Blog di Dante Paolo Ferraris

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A zonzo con il calessino (VI parte)

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CalessinoRaggiungiamo così Ghislarengo e subito ci accoglie prima di entrare nel centro del piccolo borgo, la casa del Bordonale con i suoi affreschi sulla facciata, purtroppo non troppo ben conservati. Raggiunto rapidamente la piazza dove si erge la parrocchiale dedicata alla Beata Vergine Maria Assunta, ci fermiamo per un attimo ad attendere il Calessino con le due ragazze che si sono fermate a fotografare qualche particolare del borgo. Colgo l'occasione per scrutare meglio piazza Umberto I, non vi sono case di particolare pregio, ma sono ordinate e pulite, segno di una comunità prospera e ordinata. La facciata della chiesa parrocchiale non è particolarmente attraente, ovviamente dal mio punto di vista estetico. Sulla piazza, proprio di fianco la parrocchiale si erge la piccola e anonima chiesetta dedicata a San Rocco. Eppure Ghislarengo ha una storia antica; infatti il paese era già in possesso della Chiesa di Vercelli quando nel 993 l'imperatore Ottone II ne confermò il possesso. Nel XIII secolo è segnalata come possedimento del Comune di Vercelli e nel 1335 passa ai Visconti. Nel 1404 dopo le vessazioni subite dal capitano di ventura, Facino Cane, si sottomise ai Savoia. Nel 1513 l'imperatore Massimiliano I assegna il borgo al contado di Mercurino Arborio di Gattinara. Nonostante le occupazioni, distruzione e prepotenze subite, Ghislarengo possiede ancora vestigia del suo antico e nobile passato, come parti interessanti dell'antico castello. Diverse furono le chiese demolite, ma è arrivata ai giorni nostri l'antica chiesa dell'Immacolata Concezione costruita a fine XVII secolo con la sua facciata tripartita da lesene in mattoni e costruita in pietre e mattoni, interessante la trifora sopra il marcapiano sopra la porta d'accesso e l'oratorio di San Giacomo Apostolo. Sentiamo arrivare lo scoppiettante calessino delle nostre colleghe di viaggio, riprendiamo il viaggio verso Biella. Superato il ponte su torrente Marchiazza arriviamo al bivio per Rovasenda, nostro prossimo obiettivo ma la strada è interrotta per lavori, dobbiamo quindi cambiare itinerario per raggiungere Biella. Costeggiando per un tratto il torrente Rovasenda, scendiamo verso sud e raggiungiamo l'abitato di San Giacomo Vercellese. Gli abitanti di questo piccolo borgo della pianura, nel 1964 decisero di mutare il nome del loro Comune da Cascine San Giacomo in San Giacomo Vercellese, perdendo così il significato etimologico del toponimo che lo aveva fino allora identificato come un borgo rurale di antiche origine storiche. Infatti l'antico nucleo era costituito da un aggregazione di cascine rivierasche al corso del torrente Rovasenda. Il paese fino al secolo XVII non godette di alcuna autonomia, essendo parte del feudo di Rovasenda e il suo territorio indicato come Cascine di Rovasenda. Solo nel 1621, Carlo Emanuele concesse San Giacomo con il titolo comitale al marchese Mercurino Carlo Antonio di Gattinara. La denominazione San Giacomo deriva dalla dedicazione della chiesa parrocchiale al santo patrono del paese. La chiesa era già attesta in un documento del 1440, ma è stata talmente tanto rimaneggiata architettonicamente nei secoli che ne hanno stravolto l'impianto originario.
L'aspetto morfologico del territorio che transitiamo con i nostri due potenti Calessini sono caratterizzati da coltivazioni a risaia che rendono questo panorama particolare. Tra le piantine di riso ancora verde e ancora in acqua, s'aggirano Garzette, Aironi Cinerini, Gallinelle d'acqua che al passaggio scoppiettante dei nostri automezzi si alzano in volo.
Raggiungiamo cosi Buronzo dopo aver attraversato il torrente Rovasenda. Il nome di questo antico borgo della Baraggia vercellese, già attestato nel 1039 come Burontius, Buroncio, Buronzio, Buranco potrebbe derivare dal gentilizio romano Burontius o Butrunius.
Centro risicolo, conserva nel centro abitazioni con un tipico impianto medioevale. Sono presenti resti di un antico ricetto, diversi edifici fortificati o castelli. Infatti nel XIV secolo, Buronzo è diviso in vari colonnellati facenti parte di un medesimo consortile. Nel 1039 l'imperatore Corrado II conferma il luogo in feudo a Guala di Casalvolone, riconfermato ad un altro Guala di Casalvolone da Federico I il Barbarossa, fino a che nella seconda metà del XII secolo il casato si divide in tre rami Casalvolone di Casalvolone, Casalvolone di Rosasco e Casalvolone di Buronzo.
Nel 1335 Buronzo passò ai Visconti e nel 1373 i signori del luogo si sottomisero ai Savoia entrando nel 1378 nella Capitanata di Santhià.
La parrocchia è dedicata a Sant'Abbondio che è anche il patrono del borgo; chiesa già presente nel 1206 ma totalmente ricostruita nel 1703, però nell'abside è conservato una Deposizione di Giuseppe Giovenone il vecchio del 1521 - 1523.
Ci dividiamo dalle nostre compagne di viaggio e facendo strade diverse ci ritroveremo a Biella. Ora una strada tutta diritta ci condurrà a Castelletto Cervo, primo Comune della provincia di Biella.
Il suo territorio si estende lungo la riva sinistra orografica del torrente Cervo, anticamente anche chiamato Servo che lo attraversa. Anche il torrente Ostola, anticamente l'Avostola e il rio Triogna percorrono il territorio comunale e sono affluenti del torrente Cervo.
Castelletto Cervo, prima dell'anno mille faceva parte del Comitato di Vercelli sotto la signoria del conte Aimone di Mosezzo. Per Comitato di intendeva un territorio sotto la giurisdizione di un Conte, dal latino comes – comitis. Il piccolo ma importante borgo passa poi numerosi passaggi feudali, dal conte di Pombia a quello dell'Ossola, ai signori di Robbio e Biandrate ai conti del Canavese. Nel 1431 il territorio passa ai Savoia e i diritti feudali sono goduti insieme ai consignori del luogo, gli Alciati, che ebbero la concessione della gabella. Nel Seicento passò ai conti di Nomis che si tennero il feudo in possesso fino alla fine del XVIII secolo.
In posizione dominate, su un altura vi è il castello a controllo del guado sul torrente Cervo. Interessante anche la chiesa parrocchiale di San Tommaso, di origine medioevale ma ricostruita in stile barocco nel XVII secolo. Prima di entrare in paese lo sguardo corre ad un cartello stradale che indica la cima di una collina, dove si erge l'antico Priorato cluniacense di San Pietro in Garella. Questo cenobio fu fondato prima del X secolo per ospitare i viandanti che percorrevano la strada “Lexonasca” dalle zone alpine del biellese conduceva nelle pianure. Intorno all'anno Mille passò alle dipendenze di Cluny, trasformato in monastero godette la protezione degli Imperatori fino a quando furono investiti della signoria gli Alciati di Mottalciata. A fine XV secolo vi erano ancora sette monaci e a fine del XVII fu eretto in parrocchia. Nell'antico cenobio, mi racconta Gian, benché oggetto di furti e spogliazioni si conserva ancora preziosi affreschi, decori e arredi.
Con il nostro Calessino ci arrampichiamo sulle strade dell'antico borgo, strombazzando allegramente a salutare i passanti. Già abita in questo luogo e da lontano mi indica casa sua, dove ad aspettarlo a fine tour ci sono Blog e Nova, due bellissimi cani.



Fine VI parte.