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Luci ed ombre a Torino (XXV parte)

Domenica 29 Giugno 2014 11:21
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pixiesLa Fontana dei Dodici Mesi, dove ho avuto modo di intravedere Augustus Rookwood mentre si recava al sabba domenicale, è una fontana molto grande e bella che all'interno del Valentino è in simbiosi con il bel parco e tutti i monumenti adiacenti benché realizzati in diversi stili. È stata progettata da Carlo Ceppi per l'Esposizione Nazionale del 1898 e venne inaugurata l'8 maggio di quell'anno per festeggiare il cinquantennale dello Statuto Albertino. Fu sicuramente una delle principali attrazioni dell'Esposizione, ma lo è ancora oggi per quei turisti attenti che apprezzano l'arte all'aria aperta, essendo una sintesi di spunti floreali e richiami rococò, nonché esempio splendido della Belle Époque torinese.
La sontuosa fontana monumentale si compone di un'ampia vasca ovale in cui precipita una spumeggiante cascata. Lo specchio d'acqua, che pare tranquillo, è circondato da una balaustra ornata da sedici statue che simboleggiano i dodici mesi e le quattro stagioni. Una splendida terrazza arricchita da un massiccio gruppo scultoreo sovrasta la fontana e riproduce i fiumi che bagnano Torino: Po, Dora, Sangone, Stura. Ma la fontana è una fonte di storia, leggenda, misticismo tutto in versione mitologico/torinese ed infatti il mito contempla diverse leggende, spesso contrastanti tra di loro.
Diverse quelle che vedono questo luogo protagonista, e la mia preferita e quella di Ovidio, raccontata nelle sue Metamorfosi (II, 1-328).
Racconta che la fontana sia stata costruita nel luogo in cui cadde il principe egizio Fetonte (lo Splendente), figlio di Elios e di Climene. Avendo Epafo insinuato che egli non fosse figlio di Elios (il Sole), chiese ed ottenne, dopo non poche insistenze, di guidarne il carro per dimostrare la sua vera natalità. Ma quando si trovò a condurre l'infuocato cocchio divino, ne perse il controllo e i quattro focosi cavalli lo condussero o troppo in alto fino alle stelle rischiando di bruciare la volta celeste o troppo in basso fino a sfiorare la terra, rischiando di provocare ovunque incendi catastrofici. A quel punto suo padre Elios, per impedire guai peggiori, fu costretto ad intervenire drasticamente e folgorò l'incauto figlio precipitandolo nell'Eridano (l'attuale Po). Le Elidi, sue sorelle, piansero a lungo la morte di Fetonte. Gli dei commossi ebbero pietà di loro e le trasformarono in pioppi, mentre le loro lacrime si mutarono in ambra. Analoga sorte subì l'inconsolabile amico Cicno (re dei Liguri) che fu tramutato in cigno e poi in costellazione.
Un altra lettura afferma che fu Zeus, adirato e deciso ad impedirgli di fare ulteriori danni, a scagliargli contro un fulmine facendolo precipitare a pochi passi dal fiume Eridano Secondo alcuni il punto d'impatto si troverebbe nell'odierna Crespino sul Po, mentre secondo altri esattamente dove Carlo Ceppi fece costruire questa meravigliosa fontana.
Il fiume mitologico, legato alla morte di Fetonte che vi precipitò, nell'antichità fu spesso identificato anche con altri fiumi come il Rodano (Eschilo), ma per la maggioranza degli scrittori è il Po; altri lo collocavano nelle regioni del nord Europa.
Il parco del Valentino fu la sede tradizionale delle esposizioni già da fine Ottocento e uno dei primi edifici realizzati per questi scopi fu quello chiamato Palazzo del Giornale e che fu ammodernato negli anni Trenta in veste razionalista per le prime mostre sulla Moda. L'edificio fu completamente ricostruito ed inaugurato nel 1938 con la Mostra dell'Autarchia. Di quel primo lavoro restano il portico, l'atrio, il salone, il ristorante "La Rotonda" e il Teatro Nuovo. La gamma delle manifestazioni si estese nel secondo dopoguerra con altre iniziative, compreso il Salone dell'Automobile, ampliandone ulteriormente la parte espositiva. Sull'edificio troviamo importanti firme di grandi architetti come Rodolfo Biscaretti di Cuffia ed il famoso Pier Luigi Nervi che ha realizzato la slanciata copertura autoportante. Oggi l'attività fieristica è pressoché scomparsa con il suo trasferimento al Lingotto, ma una buona parte del complesso ospita ancora il Teatro Nuovo e il Liceo Artistico Coreutico, con due sale cinematografiche.
L'esigenza di ampliare la superficie fieristica, proprio per ospitare il salone dell'automobile, determinò agli inizi degli anni 60 del secolo scorso la necessità di costruire oltre il piazzale Amedeo di Savoia, verso il castello del Valentino, un nuovo e più grande salone interrato dove prima esisteva il laghetto. Proprio vicino a questo nuovo padiglione sotterraneo avevo avuto modo di intravedere Barty Crouch Jr.
Poco distante, ed esattamente in corso Dante, non posso non citare un altro importante edificio che ha contribuito a costruire la storia di Torino, ovvero il primo stabilimento produttivo della Fiat, inaugurato il 19 marzo 1900. Inizialmente dava lavoro a 120 operai che sei anni dopo erano già saliti a 1500, incrementando la produzione da 24 a 1150 vetture. Nel 1912 esce da queste officine la Fiat Zero, la prima autovettura prodotta in serie realizzata in 2000 esemplari. Lo stabilimento originario viene ampliato con nuovi fabbricati tra le vie Marocchetti, Tiziano e Correggio a sud di corso Dante, ciò dovuto all'assorbimento della carrozzeria Rothschild di via Madama Cristina e di altre ditte fornitrici. Al culmine dello sforzo bellico, negli spazi di corso Dante lavorano quasi diecimila operai raggiungendo le 18000 unità nel 1918, rendendosi impellente la necessita di razionalizzare la produzione, questa fu spostata nel 1922 al Lingotto. Oggi della grande Fiat rimane pressoché il ricordo!
Attraverso Corso Massimo d'Azeglio, dopo aver dato un fugace sguardo a Villa Javelli, uno degli esempi migliori del liberty torinese, realizzato nel 1904. È un villino con pochi se non nulli richiami floreali, come voleva lo stile e la linea viennese, molto diverso da quello parigino che aveva invece invaso Torino. Lascio sulla mia sinistra la cosiddetta Città della scienza,un complesso di edifici realizzati a partire dal 1885, una struttura caratterizzata da una veste neorinascimentale di severo decoro. L'ex Istituto di Medicina Legale ora comprende Il Museo di Anatomia Umana dove sono esposte anche le raccolte delle collezioni anatomiche del 1739, come atlanti anatomici, modelli in cera, un modello di donna incinta e una ampia raccolta di cervelli conservati a secco. Ma l'edifico comprende il più famoso Museo di antropologia criminale, dedicato a Cesare Lombroso, dove sono esposte armi, coltelli, punteruoli, fotografie di alienati mentali, foto segnaletiche, scritti e disegni dei reclusi, raccolti dal 1867 appunto da Cesare Lombroso che voleva dimostrare che i criminali hanno anomalie fisiche nel cranio, una tesi molto accreditata all'epoca da polizia e giudici. Nell'edificio si trova anche un museo di straordinaria bellezza che contiene circa 1200 modelli di frutti realizzati in alabastro e resina nonché alcune migliaia di testi sulla frutta e sulla loro coltivazione. Il museo della Frutta è infatti la raccolta del collezionista Francesco Garnier Valletti che lasciò questo incredibile dono alla città.
L'edificio contenente i tre Musei fu realizzato, grazie all'impegno del sindaco Sambuy, di fronte al parco del Valentino su terreni acquisiti dal Comune sottraendoli alla speculazione immobiliare che li avrebbe destinati a residenze di lusso.
L'austero e grande edificio presenta due caratteristiche torri identiche che per la loro forma sono chiamate "minareti". Esse sono espressione del gusto eclettico dominante in quel periodo storico e che ha ispirato la costruzione dell'intero complesso.
Durante la Resistenza, l'Istituto anatomico fu uno dei centri clandestini del Partito d'Azione animato da uno studente, Rodolfo Amprino (1912-2007), allievo di Giuseppe Levi (1872-1965), che in seguito divenne docente di Anatomia all'Università di Bari.
Su quest'ultimo mi permetto di fare un breve cenno, ricordando che fu un anatomista e scienziato famoso a cui si devono molteplici scoperte, ma noto soprattutto per essere stato "maestro" e mentore di tre premi Nobel come Rita Levi-Montalcini, Renato Dulbecco e Salvador Luria.
Quando ci fu l'ascesa del fascismo in Italia, Levi non nascose le proprie posizioni di dissenso e coltivò frequentazioni con personalità di opposizione politica al regime. Ebbe modo di conoscere Carlo Rosselli, mentre questo frequentava la facoltà di giurisprudenza dell'ateneo torinese. Nel dicembre del 1926, ospitò nel suo appartamento Filippo Turati, in fuga verso la Francia. Fu anche arrestato nel marzo del 1934 e trascorse alcune settimane in carcere, sospettato di aver favorito le attività di propaganda clandestine del figlio Mario e dell'allievo Sion Segre. Con le Leggi Razziali del 1938, fu privato della cattedra e fu costretto a riparare all'estero, dapprima in Belgio, dove continuò l'attività di ricerca presso l'Università di Liegi. Con l'invasione tedesca del Belgio del 1940 vagò in clandestinità tra Belgio e Francia e Italia.
Continuò, nonostante la clandestinità, le sue ricerche sperimentali utilizzando l'improvvisato e semi-clandestino laboratorio casalingo allestito dalla sua allieva Rita Levi-Montalcini, ma con i bombardamenti su Torino del 1943 dovettero abbandonare gli studi e fuggire nell'eporediese, nell'astigiano e poi a Firenze fino al termine della guerra.
Con la liberazione dal fascismo venne reintegrato nell'insegnamento, ma ammalatosi di cancro allo stomaco morì a Torino nel 1965, all'età di 92 anni. Si sposò nel 1901 con Lidia Tanzi ed ebbe cinque figli, Paola (prima moglie di Adriano Olivetti), Alberto, Mario, Gino e Natalia, scrittrice italiana meglio nota come Natalia Ginzburg.
La figura dello psichiatra e criminologo veronese Cesare Lombroso mi ha sempre messo abbastanza inquietudine e il solo pensare che fosse la forma fisica della persona a poter determinare se la stessa potesse essere un potenziale criminale mi spaventa un po'!
Non a caso, mentre alzo lo sguardo per osservare ed immaginare quello che alcune fonti non confermate sostengono e cioè che in uno dei "minareti" Cesare Lombroso avesse collocato il suo studio personale, vedo passarmi davanti un pixie, anche chiamato folletto della Cornovaglia. Lo vedo svolazzare tra le auto, intento a raggiungere i mangiamorte nel loro luogo di raduno.
Nel racconto della Rowling è un piccolo mammifero di colore blu elettrico, alto circo venti centimetri e molto dispettoso, si trova principalmente in Cornovaglia. Adora fare scherzi agli esseri umani, sia maghi che babbani. Non ha ali ma può volare ed è dotato di una considerevole forza, si racconta che sia riuscito a sollevare degli uomini in aria e, tenendoli per le orecchie, a depositarli in cima ad alberi o edifici. Hanno visi rotondi ed appuntiti e voci così penetranti come il cicaleccio di un nugolo di pappagallini, un acuto chiacchiericcio incomprensibile a tutti e che usano per comunicare tra di loro. Per contrastare queste dispettose creature l'autrice consiglia di usare diversi incantesimi, fra cui Peskipiksi Pesternomi o l'incantesimo congelante.
Pare che in Cornovaglia, nel 17 ° secolo, Dymphna Furmage, una strega in vacanza, sia stata rapita dai folletti. Ciò portò ad avere paura di questa specie di folletti, tanto da chiedere al Ministero britannico della Magia di sradicarne la presenza, ma ciò non avvenne. Nella Hogward torinese invece sono folletti che non hanno mai avuto diretto contatto con il sottoscritto, nonostante qualcuno lo abbia direttamente conosciuto, anzi conosciute perché erano di sesso femminile o quanto meno mi parevano esserlo.
In particolare la pixie che vedo svolazzare tra le auto e correre incauta tra gli alberi, quasi che il suo appuntamento fosse d'importanza fondamentale, ho avuto modo di incontrarla ripetutamente. L'avevo conosciuta nella versione innamorata di un famoso mangiamorte e l'avevo vista in tenera compagnia di altri frequentatori e frequentatrici della Hogward torinese.
La pixie torinese non era molto alta, con un viso ovale e due gote pronunciate tra un naso piccolo e a patata, con una bocca piccola e labbra leggermente pronunciate. I capelli biondi e lisci tagliati sulle spalle nascondono due regolari orecchie sempre decorate da orecchini non vistosi. Il viso è solare e luminoso, accompagnato da un sorriso permanente che ispira simpatia ma che in realtà nasconde il carattere tipico dei pixie, quello di essere malvagi in cerca di continue prede su cui divertirsi e sfogare i propri istinti.
Volata via rapidamente dalla mia vista proseguo la mia strada sempre lungo Corso Massimo d'Azeglio, sul quale si affacciano quattro sobri ed austeri palazzi, sedi delle facoltà di Farmacia, Fisica, Chimica e, poco più in là, di quella di Scienze della Terra dell'Università torinese
Poco distante si staglia sul corso, facendo altresì ombra grazie alla sua molassa mole, l'Istituto Elettrotecnico Nazionale "Galileo Ferraris" (IEN), un istituto di ricerca elettrotecnica noto soprattutto per la fornitura alla RAI del segnale orario ufficiale, calcolato con estrema accuratezza. Realizzato nei primi anni Trenta come centro ricerche SIP su progetto di Vittorio Eugenio Ballatore di Rosana, l'edificio è una significativa testimonianza di architettura art-déco, con le sue monolitiche colonne istoriate e il suo imponente frontone; oggi il palazzo è parte dell'Istituto nazionale di ricerca metrologica.
Certo è che San Salvario e il Parco del Valentino sono stati bellissimi scenari per molti importanti film come "Poliziotti" del 1994 con Claudio Amendola, Kim Rossi Stuart e Michele Placido con la regia di Giulio Base che ambienta parte delle scene a Torino, tra cui fa da scenario anche la fontana dei Dodici Mesi, o "la Doppia Ora" di Giuseppe Capotondi che trova come location torinese anche il Ponte principessa isabella, il tunnel del Valentino e viale Marinai d'Italia e ancora "libero Burro" del 1999 del regista Sergio Castellitto che vede protagonista un "terrone" estroverso, simpatico e pieno di idee, che cerca fortuna a Torino, una commedia in giallo che parla di integrazione dei meridionali nella capitale dell'auto. Le scene sono girate in tante parti di Torino, tra cui Viale Marinai d'Italia.
Mentre raggiungo la stazione ferroviaria, mi piace pensare al trattato scritto da Emanuele Tesauro nel 16° secolo,"Della Historia dell'Augustà Città di Torino", che raccontava la storia dei Taurini con tale dovizia di particolari e citando molte fonti in cui affermava con sicurezza che furono i Taurini a fondare il primo villaggio almeno sette secoli prima della fondazione di Roma e della loro discendenza con gli Egizi. Opera che lo storico Tesauro o Thesauro, come lo si voglia chiamare, dedicò a Madama Reale, Maria Giovanna Battista, duchessa di Savoia e Regina di Cipro. Il Thesauro prende anch'esso in esame l'Eridano, ma non come fiume, infatti scrive "Faetonte, detto anche con altro nome Eridano, principe egizio, avido di gloria e di nuovi imperi, passato dal suo Canòpo nella Magna Grecia, costeggiò tutta la spiaggia del Mar Tirreno, conquistando tutto il tratto de' Marattimi Gioghi dalla Macra al varo, chiamollo dal nome del figliuoli Liguria Alpestre, e scese nelle piacevoli falde campestri, chiamate da allora Liguria Faetontea. Qui, sopra la sponda del Po, fondò questa colonia, fra le altre singolarmente honorata. Prendendo lo spunto dal suo Api, adorato in Egitto per patrio nome sotto sembianze di toro, dal nome stesso le diede le insegne e il nome. Onde troviamo nelle antiche memorie questa stessa città con due diversi nomi dal suo autore illustrata, poiché da quel Toro augurale fu detta Taurina e Taurini i suoi cittadini e i popoli de suo distretto, essendo a capo della provincia. e taurine le Alpi sopra lei eminenti, che lunghi secoli appresso furono chiamate Cozie. Dal suo fondatore fu cognominata Eridana, ed Eridano il suo fiume, unico re dei fiumi...". Da questa lettura il mito di Torino tra luci ed ombre è sempre più vivace benché la sua storia antica si confonda sempre più spesso con il mito, ma se il mito non fa parte della storia, tuttavia grazie alla fantasia e alle leggende popolari ne entra a far parte. Ora certamente, grazie al Thesauro, il mito riconduce la città di Torino a una origine e ad un legame di matrice egizia, come pare giustificare l'araldica della città con il suo Toro ovunque impresso e riportato, dal proprio stemma, al bronzeo Toro di piazza San Carlo,alle centinaia di fontanelle d'acqua con il beccuccio a forma di testa taurina, potrebbero voler continuamente evocare il dio Api sotto le sembianze di un Toro. Ovviamente tutto ciò irrita notevolmente gli studiosi di egittologia, ma ciò entusiasma chi fa di Torino una capitale mondiale dell'esoterismo. Benché io creda che ciò sia impossibile è anche vero che Torino è piena di richiami egizi, sarà un caso o altro?
Mi piace anche ricordare che il medico Michele Buniva (1762-1834), il primo ad introdurre in Piemonte il vaccino contro il vaiolo, propose nell'agosto del 1800 di mutare il nome della città di Torino in quello di Eridania. La proposta fu accantonata, con polemiche e sarcasmo ma ciò indica come i miti sono a volte più forti della storia. Raggiungo finalmente la stazione ferroviaria di Porta Nuova e solo con una gran corsa riesco a salire sul treno che mi condurrà in terra mandrogna.



Fine XXV parte.