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Luci ed ombre a Torino (XLII parte)

Venerdì 01 Gennaio 2016 14:42
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Cedric DiggorySempre accompagnato da Alastor Moody facciamo visita alla chiesa dello Spirito Santo, sfruttando l'occasione dell'apertura di questa chiesa da parte di volontari del Touring Club Italiano per l'iniziativa "Aperti per voi". Infatti molte volte vi ero passato davanti, trovando sempre la cancellata davanti al sagrato della chiesa chiusa.
Nell'area dove si trova oggi la chiesa del Corpus Domini e dello Spirito Santo esisteva nel cinquecento una chiesetta a pianta rettangolare e ad abside trilobata dedicata a san Silvestro. Accanto a questa chiesetta vi era un'edicola dedicata al Santissimo Sacramento, edificata su disegno del Sannicheli del 1528, con moltissime pitture rievocanti il miracolo della lievitazione dell'ostia. La chiesa è anche sede naturale dell'arciconfraternita dello Spirito Santo.
Nel 1653 un incendio semi distrusse la chiesa dedicata a san Silvestro.
Sui suoi ruderi venne eretta nel 1662 la chiesa dello Spirito Santo, su disegno dell'architetto Bernardino Quadri, come edificio separato dalla costruenda basilica del Corpus Domini. Subì nei secoli diversi rimaneggiamenti come quella realizzata da Giovanni Battista Feroggio tra il 1765 ed il 1775. Durante la seconda guerra mondiale subì gravi danni a seguito dei bombardamenti del 1943.
Entriamo in chiesa, e una volontaria del T.C.I. ci offre un dépliant con un sunto delle cose che troveremo in chiesa, offrendosi anche di farci da guida.
La chiesa ha una pianta a croce greca ed è a navata unica, in stile barocco e termina con un'abside semicircolare.
Nel 1575 si ha la fondazione della Arciconfraternita dello Spirito Santo, con sede nella antica parrocchia di S. Silvestro, Compito della Arciconfraternita aveva anche di ammaestrare ed aiutare chi desiderava convertirsi al cattolicesimo. Infatti fu in questa chiesa che il 21 aprile 1728 avvenne la conversione al cattolicesimo da parte di Jean-Jacques Rousseau, abiurando il calvinismo. Un altro illustre convertito al cristianesimo è barone Bernhard Otto von Rehbinder, militare estone; luterano, comandante del reggimento palatino Royal Allemand, al servizio dei Savoia durante l'assedio di Torino del 1706, il cui mausoleo è nella cappella di sinistra.
In questa cappella si trova anche il quadro di Mattia Franceschini: Il battesimo di Costantino.
Sempre a sinistra, in una stanza in prossimità dell'entrata è esposta una riproduzione della Sacra Sindone.
Invece nella prima cappella di destra, vi si trova una bella statua lignea del 1400, conosciuta come "Crocifisso miracoloso". Questo crocifisso è soggetto ad una particolarmente devozione da parte dei torinesi, prezioso dono all'Arciconfraternita nel 1575.
Molto bella e necessita di un urgente restauro è il Gruppo dell'Addolorata scultura lignea policroma del 1761. Ci soffermiamo ad osservare l'altare maggiore,realizzato in marmo di Valdieri con volute in marmo giallo di Verona e ripartito in specchi di marmi verdi di Susa,con fasce di marmo rosso.
Nella porta del tabernacolo si trova un bassorilievo ligneo che rappresenta il sacrificio di Melchisedec. Quest'ultimo è attribuito a Stefano Clemente.
Sotto il tavolo della Mensa, sostenuta da due angeli in marmo bianco, si trova il corpo di san Vittorio Martire. Consegnato il 4 maggio 1743 dal papa Benedetto XIV con bolla pontificia alla custodia dell'Arciconfraternita.
Dietro l'altare maggiore si trova un quadro settecentesco che raffigura la discesa dello Spirito Santo, anche il coro è molto bello e risale al 1600 circa. Gli stalli disposti a emiciclo su tre file, sono scolpiti in legno di noce e lo stallo/ cattedra centrale è sormontata da un baldacchino sorretto da cherubini.
La nostra guida ci permette di vedere anche la sagrestia, locali molto antichi con mobili di arte povera, risalenti al seicento e settecento, unitamente ad alcuni quadri sacri del settecento che necessitano tutti di urgenti restauri.
Nel corridoio d'accesso alla sagrestia, sempre la nostra guida, una gentile signora sulla sessantina, ci mostra dove era conservato un pregevole crocifisso di Pietro Piffetti, primo ebanista di corte dal re Carlo Emanuele III, che recentemente restaurato e completato con gli apparati argentei che furono recentemente ritrovati nascosti in una cassa, forse nascosti per evitare di essere trafugati. Oggi il crocifisso del Piffetti fa bella mostra nella cappella di destra della chiesa.
Lasciamo la chiesa dello Spirito Santo, sul sagrato ci congediamo amichevolmente con l'impegno di rivederci presto, magari avendo l'occasione di pranzare insieme.
Raggiungo così piazza del Corpus Domini, già piazza del grano.
Questa piazza fu lo scenario del "miracolo eucaristico", infatti la credenza popolare vuole che un prodigioso evento vi sarebbe accaduto il 6 giugno del 1453. Ripercorriamo la vicenda, che ha luogo sotto il regno di Ludovico di Savoia, mentre il Piemonte era in guerra con la Francia. La vicenda ha inizio nel villaggio di Exilles, in Val di Susa. Secondo tradizione, nel saccheggio che seguì l'occupazione, due uomini della soldataglia fossero entrati a forza nella chiesa di San Pietro Apostolo e l'avessero depredata, non risparmiando nemmeno il Santissimo Sacramento, contenente le particole benedette. Per rivendere il bottino, raggiunsero Torino il 6 giugno, festa del Corpus Domini. In piazza del grano, il mulo che trasportava la refurtiva inciampò e cadde, rompendo i sacchi e nella caduta facendo fuoriuscire il maltolto. Si narra che la particola benedetta, librandosi in aria, abbia illuminato l'intera piazza. Chiamato il vescovo Ludovico da Romagnano, recitate diverse preghiere, l'ostia si sarebbe deposta dentro il calice rubato dai ladri, poi portato in processione nel duomo di Torino. Lo storico Luigi Cibrario, così ci riferisce l'episodio:
«... rottasi frattanto la valigia, apparve il sacro vaso coll'ostia, la quale subitamente si levò in alto, cinta di bei fulgori, e tanto vi rimase che il vescovo Ludovico da Romagnano venne processionalmente col clero, e la ricevette nell'aureo calice che umilmente le pretendeva.»(Luigi Cibrario, Storia di Torino.)
Il 25 agosto 1510 il Consiglio della Credenza Maggiore del Comune deliberò l'edificazione di una piccola cappella in piazza del mercato del grano, nelle adiacenze della locale chiesa di San Silvestro. Ma solo nel 1521 l'arcivescovo di Torino Innocenzo Cybo dispone l'edificazione di un oratorio.
Il progetto venne affidato a Matteo Sanmicheli, di Saluzzo, L'oratorio era di piccole dimensioni venne completato nel 1529, per essere poi demolito nel 1609 per far posto all'attuale basilica.
La basilica del Corpus Domini che oggi si prospetta sull'omonima piazza è in stile barocco, eretta a perenne ricordo del grande miracolo eucaristico e per mantenere fede ad un voto, fatto dalla Comunità di Torino durante un'epidemia di peste. Fu realizzata abbattendo l'oratorio per far posto ad un degno santuario.
Una scritta che fu poi posta sulla facciata ricorda il legame tra la chiesa e il voto:
HIC VBI PROFVGVM CHRISTI CORPVS
SVBDIALEM SIBI STATIONEM OBITER ELEGIT
AVGVSTVM HOC ET MANSVRVM
NVMINI DOMICILIVM CIVIBVS PERFVGIVM
TAVRINENSIS AVGVSTA
CISALPINOS POPVLOS DEPOPVLANTE TABE
PRO CIVIVM SALVTE DEVOVIT
ANNO MDLXXXXVIII
tradotto dovrebbe significare
Qui dove l'esule Corpo di Cristo
Si elesse passando provvisoria dimora
Questo augusto e duraturo
Domicilio del Signore e ricovero dei cittadini
Augusta Taurinense
Mentre la peste straziava i popoli cisalpini
Offrì in voto per la salvezza degli abitanti
Anno 1598
Il progetto della basilica venne affidato ad Ascanio Vittozzi nel 1603, ma i lavori iniziarono solo nel 1607, quando fu posta la prima pietra «alla presenza di Carlo Emanuele I. La bella facciata è di Amedeo di Castellamonte.
Dal 1753, trecentesimo anniversario del miracolo, Carlo Emanuele III di Savoia, affidò a Benedetto Alfieri l'incarico di ampliare con stucchi e dorature le decorazioni interne. Altri lavori furono eseguiti nel tempo come quelli di Luigi Vacca che dipinse nel 1853 gli affreschi delle volte. Papa Pio XI, elevò la chiesa a basilica minore il 2 agosto 1928.
Durante la seconda guerra mondiale le bombe ne sfondarono il tetto danneggiando in particolare l'altare, la cappella di San Carlo, l'organo e la sagrestia, la basilica fu oggetto di interventi di recupero all'inizio degli anni cinquanta. Mentre ne osservo l'imponente facciata, vedo venirmi incontro Cedric Diggory. Continuando ad osservare la facciata, posso osservare che questa è composta da sei pilastri e quattro colonne, che sorreggono le trabeazioni, una serie di statue della seconda metà del XVIII secolo la decorano, credo opera di Bernardo Falconi.
In alto a sinistra: Angelo che reca il pane a Elia, a memoria dell'episodio in cui il pane diede al profeta la forza di salire in vetta al monte Oreb e parlare con Dio;
in alto a destra: Melchisedec questa figura emblematica e misteriosa nell'Antico testamento, della Tanakh o Bibbia ebraica.
Nella Bibbia è identificato come re del regno di Salem (che si ritiene fosse l'antica Gerusalemme) e come Sacerdote dell'altissimo Dio; secondo l'esegesi ebraica si tratta di Shem, figlio di Noè.
che porta i pani simbolici;
in basso a sinistra: Mosè con un vaso di manna; in basso a destra: Sansone con un leone (emblema della forza) e sul fianco in mano, un favo di miele (emblema della dolcezza).
Rimango sul sagrato della basilica, in attesa che Cedric Diggory mi raggiunga.
Si tratta di un uomo sulla trentina che però ha mantenuto uno spirito assai giovanile e festaiolo. È sempre molto allegro e adora stare in buona compagnia, spesso cerca di attirare l'attenzione su di sé aumentando un po' il volume della propria voce per poter far udire a tutti la "brillante" battuta che gli è sopravvenuta al momento con il lato positivo che però nella maggior parte dei casi fa colpo. Oltretutto è molto spigliato e si trova a proprio agio a parlare in pubblico. Ha decisamente un atteggiamento nel parlato e nei modi molto effeminato, così come anche il tono cantilenato della voce, leggermente squillante. Adora scimmiottare gli altri quando racconta aneddoti e (soprattutto) pettegolezzi, non facendo mai mancare espressioni del volto che enfatizzano il discorso in atto e addirittura l'imitazione delle voci. Si tratta di un personaggio buono, sempre pronto ad aiutare gli altri e a fornire il suo personale supporto psicologico spicciolo. La sua pecca più grande è una piccola vena di opportunismo che fa sì che si ritrovi a cambiare direzione in base a dove tira il vento. Fisicamente è di corporatura normale, alto non più di 1,70. Porta sempre degli abiti di taglia più grande della sua e molto colorati, tipici di chi vuole lasciar credere di avere un lato anticonformista, così come i suoi vari piercing in volto. Ha i capelli neri e lisci, che ormai stanno indietreggiando lasciando in avanscoperta solo la punta della vedova e due basette troppo lunghe ed ampie che arrivano molto vicino alla pronunciata fossetta che ha sul mento. Gli occhi sono sottili e diventano subito due fessure non appena accenna ogni piccolo sorriso, sono sovrastati da sopracciglia unite tra loro da più radi peletti. In complesso è sempre ben curato e perfettamente sbarbato, sempre per non falsare la sua ormai consolidata immagine di eterno ragazzino.
Il Cedric Diggory della Hogwarts della Rowling ha poco in comune con quella torinese, in entrambe però non sono mangiamorte nè appartengono alla casa dei Serpeverde ma in Tassorosso.
Cedric è il figlio di Amos Diggory, impiegato del Ministero della Magia, e che si dimostra particolarmente orgoglioso del figlio e, contrariamente alla volontà di quest'ultimo, non fa altro che vantarne le qualità.
La Rowling non descrive molto l'aspetto fisico di Cedric Diggory, semplicemente scrive che era un ragazzo molto bello di circa diciassette anni. Capitano e Cercatore della squadra di Quidditch della casa di Tassorosso a Hogwarts. Poi dai discorsi lascia intendere che è un ragazzo che non si dà delle arie, bensì è molto umile, altruista con gli altri.
Cedric Diggory,mi viene incontro sorridendo, è un po trafelato perché deve andare a prendere la figlia ed è già in ritardo. Ci scambiamo degli affettuosi convenevoli salutandoci amichevolmente.
Entro all'interno della basilica che è a unica navata, di puro gusto del barocco con decorazioni marmoree con tonalità nere e rosse alternate. Mi avvicino subito alla cancellata di protezione in ferro battuto, dove è la lapide, che ricorda il luogo esatto del miracolo, intorno alla quale è stata realizzata la basilica. Sulla lapide si trova l'iscrizione che ricorda il miracolo:
HIC DIVINI CORPORIS AVECTOR
IVMENTVM PROCVBVIT
HIC SACRA SESE HOSTIA SARCINIS EMANCIPATA
IN AVRAS EXTVLIT
HIC SVPPLICES IN TAVRINENSIVM MANVS
CLEMENS DESCENDIT
HIC ERGO SANCTVM PRODIGIO LOCVM
MEMOR SVPPLEX PRONVS
VENERARE AVT VERERE
DIE VI IVNII ANNO DNI 1453
tradotto dovrebbe dire:
Qui cadde il giumento che trasportava
Il corpo divino
Qui la sacra ostia scioltasi dai lacci
Si librò nell'aria
Qui nelle mani supplichevoli dei torinesi
Discese clemente
Qui dunque il luogo sacro al prodigio
Memore supplice chino
Venera e temi
Il 6 di giugno dell'anno del Signore 1453
Faccio un rapidissimo giro intorno alla basilica, giusto il tempo di ammirare il seicento altare maggiore, opera di Francesco Lanfranchi. La pala, che raffigura il miracolo, venne dipinta da Bartolomeo Caravoglia nel 1667 mentre il tabernacolo, opera di Bernardo Antonio Vittone, è del 1768. Sempre l'altare, circondato da colonne tortili e decorato da sculture che raffigurano Fede, Speranza e Carità. Basta alzare gli occhi per vedere gli affreschi della volta spirati ad alcuni momenti legati al miracolo eucaristico, e rappresentano il furto, l'elevazione dell'ostia e il trasporto dell'ostia nel tabernacolo della cattedrale.
La navata è attorniata da sei cappelle. Nella cappella di san Giuseppe, l'altare settecentesco è di Filippo Juvarra con bei tre dipinti (Sposalizio della Vergine, Visione di san Giuseppe, Transito di san Giuseppe); una seconda cappella, posta a sinistra, dedicata a san Carlo, possiede anch'esso un bell'altare del settecentesco, ma quello che colpisce è la sua pala, raffigurante san Carlo Borromeo con san Francesco di Sales, perché opera di Agostino Cottolengo, fratello del santo torinese san Giuseppe Benedetto Cottolengo, sempre sulla parete di questa cappella c'è il dipinto: Comunione di San Carlo, del 1752 di Francesco Antonio Mayerle.
Sono molte le personalità collegate alla basilica, che ha sempre ricoperto ruoli di rilievo nella religiosità torinese. Primo fra tutti, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, membro della congregazione del Corpus Domini e che fu vicecurato di questa parrocchia. Si narra che fu proprio in questa chiesa che egli ebbe l'ispirazione che l'avrebbe poi portato a creare la sua Piccola Casa della Divina Provvidenza, quando assistette alla morte di Giovanna Maria Gonnet, il 2 settembre 1827. Costei fu rifiutata dagli ospedali nonostante la sua malattia, da cui l'ispirazione della creazione di un ricovero per gli ammalati. Una statua eseguita da Davide Calandra nel 1917 collocata nella cappella di San Giuseppe ricorda il santo.
Un altro esimio sacerdote è legato a questa basilica, si tratta di padre Sebastiano Valfrè, che due secoli prima del Cottolengo, fu parroco del Corpus Domini, appartenente alla comunità di dodici sacerdoti filippini chiamati alla gestione della parrocchia dalla reggente Maria Cristina di Borbone-Francia.
Un'altra prestigiosa figura legate a questa chiesa, è san Giuseppe Marello, che vi fu battezzato il 26 dicembre 1844, lo stesso giorno della nascita. Costui fu anche Vescovo di Acqui Terme.
Uscito dalla basilica, alzando gli occhi, all'altezza del primo piano, come quasi sempre a Torino, vedo una lapide che ricorda Gaspero Barbèra, nato a Torino, 12 gennaio 1818 da una modesta famiglia che lavoro come tipografo e poi editore quando spostatosi a Firenze, dove vi morirà il 13 marzo 1880 nel 1854 a Firenze riuscì ad aprire una propria stamperia, grazie all'aiuto del marchese Gualterio. Sempre a Firenze dal 1840 per quattordici anni presso la Casa Editrice di Felice Le Monnier. Fu anche scrittore con le Memorie di un editore (1818-1880), che furono pubblicate postume nel 1883 nella Collezione Gialla, a cura dei figli. Oggi lo chiameremo "Talent scout" per aver il merito di aver compreso molti ingegni come il Carducci e il De Amicis.
Proprio sotto i portici di via Palazzo di Città, una lapide ricorda, in quella "casa dalla volta rossa", per via dei soffitti d'ingresso color rosso, come è ancora chiamata oggi dai torinesi, la prima sede della Piccola casa della divina provvidenza, conosciuta anche con il nome di Cottolengo dal nome del suo fondatore san Giuseppe Benedetto Cottolengo, parroco della vicina basilica del Corpus Domini. Con questa piccola opera di carità, che fu aperta il 17 gennaio 1828 inizia la lunga storia della Piccola casa della divina provvidenza, all'epoca tale istituzione operava sotto il controllo della Congregazione del Corpus Domini, ed era chiamata il Deposito dei poveri infermi del Corpus Domini, era una sorta d'infermeria con 4 posti letto, poi nel 1831 il Deposito fu chiuso per la contingente epidemia di colera e il Cottolengo, com'era noto il sacerdote e sempre più spesso il suo ricovero, si trasferì in Borgo Dora. L'istituto accoglieva epilettici, dementi e sordomuti e nessuno veniva rifiutato.
Sempre sul palazzo di fronte alla basilica, alzando gli occhi, sul settecentesco edificio all'angolo tra piazza Corpus Domini e via Palazzo di Città,sopra al civico 19,sullo spigolo, all'altezza del quarto piano fa nella mostra un elemento incongruo per una piazza che vorrebbe essere scrigno di misticità e sacralità. A suo modo e forse provocatoriamente, il palazzo si è fatto un "piercing". Noto ai torinesi come il "palazzo col piercing". Quest'opera di arte moderna, è stata creata nel 1996, dal noto architetto Corrado Levi in collaborazione con il gruppo di giovani artisti e architetti, diventando ben presto uno dei simboli della Torino. Il "piercing" era nato come installazione temporanea, per un'iniziativa estemporanea ed era stato pensato, ma oggi è ancora al suo posto e vuole provocare il viandante ricordandogli che la città è comunque una città alternativa, giovane e innovativa. Il vero nome di questa opera è "Baci Urbani".
Osservandolo bene, dal "piercing", sembra, sgorgare del sangue (ovviamente dipinto) di colore rosso a destra e blu a sinistra.
In questa via sono state girate delle belle scene de film "Vincere"; un film storico del 2009, diretto e sceneggiato da Marco Bellocchio, con la partecipazione di Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi come principali interpreti. Il film narra la storia di Benito Albino Dalser, figlio del dittatore Benito Mussolini e di Ida Irene Dalser.
Le vicende partono dall'anno in cui Mussolini conobbe la Dalser fino a quando il loro figlio viene rinchiuso in manicomio. È la storia dell'amore tormentato di Ida e non corrisposto dal giovane Mussolini, che prima se ne invaghisce, e poi la ripudia, facendo internare anche lei in manicomio, perché troppo invadente ed imbarazzante.



Fine XLII parte.