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Il pittore dell'acqua

Mercoledì 11 Maggio 2016 11:42
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Impression, soleil levantÈ una giornata d'inverno dai colori grigi e un freddo secco e pungente. Decido di andare a vedere un'importante mostra di pittura alla G.A.M. di Torino. Ne hanno scritto tutti i giornali, ne hanno parlato amici e conoscenti. Questi quadri ho già avuto modo di vederli al Museo d'Orsay a Parigi, ma voglio rivederli all'interno di una cornice diversa.
Giunto a Torino con il mio amico Daniele, dopo aver cercato un parcheggio libero per diverso tempo, ci avventuriamo verso la Galleria d'Arte Moderna. La coda alla biglietteria è lunghissima, per fortuna avevamo prenotato una visita guidata e pertanto riusciamo ad entrare abbastanza agevolmente. La guida ci consegna gli auricolari e con lei ci inoltriamo nel mondo di Claude Oscar Monet. È un viaggio interessante ed esaltante. Mentre la guida ripercorre la vita del pittore, raccontandone i momenti più salienti, io mi abbandono a osservare i capolavori del più grande artista dell'Impressionismo.
Sono stato sempre affascinato dalla la tecnica che utilizzano i pittori impressionisti nel dipingere.
Essa nasce dalla scelta di rappresentare solo e soltanto la realtà visibile. Si cerca di riprodurre la sensazione ottica con la maggior fedeltà possibile. Inoltre l'impressionista abolisce il disegno o lo schizzo di ciò che va a ritrarre, usando da subito il colore.
È lo studio del colore e della luce, la cui azione modifica continuamente l'aspetto delle cose, che rende il pittore impressionista diverso dagli altri artisti.
I colori puri e luminosi sono i protagonisti del dipinto e anche le ombre sono colorate, perché vi è un cambiamento continuo dei riflessi, delle luci, delle semioscurità. Una scommessa enorme per gli anni in cui visse Monet.
Monet in una rara intervista rilasciata a François Thiébault-Sisson nel 1900, in occasione di una mostra che il pittore tenne presso le Galerie Durand-Ruel si definì un Parigino di Parigi non nascondendo però l'infanzia trascorsa a Le Havre sulla costa normanna, dove la famiglia si trasferì nel 1845, fu la permanenza in questo luogo che gli permise di avvicinarsi ed apprezzare i colori della natura.
Nella stessa intervista, ebbe difficoltà a raccontare come nella sua infanzia fosse stato abbastanza indisciplinato. Lo stesso Monet affermò infatti che furono anni essenzialmente vagabondi "Ero indisciplinato per natura; nessuno è mai stato capace di sottomettermi a qualche regola, neanche durante l'infanzia. La scuola mi ha sempre fatto l'effetto di una prigione e non sono mai riuscito ad adattarmici, neanche a restarci per quattro ore al giorno quando il sole splendeva così invitante, il mare era talmente bello ed era così piacevole stare all'aria aperta, girovagando sulle scogliere o sguazzando nell'acqua". Questo temperamento ardito e irrequieto lo contraddistinse tutta la vita e le sue opere ne sono la testimonianza.
Fuori dei canoni classici della pittura ottocentesca, Monet iniziò a dipingere paesaggi naturali, il pennello pare vibrare sulla tela e le pennellate spesse e decise rappresentano anche una forza d'animo che va oltre al solo e semplice rappresentare ma pare voglia raccontare. Le ripide muraglie della Creuse, le languide rive della Senna, gli stagni tappezzati di ninfee su cui si specchiano gli Iris, sono i colori selvatici della natura. La natura è nobilitata da Monet attraverso le trasparenze delle nebbie, la placida dolcezza delle nuvole e la pacatezza dei paesaggi agresti. Il pittore ricorre ad essa per trovare serenità e per rappresentare l'irrequietezza di ciò con non è standardizzabile in colori semplici e definiti.
Ancora nella sua intervista, racconta come fu difficile per lui andare a studiare da pittori già affermati. Mentre, se da un lato ricorda l'odio e poi amore per il suo primo maestro a Le Havre, Boudin, che lo indirizzò al paesaggio en plein air, diversamente ricorda l'esperienza parigina di studio da Gleyre. Così descrive quel periodo passato a ritrarre nudi dal vero nello studio di Gleyre: "La settimana seguente, quando passò davanti a me, si calò pesantemente sulla mia sedia e osservò con attenzione il mio lavoro. Lo vedo ancora girarsi verso di me, inclinando con aria soddisfatta la faccia seria e sento che mi dice sorridendo: "Niente male! Davvero niente male questa roba, ma è troppo simile al modello in carne e ossa. Ha davanti un tizio tracagnotto, e tracagnotto lei lo raffigura. Ha piedi enormi, e lei li riproduce tali e quali. Tutto questo è molto brutto. Si ricordi giovanotto, che quando si esegue una figura ci si deve rifare sempre all'antico. La natura amico mio è perfetta come lo strumento di studio, ma non ha alcun interesse. Lo stile, è la sola cosa che conta". Ero allibito. La verità, la vita, la natura, tutto ciò che mi suscitava emozione, tutto ciò che ai miei occhi costituiva l'essenza stessa dell'arte, la sua unica ragione d'essere, per quest'uomo non esisteva. Non sarei rimasto con lui."
Il tratto distintivo di Monet era sicuramente il suo saldo ego. Rimase fermo sulla sua visione dell'arte e del mondo della pittura anche quando dovette affrontare la miseria e l'incomprensione.
Mentre la nostra Guida, continua a illustrare i 40 capolavori di Claude Monet, noto con piacere l'interesse con cui il mio amico Daniele segue le sue spiegazioni, insieme ad un'altra vecchia conoscenza, Paola, che ho ritrovato nel nostro gruppo in visita alla mostra. Non ho mai legato molto con lei e ci ha tenuto insieme solo un sottilissimo filo di conoscenze e frequentazioni che fortunatamente ho da tempo abbandonato.
La nostra accompagnatrice, spiega con dovizia di particolari "Déjeuner sur l'herbe - Colazione sull'erba". Dipinto su tela fra il 1865 e il 1866. L'idea iniziale era di farlo molto grande, sei metri per quattro e esporlo al Salon del 1866. Ma Monet non riuscì a completare quest'opera e quindi non la presentò mai. Il tema del quadro era stato pensato e realizzato come risposta a "Colazione sull'erba" di Edouard Manet, che aveva suscitato tanto scalpore al Salon de Refugés del 1863. In questa mostra sono anche esposti il ritratto di Madame Louis Joachim Gaudibert che sfrontatamente non ritrae né di profilo né di fronte ma leggermente voltata, come se importasse più il colore dei vestiti che il viso stesso del suo modello. D'altra parte di lui si ha un solo autoritratto, fortunatamente Pierre-Auguste Renoir lo aveva ritratto in giovane età nel 1875, poi fu inventata la fotografia e quindi si hanno immagini di Claude Monet.
Il celebre "Impression, soleil levant", estremamente importante perché è da esso che prenderà il nome il gruppo degli impressionisti, non è esposto alla G.A.M. ma la Guida ne offre ampia descrizione, introducendo così tutta la storia del movimento impressionista.
Infatti questa opera fu esposta nel 1874 alla prima mostra indipendente degli impressionisti (non ancora conosciuti sotto questo nome). Il critico Louis Leroy, ispirandosi al nome del quadro, intitolò la sua recensione, con intento dispregiativo, "L'esposizione degli impressionisti". Gli impressionisti, però, adottarono questo nome proprio in spregio alla critica. Questo quadro fu rubato nel 1985 dal Musée Marmottan di Parigi, venendo poi ritrovato nel 1990.
Monet ebbe modo di conoscere Pissarro, Sisley, Renoir, Bazille e con loro condividere tante avventure e sventure. La vita lunga ma tormentata di Monet è comunque sempre osservata con il suo occhio limpido sulle cose, tant'è che dice di sì a tutto, alla luce, alla natura, al suo inevitabile destino di pittore.
I campi di tulipani e di papaveri confondono con il suo forte colore rosso il pubblico vagante inebetito. Colori forti e decisi che lo stesso Monet cerca e ripropone nei quadri che dipinge sulla costa del mediterraneo, dove attraverso la varietà dei colori, nelle loro varie tonalità riesce a rendere i suoi quadri ineguagliabili.
I visitatori si soffermano a osservare un quadro realizzato nel 1886, "Femme à l'ombrelle tournée vers la droite". La tela ritrae una Suzanne Hoschedé (figlia di Alice Hoschedé), e moglie di Theodore Earl Butler, a figura intera in mezzo ad un prato in una bella giornata di sole ma ventosa, intenta a ripararsi dai raggi con un parasole. I colori, chiari e luminosi, sembrano trarre forza dal vento, tanto da renderli vividi e confondersi in un complesso impasto cromatico. Io invece preferisco il Monet dell'acqua. Infatti amo definirlo il pittore dell'acqua, elemento che ritrae costantemente, di cui ne riesce a cogliere i colori, le sfumature e il movimento o la sua stessa trasformazione come nei dipinti con la neve. Dipinge la neve talmente reale da non essere bianca e candida come vuole l'immaginario collettivo, ma la sua pennellata, spessa, tirata se non addirittura schiacciata, rende il quadro una fotografia, quasi sfocata. Il Monet delle Marine, il pittore di Argenteuil, località che sorge lungo la Senna, poco a nord di Parigi. L'elemento acqua che ricorre spesso nella produzione di Monet ne fanno il mio pittore impressionista preferito. L'interesse del pittore per l'acqua, e per le immagini che vi si riflettevano, è sempre stato costante in tutta la sua produzione artistica, infatti Monet si fece costruire un atelier galleggiante: un barcone, in pratica, che egli aveva adattato a studio mobile, con il quale poteva navigare sulla Senna e cogliere tutte le impressioni en plein air che poi trasmetteva sulla tela.
La mostra chiude con "La cattedrale di Rouedei". Il soggetto viene replicato in ore e condizioni di luminosità diverse. Sempre dalla stessa posizione, ossia vista da un alloggio posto di fronte alla cattedrale. Ogni quadro così risulta diverso dall'altro, anche se ne rimane riconoscibile la forma di base, proprio per il gioco di luci ed ombre e riverberi evanescenti quasi vaporizzati.
Posso tranquillamente affermare che la mostra su Monet alla G.A.M ha ben rappresentato l'artista, il suo secolo, ha raccolto tutte le caratteristiche della pittura en plein air e il modo caparbio in cui Monet ha cambiato il modo di intendere la pittura. Molti i quadri visti e non citati come "La rue Montorgueil, à Paris". "Fête du 30 juin 1878", "Londres", "Le Parlement", ecc.
Lascio la mostra, salutando anche uno degli accompagnatori, Carlo, una mia vecchia conoscenza. Un giovane ragazzo di grande cultura che ho avuto modo di apprezzare durante i miei trascorsi torinesi.
Durante il viaggio di ritorno commento con Daniele la grande rivoluzione che l'Impressionismo diede al modo di dipingere e sulla lettura poetica dei quadri. Dal punto di vista della poetica l'Impressionismo divenne lo stile della dolce vita parigina, anche se non c'è, volutamente, alcuna romantica evasione verso mondi idilliaci. Ma c'è la volontà dichiarata di calarsi interamente nella realtà urbana di quegli anni per evidenziarne tutti i lati positivi e piacevoli. Ciò la rendeva reale e contemporanea, schietta, diretta e più viva che il neoclassicismo imperante fino nella seconda metà del XIX secolo imponeva.