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La città patavina di Antenore (VI parte)

Domenica 20 Luglio 2014 11:21
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Tomba di AntenoreIl santuario è immenso ma la piazza non è da meno e la folla di fedeli e di turisti si aggira come intimidita nell'immenso spiazzo. Una serie di orribili bancarelle di souvenir fa da cornice allo slargo antistante il santuario, quasi assalendo la maestosa statua equestre del Gattamelata. Flavio è preso dagli scatti fotografici che fa in continuazione, immortalando tutto ciò che ha un minimo interesse storico e tutto qui ricorda e racconta storie diverse.
Certamente sono pochi i turisti che si fermano a leggere quanto scritto sulla lapide posta al civico 19 della piazza del santo che ricorda Francesco II° Da Carrara. Il 27 luglio 1399 donava questa sua casa all'Università dei Giuristi a compenso "delle propine di dottorato che essa perdeva per l'autonomia allora conseguita dalla Università degli artisti". Costui, membro di una nobile famiglia che nel '300 governò Padova, ospitò Francesco Petrarca e nel 1388 subentrò al padre nel dominio della città. Nei continui scontri che vedevano Milano e Venezia contendersi il padovano, i Da Carrara continuarono a cambiare alleanze, costringendo Francesco a fuggire dalla città conquistata dai Visconti. Ritornò a Padova nel 1390 ma furono i Veneziani nel 1405 a togliergli il potere, e anche la vita. Se avessimo più tempo sarebbe bello visitare anche Palazzo Da Carrara, ma purtroppo le lancette girano rapidamente e molte cose dobbiamo ancora vedere in quel poco tempo che ci rimane.
Un'altra lapide in piazza del santo 13, ricorda un terribile bombardamento: "SU QUESTA PIAZZA / SUPERBA DI TANTI INVIDIATI TESORI / DI CONTRO AL TEMPIO / ANTICO NIDO DI FEDE UNIVERSALE / DI CONTRO AL MUSEO / OSPITE ALLORA /DELLE PROFUGHE ARTI DEL VENETO / MANO TEDESCA / LA NOTTE SUL XXXI DICEMBRE MCMXVII /LANCIAVA SENZA TREMARE / UNA TORPEDINE DI CENTO CHILOGRAMMI".
La vasta piazza del Santo, su cui sorge la chiesa e che gode per un tratto del diritto di extraterritorialità, è limitata da altri importanti edifici di culto come l'Oratorio di S. Giorgio, la Scuola del Santo e dalla sede del Museo Civico.
L'Oratorio di S. Giorgio, posto a destra della piazza del Santo, è un elegante edificio romanico che fu fatto edificare nel 1377 come cappella sepolcrale della famiglia del marchese Raimondino dei Lupi di Soragna, condottiero dei Da Carrara. La struttura dell'edificio è semplice, costruita in cotto, con sottili lesene che ne disegnano la facciata, solo un rilievo in pietra rappresentante S. Giorgio ne identifica la devozione. La decorazione degli interni è stata eseguita tra il 1379 e il 1384 con affreschi che illustrano scene del Vangelo come l'Adorazione dei Pastori e l'Adorazione dei Magi. Le storie di San Giorgio sono invece affrescate sulla parete orientale, mentre quelle di S. Caterina e di Santa Lucia in quella occidentale. Purtroppo la cappella, poi oratorio, fu trasformata alla fine del '700 in carcere, ma fortunatamente gli antichi affreschi sono giunti fino a noi. Purtroppo l'oratorio quando siamo arrivati noi era già chiuso.
Un altro monumento dimenticato da molti turisti e da altrettanti pellegrini è il Mausoleo di Rolando da Piazzola, giureconsulto e uomo politico vissuto nella prima metà del 1400. È un'edicola funeraria romana raffigurante due coniugi le cui figure furono adattate a rappresentare santa Chiara e san Francesco.
Di fianco all'Oratorio, sul lato sinistro, troviamo la Scoletta del Santo, o Scuola del Santo, edificio che riprende lo stile semplice della costruzione in mattoni che caratterizza le chiese Antoniane, benché modificata nel 1930. Fu costruita nel 1427 come sede dell'Arciconfraternita di S. Antonio e successivamente rialzata.
Ad unire la Scuola all'Oratorio di San Giorgio, ci pensò nel 1736 l'architetto Giovanni Gloria che vi costruì il piccolo corpo di fabbrica che li congiunge realizzando anche l'elegante scalone d'accesso alla sala delle adunanze dell'Arciconfraternita. Il piccolo edificio è dotato di una loggetta che si affaccia sulla Piazza del Santo dalla quale i papi in visita a Padova benedissero la folla radunata; ce lo ricordano due lapidi apposte per richiamare alla memoria questi avvenimenti accaduti nel 1782 con papa Pio VI e nel 1800 con papa Pio VII. In tempi più recenti lo fece nel 1982 anche papa Giovanni Paolo II.
La sede del Museo del Santo comprende una parte del complesso dell'Oratorio di San Giorgio e parte della Scoletta del Santo. Fu realizzato nel 1895, nella ricorrenza del settecentesimo anno della nascita del Santo, per rendere fruibili ai fedeli le collezioni d'arte e gli oggetti legati alla figura di Sant'Antonio.
Mentre il mio collega si aggira tra le bancarelle, osservo dall'esterno la lapide posta sul fianco destro della Scoletta a ricordo di S. Massimiliano Maria Kolbe, frate minore conventuale più volte ospite della basilica del santo. Morì ad Auschwitz il 14 agosto 1941, offrendo la sua vita per salvare un padre di famiglia.
Questa piazza è certamente uno degli scorci più famosi e tipici di Padova, luogo di devozione e di arte, una tappa immancabile per i turisti, ma anche un luogo di ritrovo per i padovani.
Su questa piazza si affacciava anche l'abitazione di Donatello durante il periodo di residenza a Padova e una lapide indica l'edificio che fu sua dimora: "NEL 1450/ABITAVA QUESTA CASA/DELLA UNIVERSITÀ DEI GIURISTI/DONATELLO/FIORENTINO/AUTORE DELLE OPERE INSIGNI/ONDE/IL SAGRATO E IL TEMPIO DI S.ANTONIO/SI ADORNANO". La casa è la stessa dove si trova la lapide che ricorda Francesco II da Carrara. Di fronte alla Basilica del Santo, alta sul suo piedistallo, si ammira la statua del Gattamelata realizzata da Donatello uno dei monumenti equestri più famosi d'Italia e del mondo.
Questo monumento equestre rappresenta il condottiero delle milizie padovane Erasmo da Narni, detto "Gattamelata". Militò sotto il nobile di Assisi Ceccolo Broglia, prima di passare al servizio di Braccio da Montone, grandissimo condottiero italiano del '400. Il Gattamelata fu un capitano di ventura al servizio prima di Firenze, poi del Papa e quindi della Repubblica di Venezia, da cui ottenne la carica di capitano generale. Abile stratega militare, difese la Serenissima dagli attacchi dei Visconti e riuscì anche a riconquistare Verona nel 1439.
Condottiero dalla storia controversa, nasce a Narni verso il 1370 da Pietro, detto lo "Strenuo", di professione fornaio e da Melania o Camilla Gattelli. Venne soprannominato Gattamelata per la dolcezza dei suoi modi di fare congiunta a grande furberia, facendo cadere spesso in inganno i suoi nemici o più semplicemente, come affermano altri studiosi, potrebbe anche aver preso tale nomignolo dal cognome della madre; altri ancora affermano che l'appellativo Gattamelata possa derivare dal cimiero a forma di una gatta dal colore miele, che il condottiero indossava durante le battaglie. Il Condottiero, ormai infermo dopo tante battaglie, si ritirò a Padova, dove morì.
Dopo la sua morte nel 1443, il figlio Giannantonio, dopo aver ottenuto l'autorizzazione della Serenissima, commissionò a Donatello, per 1650 ducati d'oro, un monumento equestre in bronzo che riproducesse e onorasse il padre. Un'opera immensa, per la quale Donatello dovette studiare le più antiche opere greche e romane, dovendo anche osservare direttamente i cavalli usati nel Rinascimento, più robusti rispetto ai più snelli cavalli antichi, poiché in battaglia questi animali dovevano sopportare armature e armi più pesanti.
Il Gattamelata, appare a capo scoperto, vestito con una robusta armatura quattrocentesca, mentre è alla guida delle truppe con il suo bastone di comando.
Seduto su una sella già munita di staffe, il condottiero ha quale ornamento sul pettorale della corazza la testa di Medusa, mentre putti e musicanti sono posti attorno alla cintura.
Donatello ci mise sei anni a realizzare quest'opera, definita uno dei massimi capolavori del Rinascimento.
Il monumento non nacque come cappella funebre, nonostante vi siano poste delle porte nell'alto piedistallo, ma come da sue volontà testamentarie, il condottiero venne sepolto all'interno della basilica del Santo.
Raggiunto Flavio, entriamo silenziosamente in basilica.



Fine VI parte.