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Notte tricolore

Venerdì 18 Marzo 2011 22:22
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Mole tricoloreDa giorni avevo programmato la mia partecipazione alla "notte tricolore" che la prima capitale d'Italia aveva organizzato in occasione della ricorrenza del 150 genetliaco della nostra nazione.
Imprevisti di lavoro, stavano allontanando questo importante appuntamento, non più ripetibile per la mia vita.
Però poi i colleghi riescono ad organizzare un turno di lavoro che mi permette di assentarmi il tempo necessario per parteciparvi.
Non riuscirò certo a godermi per intero l'evento, ma sicuramente godrò appieno le poche ore che mi sono concesse, anche se con l'angoscia di un rapido rientro.
Con i cellulari ben caricati di energia, mi dirigo con occhi stanchi verso l'autostrada che mi condurrà nella capitale sabauda, non prima però di essere passato un attimo in via Vochieri, davanti alla casa natale di un giovane alessandrino che diede la propria vita a favore di quell'Italia unita per la quale io corro a festeggiarne l'anniversario.
Una lapide davanti casa ne ricorda le gesta:
"nacque ed abitò in questa casa - Andrea Vochieri - della Giovane Italia eroico figlio - che suggello col sangue - l'amore alla libertà e alla Patria - a gloria eterna del Martire - ad esecrazione di tristi tempi - auspice il circolo operaio A. Vochieri - i cittadini consacrano - 1 luglio 1883"
Ci passo volutamente, davanti a quella abitazione, una sola bandiera dal balcone dell'ultimo piano di questa casa ricorda un avvenimento così importate.
Tanti sono gli alessandrini che spesero la loro vita per l'unità nazionale e che sono stati dimenticati; ho scelto questo per "comodità" Andrea Vochieri, ma il pensiero va a molti altri concittadini.
Mentre percorro l'A21 in compagnia di Matteo, un mio conoscente, ricostruisco mentalmente la storia di questo patriota alessandrino.
Andrea Vochieri, di cui un monumento dimenticato nei giardini della Stazione ferroviaria, ne racconta le virtù con un epigrafe: " Ad Andrea Vochieri - ucciso nel 1833 - per l'Italia e pel popolo - nel 1855 - mutati tempi e governi - il popolo - può pubblico alzare - il monumento - decretandogli in cuore - da ventidue anni - vittima ieri, oggi trionfa. Non disperate mai nel domami".
Anche l'obelisco in piazzetta della Lega ne ricorda il martirio con il suo primo nome inciso in alto.

Andrea Vochieri nasce in Alessandria nel 1796, dopo aver svolto gli studi classici ad Alessandria si laurea in legge all'Università di Torino esercitando la professione forense nella sua città natale.
Entrato in contatto con esponenti liberali già in Università, cominciò a manifestare le sue idee partecipando ai moti del 1821.
Costretto ad abbandonare il sabaudo Piemonte all'indomani dell'8 aprile 1821, giorno in cui partecipò allo scontro armato tra l'improvvisato esercito rivoluzionario e gli austriaci, trovò rifugio a Barcellona dopo essersi imbarcato a Genova sul brigantino "Speranza" insieme ad altri fuggiaschi dalle repressioni messe in atto dal Re Carlo Felice.

Rientrato negli stati sabaudi fu condannato a due anni di sorveglianza speciale ed inviato in esilio a Varallo. Per un decennio si dedicò alla professione e alla famiglia, sposò Margherita PERENO ed ebbe tre figli, poi attratto dal pensiero mazziniano aderì alla Giovine Italia.
Iniziò a promuovere le idee mazziniane tra i militari del 1° e 2° Reggimento della Brigata "Cuneo" di guarnigione in Alessandria che frequentavano il Caffè Barozzi.
A causa della delazione fatta dal sergente Cesare Seguret, veniva arrestato nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 1833 proprio nella casa di via Vochieri, ciò per volontà del Governatore di Alessandria, Conte Gabriele Galateri di Genola e venne rinchiuso nelle carceri del Palazzo dei Governatori in Cittadella.
La cella è ancora visitabile, ove mano ignota indicò con misero cartello di carta il luogo e le catene a cui fu legato il nostro illustre concittadino.
Sottoposto a processo sommario e nonostante fosse un civile, fu giudicato da una corte marziale e condannato alla pena capitale tramite fucilazione. Così recitava la sentenza del 20 Giugno 1833:
"Il consiglio di guerra divisionario, convocato d'ordine di S.E. il sig. Governatore Comandante Generale di questa Divisione, il 20 giugno 1833 nella Cittadella di Alessandria per giudicare VOCHIERI Andrea fu Giovanni, d'anni 35, causidico, nativo e residente in detta città, detenuto e inquisito:
  1. d'alto tradimento militare, per avere da alcuni mesi prima del di lui arresto, tenuto pratiche, e usato mezzi di subordinazione, distribuendo in questa città scritti sediziosi, e segnatamente «La Giovine Italia», a diversi militari per indurli a entrare in cospirazione di cui esso faceva parte, tendente a sconvolgere, a distruggere l'attuale Governo di S.M. per sostituirvi la Repubblica, come di fatti gli riuscì di associare, e far entrare in essa li già condannati a morte ignominiosa MENARDI Giuseppe e VIORA Luigi, ambedue Furieri del Primo reggimento della Brigata Cuneo.
  2. Di essere detentore di manoscritto incendiario, ed insultante la Sacra persona di S.M., rinvenuto in sua casa in occasione del di lui arresto.
Invocato il divino aiuto:
avendo sentita la relazione degli atti del processo fatta dall'Uditore di guerra di questa Divisione, l'inquisito nelle sue risposte, il Fisco nelle sue conclusioni, ed il difensore nelle difese, e ritenute le disposizioni degli articoli 3 e 144 R. editto Penale Militare 27 agosto 1822 non meno che il R. Viglietto primo andante mese, dichiara il detto Andrea VOCHIERI convinto degli avanti ascrittogli delitti, e lo condanna nella pena di morte ignominiosa. - Per detto R. Consiglio di guerra Divisionario: Saracco Segr. - Visto si manda eseguire l'avanti sentenza secondo sua forma e tenore. Dal Palazzo Governativo di Alessandria il 20 Giugno 1833 - il Governatore Galateri.
"
Qualche giorno prima aveva già scritto una lettera di commiato indirizzata alla moglie e ai figli, che pur nascosta nella sua cella fu ritrovata dai carcerieri.
Documento di poche parole ma estremamente esplicito dell'ardente fede mazziniana che considero un importante testamento politico ma che contribuì a provare la sua colpevolezza.

Voglio riproporvela come atto d'amore alla famiglia e alla Patria da lui sognata e da noi vissuta.
"Moglie mia, conserva questo scritto ad eterna gloria di tuo marito ed insegnalo a' miei figli ed amici.
Italiani, fratelli! Io muoio tranquillo perché quantunque calunniato e tradito seppi tacere per non compromettere alcuno dè tanti miei fratelli.
Io muoio tranquillo perché non ho voluto riscattare dal tiranno piemontese la mia vita, come mi venne offerto, col tradimento e collo spergiuro.
Io muoio tranquillo perché vero e costante figlio della «Giovane Italia».
Infine io muoio. O Italiani, infamando coll'estrema mia voce tutti i despoti della terra e loro satelliti: muoio animandovi ad unirvi, ed a sacrificare il vostro sangue per la libertà, l'indipendenza, e rigenerazione dell'infelice vostra patria.
Ai miei figli: Questo è l'unico tesoro che vi lascia vostro padre prima di morire glorioso per la sua patria."

Come non riempirsi il cuore e l'anima, come non far correre il pensiero al così sublime ideale, come non guardare con sguardo compassionevole coloro che non sanno apprezzare il sacrificio altrui per offrirci oggi lo spirito di Libertà e di festa.

Il martire nostrano fu portato al suo supplizio qualche giorno dopo, il 22 giugno, conducendolo in piazza d'armi, (attuale piazza Matteotti, conosciuta anche come piazza Genova), facendolo transitare sotto le finestre di casa sua, ove la moglie e i figli erano in preda allo sgomento per l'imminente esecuzione.
Tale uccisione fu compiuta sul lato opposto all'Arco trionfale, da un plotone di inesperti gendarmi di custodia genovesi che resero particolarmente esecranda l'esecuzione.
Il Brofferio scrisse che affrontò l'ultimo suo viaggio senza dare segni di rabbia o di dispetto, dimostrando di saper morire coraggiosamente per quegli ideali che lo avevano animato per tutta la sua vita.

Con questi ricordi, entro nella città che diede i natali alla nostra Nazione, è un lungo serpentone di auto che dal casello si trascina fino in centro e benché io sia partito molto tardi sono riuscito ad arrivare in tempo per far parte della coda di automobili che entrano in città.
Il passo delle auto è lentissimo, intervallato dai semafori. I manifesti e i grandi cartelli che inneggiano all'unità d'Italia ci accompagnano nel percorso alla ricerca di un posto auto.
Con Matteo commentiamo la moltitudine di persone che si infila tra un auto e l'altra, tutte in direzione di piazza Vittorio o comunque lungo i murazzi torinesi.
Trovato parcheggio, non senza difficoltà e comunque con quei colpi di fortuna che possono accadere ogni 150 anni, ci infiliamo nella massa di persone che si sposta verso via Po.
Difficile descrivere questa enorme marea umana che si sposta uniformemente verso il centro.
Piove e le gocce cadono fastidiosamente sugli occhiali. Cerchiamo con Matteo di stare vicini per non perderci tra ombrelli aperti, carrozzini di bambine spinte dai padri che imitano i piloti di rally nello scartare il viandante che attraversa la strada senza voltarsi.
Interi gruppi di giovani ragazzi con il tricolore a mo' di mantello urlano gioiosamente inneggiando all'Italia, ma sono sicuro che se gli chiedessi qualcosa sul Risorgimento lo confonderebbero con il risorgimento della squadra del cuore. Ma non ha importanza, si respira stanotte a Torino l'area del salotto buono d'Italia, si respira l'aria del 17 marzo 1861. I balconi sono imbandierati, le vetrine illuminate, tutte addobbate con il verde, bianco e rosso nazionali.

Quei pochi che tentano di andare contromano nella ressa sono visti da tutti i presenti come degli sconsiderati.
Raggiungiamo piazza Vittorio, pressoché senza camminare, in quanto la folla è talmente tanta che ti senti trascinato più che di aver camminato con le tue gambe.
Sotto una selva di ombrelli e di persone incappucciate è persino difficile riconoscere i volti.
I fuochi d'artificio iniziano appena giungiamo in piazza, la musica del Nabucco proveniente da casse acustiche poste dietro di noi, è quasi sopita dai sospiri e commenti di meraviglia di una folla che immobile volge lo sguardo verso l'alto, al di sopra alla chiesa della Gran Madre illuminata a giorno. Tutta la piazza è punteggiata dal lampeggio dei flash delle macchine fotografiche che rendono ancor più briosa la manifestazione.
Vincono tra i colori dei fuochi quelli che ricordano il vessillo nazionale e che raccolgono i più a grandi apprezzamenti.
L'acqua che continua a bagnarci non ci da più alcun fastidio da quanto siamo ammaliati dai fuochi e dall'atmosfera che si vive.
Concluso lo spettacolo pirotecnico cerchiamo di raggiungere una posizione migliore vicino al palco per ascoltare il concerto di Vecchioni, recente vincitore del festival della canzone italiana di San Remo che ha voluto essere presente a Torino in questo importante avvenimento.
Sotto i portici di piazza Vittorio non riusciamo a controllare i nostri movimenti, anzi non siamo padroni della nostra direzione, tanta è la gente che si accalca e come un moto marino sei trascinato dalla massa.
Ci ritroviamo sbattuti fuori dalla piazza e per un momento che sembrava interminabile ci siamo anche persi di vista, ma poi ritrovo Matteo vicino alla piazza ad aspettarmi.
Lasciamo quella bolgia umana preferendo andare sotto la mole Antonelliana, simbolo della città, che adeguatamente addobbata diventa un punto di riferimento per una moltitudine di turisti.
Molti portano con orgoglio il tricolore in bandiere, braccialetti, coccarde, cappelli. Per tutta la notte la Mole ha brillato di luci verdi, bianche e rosse prodotte dalla gigantesca collana luminosa.
Abbiamo l'occasione di incontrare per un breve saluto Enrico e Carlo con i quali tentiamo di fermarci a bere qualcosa insieme ma è impossibile.
Torino stanotte è una città fantastica, l'umanità che incontri è da cartolina, potresti perdere ore seduto su un gradino di piazza Castello per ammirare e commentare quante diverse persone partecipano a questo grandioso momento.
Intere famiglie presenti, nonni con nipoti per la mano con bandiere sulle spalle e palloncini tricolore, giovani coppie di fidanzati o novelli sposi teneramente abbracciati sotto i lampioni decorati con i colori nazionali, ragazzi e ragazze che si raccontano a modo loro la storia dell'unità d'Italia.
Pare una festa sana, non ho visto gente ubriaca o molestatori ma tanta "bella" gente che ha voglia di vivere questo momento con passione e vitalità.
Guardo con rammarico l'angolo del palazzo di piazza Castello, ove dietro ad una di quelle finestre c'è lo studio di Cavour ed immagino il nostro statista, prono sulla sua scrivania del suo minuscolo gabinetto a studiare le mosse per unire l'Italia; come avrei voluto vedere la luce di quella stanza illuminata.
Le prime mosse per raggiungere quello che sarà la nostra Nazione di oggi, nascono proprio da questo illuminato statista che nell'angolo buio di questo palazzo tesserà le fila di mirabili accordi.

Raggiungo la piazza ove c'è Palazzo di Città, anticamente il luogo era chiamato piazza delle erbe perché qui vi era il mercato ortofrutticolo mentre la vicina piazza Corpus Domini era chiamata piazza delle granaglie in quanto si radunavano i mercanti cerealicoli.
Qui la Provincia di Alessandria aveva messo il suo stand promozionale, ma non c'è più niente e più nessuno. Troviamo ad aspettarci il bellissimo monumento al Conte Verde, cioè Amedeo VI di Savoia. Questo giovane scaltro ed intraprendente nobile titolare della contea sabauda, partecipò in gioventù a numerosi tornei, nei quali era solito sfoggiare armi e vessilli di colore verde, tanto che venne appunto soprannominato Il Conte Verde. Per i suoi sudditi era semplice riconoscere il loro conte: anche quando salì al trono, continuò a vestirsi con il colore verde.
Oltre ad essere valoroso combattente, Amedeo godette anche di una fama di dongiovanni e su di lui fiorirono molte leggende, tra le quali la sibillina scritta FERT, che spiccava sull'emblema dell' Ordine Cavalleresco del Collare, da lui fondato, acronimo di cui non si conosce ancora il significato.
Il cielo della piazza è costellato da una bellissima illuminazione a cubetti tricolore che rende l'atmosfera del luogo veramente fiabesca, trasformando questo angolo di città in un salotto risorgimentale.
Lasciamo Torino, dopo aver percorso via Garibaldi e via Roma, come se transitando su queste importanti vie, volessimo ripercorrere la storia nazionale.
Facciamo una breve sosta ad ammirare la scenografia che da sola Piazza San Carlo offre all'avventore. Torino ha rievocato la magica atmosfera delle olimpiadi invernali ed ha dimostrato di essere una vera Capitale. Riprendiamo la strada per raggiungere la città di Andrea Vochieri e dei moti del 1821.