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Una nazione dai 100 popoli

Mercoledì 09 Marzo 2011 14:55
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150° anniversario dell'Unità d'ItaliaTra qualche giorno sarà il 150° Anniversario dell'Unità d'Italia, unità discussa che contrappone Italiani e "secessionisti".
D'altronde la nostra unità nazionale non nacque dalla volontà popolare, come avvenne in Francia e in altre nazioni europee, ma grazie ad una Monarchia, che raccolse intorno a se tanti idealisti, anche di matrice repubblicana, ma che impose a gran parte degli altri Stati della penisola il suo Governo.
Personalmente credo, in maniera imprescindibile, nelle capacità di questa nazione, che mi ha dato i natali e che mi fa commuovere durante l'ascolto dell'inno nazionale, ma altresì sono fiero della mia esistenza "mandrogna", terra che mi ha cullato ascoltando i miei primi vagiti e mi ha cresciuto tra le terre rosse delle "trunere".
Inoltre, intendo proprio partire dalla mia terra, anzi correttamente, da oltre la Bormida, per festeggiare degnamente l'Unità Nazionale e partire da un po' più lontano del 1861, cioè dal 10 marzo 1821.
Ricorrenza strana, ma che ha trovato in me sempre grande enfasi, soprattutto quando ho saputo che il Nostro tricolore, in occasione del 10 marzo 2011, per celebrare il 150°, svetterà dai bastioni della cittadella di Alessandria.
Nel periodo della mia infanzia, la mia maestra delle scuole elementari ci consigliò un libro di storia locale, il cui ricavato andava al patronato scolastico, scritto dal maestro Nicola Basile, già sindaco di Alessandria, il cui titolo era "CITTA' MIA" e che mi porto a vagare per la città a scoprire la sua storia risorgimentale.
In questo libro trovai la descrizione di una lapide apposta nell'ingresso del Municipio della mia città: " La notte del 9 marzo 1821 - un manipolo di prodi - occupata la Cittadella di Alessandria - iniziava - con profetico ardimento - i moti piemontesi - e il tricolore vessillo - sventolava la prima volta - per l'indipendenza e unità d'Italia. - a perenne ricordo - il comune pose - 1881."
Dal quel giorno il tricolore sventolò per la prima volta in Alessandria.
Nei locali del Civico Museo, impolverata, trovai l'elegante epigrafe "Presago genio - d'una patria risorta - d'un popolo libero - Santorre di Santarosa - diede ad Alessandria - la gloria e l'orgoglio - di levare, prima, il tricolore- Vittorioso sconfitto - sublime nel dolore dell'esilio - cadde a Sfacceria - pugnando, oscuro milite - per le elleniche libertà. - Anima invitta - sfidando gli avversi fati - offerse - alla sua fede la vita - in nome dell'immortalità. - Alessandria - auspice l'Università popolare - nel I centenario della morte".
Pagine di "orgoglio nazionale" dimenticate anche dai libri di storia e dalla memoria cittadina. Sostare un attimo davanti alla polverosa lapide e ricordare quei fasti e quelle tragedie è doveroso per ogni cittadino italiano..

Già il Carducci ricorda il Conte Santorre di Santarosa (nativo di Savigliano) in uno dei suoi vigorosi versi delle "Odi barbare": "innanzi a tutti, o nobile Piemonte, Quei che Sfacteria dorme e in Alessandria Diè a l'aure primo tricolore, Santorre di Santarosa."
Prendendo spunto dai quei "gloriosi momenti" vorrei ricordare la Nostra Unità Nazionale, partendo con questa incredibile storia.
Dopo il 1820, così come in Spagna e nel Regno delle due Sicilie, il malcontento causato dalla Restaurazione generò diverse rivolte.
Tali manifestazioni non erano generalmente collegate tra loro ed erano per lo più spontanee dato lo stato di tensione venutosi a creare.
Negli Stati Italiani pre-unitari le insurrezioni erano organizzate dalla classe colta, rappresentata da ufficiali militari, da aristocratici, da intellettuali e da commercianti; mentre la popolazione era invece indolente, o addirittura contraria, perché stanca delle guerre e desiderosa di vivere in pace.
Nel 1798 Vittorio Emanuele I dovette abbandonare il Piemonte a causa dell'invasione napoleonica; da prima divenne esule a Roma, poi, nel 1806, si trasferì in Sardegna.
Nel frattempo, i Francesi avevano occupato l'Italia continentale, mentre la Sicilia rimase ai Borboni e la Sardegna ai Savoia.
Nel 1814, con il Congresso di Vienna, il Re riebbe il trono e ripristinò l'antico regime; inoltre la censura, molto rigida al tempo, contribuì ad aggravare il malcontento soprattutto fra i liberali.
La scintilla che in Piemonte provocò la rivolta del 10 Marzo 1821 scoccò a Torino il 11 Gennaio 1821, quando alcuni studenti, volendo assistere ad uno spettacolo al teatro d'Angennes, si presentarono ostentando un berretto frigio. La polizia ritenne ciò una grave provocazione e procedette all'arresto degli studenti. (Per intenderci, il berretto frigio era un copricapo rosso in uso presso gli antichi abitanti della Troade, Asia Minore, già adottato dai francesi come simbolo di libertà durante la rivoluzione, divenuto poi simbolo della carboneria con l'aggiunta di un fiocco nero).
Nei giorni successivi si verificarono tafferugli tra studenti universitari e Carabinieri, corpo armato allora recentemente costituito.

Gli amici degli arrestati chiesero invano la scarcerazione di quest'ultimi, ebbero, in tutta risposta, l'occupazione dell'Università di Torino da parte della Polizia. Questo esacerbò gli animi al tal punto che le società segrete dei Carbonari e dei Federati colsero questa occasione come pretesto per esigere una costituzione simile al modello spagnolo e proclamare lo "stato di guerra" con l'Austria.
La guerra all'Austria fu anche l'obiettivo dei cospiratori lombardi, capeggiati dal conte Federico Gonfalonieri. per liberare la Lombardia.
In Piemonte il capo della Carboneria piemontese, conte Santorre di Santarosa, dichiarò che, anche Carlo Alberto di Savoia-Carignano, erede presuntivo del regno d'Italia, era favorevole ad un' insurrezione
L'atteggiamento di Carlo Alberto risultò ambiguo.
Il conte Santorre di Santarosa, che stipulò un accordo con lui, dichiarò, anche in presenza del conte Lisio il Savoia-Carignano, che Carlo Alberto aveva dato il suo consenso per il giorno 6 Marzo, successivamente ritirato il giorno 7 e ridato per il giorno 8 marzo.
All'atteggiamento titubante di Carlo Alberto che si manifestò anche in altre occasioni, gli permise di vedersi affibbiati dei nomignoli come "Re Tentenna". Domenico Carbone di Carbonara Scrivia (Alessandria) ebbe l'"ardire" di comporre dei versi che ridicolizzavano il futuro Monarca:

In diebus illis c'era in Italia
un re che andava fin dalla balia
pazzo pel gioco dell'altalena
e fu chiamato Tentenna primo
or lo ninnava Biagio ora Martino
ma l'uno in fretta l'altro adagino
e il re diceva: "In fretta, adagio
bravo Martino, benone Biagio"
Ciondola, dondola
che cosa amena
dondola, ciondola
è l'altalena
un po' più celere...
meno, di più.
Ciondola, dondola
e su e giù.
Morì Tentenna, ma ancora incerto
se tener l'occhio chiuso o aperto
e fu trovato, forza dell'uso,
con l'uno aperto, con l'altro chiuso

Tornado alla storia di Alessandria, alla notte del 9 Marzo, furono fatti insorgere i militari di presenti in città, seguiti da quelli di Pinerolo, di Vercelli e di Torino con la richiesta di una costituzione sul modello spagnolo e della dichiarazione di guerra all'Austria.
La cittadella di Alessandria brulica di ardimentosi e fermenti patrioti, tra i quali si ricordano nomi importanti della nobiltà alessandrina.
La città per la sua importanza strategica, era il perno intorno a cui dovevano ruotare le operazioni della congiura e ad Alessandria i patrioti iniziarono a convergere da ogni parte.
Proprio dai "dragoni" del re sabaudo, di stanza in Alessandria, partì la rivolta.
Tra i promotori del moto costituzionale, si ricorda Giacomo Garelli, un ex ufficiale dell'esercito napoleonico, il comandante Isidoro Palma comandante del reggimento Genova, il quale ordinò l'occupazione della cittadella, arrestando il comandante della cittadella stessa.
Fu proclamata la costituzione similare a quella di Spagna e sul pennone venne innalzata la bandiera tricolore. All'alba del giorno seguente le artiglierie annunciarono la vittoria della libertà: la bandiera tricolore sventolava sui bastioni del forte e venne creato un comitato governativo provvisorio.
Questo episodio venne ricordato anche da Giosuè Carducci nei versi delle "Odi Barbare".
Vittorio Emanuele I, retrogrado e restauratore com'era, non volle assolutamente sentire parlare di costituzione e pur non amando i principi in essa contenuti, non volle mai agire con violenza nei confronti dei suoi sudditi
Pensò allora di risolvere il problema abdicando al trono in favore del fratello, Carlo Felice. Costui in quei giorni si trovava a Modena presso il nipote, il duca Francesco IV d' Asburgo, marito di Beatrice di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele I. La reggenza venne quindi affidata temporaneamente a Carlo Alberto.
Il "Re tentenna" si trovò subito davanti ad un vero dilemma: concedere o no la costituzione? Concederla significava alienarsi i conservatori, che già lo ritenevano un rivoluzionario, non concederla significava tradire gli insorti ai quali aveva dato la sua adesione. Decise così di concederla e per proteggersi da eventuali conseguenze, si adoperò affinché il sindaco di Torino, marchese Coardi di Carpeneto, firmasse un documento nel quale si dichiarava che la costituzione veniva concessa per cause di forza maggiore e per allontanare il pericolo di una guerra civile.
Carlo Felice venuto a conoscenza dell'operato del nipote, dichiarò di non riconoscere assolutamente la costituzione, invocò l'intervento dell'Austria e intimò a Carlo Alberto di recarsi immediatamente a Novara come prigioniero del generale De La Tour che era rimasto fedele al sovrano.

Intanto gli Austriaci, su richiesta di Carlo Felice, arrivarono in Piemonte con un esercito di 15000 uomini e sconfissero facilmente gli insorti a Novara l'8 Aprile 1821.
Il tricolore scese dal pennone della cittadella ed iniziarono le inevitabili repressioni. Santorre di Santarosa riuscì a fuggire, riparando prima in Francia, poi in Inghilterra e chiamato in Grecia per la rivoluzione contro i turchi troverà giaciglio eterno sull'isola di Sfacteria.
Il sangue alessandrino fu già qui versato per una unità nazionale che sembro agli insorti il raggiungimento di un sogno che rimarrà ancora tale per diversi anni.
Il tricolore segno di una volontà, non ancor popolare, iniziò a garrire al vento dai bastioni di Alessandria.