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Luci ed ombre a Torino (LIII parte)

Giovedì 01 Dicembre 2016 10:42
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Remus LupinCorre trasversale a via Garibaldi, via delle Orfane da un lato e via san Dalmazzo dall'altro e proprio su via delle Orfane è appoggiata alla chiesa una lapide ricorda Rossi Rizieri, nato in provincia di Pisa il 4 dicembre 1898, caporale autiere della Croce Rossa. Il 27 aprile 1945 mentre con l'autolettiga accorreva a soccorrere dei partigiani feriti, insieme al sergente maggiore Pietro Chiò e il caporale Carlo Scaramussi, all'incrocio tra via Garibaldi e via delle Orfane, l'autolettiga fu bersagliata a colpi di mitra da alcuni cecchini fascisti. Il caporale Rossi Rizieri, colpito da due pallottole moriva sul posto.
Mentre dall'altra parte, all'angolo con via Barbaroux vi è un bellissimo palazzo che mi ha sempre affascinato, con le sue antiche insegne delle botteghe che ospitava e i suoi mascheroni e volute sulle finestre. Palazzo sul quale è posta una targa che ricorda Lucca Liberina. Costei nacque a Torino il 22 giugno 1910 da artigiani di idee socialiste. Sfollata durante la guerra a Castelnuovo Nigra, entrava in contatto con le bande partigiane canavesane, svolgendo funzioni di staffetta tra le bande del canavesane e quelle torinesi, occupandosi anche degli approvvigionamenti. A seguito di delazione fu arrestata ed imprigionata ad Aosta ma riuscì ad essere liberata. Responsabile del servizio informazioni della terza brigata della divisione Matteotti, il 27 aprile 1945 giunse a Torino per recarsi all'albergo Canelli posto in via san Dalmazzo 5, una delle sedi della formazione Matteotti per portarvi dei dispacci di guerra. Compiuta la missione, appena uscì dal portone fu colpita da un cecchino fascista alla testa.
Sempre su via Garibaldi un'altra lapide ricorda il letterato e filologo Niccolò Tommaseo, in cui esule risiedette dall'anno 1854 al 1859. Una seconda targa lo ricorda in un'altra parte di Torino ed esattamente su Casa Scaccabarozzi, comunemente nota ai torinesi come Fetta di polenta, un edificio storico situato nel quartiere Vanchiglia, all'angolo tra corso San Maurizio e via Giulia di Barolo. Originario della Dalmazia, Tommaseo divenne giornalista e saggista frequentò ambienti patriottici di Padova, Milano, Firenze e Venezia. Partecipò ai moti insurrezionali del 1848 e si trasferì in esilio nella capitale dello Stato Sabaudo. Malgrado l'acuirsi di una malattia agli occhi, proprio a Torino, incominciò a lavorare alla stesura del "Dizionario della lingua italiana". L'opera, edita postuma, è tra i testi più rappresentativi del Risorgimento italiano.
Proseguo la passeggiata in compagnia di Viktor Krum e della sua amica, chiacchieriamo amichevolmente, fermandoci di tanto in tanto davanti alle vetrine di questa importante via commerciale, talvolta entrando nei negozi di abbigliamento alla ricerca di qualcosa che non ci serve ma che ci piace. La giovane amica di Viktor è carina, ha un sorriso solare ed un comportamento spigliato la contraddistingue. E' molto magra ma rispettosa delle forme femminili, veste sportivo, il suo viso ovale è di un colore rosa pallido con una capigliatura da "maschiaccio" con i capelli bruno-rossiccio molto corti sulle tempie. La bocca grande con due fini labbra rosee è sovrastata da un naso ben proporzionato che divide gli occhi di colore marrone, incorniciati da spesse ma ben disegnate sopracciglia. Indossa occhiali grandi, vistosi e colorati. La fronte alta e spaziosa è parzialmente ricoperta dal folto ciuffo di capelli.
Al civico 31 una lapide commemorativa dedicata a don Leonardo Murialdo (1828-1900), ricorda il luogo in cui nacque. Costui fu fondatore della Confraternita di san Giuseppe, dedicata al soccorso e all'educazione dei giovani meno abbienti. La lapide fu collocata nel 1970, anno della sua santificazione.
Facciamo una breve e momentanea deviazione per vedere un palazzo storico, ubicato a pochi passi dalla centralissima via Garibaldi. Infatti in via degli Stampatori c'è palazzo Scaglia di Verrua. È uno dei pochi esempi di palazzo cinquecentesco a non essere stato rimaneggiato nei secoli, mantenendo l'aspetto rinascimentale originario. Il palazzo fu realizzato tra il 1585 e il 1604 su commissione dell'abate Filiberto Scaglia di Verrua, divenne in seguito proprietà di Giacomo Solaro che lo ampliò e, nel 1603, commissionò gli affreschi della facciata e della corte interna. Successivamente divenne residenza della nobile famiglia San Martino della Motta e ancora nel XVIII secolo venne acquistato dalla famiglia Balbo Bertone di Sambuy.
La facciata esterna, unica nel suo genere in città, presenta affreschi databili 1603, raffiguranti paesaggi, allegorie e divinità.
Il grande stemma dei conti Scaglia di Verrua è collocato sul portone d'ingresso. Notevole è anche l'ampia corte interna, caratterizzata da bei motivi architettonici rinascimentali.
Sempre in via degli Stampatori, all'angolo con via Bertola, ancora una lapide ricorda Guinet Oliver, partigiano francese nato a Soulac-sur-Mer in Gironde, il 1 gennaio 1920. Fuggito dalla prigionia in Germania si unì alle formazioni partigiane piemontesi con il nome di battaglia Gimmy. Diventato Vice comandante della 48a brigata Garibaldi, Guinet fu ucciso il 30 aprile 1945, dal cecchino che stava cercando.
Tornati su via Garibaldi, arriviamo davanti alla Cappella dei mercanti, negozianti e banchieri, detta comunemente "Cappella dei Mercanti", è oltre che tempio di fede cristiana, una mirabile galleria di opere d'arte. Appartiene alla pia Congregazione dei banchieri, negozianti e mercanti di Torino che ne cura la conservazione oltreché organizzare varie manifestazioni di musica sacra e sinfonica. La Congregazione fu costituita nel 1663 dai mercanti e banchieri torinesi, quest'ultimi sono gli attuali cambisti. La cappella invece venne realizzata a partire dal 1692 su un precedente oratorio della vicina chiesa dei SS. Martiri. Oggi la cappella è integrata dentro ad un palazzo settecentesco. L'ingresso da via Garibaldi non è facilmente riconoscibile, occorre accedervi attraverso l'atrio del palazzo. Molte volte sono entrato nella cappella, vero scrigno d'arte e anche esplosione di colori e di sfarzo che solo il barocco piemontese di fine 600 può offrire.
Vi accediamo mestamente, e la prima cosa che colpisce sono i banchi della cappella, in noce scura, sempre in stile barocco che non sono fronte all'altare ma appoggiati lateralmente alla pareti. L'occhio poi non può non trascinarti ad ammirare, anche fuggevolmente il soffitto, stupendamente affrescato, tratteggiante il trionfo del paradiso, con Dio padre, di suo figlio redento e una sintesi dei personaggi dell'antico e nuovo testamento. Affresco attribuito al "Legnanino", ossia Stefano Maria Legnani, affrescatore e pittore milanese che realizzò anche gli affreschi degli appartamenti di palazzo Carignano.
Su tre pareti di questa grande stanza rettangolare sono affissi undici quadri, con le medesime dimensioni, eseguiti da importanti pittori come il trentino Andrea Pozzo, del cuneese, Sebastiano Taricco di Cherasco, del savoiardo Vernier e del milanese Carlone e ancora del Legnano. Tutti i quadri hanno come tema la Natività o il mistero dei Re Magi. Un dodicesimo quadro è invece collocato in sagrestia ed è attribuito a Guglielmo Caccia detto il "Moncalvo". Curiose le sei statue presenti nella cappella, raffiguranti alcuni Padri della Chiesa, sembrano scolpite nel marmo, invece sono scolpite nel legno di pino cirmolo, poi laccato in bianco. Molto bello anche il settecentesco organo. Dopo aver contemplato la cappella, entriamo in un locale adiacente alla sagrestia per ammirare il "calendario perpetuo". Luogo nel quale, con somma sorpresa troviamo Remus Lupin, un amico di tante avventure, che purtroppo strani accadimenti e circostanze misteriose ci costrinsero a slegare la nostra amicizia. Il "calendario perpetuo" fu progettato e realizzato nel 1932 dal matematico e astronomo Giovanni Amedeo Plana. I suoi cilindri che costituiscono la sua memoria, sono contenuti oltre 40mila dati (feste, lunari ecc…) per un periodo di circa 40 secoli, cioè dall'anno Uno all'anno quattromila dopo Cristo. È una delle più antiche macchine di calcolo dotata di tamburi rotanti e di un sistema di trasmissione che permette la combinazione corretta delle diverse informazioni contenute nel sistema.
Remus Lupin è un personaggio dolce, gentile e timido per la sua condizione sovrannaturale. Un mago colto ed intelligente, molto attaccato agli amici, anche se gli piace spettegolare. È un ottimo insegnante, molto capace, amato dalla maggior parte dei suoi studenti. Curioso e insicuro nelle relazioni con le altre persone per via della sua condizione magica spesso si rinchiude in sé. Nella mia Hogwarts, proprio perché era un personaggio accorto e maturo, lo scelsi per ruoli importanti nella speranza che riuscisse a limitare i guai causati dai suoi amici. Tuttavia Lupin non fu mai in grado di evitare le arroganze dei mangiamorte suoi conoscenti. Personaggio narciso, soprattutto del fitness da farne una mania. Mi fa sempre piacere incontrarlo, ma non riesco più a capire se il sorriso che mi offre insieme al suo saluto ed abbraccio sia caloroso come il mio o ipocrita. Comunque gli voglio bene e non mi importa nulla del resto. Accetto anche la sua strenua difesa di Piton. Proprio la continua attività fisica in palestra gli permette di avere un fisico asciutto e muscoloso. Ha un viso ovale, con una capigliatura castana dal taglio molto corta, ma gli piace molto cambiarla, quindi lo visto quasi rasato o addirittura con bei capelli lunghi e fini che cadevano sulle spalle. Porta barba e baffi curati che incorniciano due carnose labbra rosee. Il naso, benché un po a patata, dona al viso un aspetto piacevole, due folte e cute sopracciglia sovrastano due grandi occhi castani. La fronte non è alta, ma esprime con le sue rughe tutte le espressioni possibili, da quelle crucciate a quelle meravigliate a quelle interrogative. Usciamo insieme dalla cappella dei Mercanti e sostiamo a chiacchierare davanti alla chiesa dei santi Martiri.
Saliamo i gradini per entrare in chiesa, il tempio è dedicato ai più antichi patroni di Torino: i martiri Avventore, Ottavio e Solutore, edificio sacro che ne custodisce le loro presunte reliquie fin dal 1584. Questa chiesa fu fatta erigere dai gesuiti nel luogo della preesistente parrocchia di santo Stefano, per custodire le reliquie dei martiri cui è dedicata e farne la chiesa dell'Ordine dei gesuiti in Torino. La posa della prima pietra avvenne il 13 aprile 1577 alla presenza di Emanuele Filiberto, che l'aveva voluta; costruita su progetto attribuito a Pellegrino Tibaldi (1527 – 1596). Durante l'assedio di Torino del 1706, venne ricostruita la cupola che andò distrutta. Le decorazioni e gli arredi interni appartengono a diverse fasi costruttive e legate alla storia della Compagnia di Gesù. Interessanti tutte le cappelle con bellissime pale d'altare, come la pala attribuita a Giuseppe Maria Viani raffigurante san Francesco Saverio con sant'Ottavio, il beato Luigi Gonzaga, san Carlo Borromeo e santa Brigida o l'altare dedicato a san Ignazio attribuito ad Andrea Pozzo, con pala di Sebastiano Taricco del 1690 circa. Remus Lupin, oltreché essere un profondo conoscitore della cappella dei Mercanti, si dimostra una guida incredibile anche nella chiesa dei santi Martiri. Dopo l'assedio del 1706, lo stesso Filippo Juvarra disegna il nuovo altare maggiore,dove sotto la mensa è collocata l'urna con le spoglie dei santi martiri. Mentre la volta già affrescata da Andrea Pozzo è stata ridipinta nell'Ottocento da Luigi Vacca e Francesco Gonin. In questa chiesa sono anche sepolti tre illustri personaggi della storia della città di Torino: come Il conte Joseph-Marie de Maistre, filosofo, politico, scrittore, diplomatico, giurista italiano di lingua francese. Costui fu Ambasciatore del re Vittorio Emanuele I presso la corte dello zar Alessandro I dal 1803 al 1817, poi da tale data fino alla morte, ministro reggente la Gran Cancelleria del Regno di Sardegna. Ma anche Giovanni Botero, presbitero, scrittore e filosofo e autore del cinquecentesco trattato "Della ragion di Stato", ed infine il più ben famoso Giovanni Francesco Bellezia, originario di Lanzo si laureò in legge all'Università di Torino nel 1622. Nel 1625 fu eletto decurione e nel 1628 fu nominato primo sindaco della città. Nel 1630, Torino fu colpita da una epidemia di peste che uccise 8.000 persone e causò la fuga di gran parte della popolazione che si ridusse a soli 3.000 abitanti. Il Sindaco rimase sempre a Torino, anche quando fu abbandonata dalla famiglia Savoia, rifugiatasi a Cherasco. Fu colpito egli stesso dalla peste, ma affrontò tutte le emergenze tra le quali l'isteria popolare nei confronti dei presunti untori e combattendo gli episodi di sciacallaggio.
La chiesa è un vero piccolo scrigno di tesori ed è un affascinante percorso nella storia; infatti tutto comincia con la storia di Solutore, Avventore e Ottavio a cui è dedicata la chiesa, forse appartenenti alla mitica Legione Tebea ma più probabilmente "indigeni", furono martirizzati nella regione di Valdocco verso la fine del III secolo. Questi santi sono particolarmente venerati a Torino, dove la chiesa ne custodisce le reliquie fin dal 1584, precedentemente erano conservate nell'Abbazia di san Solutore maggiore, fuori dalle mura. La storia ci racconta che sui loro sepolcri venne costruita una prima cappellina o "cellula oratoria", che venne poi ampliata in basilica dal vescovo Vittore, verso la fine del secolo V. Successivamente a tale basilica, il vescovo Gezone, l'incorporò in un monastero benedettino intitolato a san Solutore. Quando i Francesi ordinarono la demolizione del monastero nel 1536, i corpi dei tre martiri vennero trasferiti al santuario della Consolata, fino a quando fu innalzata la chiesa dei santi Martiri, a loro dedicata e le reliquie vi furono finalmente trasferite. I santi martiri, già venerati durante a fine del IV sec dal vescovo san Massimo, sono ricordati come legionari romani trucidati durante persecuzioni. Solo Solutore riuscì forse a fuggire ad Ivrea, dove però venne raggiunto ed ucciso. I corpi furono recuperati dalla matrona cristiana Giuliana di Ivrea, che appunto in sua memoria fu realizzato una piccola cappella (martyrion) nei pressi dell'attuale Mastio della Cittadella, intorno al 286. Particolarmente curiose sono le impronte sul marmo di santa Giuliana di Ivrea, probabilmente un manufatto medievale che conservate ed inglobate nell'arco trionfale presso l'altare maggiore nella chiesa dei santi Martiri, dove si può osservare anche il masso sul quale san Solutore subì il martirio. La memoria liturgica dei santi Martiri è fissata al 20 novembre nel Martirologio Romano, nell'anniversario della morte, mentre l'Arcidiocesi di Torino celebra la loro memoria il 20 gennaio, anniversario della traslazione delle reliquie.
Durante gli scavi per le fondamenta della chiesa dei SS Martiri furono rinvenute una gamba bronzea di legionario e una zampa di cavallo, anch'essa in bronzo, parti di un monumento equestre romano; oggi conservati nel museo di Antichità di Torino. Probabilmente si trattava del monumento equestre dedicato a Caio Valerio Clemente, un ufficiale di carriera, che militò sotto Vespasiano. Carriera culminata nella carica di prefetto di una sezione di veterani (ala Gaetulorum), al ritorno alla vita civile acquisì il titolo di primipilare, ossia primus pilus, status ambitissimo acquisito grazie ai meriti sul campo che gli permise di ottenere importanti incarichi civici ad Augusta Taurinorum, culminata come magistrato cittadino e patrono della città ossia patronus cioè "protettore", da pater ossia padre, al quale sappiamo che furono dedicate due statue e alcune lapidi dedicatorie. Oppure di Glizio Attilio Agricola ossia Glitius Atilius Agricola, Generale romano (fine 1º - inizio 2º sec. d. C.); oriundo di Augusta Taurinorum, senatore, due volte console (97 e 103), più volte legato (in Spagna, Belgica, Pannonia), infine praefectus Urbi. Mi soffermo sotto il bellissimo pulpito laccato in oro, mentre Remus Lupin mi racconta come i Gesuiti che ne detenevano la rettoria della chiesa vengono allontanati nel 1773, rientrati nel 1832, ma ancora nel 1848 vengono nuovamente espulsi dal regno. Solo nel 1916 viene loro nuovamente affidata la rettoria della chiesa. Inoltre dai sotterrane della chiesa un intenso reticolo di tunnel sotterranei, spesso ormai murati si diramava in diverse direzioni della città. La chiesa dal 2013 è affidata alla Comunità di sant'Egidio, movimento di laici riconosciuto dal papa. Usciamo sul sagrato della chiesa e diamo un rapido sguardo alla facciata, restaurata da Bernardo Antonio Vittone a metà del XVI e completata solo nel XVIII secolo collocando nelle 7 nicchie di facciata altrettante statue in legno dorato, rappresentanti la "Vergine col Bambino" e le "Virtù Teologali" ed i bassorilievi di Giovan Battista Bernero raffiguranti i santissimi Martiri e la città di Torino e i santi gesuiti (Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Luigi Gonzaga e Stanislao Kostka). Invece gli esoterici ritengono che le quattro nicchie contenenti le figure femminili rappresentino, una Maria Maddalena e le alte tre delle dee pagane. Si dice altresì che siano la testimonianza di antichi culti pagani che esistevano ancora all'epoca di "testa di ferro" e che costui non volendo inimicarsi una parte della popolazione li lasciò nell'edifico cattolico.
Anche noi ci rechiamo, finalmente, a prendere un buon gelato. Chiacchieriamo tutti amichevolmente prima di entrare nella gelateria Grom di via Garibaldi. Questo negozio fa parte di una catena di gelaterie fondata a Torino nel 2003 da Guido Martinetti e Federico Grom (da cui il nome dell'azienda). L'azienda apre il suo primo locale a Torino nel maggio 2003. Rapidamente il marchio si è diffuso in trentaquattro città italiane e in sette all'estero (Dubai, Giacarta, Hollywood, Malibu New York, Osaka e Parigi). Caratteristica del gelato è che viene prodotto usando ingredienti prodotti di stagione, acqua di montagna, uova biologiche ed altri prodotti forniti dai presìdi Slow Food. Da ottobre 2015 la società viene ceduta alla multinazionale Unilever, pur rimanendo autonoma e gestita dai due fondatori. Viktor Krum e la sua amica ci salutano e si allontanano per raggiungere la loro cittadina di residenza, mentre con Remus Lupin ordiniamo due coppette di gelato, ai gusti cioccolata e fragola ed io vaniglia e cioccolata.


Fine LIII parte.