Blog di Dante Paolo Ferraris

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Arezzo - parte IV

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ArezzoPrendo per via San Nicolò, passato Palazzo Luzzi-Serragli, mi ritrovo sulla terrazza di San Nicolò della Minerva. Qui è collocato un monumento a ricordo di Isolina Boldi e Annalisa Innocenti. Madre e figlia uccise, alla vigilia della liberazione di Arezzo. Costoro si erano rifugiate dai bombardamenti su Arezzo a "Toppo Fighine di Policiano", quando il 3 luglio del '44 fecero irruzione in casa, due soldati tedeschi.
In quel momento in casa c'erano le figlie Adriana e Anna Lisa e la madre Isolina. Costoro cercarono di opporsi alle intenzioni dei due uomini che volevano condurre le due figlie nella camera da letto, furono colpite da una mitragliata. Anna Lisa e la madre Isolina rimasero uccise, mentre Adriana rimase ferita alle gambe ed uno dei due tedeschi volendole dare il colpo di grazia le sparò con la pistola all'addome.
I due militari credendole tutte e tre morte se ne andarono via. Adriana fortunatamente rimase solo ferita, la pallottola gli aveva perforato il rene e uscì dalla schiena. Nella tarda mattinata del giorno successivo fu trovata dagli abitanti della zona e fu portata all'ospedale di Cortona. Nelle vicinanze c'è la chiesa San Bartolomeo ed è piccolo edificio sorto sui resti di quello che doveva essere un tempio pagano.
La prima menzione documentaria della Chiesa e risale al 1150 e il Vasari ricorda molte antiche pitture che vi si trovavano e che sono andata in parte perdute. L'esterno della chiesa in pietra a spacco poste a vista, ha linee architettoniche modeste. Presenta un tetto a capanna e un piccolo campanile a vela che si trova sulla destra della facciata. Sopra il portale d'ingresso con stipiti e architrave in pietra è presente una nicchia con arco e nella parte alta una finestra quadrangolare.
Prendo la scala per raggiungere via dei Pescioni, ma prima di raggiungerla trovo l'ex chiesa di San Nicolò, posta nell'omonima piazzetta. La chiesa presenta un bel portale barocco con timpano spezzato. L'edificio è proprietà privata dal 1964. Sceso in via Pescioni inizio a percorrerla. Si tratta di una stretta strada, lastricata in lastroni di pietra e affiancata da antiche abitazioni. Alcune di queste, presentano facciate e portali in bugnato, alcune in stile gotico.
All'angolo con via Borgunto vi è un edicola votiva detta della Maestà della Madonna. Questa nicchia è inserita nella facciata concava di un edificio di aspetto cinquecentesco. Forse un tempi vi era la statua della Madonna, oggi rimangono affrescati degli angeli con strumenti musicali. Via Borgunto conduce in Piazza Grande e circa a metà strada vi è una torre medioevale squadrata, interamente in pietra che da il nome alla via stessa.
Proseguendo, qui via Pescioni prende il nome di Via Mazzini già Madonna di Loreto. Trovo subito un antica casa, ove una lapide ricorda che vi nacque Giorgio Vasari il 30 luglio 1511. Ormai è ora di fare una sosta, pranzare con calma, assaporando piatti tradizionali, prima di riprendere il mio vagolare. Breve sosta per un piatto di Pappa con il pomodoro: aglio, basilico,brodo vegetale, olio d'oliva, pane, pepe, sale, pomodori maturi. Come da ricetta originale si apprezza con il pane toscano non salato. Il tutto con un bicchiere di chianti e il Gattò, quest'ultimo è un salame dolce fatto con della pasta biscottata morbida, farcita con cioccolata o crema ed arrotolata ed inzuppata di alchermes rosso.
Dopo il pasto riprendo il mio girovagare, voglio vedere ancora molte cose. Attraverso corso Italia e prendo via Cavour e arrivo in piazza San Francesco dove si erge l'omonima Basilica e il monumento a Vittorio Fossombroni, opera di Pasquale Romanelli (1867), costui nacque ad Arezzo, 15 settembre 1754 e morì a Firenze, 13 aprile 1844 e fu un esimio matematico, ingegnere, economista, politico e intellettuale italiano. Sulla piazza sorge l'edificio di palazzo Lambardi e che conserva dei mosaici romani.
La Basilica è una tappa imprescindibile per chi visita Arezzo. La Basilica di San Francesco è universalmente nota per le "Storie della Vera Croce" affrescate da Piero della Francesca. Ciclo dipinto dall'artista tra il 1452 ed il 1455 c.a., posto nella Cappella Bacci. Nel 1290 i frati francescani che avevano un convento fuori dalle mura cittadine si trasferirono all'interno della cerchia muraria grazie alla donazione di una casa e del relativo terreno per realizzare chiesa e convento.
Tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XVII secolo fu costruito il campanile e nel corso del Seicento la chiesa assunse un aspetto barocco, ma la facciata rimase incompleta. Infatti si presenta in pietre e mattoni ed è rimasta incompiuta con il rivestimento che si limita ad una parte della base. La chiesa ha il tetto a capanna con porta centrale e rosone posto sotto il culmine del tetto in linea con la porta.
Sul lato sinistra si appoggia alla chiesa una costruzione, anch'essa incompiuta che permette l'accesso alla chiesa, anzi è l'uscita, in quanto l'ingresso è lateralmente su via San Francesco ove c'è la biglietteria per accedere alla basilica. L'interno a navata unica è ricco di cappelle e affreschi che vanno dal XIV al XVI secolo, anche se in molti casi sono deteriorati. Nella controfacciata si osserva una bella "Madonna in trono con il Bambino" risalente ai primi del XVI secolo.
Altri affreschi presenti, della prima metà del Quattrocento sono "La cena in casa del Fariseo", "San Francesco in gloria" ed "Ecce Homo" attribuiti a Giovanni d'Agnolo di Balduccio, e lo "Sposalizio mistico di Santa Caterina e San Cristoforo" dello Scheggia, fratello minore di Masaccio. Alzando lo sguardo si può apprezzare la vetrata del "Il perdono della Porziuncola" di Guillaume de Marcillat, del 1524. Bella anche la Cappella dei Caduti con la "Deposizione del caduto"del 1926.
Un immagine molto intensa di quello che è stata la Prima guerra Mondiale. Ancora la Cappella di Sant'Antonio con le "Storie di Sant'Antonio da Padova", e in alto la"Visitazione della Madonna a Sant'Elisabetta" di Lorentino d'Andrea del 1280 circa. Invece di Spinello Aretino è la "Pentecoste" un affresco di fine Trecento staccato dallo scomparso Ospedale dello Spirito Santo. L'elenco sarebbe lungo dei tanti capolavori contenuti nella Basilica, ricordo solo ancora la Cappella della Fraternita dei Laici che presenta la "Madonna in trono con quattro santi coronati" di Parri di Spinello della prima metà del XV secolo e in sequenza"Maria e San Francesco che confortano San Giovanni Damasceno in carcere", la"Annunciazione", il "Battesimo di Cristo", il "Matrimonio mistico di Santa Caterina","San Michele Arcangelo" e "San Francesco che riceve le stimmate", tutti affreschi attribuiti a Spinello Aretino o forse per alcuni di Andrea di Nerio, eseguiti nella seconda metà del XIV secolo.
Nella Cappella Gozzari un sarcofago romano di età imperiale accoglie i resti del Beato Benedetto Sinigardi, uno dei primi seguaci di Francesco d'Assisi, morto nel 1282. È ora di vedere la Cappella Bacci, con le "Storie della Vera Croce" del biturgense Piero della Francesca, ciclo di affreschi iniziato da Bicci di Lorenzo nel 1447 e concluso nel 1466, che racconta la storia del legno che servì per la croce su cui fu crocifisso Gesù.
Le scene si rifanno alla "Legenda Aurea" di Jacopo da Varagine del XIII secolo. Il racconto si sviluppa su tre livelli, abbracciando le pareti laterali della cappella e quella di fondo. Mi soffermo diverso tempo ad ammirarli perché mi ricordano le fotografie dei sussidiari e testi scolastici come "Incontro di Re Salomone con la Regina di Saba" di Piero della Francesca. Di fronte agli affreschi si trova sospeso sull'altare il grande"Crocifisso" ligneo del 1270-80 che merita veramente di essere ammirato.
Dopo aver fatto qualche acquisto al book shop è ora di riprendere il mio girovagare. Mi avvio per via Guido Monaco, dopo poco c'è il teatro Petrarca, fondato agli inizio del XIX secolo, mentre la palazzina d'ingresso al Teatro venne invece costruita negli anni 1892 e 1893. Questo teatro è considerato una meta di prestigio per molte importanti compagnie teatrali. Nei suoi pressi, dietro il bel Palazzo delle poste con una facciata in stile vagamente neogotico è di fine XIX secolo, si aprono i giardini di piazza del Popolo e la sede l'arciconfraternita della Misericordia.
Sulla piazza nel 1876 fu collocata un monumento a ricordo dei Caduti del Risorgimento, inaugurato il 20 settembre nel 1880. Si tratta di un'imponente colonna dorica, sormontata dalla stella d'Italia in bronzo con doratura in superficie. Il monumento ha sul basamento la riproduzione degli stemmi di Arezzo e di alcuni comuni della sua provincia. Al di sopra, nel piedistallo vi sono raffigurati i volti di re Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi, con le relative epigrafi e l'elenco degli aretini caduti per "fare l'Italia".
La sede della Associazione di volontariato della Misericordia ha incorporato la chiesa della santissima Trinità conosciuta anche come "La Misericordia". Questa chiesa risale al XIV secolo ad opera della compagnia della Misericordia, che si dedicava alle opere di carità, di assistenza ai malati e della gestione delle esequie dei defunti. La chiesa fu ricostruita nel 1734 in stile barocco internamente, ma molto sobria esternamente. Raggiungo così piazza Guido Monaco.
Si tratta di una piazza circolare, risalente all'Ottocento. Al centro della piazza si trova il monumento, opera di Salvino Salvini (1882), a Guido Monaco (o Guido D'Arezzo), l'ideatore della moderna notazione musicale e del tetagramma. Raggiungo attraverso via Guido Monaco la stazione ferroviaria. Questa stazione fu inaugurata il 15 marzo 1866 e si trova sulla linea storica che collega Firenze con Roma.
La stazione funge inoltre da capolinea per le ferrovie Arezzo-Stia e Arezzo-Sinalunga. Allungando io passo, attraverso via fra' Guittone, raggiungo piazza poggio del sole, dove si erge il palazzo del Governo, dove risiede la Prefettura, la Questura e il Genio Civile. Nella piazza antistante vi è il monumento al Partigiano o ai Caduti della Resistenza. Il palazzo del Governo risale agli anni Trenta del secolo scorso. L'edificio principale si sviluppa su quattro piani fuori terra con pianta rettangolare a andamento curvilineo e un fronte principale a esedra.
La facciata è scandita orizzontalmente tramite quattro differenti ordini caratterizzata al piano primo da una balconata con una loggia lungo tutto il corpo dell'edificio. Al piano terra presenta una gradinata in travertino e un portico a nove fornici a tutto sesto. Il monumento al Partigiano o ai Caduti della Resistenza è posto al centro della piazza ed è opera dello scultore brasiliano di origini italiane Bruno Giorgi. Si tratta di una figura umana, in bronzo e basamento in cemento armato.
Torno verso la stazione ferroviaria e dopo aver percorso un tratto di via Niccolò l'aretino, svolto in via Margaritone fino a raggiungere la chiesa di san Bernardo. La chiesa fu realizzata accanto al trecentesco "monastero degli Olivetani", sede attuale del Museo archeologico, sull'area dell'emiciclo sud dell'Anfiteatro romano di Arezzo. I lavori della chiesa cominciarono nel 1340 e terminarono nel 1375.
Nel dicembre del 1943 un bombardamento colpì in pieno la chiesa ed il chiostro posto a nord della facciata distruggendo tutto. La ricostruzione post bellica terminò nel 1950 cercando di recuperare il più possibile del vecchio edificio. La facciata della chiesa fu la parte meno danneggiata dal bombardamento ed è caratterizzata da una lunetta nel portale, una loggetta e un piccolo portale sulla sinistra.
Il vicino Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, intitolato a Mecenate, conserva una delle più importanti collezioni archeologiche della Toscana e, insieme all'Anfiteatro romano, racconta la storia antica di questa bella e antica città. Il museo ha sede negli ambienti dell'ex monastero di san Bernardo, edificio dal singolare andamento curvilineo poiché fu costruito nel XIV secolo proprio sui resti dell'anfiteatro di Arretium.
Mi soffermo ad ammirare l'anfiteatro romano di Arezzo che fu costruito a cavallo fra gli ultimi anni del I secolo e i primi del II secolo. L'anfiteatro è ellittico e dotato di gradinate su due ordini: della struttura, realizzata usando blocchi di arenaria, laterizi e marmo. Di questo edificio rimangono la platea e i resti degli ambulacri. Nei suoi pressi vi è il busto al noto Gaio Cilnio Mecenate.
Ormai è tardi, devo allungare il passo se voglio vedere ancora qualcosa. Attraversa via Crispi e percorro un tratto di via Roma, giro per via Madonna del prato per rientrare nel centro storico. All'angolo con via Garibaldi trovo un bell'affresco sacro dentro ad un arco gotico, posto sopra a quello che un tempo doveva essere una porta, ora vetrina di un attività commerciale. Sull'architrave vi sono scolpiti degli stemmi nobiliari.
Dopo un tratto, via Madonna del prato diventa via San Francesco, costeggio la basilica di San Francesco e superata la piazza entro in via Andrea Cesalpino. Poco dopo si erge un bell'edificio, un tempo sede della banca d'Italia. In questo edificio nacque e morì l'astronomo Francesco Perelli. Si tratta di un edificio d'impianto cinquecentesco, assai rimaneggiato e che presenta in facciata splendidi affreschi, un vero capolavoro liberty. Subito dopo svolto in via della Fioraia, fino a raggiungere la chiesa di Sant'Ignazio.
Questa grande chiesa con la facciata in laterizio a vista, fu costruita tra il 1667 e il 1686 dai padri gesuiti, oggi è sconsacrata e trasformata in sala comunale. Nei sui pressi vi è Palazzo Albergotti Chiaromanni, famoso per i sui giardini. L'impianto di questo palazzo, che fu della famiglia Chiaromanni, è trecentesco ma la struttura che oggi posso vedere risale al XVI secolo. Tornato in via Cesalpino, mi soffermo a guardare la chiesa Convento di San Pier Piccolo.
Questa chiesa sorse come edificio benedettino nell'XI secolo, per poi passare ai Servi di Maria nel 1387. Un totale rifacimento risale ai primi del Seicento, che comportò anche l'abbattimento della facciata e lo spostando la porta d'ingresso sul fianco laterale, come è tutt'ora. Internamente è a navata unica in stile barocco con belle tele seicentesche. Presenta ancora il chiostro e una parte del convento è stato trasformato nel Teatro Pietro Aretino con ingresso in via bicchieraia.
Subito accanto a questa chiesa c'è ne un altra. Si tratta della chiesa intitolata a Santa Caterina. Questo edificio è della seconda metà del XVIII secolo. La facciata, interamente intonacata, presenta una sola porta d'accesso, sormontata da un timpano triangolare spezzato con stemma nobiliare. Sopra di essa vi è una grande finestra ad arco a tutto sesto, anch'essa sormontata da un timpano curvilineo spezzato con stemma nobiliare.
La facciata si conclude con un frontone curvilineo con aggetto di ovali e riquadri. Segue la casa natale di Pietro Aretino. Costui vi nacque il 19 aprile 1492 e fu un poeta, scrittore e drammaturgo. Della sua infanzia si sa ben poco. Nacque da una relazione fra un povero calzolaio di nome Luca Del Buta (Buta è una località di Arezzo) e una cortigiana, Margherita dei Bonci detta Tita, famosa modella per parecchi artisti. È conosciuto principalmente per alcuni suoi scritti dal contenuto considerato licenzioso, fra cui i conosciutissimi "Sonetti lussuriosi", ma scrisse anche i "Dubbi amorosi" e opere di contenuto religioso.
A pochi metri uno spartito musicale dipinto in facciata di un bel palazzo mi indica che qui vi nacque Guido Monaco, anche se tradizione vuole che il monaco benedettino, fosse nato a Talla. Comunque sia Guido Monaco, o Guido Pomposiano, meglio anche noto come Guido d'Arezzo nacque nel 991/992 circa e fu un teorico della musica e monaco benedettino camaldolese. È considerato l'ideatore della moderna notazione musicale, con la sistematica adozione del tetragramma, che sostituì la precedente notazione adiastematica. Il suo trattato musicale, il  Micrologus, fu il testo di musica più diffuso del Medioevo, dopo i trattati di Severino Boezio. Mi ritrovo subito dopo in piazza della Libertà, davanti al Municipio.
Svolto su via Ricasoli, dove di affaccia il palazzo delle statue. Infatti nella parte finale di Via Ricasoli, un tempo Contrada del Lastrico per la presenza di alcuni tratti di strada romana, sorge Palazzo Albergotti, un importante edificio in stile neoclassico. Gli Albergotti erano in epoca medievale un importante  famiglia guelfa. Palazzo Albergotti è detto anche "Palazzo delle Statue" per la serie di sculture allegoriche in terracotta che ne ornano la sommità, sette sulla facciata e tre sul lato che guarda su Piazza Landucci. L'edificio fu costruito tra il 1792 e 1799  su un area in cui esistevano tre abitazioni, sempre di proprietà degli Albergotti.
Nel 1830 Palazzo Albergotti fu acquistato da Leopoldo II d'Asburgo-Lorena per utilizzarlo come palazzo granducale cittadino, ma con l'annessione della Toscana al Regno di Sardegna nel 1860 e la proclamazione del Regno d'Italia nel 1861, fu incamerato dal neonato stato italiano. Ebbe di conseguenza, varie destinazioni pubbliche, oggi è sede della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Arezzo e Grosseto.
Esternamente Palazzo Albergotti è contraddistinto dalla monumentale facciata rivestita in bugnato al piano terra e presenta un elegante timpano triangolare con lo stemma nobiliare. Di fronte si ergono palazzo Palliani e il rinascimentale Palazzo de' Giudici. Sul fianco di quest'ultimo si erge la piccola chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano. Questa Chiesa, oggi sconsacrata è stata edificata alla metà del sec XV. L'edificio fu ricostruito agli inizi del XVIII secolo in forme barocche evidenziata dalla scenografica facciata.
Sopra il portale e vi è un tabernacolo, con l'affresco di San Sebastiano, San Francesco di Paola e San Rocco. La facciata ha un tetto a capanna con piccolo campanile a vela. All'imbocco con piaggia di Murello, già antica Ruga Mastra, si vi è il Monumento a Ferdinando III di Lorena. Questa statua era collocata in Piazza Grande dal 1822, e un secolo dopo, nel 1932 fu spostata nell'attuale posizione.
Superato la piccola piazza Landucci, percorro via Sasso Verde fino a ritrovarmi in piazza San Domenico, dove si erge la chiesa di San Domenico, esempio di gotico del XIII secolo, che domani mi visiterò con attenzione. Esco cosi sul piazzale del parcheggio di via Giuseppe Pietri, attraverso Porta Pozzuolo. Questa apertura nelle mura della cinta duecentesca, che fu chiusa nel XVI secolo e riaperta ad uso pedonale alla metà del XX secolo.



Fine IV parte