Messaggio

Luci ed ombre a Torino (LVI parte)

Mercoledì 01 Marzo 2017 10:42
Stampa
Marge DudleyNell'adiacente via Antonio Fabro, una lapide ricorda che al civico n. 6 che vi abitò, una delle più note figure dell'antifascismo torinese: Piero Gobetti.
Raggiungo il luogo d'appuntamento e trovo ad attendermi Ron e Erminione davanti ad un locale di ristorazione recentemente aperto il M** BUN. Il locale è un agrihamburgheria di tradizione piemontese. Infatti vi puoi trovare solo prodotti slow fast food prodotti in Piemonte. Ron che è un divoratore di carne, è particolarmente affezionato a questo locale, che nemmeno io disdegno, sia per la qualità dei prodotti che per il rapido servizio. Ordiniamo due bei panini con carne di fassone piemontese, il locale serve anche robiole al forno, carne cruda battuta al coltello, acciughe in salsa verde e rossa, dolci tipici come bônet e panna cotta, vini piemontesi e altre bevande prodotte in Piemonte. Anche i nomi dei piatti sono in dialetto piemontese, dal più semplice degli hamburger, solo con insalata e pomodoro, Chiel, cioè "lui", poi c'è il Gaute Mac Da Suta, "levati da sotto" con cipolla, o il Sensa Cognisun, con bagna caôda. Ma anche verdure e frutta di stagione. Da bere ovviamente il vino piemontese ma anche le gazzose e aranciate e cole di origine sabauda. Chiacchieriamo affabilmente, spettegolando anche sugli altri commensali, non con malignità, ma solo siamo colpiti dal colore dei loro capelli. Infatti una coppia di ragazzi che si siedono al nostro fianco non hanno nulla di apparentemente di strano, tranne che lui ha i capelli e la barba, con i colori che ricordano le sfumature del mare: dal verde acqua al blu. È una nuova moda appena arrivata in Italia. Si fanno chiamare "tritoni"o "sirenetti" e sono quegli uomini che tingono barba e capelli con colori forti e fluo. Questa nuova tendenza maschile come sempre arriva dai paesi anglosassoni dove sono chiamati «mermen».
Finito il mio lauto pasto, ordino un buon caffè espresso, mentre un giovane barman mi porge la tazzina, mi sovviene che il caffè espresso fu un'invenzione made in Torino. Infatti fu l'intraprendente torinese, Angelo Moriondo che strabiliò i visitatori dell'Esposizione Generale nel 1884 preparando caffè all'istante con la sua nuova macchina da caffè. Nella "caffettiera" da lui ideata, l'acqua veniva portata ad ebollizione e attraverso un sistema di serpentine, fatta passare fino a raggiungere il contenitore del caffè torrefatto. Inventando di fatto il caffè espresso. Non inventò una particolare miscela o scoprì fino ad allora una sconosciuta varietà di caffè, ma una innovativa macchina per produrlo. Uno stratagemma che permetteva di portare l'acqua in pressione per preparare il caffè molto più rapidamente, da qui il termine espresso. Inoltre si otteneva un caffè più concentrato, nel quale tutti gli aromi e i profumi della miscela erano condensati. Sarà poi agli inizi del XX secolo che il milanese Luigi Bezzera perfezionerà la macchina del Moriondo brevettandone le innovazioni.
E ora di lasciare i miei carissimi amici e riprendere la mia strada verso la stazione ferroviaria che mi ricondurrà alla mia abitazione. Lascio Ron ed Ermione all'angolo di Corso Siccardi con via Cernaia. È proprio vero che le belle persone rimangono nel cuore, il resto sono solo conoscenze, ed oggi ne ho incontrate diverse, rallegrandomi la giornata.
Proprio in quest'angolo, mi ricordo di aver letto avvennero alcuni tragici eventi, accaduti non lontano da qui. A pochi passi vicino al n° 18 di via Cernaia, una lapide ricorda Milano Ernesto. Costui nacque a Hef in Tunisia il 25 aprile 1908, appartenente alle brigate Matteotti, quale staffetta della Val di Lanzo e soprannominato "il Tunisino" fu ucciso il 27 dicembre 1943 difronte a casa, in via Cernaia da agenti dell'Upi (Ufficio politico investigativo). Mentre, in direzione Stazione ferroviaria di Porta Susa, sulla parete della caserma Cernaia, sede della scuola Allievi Carabinieri, un'altra lapide ricorda Fiammoi Mario, Giglioni Carlo e Giglioni Giacomo. Il primo nacque il 13 novembre 1920, abitò a in corso Giulio Cesare, fu partigiano della 3a brigata Sap, ed arrestato a seguito delazione,venne fucilato nel cortile della caserma Cernaia il 26 aprile 1945 dalla brigata nera "Ather Cappelli". Insieme a Lui vennero fucilati anche Giacomo e Carlo Ciglioni. Costoro, padre e figlio, provenivano da Roma e risiedevano a Torino dal 1943 in via Santa Chiara. Giacomo, il padre, nacque nel 1893 fu ufficiale del regio esercito italiano e facente parte delle formazioni partigiane Giustizia e Libertà, mentre il figlio Carlo, nato il 20 febbraio del 1920, studente, militava nella 3° brigata Sap.
Ancora poco distante, all'angolo di corso Vinzaglio con via Cernaia, un cippo nel viale ricorda: Bena Battista, nato a San Giusto Canavese l'11 settembre 1914, agricoltore e partigiano della 18° brigata Garibaldi con il nome di battaglia "Pierino"; Briccarello Felice, nato a Roatto in provincia di Asti il 7 febbraio 1899 e residente a San Giusto Canavese, di professione commerciante; Valentino Francesco, nato a Torino il 1 ottobre 1925, meccanico delle Ferrovie dello Stato, partigiano nei Gap (Gruppi d'azione patriottica), fu arrestato ad Alba il 17 maggio 1944. Quest'ultimo fu arrestato e torturato dopo aver fatto esplodere insieme ad altri gappisti la stazione radio di Stura in corso Giulio Cesare. Il cippo ricorda anche Vian Ignazio, nato a Venezia il 9 febbraio 1917, Ufficiale del Regio esercito, partecipò a diverse azioni militari dei partigiani nel cuneese, fu riconosciuto e catturato nella stazione ferroviaria di Porta Nuova e catturato. Tutti costoro furono impiccati il 22 luglio 1944 agli alberi del viale quale rappresaglia da militi fascisti, che fermarono anche un tram, obbligando i passeggeri e passanti ad assistere alla esecuzione.
Sempre in corso Vinzaglio, vicino al civico 12, un'altra lapide ricorda Caccia Bruno, ivi residente, partigiano con il nome di battaglia "Brunin", appartenente alla banda autonoma del Gran Dubbione, mori nel campo di concentramento di Dachau.
Attraversato via Cernaia, mi ritrovo sotto il monumento dedicato a Pietro Micca. La scultura commemorativa è posta all'interno del giardino intitolato ad Andrea Guglielminetti, un'importante politico della storia cittadina. Infatti il Guglielminetti fu un importante militante del partito della Democrazia Cristina e Sindaco di Torino, oltreché personaggio molto attivo durante la seconda Guerra mondiale nella resistenza cittadina. Il monumento dedicato a Pietro Micca fu realizzato nel 1863 dallo scultore risorgimentale Giuseppe Cassano nativo di Trecate. L'opera fu voluta per celebrare il famoso militare sabaudo, nativo di Sagliano nel biellese, che sacrificò la propria vita durante l'assedio francese di Torino, nella guerra di successione spagnola. Costui morì nella notte tra il 29 e il 30 agosto 1706 dopo aver dato fuoco alle polveri per sbarrare la strada agli assedianti. La statua ritrae l'artigliere baffuto, con la miccia in mano e con la posa ardita e fiera, tipica di un eroe. Mentre attraverso i giardini, trovo sotto il mastio della cittadella che è posta all'interno dei giardini, zia Marge.
Costei, nel vedermi, mi viene incontro. Con un sorriso mellifluo, mi porge i suoi saluti e inizia a raccontarmi la storia della sua travagliata vita, dopo che io ho abbandonato la Hogwarts torinese. Zia Marge è alta, un comportamento distinto, un corpo regolare con le giuste forme. Una pettinatura bionda con capelli sempre lunghi fino alle spalle, spesso disordinati. Un viso ovale e roseo con una bocca morbida e sorridente, un naso piccolo, occhi vivaci e chiari. Ho avuto poco a che fare con Lei durante la mia permanenza a Torino. Dai suoi racconti vengo a sapere che all'interno della Hogwarts torinese ha fatto carriera per poi essere anch'essa allontanata. La conoscevo come una persona sempre in compagnia dai più perfidi mangiamorte, motivo per il quale non avevamo frequentazioni. Nel romanzo della J. K. Rowling, è la sorella di Vernon. Vive in una casa di campagna e possiede dodici cani. Viene descritta come una donna baffuta e corpulenta quanto il fratello, fisicamente molto diversa dalla zia Marge torinese. Le accomuna il fatto che non sanno nulla di magia e che trattavano gli altri con diffidenza, distanza e superiorità, spesso con crudeltà se non facenti parte del loro modo di pensare. La lascio parlare, a raccontarmi le sue vicissitudine e varie disgrazie. Dopo un po' di convenevoli ci lasciamo con un sorriso ipocrita, certi comunque di rivederci.
L'incontro è avvenuto proprio sotto le mura del mastio della cittadella, Porta monumentale verso la città, di quello che resta dell'imponente fortezza disegnata nel 1564 da Francesco Paciotto per Emanuele Filiberto a difesa di Torino (demolita dopo il 1856).
Infatti trasferita la capitale a Torino nel 1563, Emanuele Filiberto, duca di Savoia, incaricò l'architetto e ingegnere urbinate di progettare una una cittadella fortificata che non solo la difendesse in caso di assalto, ma che servisse anche all'occorrenza, come strumento di controllo e deterrenza in caso di moti nati all'interno della città. La struttura fortificata fu iniziata nel 1564 e completata nel 1570, con il coinvolgimento di altri progettisti. Come Domenico Poncello. La fortezza era bastionata ed a forma pentagonale, rendendola imprendibile. La cittadella di Torino cadde però sotto i colpi del piano di allargamento della città nel 1853, dove su progetti di Carlo Promis (1808-1873), su quell'area doveva sorgere un nuovo quartiere. L'unica struttura che si decise di salvare fu la porta grande verso la città. Con i restauri del 1893 di Riccardo Brayda (1849-1906) furono anche rimossi molti particolari architettonici che, a suo parere, alteravano l'immagine del manufatto.
Si narra che nei sotterrai della cittadella fortificata, vaghino gli spettri dei soldati morti nell'esplosione delle mine durante l'assedio del 1706. Enrico Bassignana, nel suo libro "Guida alla Torino incredibile, magica e misteriosa" racconta che nelle gallerie della Cittadella apparirebbe il fantasma di un soldato in abito verde. Ciò lo indicherebbe come un militare appartenuto al battaglione Lyonnais e quindi un chiaro riferimento storico all'assedio del 1706.
Sempre nella Cittadella si aggirerebbero i fantasmi di una vivandiera e di un gruppo di militari che nel 1799 sarebbero stati gettati in un pozzo dai soldati russi di Suvorov durante l'occupazione russa. Ma anche dentro il museo di artiglieria si aggirerebbero dei fantasmi, come quello di un dragone sabaudo che si mostrerebbe ogni tanto nel luogo in cui vengono esposte le bandiere.
Sulle mura della Cittadella una lapide incisa ricorda che alla fine del '600, in questo Maschio furono imprigionati oltre duecento valdesi, con i loro pastori, a causa della loro fede religiosa. Infatti dopo che nel gennaio 1686 il duca Vittorio Amedeo II con un editto impose ai valdesi del Piemonte la cessazione del culto valdese e il battesimo cattolico dei bambini; ne seguì una guerra lampo con migliaia di morti e prigionieri.
Il 18 maggio 1686, più di duecento valdesi furono rinchiusi nel Mastio della Cittadella e solo dopo quasi un anno di agonia fu concesso ai superstiti di espatriare, ad eccezione dei pastori e dei loro congiunti trattenuti ancora per qualche mese prima di essere divisi e inviati nelle fortezze di Nizza, Verrua e Montmélian: i sopravvissuti riacquistarono la libertà solo nel giugno 1690.
Un'altra lapide, poco distante ricorda che fra le mura della Cittadella il 5 ottobre 1774 si schieravano per la prima volta i Finanzieri. Le origini del Corpo si possono farsi risalire al 1º ottobre 1774, nella legione truppe leggere un reparto di fanteria leggera dell'esercito sabaudo. Il reparto aveva lo scopo di fiancheggiare, in tempo di guerra, l'esercito regolare con funzioni di avanscoperta, di esplorazione e rapido intervento, mentre in tempo di pace in un periodo storico in cui non esistevano specifici reparti di polizia, svolgeva un ruolo di difesa militare delle frontiere, la salvaguardia degli interessi economici dello stato sabaudo e la repressione del contrabbando esistente lungo i confini montano del Regno sardo.
Ormai è ora di volgere il mio passo, verso la stazione ferroviaria di Porta Nuova per tornare verso casa.


Fine LVI parte.