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Luci ed ombre a Torino (I parte)

Venerdì 07 Settembre 2012 17:26
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Mole tricoloreCon questo mio racconto voglio rendere omaggio, e nel contempo chiedere scusa, ad una città che fino al 2005 consideravo negativamente e per la quale non trovavo mai fine all'elenco dei difetti da additarle. È vero che solo vivendola in prima persona riesci ad essere più obbiettivo e vedere a 360° tutte le sfaccettature di una città metropolitana dai nobili natali, con una cospicua immigrazione, caparbia, testona, ipocrita ed opportunista ma cortese e dai modi gentili. I suoi abitanti sono da sempre additati come "falsi e cortesi" ma sicuramente intraprendenti e alla ricerca continua del compromesso quale strada più facile per non trovarsi nei guai.
Nel simbolico viaggio che voglio intraprendere con questo scritto mi farò accompagnare anche da persone che ho conosciuto e che hanno fatto parte della mia vita nel bene e nel male, comunque i nomi che troverete sono semplicemente di fantasia, in quanto esprimerò il mio punto di vista, che non sempre é benevolo e difficilmente potrebbe essere accettato dai miei fittizi compagni di viaggio.
Ovviamente scriverò della città, facendomi accompagnare simbolicamente da queste persone, non tutte torinesi ma che sono rappresentative della macedonia di etnie italiche e non solo, presenti nella prima capitale d'Italia.
Città di per se misteriosa, che ispirò De Chirico per la sua pittura metafisica ma affascinò anche Nietzsche, che ospita una delle più grandi raccolte di mummie del mondo, che nasconde tra le sue mura, sigillandolo in enormi palazzi settecenteschi l'autoritratto di Leonardo, ma anche la Sacra Sindone. Con un passato burrascoso che diede i natali alla più grande fabbrica di auto d'Italia ma che è anche centro di raccolta di spiritisti, dai Re strenui difensori della fede contro l'ortodossia catara ma anche dai Re scomunicati. Prediletta da Nostradamus ma legata e seguace di Giuseppe Agostino Benedetto Cottolengo, canonizzato nel 1934 e conosciuto come San Giuseppe Cottolengo, ricordato da Papa Benedetto nella sua enciclica Deus Caritas est (2005) tra i "modelli insigni di carità sociale per gli uomini di buona volontà".
La città sabauda è la metafora di un'Italia borghese e popolare, ma è anche la città dicotomica per eccellenza, dove convergono la luce del futuro ma anche le ombre del passato, città di peccato ma anche città di grazia, enigmatica e impenetrabile dal suo conflitto eterno.
Il mio arrivo a Torino, nasce non da un esigenza personale ma da un accordo associativo che mi porterà ad essere al centro di qualcosa più grande di me! Un provinciale che entrava con le scarpe sporche e rotte nei salotti "bene" di una città che vive nostalgicamente di vecchi ricordi per una nobile epoca che non tornerà più.
In questa città, la gente fu dapprima molto cattolica, poi molto socialista, poi fascista e poi comunista, un edonismo molto struggente che ha pochi eguali e che come il girasole volge il proprio capo sempre verso il sole. Magari anche gente seria, comunque diffidente tanto da apparire ottusa, da cui diffidare perché può fregarti con le buone maniere. L'apparente retaggio di nobiltà, li fa sembrare snob e noiosi, abitanti di una città fredda e nevosa. Ma non è sempre così e le persone che mi accompagneranno rappresentano la città di oggi. Anche quello che vuole i cieli torinesi sempre grigi e tristi è un cliché falso, la città ha un microclima tutto suo, con una media di precipitazioni di 800 mm annui (in parte neve), contro una solare Napoli con 947 mm annui.
La città in quegli anni era in fase di trasformazione, stava prendendo la forma di una città metropolitana europea, ma forse affermerei multietnica, anche se lo straniero veniva e viene ancora oggi, squadrato dall'alto in basso, la stessa diffidenza con cui i torinesi squadravano ed accoglievano gli immigrati provenienti dal mezzogiorno italiano, richiamati dalle grandi fabbriche negli anni 60 del secolo scorso.
Come ieri, gli immigrati del Terzo mondo di oggi, non sbarcano a Lampedusa ma a Portanuova, richiamati dalla definizione di Torino che la vuole città industriale, ma che con le olimpiadi invernali del 2006 la vede trasformarsi in una città turistica, raffinata e privilegiata che potrebbe essere il suo nuovo futuro, se saprà cogliere l'occasione offerta.
La ripartenza di Torino, così definirei questa fase, dopo un ventennio di crisi industriale crescente, la città prende atto della necessità di riconvertire la sua dipendenza economica dall'industria automobilistica, differenziando l'economia industriale, nonostante le auto le abbiano permesso di crescere insieme al suo hinterland.
Torino, all'onor del vero, si distingue dalle altre città italiane per la sua capacità di diventare comunque protagonista di tutti quei processi innovativi che poi hanno coinvolto l'intero paese.
La città moderna di Torino ebbe la sua prima rinascita nella capacità del suo Arch. Filippo Juvarra e del Re che ebbe in lui fiducia: Vittorio Amedeo II.
Ma poi anche nel periodo post napoleonico, seppe dare avvio alla rivoluzione industriale piemontese e poi italiana, tanto da essere città di riferimento durante il Risorgimento italiano. Ma anche grande laboratorio sociale del dopoguerra (II guerra mondiale) in cui si cimentò la prima vera integrazione italiana con l'arrivo di migliaia di lavoratori dal sud Italia.
Una città che seppe comunque cumulare e preservare un prezioso patrimonio culturale e di questo farne industria.
Una città con una bella collezione di primati che voglio ricordare, saltellando di via in via e di palazzo in palazzo ma sempre accompagnato da coloro che credono di far parte di un nuovo olimpo.



Fine I parte.