Blog di Dante Paolo Ferraris

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Chiaroscuri nella città eterna (X parte)

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RomaMentre inizio a salire su per la salita del Pincio non posso non ricordare come dove oggi sorge la basilica di santa Maria del popolo, che ebbe origine da una piccola cappella, eretta da papa Pasquale II nel 1099, vi era il mausoleo dei Domizi Enobarbi, che fu anche la tomba dell'imperatore Nerone.
La costruzione della prima chiesa avvenne forse come forma di ringraziamento per la liberazione del santo Sepolcro, avvenuta quell'anno, e l'opera venne pagata dal popolo romano, da cui un altra possibilità delle origini del nome della chiesa e della piazza. Ma forse anche la demolizione avvenne anche per eliminare la memoria popolare di Nerone che ancora sopravviveva ad oltre un millennio dalla morte.
Si racconta che la demolizione del mausoleo sia dovuta al Papa Pasquale II, considerato un uomo particolarmente superstizioso, e che fosse ossessionato dai corvi che volteggiavano su un noce secolare piantato nelle adiacenze della tomba dei Domizi Enobarbi, terrorizzato dall'idea che quei corvi fossero demoni in attesa della reincarnazione dell'imperatore Nerone, identificato come l'anticristo.
La cappella della chiesa ivi sorta, fu ingrandita da papa Gregorio IX nel 1227, che vi fece trasportare dalla basilica di san Giovanni in Laterano l'immagine di santa Maria del popolo, che ancora oggi si venera nella chiesa. Successivamente venne ancora ampliata, sotto Sisto IV, dandogli un aspetto rinascimentale. Interventi successivi furono quelli del Bramante, agli inizi del XVI secolo; ancora di Raffaello, e quelli di Gian Lorenzo Bernini, che tra il 1655 ed il 1660 restaura nuovamente la chiesa, donandole questa volta l'attuale impronta barocca. Nell'adiacente convento agostiniano sacrificato agli inizi dell'ottocento, per la sistemazione della piazza e del Pincio, soggiornò Martin Lutero durante la sua permanenza in Italia nei suoi anni giovanili.
Con il fiatone, raggiungo il Pincio, mi appoggio per riposarmi sulla balaustra di piazzale Napoleone I, da cui si gode un ampio panorama su piazza del Popolo e sul rione Prati.
Il Pincio o colle Pinciano, è un colle che guarda su Campo Marzio, diverse ville e giardini lo occupano, compresa Villa Borghese. Era posto al di fuori dei confini originali della città e non faceva parte dei sette colli, tuttavia si trovava già all'interno delle mura aureliane costruite tra il 270 ed il 273.
Già allora molte famiglie importanti dell'antica Roma avevano dimore e giardini (horti) sul Pincio: tra cui personaggi noti come Scipione Emiliano, Lucullo dove erano celebri gli Horti Lucullani e dove fu uccisa Messalina, la moglie dell'imperatore Claudio. Forse vi aveva residenza o Horti anche Pompeo. Vi si trovavano inoltre gli Horti Sallustiani, proprietà dello storico Sallustio e in seguito unificati agli horti luculliani in un'unica proprietà detta in Pincis nell'era imperiale, ancora gli Horti Pompeiani, e gli Horti Aciliorum, degli Acilii, tanto che Il colle era noto come il Collis Hortulorum (il colle dei giardini). Il nome attuale deriva invece da una delle famiglie che l'occupò nel IV secolo, ossia i Pincii. La loro villa, con quella degli Anicii e degli Acilii, occupavano la parte settentrionale della collina. Un resto del muro che sosteneva il pendio sul lato dove insistevano le ville gentilizie è il cosiddetto Muro Torto; un antico muro che dà il nome al sottostante viale posto tra le spalle del Pincio e il confine con villa Borghese. Successivamente il muro venne poi inglobato nelle mura Aureliane e sotto queste mura, nella Roma papalina venivano sepolti i suicidi, i ladri, i vagabondi e le prostitute.
Sempre su questo colle, Agrippa vi fece edificare il Campus Agrippae con una villa e la sua tomba, mentre sua sorella Polla vi fece edificare la Porticus Vipsania.
L'attività edilizia in quest'area e nelle zone sottostanti fu sempre intensa, si racconta che sotto Gordiano III, ossia Marcus Antonius Gordianus Pius che salì sul trono a soli tredici anni e regnò fino a diciannove (Roma, 20 gennaio 225 – Circesium, 11 febbraio 244), sia stato edificato un portico lungo mille piedi (pari a circa 3 chilometri), anche se la mancanza di resti ha fatto mettere in dubbio la veridicità della fonte; sempre in questa zona l'imperatore Aureliano innalzò il grande Tempio del Sole, tra via del Corso e piazza san Silvestro. Il tempio doveva essere circondato da portici e sotto uno di questi avveniva la distribuzione gratuita di vino (vino fiscalia).
Dal Belvedere dopo aver fatto questo giro con gli occhi sulla piazza del popolo e su cosa circonda il Pincio non posso non ricordare Gian Lorenzo Bernini che scolpì su Porta del Popolo, cioè l'ingresso nord della città, da dove vi entravano i pellegrini, mercanti, artisti e anche gli imperatori, il benvenuto alla Regina Cristina di Svezia, convertitasi al cattolicesimo: "Felici faustoque ingressu". Il Pincio è anche il primo giardino pubblico di Roma, voluto da Napoleone, e tra le passeggiate storiche è forse la più cara ai novelli fidanzati che ai romani in generale.
La sistemazione attuale è dovuta a Valadier che, su richiesta di Pio VII unì il colle alla porta Flaminia e a piazza del Popolo in un unicum disegno neoclassico. Valadier disegno i due tornanti che salgono convergendo a metà della collina dal lato orientale della piazza verso la vasta terrazza panoramica dedicata a Napoleone I, con un viale in falsopiano che con tanto fiato grosso ho percorso, sfiorando bassorilievi, una fontana, e tre alti nicchioni fino alla terrazza panoramica. Fu sempre Valadier che volle sul pincio e sulla sua salita che vi fossero impiantate palme e altre essenze sempreverdi e vi costruì proprio sul Pincio la sua residenza privata, conosciuta come la Casina Valadier, avente forma similare al cassero della nave che Nelson comandò a Trafalgar. Ma morì prima di potervi alloggiare, divenendo subito caffetteria pubblica.
Lungo i viali del Pincio sono collocati numerosi busti, soventemente afflitti da attacchi di vandalismo che ne mutilano preferibilmente i nasi; le donne immortalate in un busto sono tre, ossia Vittoria Colonna, santa Caterina da Siena e Grazia Deledda.
Nel 1860 fu collocato vicino alla Casina Valadier, la "mira" dell'Osservatorio astronomico del Collegio Romano ossia lo strumento per la determinazione del meridiano di Roma, su richiesta del suo direttore, l'astronomo gesuita Angelo Secchi. In origine, era solamente una tavoletta di legno a scacchi poi riedificata in marmo ed incassata su una colonna con un foro che permetteva di illuminarla di notte. Alla morte del Secchi, nel 1878 il suo busto venne piazzato sulla colonna della "mira" e circondato da un piccolo giardino). Ma vi sono anche altri importanti monumenti, ricordo solo il monumento ai liberi Comuni dell'Italia e della battaglia di Legnano, realizzato nel 1911 per il cinquantesimo anniversario della proclamazione di Roma come capitale e dovrebbe raffigurare, secondo l'iconografia, Alberto da Giussano. Ma anche il monumento ai fratelli Cairoli del 1883 posto in fondo al Viale del Pincio, al centro di un piccolo slargo. Ancora la Colonna commemorativa a Galileo Galilei che fu posta sul viale di Trinità dei Monti nel 1887, e la Fontana del Mosè, di forma circolare, posta in un'esedra arborea inaugurata nel 1868, all'interno della quale vi è la statua di Mosè bambino abbandonato nelle acque del Nilo. Non ultimo ma ultimo per la mia descrizione sommaria, il monumento a Raffaello Sanzio, raffigurato in abiti da "trovatore" realizzato nel 1838 e posto in un'esedra immersa nel verde poco lontano dal belvedere.
Finalmente giungo vicino all'obelisco del Pincio (o obelisco di Antinoo), uno dei tredici obelischi più antichi di Roma. Ha una altezza di 9,24 metri e con il basamento e la stella sulla cima raggiunge i 17,26 metri. Venne realizzato all'epoca dell'imperatore Adriano in onore di Antinoo, suo giovane amante, dopo la sua morte in Egitto. Successivamente l'imperatore Eliogabalonato nato come Sesto Vario Avito Bassiano (Sextus Varius Avitus Bassianus) e regnante col nome di Marco Aurelio Antonino lo fece spostare per ornare la spina del circo Variano nella sua residenza suburbana. Ritrovato nel XVI secolo fuori Porta Maggiore, presso le mura aureliane, viene inizialmente chiamato "obelisco Aureliano", nel secolo successivo venne spostato dai Barberini nel loro palazzo, e venne poi donato a papa Clemente XIV che lo fece spostare nel Cortile della Pigna in Vaticano; venne definitivamente innalzato solo nel 1822 nei giardini del Pincio per volere di papa Pio VII. La sua storia viene accuratamente descritta da Antonio Nibby in Roma nell'anno Milleottocentotrentotto: Parte II. Antica, pagg. 275-276:
OBELISCO DEL PINCIO.
Di tutti gli obelischi di Roma questo è stato l'ultimo ad essere innalzato, come è il più recente di tutti quelli che portano una data positiva. Imperciocchè i cartelli danno ripetutamente i nomi di Adriano Cesare e di Sabina Augusta [...]; due volte pure vi si legge il nome del favorito Antinoo [...]. Quindi è chiaro che fu fatto tagliare da Adriano forse per qualcuno degli edificii della sua villa, e di là da Elagabalo fu trasportato ne' suoi giardini Variani per ornamento della spina del circo, del quale come ho notato veggonsi le vestigia fuori delle mura attuali di Roma fra le porte S. Giovanni e Maggiore, [...]. Dopo la caduta rimase quest'obelisco sempre sopratterra, ma rotto, ed il Fulvio [...] lo vide sul principio del secolo XVI rotto in due pezzi, e lo designa come fuori di porta Maggiore dietro la chiesa di s. Croce in Gerusalemme, entro le vigne. Restò negletto fino all'anno 1570 allorché Curzio e Marcello Saccoccia misero in miglior vista i due pezzi e posero questa memoria in uno degli archi del condotto dell'acqua Felice che passa ivi dappresso:
OBELISCI FRAGMENTA DIV PROSTRATA / CVRTIVS SACCOCCIVS ET MARCELLVS FRATRES / AD PERPETVAM HVIVS CIRCI SOLIS MEMORIAM / ERIGI CVRARVNT / ANNO SALVTIS M.D.LXX
Ivi rimase fino ai tempi di Urbano VIII allorché fu fatto trasportare in Roma dai Barberini e lasciato nel cortile del loro palazzo come si legge in Pompilio Totti Roma Moderna 1638 p 273 coll'animo d'innalzarlo innanzi al ponte contiguo al palazzo medesimo. Ma fino al pontificato di papa Clemente XIV ivi si giacque negletto allorché d. Cornelia Barberini lo donò a quel papa l'anno 1773 e questi lo fece trasportare nel giardino della Pigna al Vaticano. Pio VI suo successore ebbe in animo d'innalzarlo nel cortile di Bramante sopra la fontana, e porlo sopra il piedestallo di Antonino Pio; ma sopraggiunte altre cure restò abbandonato nel cortile del vestibolo del giardino fino all'anno 1822, allorché Pio VII con architettura del Marini lo fece ristaurare, e trasportare sul ripiano della passeggiata publica sul monte Pincio ed ivi fu innalzato, come oggi si vede. Il fusto antico ha 30 piedi di altezza, ma col piedestallo moderno, e cogli ornamenti di bronzo sulla sommità giunge l'altezza totale del monumento a 57 piedi.
Inizia la mia lunga discesa verso piazza Trinità dei Monti per raggiungere un altro obelisco.



Fine X parte.