoli femminili e sono personalmente e particolarmente disgustato nel solo pensare che si potesse considerare meno immorale travestire gli uomini, dopo averli privati dei loro attributi sessuali, anziché lasciar recitare le donne.
Se è pur vero che, la chiesa ufficialmente condannava la castrazione, i cantori evirati furono accettati anche nella Cappella pontificia fino al 1898, quando il papa Leone XIII nomina Mons. Lorenzo Perosi,"Direttore Perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistema", ultimo coro delle voci bianche composto da cantori evirati. Perosi, introduce nel coro come cantori dei fanciulli, espellendone gli oramai esigui cantori evirati. Furono comunque molti i papi che apprezzavano il canto dei castrati, poiché "la loro voce era uno strumento musicale potentissimo che racchiudeva in sé le caratteristiche delle voci degli angeli", come lessi un giorno in un post su un blog.
Il filosofo, storico e cronista francese Charles De Brosses, scrive sui castrati nel 1740 "Il loro timbro è chiaro e acuto, simile a quello dei ragazzi del coro ma, al tempo stesso, molto più potente: sembra che cantino un'ottava sopra la normale estensione femminile. Il loro canto ha sempre qualcosa di secco e di aspro ed è quindi completamente diverso da quello così pieno di dolcezza delle donne: ma hanno un'ampia estensione e la loro voce è brillante, nitida, espressiva e forte".
Questo timbro di voce puro e asessuato, amplificato da una poderosa cassa toracica, sviluppatasi come effetto della castrazione, permetteva fiati lunghissimi e vocalizzi incredibili che mandava in estasi gli spettatori, spesso addirittura portandoli a malori e svenimento. Si racconta che fra i castrati che più entusiasmo le folle, ci fu Loreto Vettori, sopranista e maestro di musica di Cristina di Svezia, tanto che un giorno la popolazione per ascoltarlo abbatté persino le porte di un palazzo dove era venuta a conoscenza che avrebbe dovuto esibirsi in uno spettacolo privato.
In Europa generalmente l'operazione di evirazione avveniva verso i sette, otto anni - ovviamente non erano i bambini a poter decidere della propria sorte. L'intervento fatto prima dell'età adolescenziale permetteva agli evirati di acquistare l'estensione della voce grazie all'ampliamento della cassa toracica e sul loro corpo inoltre potevano apparire alcuni caratteri secondari femminili.
Nella scena del film, "Farinelli - voce regina", ispirato alla vita di Carlo Broschi, un castrato diventato famosissimo nel 1700, che non so se mai cantò anche a Torino, si può vedere anche il momento della "castrazione"del piccolo Farinelli, immerso nella vasca di latte, e probabilmente narcotizzato con oppiacei. Il cantore di Andria in Puglia, ossia Carlo Broschi detto Farinelli è considerato il più grande cantore castrato di tutti i tempi.
Fortunatamente questa sevizia sul corpo di giovani cantori venne lentamente a scomparire quando le condizioni economiche delle famiglie migliorarono.
Per dovere d'informazione occorre chiarire che la castrazione non implicava sempre l'impotenza e c'è molta aneddotica sui castrati più illustri, infatti ci furono castrati molto avvenenti che fecero strage di cuori femminili e non solo. Il comportamento frivolo e lusinghiero di costoro verso il gentil sesso, li faceva particolarmente apprezzare e ricercare dalle dame. Ho letto da qualche parte che uno di questi illustri cantori, presentò un'istanza al papa Innocenzo XI per avere il permesso di sposarsi, giustificando la sua richiesta con il fatto che l'operazione subita di castrazione era stata fatta male, e che sotto l'istanza il papa Innocenzo XI pose in margine: «Che si castri meglio».
Infatti ai castrati, come agli uomini sterili era vietato il matrimonio e tale aberrante norma fu abrogata solo nel 1977 da papa Paolo VI.
Il documento "Eunuchi conjugium" del giurista ecclesiastico H. Delphinus, (16859), dovrebbe così scrivere "Poiché il santo stato matrimoniale è stato introdotto per la propagazione della razza umana (per la quale il castrato è inabile) ... gli si dovrà negare la benedizione della Chiesa. C'è un'altra ragione per proibire un tale matrimonio: esso non è in grado di conseguire anche il secondo fine del matrimonio, e cioè il contenimento della sessualità e l'estinzione del desiderio, e di conseguenza (la moglie) si troverebbe in costante pericolo di meretricio e sull'orlo dell'abisso dell'adulterio".
Loreto Vettori di Spoleto, sopranista e compositore, addirittura e per ironia della sorte, morì vittima di un marito geloso. Sorte migliore ebbe il castrato Gaetano Majorana, che riuscì a sottrarsi ai mariti infuriati rifugiandosi a Venezia. Ben più tragica fu la sorte del pistoiese di Chiesina Uzzanese, Giovanni Francesco Grossi, detto Siface, che cantò anche alla corte dei Savoia: nel periodo che era al servizio del duca di Modena, s'innamoro di una giovane bolognese Elena Marsili, rimasta vedova del conte modenese Gaspari-Forni, rapporto contraccambiato dalla giovane dama, ma non accettato dai suoi fratelli, che allontanarono la sorella in un convento a Bologna. Sennonché Siface, impegnato nelle prove per il "Perseo" come protagonista, al teatro di Bologna ebbe modo di incontrare la sua amata, riuscendo ad accedere al Monastero, i fratelli della contessa dapprima minacciarono Siface, poi passarono ai fatti, e quattro uomini mascherati fermarono la carrozza del cantore, fatto scendere il cocchiere e il servitore, dapprima spararono due colpi d'archibugio contro il malcapitato e poi gli spaccarono la testa con i calci dei fucili. La fuga e le dimissioni fu invece la scelta del castrato Giuseppe Chiarini che nella castigata corte sabauda ebbe diverse avventure galanti e preferì raccogliere glorie canore a Parigi, come è affermato sul portale www.haendel.it di Arsace.
Comunque sia l'abitudine di castrare fanciulli e in alcuni casi anche adulti è molto più antica, infatti la storia dell'evirazione ha caratterizzato per secoli, non solo Europa, ma anche l'Asia e l'Africa.
Per il povero, il plebeo, ancor peggio per lo schiavo e il prigioniero non si dava un valore morale all'uomo, ma solo economico e di servilismo. Nei ginecei dell'antica Grecia, vi era la necessità di persone a cui poter affidare, senza timore, delicati compiti di sorveglianza delle donne ma anche affidare a castrati delicate funzioni, civili, militari o religiose evitando così il nepotismo.
Un certo numero di culti religiosi ha incluso la castrazione tra le loro pratiche principali, come il culto di Cibele, divinità greca, venerata come dea della natura, degli animali e dei luoghi selvatici, i cui devoti si auto-castravano in emulazione estatica di Attis; ossia il servitore eunuco e paredro di Cibele, che conduce il carro della dea. Ma anche alcuni cristiani in antichità la consideravano la castrazione accettabile per evitare i desideri peccaminosi della carne.
In Cina gli eunuchi venivano utilizzati come uomini di compagnia per le concubine dell'imperatore, all'interno della corte, gli eunuchi a servizio nel palazzo dell'imperatore si chiamavano appunto "eunuchi dell'imperatore", mentre quelli dell'imperatrice si chiamavano "piccoli eunuchi". Occorre quindi differenziare il castrato dall'eunuco: L'operazione che si eseguiva sui giovani eunuchi in Cina ma credo anche nei paesi Mussulmani era piuttosto semplice e rudimentale, perché con un solo colpo di coltello ben affilato si asportava allo stesso tempo il pene e lo scroto, che nell'impero ottomano era chiamata anche castrazione nera rimozione delle gonadi e del pene, quindi parzialmente o completamente incapaci di attività sessuale, mentre la castrazione bianca era l'asportazione dei testicoli e veniva praticata con una profonda incisione all'inguine, dalla quale erano estratto il cordone spermatico e i testicoli. Ad operare venivano chiamati, soprattutto, i norcini (macellai specializzati nella lavorazione del maiale) e i barbieri. Si narra che le maggiori botteghe di esperti castratori fossero a Napoli. Come anestesia si stordiva il fanciullo con del laudano o tintura di oppio inventata nel XVI secolo dal medico svizzero Paracelso o ubriacandolo con un miscuglio di vino ed erbe soporifere. Invece ai cantori orientali la castrazione avveniva tramite schiacciamento dei testicoli, così che non producessero più ormoni (e altro), ma comunque in grado di far mutare le voci dei bambini.
Nella cultura ottomana vi erano quindi sia i castrati che gli eunuchi (khiṣyān, sing. khāṣī), questi ultimi erano distinti e considerati diversamente dai castrati (majābīb, pl. di majbūb); erano al servizio dei Califfi, ai Sultani, ai governatori, dai sovrani ed oltre ad essere adibiti alla custodia e guardia degli harem, era comunemente loro anche affidata la cura dell'amministrazione dello Stato, alcuni di costoro presero anche il potere e divennero sovrani con ottime capacità di gestione di un regno. Il valore sul mercato dell'eunuco dipendeva dall'età, dalle sue doti fisiche ed intellettuali e qualora fosse stato evirato in età prepuberale, la cui percentuale dei sopravvissuti all'intervento era abbastanza alta. Valeva molto di più e faceva variare il prezzo sia la voce, che la massa muscolare ma anche lo stato di eventuale apatia del fanciullo. Anche nella Russia di fine Settecento gli Skoptsy, la setta cristiana ortodossa la cui traduzione potrebbe "castrati" detta anche delle "colombe bianche" o "agnelli di Dio", era dedita proprio all'uso di castrarsi.
Ricordo solo, prima di proseguire per piazza Castello, l'ultimo sopranista castrato e unico di cui esista una registrazione sonora, fu Alessandro Moreschi, soprannominato l'angelo di Roma. Lo ricordo non perché cantò a Torino, ma perché ebbe l'onore di cantare per due illustri torinesi, con il consenso del vaticano, ossia al funerale del re Vittorio Emanuele II deceduto nel 1878 che di re Umberto I morto nel 1900.
Facendo il giro intorno a palazzo Madama, incontro Roger Davies, proprio sotto il porticato del palazzo delle Segreterie.
Roger Davies fu un aspirante mago nella Hogwarts della Rowling e fu smistato nella casa di Corvonero, divenne capitano della squadra di Quidditch di Corvonero. Fu ammaliato ed andò al ballo del Ceppo del 1994 con Fleur Delacour, subendone il fascino di Veela ma tentò di corteggiare anche Cho Chang. Di Roger Davies la Rowling non racconta molto, anche se si presume che sia un ragazzo di bell'aspetto e molto sicuro di sé.
Invece nella mia Hogwarts torinese Roges ha sempre svolto con spirito altruistico un attività di volontariato, spesso ricoprendone incarichi di responsabilità, guidando come in una partita di Quidditch la sua squadra a importanti vittorie. Ma ha subito gravi sconfitte, sia lavorative che nella mia Hogwarts più per rivalità interne che per incapacità professionali. L'ho sempre visto con il sorriso in bocca anche nei momenti difficili, come il sottoscritto è sempre stato vittima spesso inconsapevole dei mangiamorte, a cui spesso aveva dato fiducia ed ospitalità.
Mi si avvicina e ci salutiamo come due vecchi amici, abbiamo tante passioni in comune che ci permettono di chiacchierare amichevolmente, ed insieme proseguiamo la nostra passeggiata sotto i portici della Segreterie di Stato, oggi sede del Palazzo della Prefettura, del Consiglio Provinciale, della Biblioteca Reale e l'Armeria Reale.
Il settecentesco Palazzo delle Segreterie a Torino fu al tempo dei Savoia il cuore pulsante della politica italiana, uno dei luoghi in cui nacque la diplomazia cavouriana. Ospitava infatti uno dei quattro uffici e studi di Camillo Benso, Conte di Cavour. Qui l'allora Presidente del Consiglio dei Ministri dello stato sabaudo lavorava 14 ore al giorno, preso sia dai complicati carteggi di uno Stato che avrebbe unito l'Italia facendo di Torino la prima capitale, ma anche preso dalle avvenenti donne con cui amava contornarsi, dalle ambascerie dei diplomatici europei dai colloqui quotidiani con il re, Vittorio Emanuele II. Gli stessi uffici furono occupati prima di Camillo Benso da altri famosi politici come l'eclettico Massimo Tapparelli d'Azeglio o lo storico e professionale Cesare Balbo, primo ministro per soli tre mesi nel 1848.
Il Palazzo in puro stile barocco piemontese, ha una facciata e un portico che è un unicum con il Teatro Regio se non fosse per un passaggio veicolare realizzato negli anni 1912-1916 per permettere un collegamento tra piazza Castello e i Giardini reali. Da sempre quest'area della città è definita "zona di comando" della capitale sabauda, cioè dove erano collocati i Ministeri e gli uffici di governo, che non poteva che essere intorno alla residenza dello stesso sovrano.
Le Segreteria di Stato avevano un ruolo determinante nella gestione delle politiche sabaude, cuore nevralgico della burocrazia con specifiche competenze in materia di relazioni con gli stati esteri, di sanità, di commercio, di polizia e di cultura.
Sotto i portici del palazzo delle Segreterie, negli anni sono state collocate una serie di targhe commemorative, alcuni veri capolavori d'arte bronzea. Una prima targa marmorea ricorda Paolo Borselli. Costui fu titolare della cattedra di Scienza delle Finanze nell'ateneo romano, ma preferì dedicarsi alla politica e fu più volte ministro nei governi del centro-destra di fine '800 e primo '900. Promosse la costituzione del Museo del Risorgimento Italiano a Roma ed è curioso pensare che la targa le fu dedicate mentre era in vita (la dedica è del 1922, mentre il personaggio morì nel 1932). Un seconda targa marmorea posta dalla Provincia di Torino ricorda invece i propri dipendenti periti per la liberazione, come recita l'iscrizione "delle province sorelle di Trento, Trieste, Istria e Zara". Curioso, sempre sotto i portici della Prefettura l'altorilievo in bronzo posto nel 1923, dedicato ai volontari dell'America latina caduti nella prima guerra mondiale. L'altorilievo comprende in basso un tondo in bronzo che raffigura Cristoforo Colombo, il suo dito mignolo che sporge come se volesse indicare una rotta. Il dito è molto lucido quasi splendente, nei confronti del resto dell'altorilievo, la lucidità è dovuta al continuo sfregamento che i viandanti fanno sul dito, credendo che in occasione di esami, prove da sostenere ma anche matrimoni toccando il dito gli venga indicata la giusta direzione e porti fortuna, tanto che viene comunemente denominato il "dito del viaggiatore".
Nella nostra chiacchierata, mentre passeggiamo davanti all'antistante palazzo delle segreteria, Roger mi accenna ad alcuni mangiamorte come Draco Malfoy. Mi racconta le ultime vicende di costui, che ai miei occhi me lo fanno apparire ancor più squallido delle mie già più tetre considerazioni, sia sullo stile di vita che sul comportamento tenuto con Roger che gli è stato per anni vicino quasi ad esserne un tutore.



Fine XXXIV parte.