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Luci ed ombre a Torino (XIV parte)

Giovedì 15 Agosto 2013 16:22
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Theodore NottRaggiungo la Chiesa di San Michele Arcangelo, eretta tra il 1784 e il 1788 su progetto di Pietro Bonvicino. La chiesa è annessa al complesso del convento dei Patri Trinitari Scalzi del Riscatto degli Schiavi, detti di San Michele, per i quali è stata edificata. Soppressi gli ordini monastici in seguito all'occupazione francese e seriamente bombardata durante la guerra, la chiesa, a forma esagonale, ha subito un attento restauro nel Novecento e oggi è adibita alla comunità di rito bizantino con una bella iconostasi per le nuove funzioni. L'edificio è un classico esempio di barocco piemontese la cui facciata ha delle belle colonne che sorreggono un ampio timpano. Numerose lesene danno alla chiesa una dolce forma ritmata. Di fronte all'ingresso della chiesa si sviluppa via delle Rosine. Un ragazzo non alto, dal passo veloce, viene verso di me inarcando un grande sorriso. Non mi sembra strano vederlo da queste parti, dal momento che in questa via vi è un noto locale, tra i più creativi e trasgressivi della città e con più di 40 anni di attività, un ritrovo di perdizione per lo più utilizzato dai mangiamorte il venerdì sera.
In via delle Rosine 9 esiste uno dei più antichi istituti filantropici di Torino. Vi sorge infatti la Casa Madre dell'Istituto delle Rosine che oggi accoglie anche studentesse di scuola media superiore e universitarie. Rosa Govone, all'anagrafe Francesca Maria Govone, nacque a Mondovì il 26 novembre 1716 in una famiglia di nobili decaduti che affittava e lavorava alcuni terreni. Appassionata lettrice in contatto con i domenicani e gli oratoriani della sua città, probabilmente aspirando alla vita religiosa, si aggregò al terzo ordine domenicano divenendo così suor Rosa.
Nel 1742 aprì la sua casa ad alcune ragazze orfane, o di famiglie molto povere, e ad alcune ragazze di strada e le istruì al lavoro avviandole alla fede cristiana. Dopo il suo trasferimento a Torino, con l'aiuto di Carlo Emanuele III, fondò un istituto molto importante (1755). Le ragazze che decidevano di unirsi alla comunità erano dette le "rosine", dal nome della fondatrice, queste non erano tenute a fare voti religiosi ed erano completamente libere.
Rosa a circa vent'anni perse entrambi i genitori, si unì allora ad una coetanea, Marianna Viglietti, anch'essa orfana e sola. Oltre che dalla povertà subita, la loro vita era resa ancor più difficile dalle continue scorribande degli eserciti in persistente conflitto.
A causa dell'assedio franco-prussiano alla città di Cuneo, circa diecimila soldati si erano accampati proprio nei dintorni di Mondovì. Il 13 agosto 1744, Rosa e la sua amica, recatesi davanti all'immagine della Madonna nel Santuario di Vicoforte, ebbero l'ispirazione di fondare nella propria città un'opera per accogliere donne di ogni età, che a causa della solitudine faticavano a sopravvivere.
L'iniziativa trovò il supporto dell'oratoriano Giovanni Battista Trona e della contessa Lucia di Marsaglia i quali procurarono una prima sistemazione dignitosa per l'Opera che doveva accogliere le sfortunate.
Occupazione principale dell'Opera era la preparazione e la vendita dei tessuti, il ricamo e la sartoria, in quanto l'Istituto doveva autosostenersi. Rosa decise di trasferirsi a Torino nel 1755, dove la validità dell'Opera e le sue capacità fecero breccia sul Cardinale Delle Lanze e sul sovrano Carlo Emanuele III.
A Torino esistevano altri istituti simili a quello creato nel cuneese, ma l'originalità stava però nell'autosufficienza dell'organizzazione che non dipendeva dalle elemosine. Fu trovato un luogo che ospitasse l'Opera, e Rosa e le Rosine, come vennero denominate coloro che lo frequentavano, si stabilirono nel complesso che i Fatebenefratelli avevano da poco lasciato. Il caseggiato e il terreno circostante furono donati direttamente dal sovrano. Aprì in seguito una scuola per i trovatelli a cui le Rosine, che diventavano così anche insegnanti, impartivano alcune elementari nozioni scolastiche.
Un libro del 1842, "Descrizione di Torino" di G. Pomba, così lo descrive: "Ritiro delle Rosine, fondato nel 1758 serve di ricovero a povere zitelle che lavoravano attorno ai lanifizi, manifatture seriche e di cotone a biancheria e a ogni sorta d'opera donnesca", e prosegue "… venuta a Torino nel 1755, ebbe incoraggiamento da Re Carlo Emanuele III che approvando l'istituzione di questo ritiro, l'accolse sotto la sua speciale protezione. L'Opera deve mantenersi con il lavoro dei ricoverati".
Ancora oggi, presente sul portone dell'ingresso principale, vi è una scritta che recita: "Vivrai dell'opera delle tue mani".
Theodor Nott si avvicina, attraversa la strada per salutarmi e nonostante abiti a Torino non ha mai fatto parte della mia Hogwarts. È un ragazzo dell'aspetto "conigliesco", alquanto secco e per quanto possa sembrare poco sveglio è un Purosangue alquanto intelligente. Non e molto alto, capelli castano scuri senza un taglio ordinato, occhi sottili e a mandorla di color azzurro, un viso lungo con due sopracciglia fini e curate, un naso adunco ma leggero, una leggera barbetta disegnata su un volto con una fronte alta e spaziosa e due grandi orecchie.
Dopo alcuni convenevoli, come due vecchi amici, che comunque non siamo mai stati, ci dirigiamo verso Piazza Maria Teresa.
La piazza non è molto grande ed ippocastani e bagolari creano una cornice ad una aiuola centrale fiorita. Piccoli sassolini costruiscono ampi percorsi tra le aiuole al termine delle quali spicca sotto un antico caseggiato un locale divenuto in breve tempo di tendenza, dove fare un "brunch" nella pausa lavoro o sorseggiare un aperitivo nel pomeriggio inoltrato. Ci sediamo al tavolino, sotto gli alberi per gustarci un gelato, come quando ci siamo conosciuti. La nostra conoscenza è recente, fu una persona conosciuta da entrambi che mi presentò Theodor Nott.
La storia di Theodor Nott s'intrecciò da allora con diversi Mangiamorte che frequentò assiduamente, solo che Theodor Nott si staccò dal gruppo ed in particolare dal suo Eracle, sicuramente in un modo brusco. Il suo atteggiamento verso di me è freddo e distaccato, il suo sorriso alla joker mi fa comprendere la sua diffidenza, quasi paura, visto che continua a mordersi le unghie.
Anche questa piccola piazza fu oggetto di una intensa filmografia, scorrendo la quale ricordo "Addio Giovinezza", un adattamento cinematografico di un'operetta, diretto nel 1940 da Ferdinando Maria Poggioli.
Il film è ambientato nella Torino universitaria del 1910 e vi sono narrate le avventure di un gruppo di studenti, tra amori ed esami. La trama si svolge in diversi luoghi storici di Torino come il Caffè Baratti & Milano, il teatro Carignano e La Gran Madre. Un altro film che mette in risalto la piazza è "La Damigella" di Bard del 1936, diretto da Mario Mattoli, tratto dall'omonimo lavoro teatrale di Salvator Gotta.
Questo film, ambientato nel 1921 a Torino, racconta di una vecchia signora che vive in miseria nelle soffitte del palazzo nobiliare di cui era stata proprietaria, quale l'ultima discendente della casata dei BARD. Emma Grammatica, che interpreta la protagonista Maria Clotilde di Bard, è un'attrice sicuramente più famosa per aver girato altri film come "Le Sorelle Materassi" (1944) di Ferdinando Maria Poggioli, e "Miracolo a Milano" (1951) di Vittorio De Sica. Recitò anche in "Don Camillo monsignore... ma non troppo" (1961) di Carmine Gallone e nel "Il fu Mattia Pascal", con la regia di Pierre Chenal (1937).
Il Palazzo dei Bard è idealmente situato sulla piazza Maria Teresa dal lato di via della Rocca, mentre invece nel film gli interni del palazzo sono girati a palazzo Birago di Borgaro, sito in via Carlo Alberto.
La piazza, o piazzetta che dir si voglia, mantiene un certo fascino. Le corti interne sono stupende, così come i caseggiati neoclassici che vi si affacciano, raffinati ed eleganti, mettendo tranquillità e persino un po' di soggezione. Piazza Maria Teresa è una delle tante belle piazze torinesi  e ricorda un po' le piazze Parigine.
Con Theodore, ci salutiamo amichevolmente, forse è un saluto ipocrita, ma mi ha fatto piacere incontrarlo. Benché sia un ragazzo solitario che non sente il bisogno di appartenere ad una banda, neanche a quella dei Mangiamorte e sicuramente lontano da quella del Signore oscuro a cui non ha mai voluto aderire per fortuna sua, è di grande cultura, è erudito, ha seguito studi classici ed è possibile prevedere per lui un futuro da insegnante.
Tra gli altri palazzi che si affacciano sulla piazza ricordiamo quello dello scultore Bogliani, che nel 1838 partecipò in prima persona alla sua costruzione, realizzandone le decorazioni. Il Palazzo Baricalla, edificato nel 1852, e Palazzo Ponzio-Vaglia, progettato dall'ingegnere Alessandro Antonelli (1798-1888). Un tempo era una delle piazzette preferite dall'aristocrazia cittadina, dedicata alla regina di Sardegna (1801-1855), moglie di re Carlo Alberto. È stata inaugurata nel secondo quarto del XIX secolo, ottenuta come risultato della frammentazione del "giardino dei ripari" che ha generato anche Piazza Cavour e l'Aiuola Balbo. In un angolo un po' appartato ma fortemente caratteristico, con il selciato originale realizzato usando pietre tonde di fiume, fa bella mostra di sé il monumento al generale napoletano Guglielmo Pepe (1873-1855), opera dello scultore Stefano Butti. Generale dell'esercito Borbonico e calabrese di nascita, accorre nel 1848 con le truppe rimaste a lui fedeli alla difesa di Venezia, nonostante il contrordine di re Ferdinando II. Mori esiliato a Torino.
Poco distante, da questa piazza, in via della Rocca, vi è un palazzo dalle linee solenni in stile tardo-classicheggiante, realizzato a metà dell'Ottocento quale sede del Ministero degli Esteri dello Stato Sabaudo, che prese poi il nome dai proprietari, Thaon di Revel, quando la capitale fu spostata da Torino. Oggi questo palazzo, ospita l'istituto d'arte Amedeo Passoni. La presenza del Ministero degli Esteri in questa una contrada aveva fatto si che le maggiori nazioni vi trovassero la sede della propria rappresentanza diplomatica.
Mi allontano da questa bellissima e sconosciuta piazzetta per recarmi negli adiacenti altri giardini dei Ripari.



Fine XIV parte.