Blog di Dante Paolo Ferraris

  • Aumenta dimensione caratteri
  • Dimensione caratteri predefinita
  • Diminuisci dimensione caratteri
Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

A zonzo con il calessino (XIX parte)

E-mail Stampa PDF
CalessinoSan Grato, fu vescovo di Aosta dove vi morì il 7 settembre 740; secondo la leggenda avrebbe ritrovato la testa di San Giovanni Battista e la reliquia della sua mandibola è conservata nel tesoro della cattedrale di Aosta. San Grato è il patrono della città di Aosta e della regione Valle d'Aosta, oltreché essere invocato come protettore dai contadini a protezione dei raccolti, soprattutto dalla grandine.
Invece di San Giocondo si conosce poco; pare sia stato il terzo vescovo di Aosta dopo San Grato, di certo fu presente al concilio di Roma nel 501 e 502.
Della cattedrale mi ha impressionato il bellissimo quattrocentesco chiostro e le due torri campanarie che risalgono all'XI secolo. La torre nord presenta ancora le antiche aperture romaniche, ma le guglie a forma ottagonale sono tardo gotiche.
Tornato sui miei passi, con Gian, sotto una pioggerellina insistente e con le nostre compagne di viaggio raggiungiamo l'albergo prenotato. Dopo aver avuto cura di parcheggiare al coperto i nostri cavalli a tre ruote, un leggero pasto e dopo una notte ristoratrice, siamo pronti a ripartire.
La mattina è soleggiata, l'aria è frescolina, colazione abbondante in albergo in compagnia di un nutrito gruppi di persone in gita turistica ad Aosta. L'accento e i discorsi di questi attempati ospiti che con noi condividono la prima mattinata è decisamente partenopeo, come ci confermano due leggiadre signore, impegnate al nostro tavolo a discutere della qualità dei cornetti e del caffè. Una bionda ossigenata, capelli voluminosi e naso adunco, labbra sottili e intensamente colorate con un rossetto color rosso fuoco. L'altra con cipiglio altezzoso è mora, viso tondo e naso a patata che regge due colorati e vistosi occhiali che la rendono ancor più megera con quel neo peloso sulla guancia sinistra.
Il nostro viaggio riprende verso il Piemonte. Questa volta non saremo due calessini a percorrere a ritroso il viaggio, le nostre compagne di viaggio le reincontreremo il giorno dopo a Viverone.
Sotto un sole che ha scaldato l'aria brezzolina della mattina, riprendiamo la nostra strada.
Usciti da Aosta decidiamo di fare tappa a Fenis. Al volante, anzi, esattamente al manubrio, c'è Gian, che rimessosi dalla condizione febbricitante del giorno precedente con destrezza affronta curve, dossi e addirittura sorpassi di automobilisti lumaca.
Raggiungiamo così Fenis, un Comune che era infeudato alla casata degli Challant e che ordinò la costruzione del castello nelle forme che noi oggi conosciamo. Sul modello del castello di Fenis venne costruito nel 1884 il castello del borgo medioevale di Torino. Il toponimo di Fenis parrebbe un riflesso del latino fenilis, ossia fienile, ma l'ipotesi contrasta con la dizione in patois del nome locale che è feìk.
Benché la maggiore attrazione turistica sia il castello, non possiamo non ricordare tra le architetture civili e militari i ruderi della casaforte Challant o casaforte de Putat, forse del XIV-XV secolo, posta a più di 100 metri a monte del castello. Ma anche la casaforte di Chenoz, nell'omonima località , con case del XIV-XV secolo, oppure a Coors la cinquecentesca casa dei Ramein o detta della Tornalla. Tra le architetture religiose la chiesa parrocchiale di San Maurizio e il campanile del XV e XVIII secolo, nonchè l'eremo di Saint-Julen, nell'omonimo vallone.
Fenis ha tredici frazioni in cui vivono i suoi poco più di 1700 abitanti. La sua economia si basa soprattutto sul terziario e allevamento. I migliori esempi di attività artigianale valdostana sono raccolti nel locale museo dell'artigianato Valdostano.
Raggiungiamo con il nostro ape calessino il piazzalino di fronte all'ingresso del castello, dopo aver affrontato una ciottolata e ardua salita. Cogliamo l'occasione della bella giornata per scattare molte fotografie. Il castello è noto per la sua scenografica architettura con la doppia cinta muraria merlata che racchiude l'edificio centrale. Il maniero dispone di molteplici torri. Il castello che fu degli Challant è del 1242, voluto dal visconte di Aosta Gotofredo di Challant e dai suoi fratelli, fu poi ampliato da Aimone di Challant e rimase di proprietà della famiglia fino al 1716. Infatti fu poi venduto ai Saluzzo di Paesana, entrato poi in possesso dello Stato nel 1895, dopo essere stato utilizzato per decenni come fattoria.
Dopo aver scattato molte fotografie, superiamo nuovamente il ponte sulla Dora Baltea e riprendiamo a scendere verso il Piemonte. Mentre ammiro i paesaggi, i borghi isolati incollati sulle ripide pareti delle scoscese montagne che ci circondano, mi sovvengono miti e leggende, legate alla tradizione popolari, più volte tramandate solo oralmente.
I protagonisti generalmente sono eroici popolani, ma anche streghe, fantasmi, demoni e santi; molte di queste narrazioni si confondono tra storia e mito.
Transitando da Montjovet mi sovviene un racconto che vuole che, sulle rive del "ru" d'Arlaz, un luogo che si riteneva stregato, sorgesse un mulino. L'ultimo mugnaio era un tipo burbero, taciturno e solitario, tale atteggiamento gli costruì una cattiva fama e molte dicerie. Per tale motivo la gente smise di portargli il grano da macinare. Un giorno alcuni contadini, di rientro dai campi, trovarono un uomo morto strangolato, con il collo stretto tra due pali della staccionata che recintava il mulino. Lo spazio tra un piolo e l'altro era talmente esiguo che non si comprendeva in che modo la testa dell'uomo fosse potuta passare. Fu subito accusato il mugnaio di un maleficio e ancora ora il luogo ha sinistra fama e pare che l'anima del mugnaio giri per quei luoghi senza trovare pace.
Il nostro viaggio prosegue e transitando per Verre invece, mi riporta alla mente un altro racconto. Al tempo un cui Grato era vescovo di Aosta, il paganesimo era ancora molto diffuso nelle vallate intorno a Verres e si tributava onori e preghiere al dio Marte, a cui addirittura era stato edificato un tempio. Il vescovo Grato, futuro santo, venuto a saperlo, volle recarsi in questa località, dove trovò la popolazione raccolta intorno al loro dio.
Il Vescovo subito evocò l'intervento divino e un terribile terremoto scosse la terra frantumando la statua di Marte. Il popolo spaventato dall'evento si convertì invocando la protezione del Vescovo e di Dio. Gli abitanti di Verres vollero dedicare una statua al santo patrono della Valle d'Aosta, ma il nome della strada principale, "via Martorey" evoca ancora il dio Marte.
Eccoci superare Arnad con il suo castello e il Santuario di Machaby. Nei pressi di quest'ultimo si apriva una caverna, dove una vipera strega e un diavolo con sette teste tenevano prigioniere le vittime destinate al sabba. L'ultima ad essere catturata fu una fanciulla mentre era impegnata a tagliare l'erba nei pressi della chiesa. Tutti coloro che erano stati in precedenza imprigionati erano presi da una tale paura da renderli inebetiti e incapaci di qualunque tentativo di fuga. La fanciulla li invitò a pregare intensamente e a raccomandarsi a Nostra Signora di Machaby. La Madonna della Neve invocata, si mostrò a loro e indicò uno spiraglio in fondo la grotta ove filtrava un raggio di luce. I massi si rimossero facilmente mentre la roccia si sgretolava e tutti loro si ritrovarono miracolosamente salvi.
Abbiamo così varcato il confine tra la Valle d'Aosta e il Piemonte. Ripassiamo per Carema e Settimo Vittone.



Fine XIX parte.