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Il mio Piemonte: Cavour

Sabato 21 Ottobre 2017 10:37
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Rocca di CavourDopo una nottata serena, il grigio si è impossessato del cielo, ma non mi arrendo e decido che oggi il mio piccolo viaggio per il Piemonte lo voglio fare.
L'auto corre veloce sull'autostrada, la musica con le canzoni di Tiziano Ferro mi tengono compagnia. Anche il cielo pare abbia finito di fare le bizze. Un timido raggio di sole mi accompagnerà nella mia escursione.
Da diverso tempo volevo visitare il borgo di Cavour, che divenne famoso più per il conte Camillo Benso che per la sua importante storia. Infatti citando Cavour, spesso s'intende molto spesso l'illustre personaggio che dal borgo prende il titolo nobiliare.
Raggiungo facilmente l'antica cittadina, disteso su una vasta pianura, dominato dall'imponente mole della rocca che si erge nella piana del torinese, quasi fosse un foruncolo su una candida pelle fatta di prativi e di ricchi coltivi. Riesco a parcheggiare vicino alla piazza del Municipio, dotato di macchina fotografica m'avvio a caso per le vie del centro cittadino.
La mia mente ripercorre così la storia del luogo. Anticamente il borgo era un insediamento celtico-ligure, romanizzato poi nel I secolo a.C, il nome deriverebbe dagli antichi abitanti, i Caburni. Nell'alto medioevo è identificato come Caburrum e successivamente come Cavurrum, per il semplice effetto di lenizione della lettera "b" in "v".
I romani vi costruirono un presidio militare sopra l'altura, mentre l'abitato posto alle sue pendici prese il nome di "Forum Vibii". Scavi archeologici hanno permesso di ritrovare un bagno pubblico, una piscina, tratti di strade lastricate e un tempio dedicato a Drusilla, la sorella dell'imperatore Caligola.
La città romana, fu rasa al suolo intorno al 570 e poi ricostruita dai Longobardi, un po più a nord, riprendendo il nome di Caburro. Dopo la conquista di Carlo Magno sui Longobardi, entrò a far parte della contea di Torino.
La sua storia tra il IX e il XII secolo è abbastanza sconosciuta per scarsità di documenti e reperti, di certo nel XI secolo, divenne feudo dei signori di Piossasco e fu Pietro di Cavour, capostipite di tale ramo, che iniziò a edificare un castello sulla rocca.
Nel 1221 i signori di Cavour, cedettero i loro diritti al Vescovo di Torino, che nel 1235 lo infeudò al conte Amedeo IV di Savoia. Tommaso II, erede di Amedeo IV, quando fu fatto prigioniero dagli astigiani nel 1255 durante la battaglia di Mombrone, venne imprigionato a Cavour. Nel 1363 il titolo comitale passò al principe Giacomo di Savoia-Acaia, e poi passò a suo figlio Ludovico. Il figlio di quest'ultimo, alla morte del padre nel 1418 fu signore di Racconigi, Pancalieri, Migliabruna e Cavour, quindi legato al ramo di famiglia Savoia-Racconigi.
Durante tutto il medioevo, Cavour fu coinvolto nel conflitto tra i Savoia, i marchesi di Saluzzo e del Monferrato. Ad aggravare la situazione, arrivarono anche carestie ed epidemie di peste, rendendo sempre meno numerosa la popolazione e impoverendo il borgo. Tra il XV secolo e il XVI secolo, Cavour fu oggetto di ripetute occupazioni: dai saluzzesi prima, ai francesi di Carlo VIII nel 1494, poi nuovamente dai francesi durante il conflitto tra Francesco I e l'imperatore Carlo V. Nella seconda metà del XVI secolo, Cavour, fu segnata dalle persecuzioni contro il movimento valdese. Nel 1561, l'esercito del duca Emanuele Filiberto, dopo vari scontri con i valdesi nella Val Pellice, si ritirò a Cavour per le trattative di pace. E a Cavour fu firmato il trattato di pace e tolleranza con i valdesi. Questa "convenzione" è molto importante per la storia della tolleranza religiosa. Infatti veniva concessa ai valdesi di praticare liberamente il loro culto, purché all'interno delle loro valli di residenza.
Nonostante il rafforzamento delle fortificazioni, nel 1592 Francesco Bonne, duca di Lesdiguières, sceso in Piemonte a capo di una compagnia di Ugonotti, occupò la fortezza e il borgo.
Gli Ugonotti era l'appellativo dato ai protestanti francesi di confessione calvinista, presenti tra il XVI e XVII secolo in Francia. Il termine Ugonotti entrò in uso intorno al sessanta del Cinquecento. In questa parte di secolo la Francia fu lacerata da violenti scontri religiosi tra cattolici e calvinista, che sfociarono nella strage di San Bartolomeo e nella guerra dei tre Enrichi
Tre anni dopo Carlo Emanuele I, dopo due terribili assedi riconquista Cavour, arrecandole gravi danni, tanto da doversi ricostruire interamente la cittadina. Nel 1605 con la morte del conte Bernardino II, si estinse la linea dei Savoia-Racconigi, anche perché la moglie di quest'ultimo, Isabella della Chiusa, rinunciò ad ogni diritto su Cavour. Nel 1648 fu infeudata a Michele Antonio Benso, antica famiglia di Chieri. A questa famiglia è poi appartenuto il conte Camillo Benso, che assunse il titolo di Cavour. Uomo strettamente legato al risorgimento italiano.
Durante la guerra che contrappose il duca Vittorio Amedeo II a Luigi XIV di Francia, il borgo e le sue campagne subirono continui e disastrosi saccheggi, aggravati dalla carestie.
Nel 1808, un forte terremoto, colpì il paese, e pur non provocando morti, arrecò gravi danni all'abitato. Già nel XIX secolo, Cavour, era particolarmente dedito all'agricoltura, come d'altra parte anche oggi, grazie alla costruzione di canali d'irrigazione. Iniziò allora il suo sviluppo, soprattutto grazie anche alla produzione di frutta ed in particolare di mele.
Inizio la mia passeggiata, osservando piazza Sforzini, dove si erge l'ottocentesco palazzo municipale. Il palazzo è a due piani, dotato di un ampio porticato che corre tutto lungo la facciata, mentre un balconcino nella parte centrale dell'edificio si affaccia sulla piazza.
Due altorilievi, sono posti ai lati del balcone; ricordano Giovanni Giolitti e il conte Camillo Benso. Il palazzo municipale con il suo monumento ai caduti si trova in una piazza intitolata a Alfredo Sforzini, un partigiano decorato con medaglia d'oro al valor militare alla memoria. Costui nacque nel 1914 nel pistoiese. Chiamato alle armi all'inizio della Seconda guerra mondiale, al momento dell'armistizio si trovava a Cavour, quale caporale in un reparto corazzato del reggimento "Cavalleggeri Monferrato". Per non farsi catturare dai tedeschi si diede alla macchia e divenne partigiano della IV Brigata Garibaldi, operante in Val Montuoso, del quale fu responsabile del Servizio Informazioni.
Nel 1943 a seguito di delazione, Sforzini venne arrestato mentre si trovava nella locanda "La Verna Nuova" e portato a Saluzzo, dove fu sottoposto a indicibili torture per estorcergli informazioni, ma poiché non disse nulla, venne condannato a morte per impiccagione. Riportato a Cavour su un autocarro, tra piazza Statuto e via Pinerolo per l'esecuzione, con le proprie mani, Sforzini si mette il capestro al collo e gridando "Viva la libertà!" si butta dal suo patibolo. Il suo corpo resterà appeso per quarantotto ore, con un cartello al collo sul quale è scritto: "Così finisce chi spara ad un tedesco". Il nome di Sforzini viene poi assunto dalla IV Brigata Garibaldi di cui aveva fatto parte.

Sul fianco del palazzo municipale, vi è una costruzione denominata tettoia mercatale, costruita nel 1583, fu anche detta "alla pubblica" o "Ala". Tettoia per il mercato dei cereali, di cui è interessante sapere che vi è ancora la "pietra della vergogna". La storia vuole che nel giorno del mercato vi fossero fatti sedere coloro che aveva fallito l'attività o i debitori. Su un lato di un pilastro dell' "ala" vi era ancorata la catena "per il servizio di giustizia", e su un altro pilastro, dove vi è l'effige di san Lorenzo vi venivano affissi i bandi della città. L' "Ala" fu dedicata a Bernardino II di Racconigi, ultimo signore di Pancalieri, Racconigi, Cavorre, dinastia estintasi nel 1605, ancora oggi vi si svolge il mercato settimanale.
Proseguendo la passeggiata, costeggio la casaforte degli Acaia-Racconigi, in cui fu firmato il 5 giugno 1561 il trattato di pace e di tolleranza con i valdesi. L'edificio è del XVI secolo, in ottime condizioni, ospita al piano terreno delle attività commerciali, tra le quali un bar. Colgo l'occasione per ristorarmi con un buon caffè.
Al centro della piazza, dedicata a San Lorenzo, antistante alla casaforte vi è l'importante e imponente fontana "romana" del XIX secolo. Prende questo nome per il ritrovamento, in questo luogo, della cosiddetta "lapide di Attia" sacerdotessa della dea Drusilla. Si pensa che qui vi esistesse la piscina di Attia. Di certo c'è che l'acqua che vi sgorga, freschissima, arriva da un tunnel scavato nella roccia in epoca romana. Sempre sulla piazza si affaccia anche la chiesa parrocchiale dedicata a San Lorenzo. Questa chiesa fu costruita ai piedi della Rocca in sostituzione di una più antica chiesa, posta fuori dalle mura cittadine. La sua maestosa facciata dispone di tre porte con il portale principale in stile barocco. La facciata è scandita da lesene, ha un marcapiano imponente, sopra del quale vi sono tre importanti affreschi. L'affresco centrale rappresenta San Lorenzo, mentre gli altri due, rappresentano Santo Stefano e l'angelico Beato cherubino di Avigliana. La chiesa è a tre navate e contiene molte preziose opere, tra cui un trittico di Defendente Ferrari. Ma quello che colpisce subito il pellegrino o il turista come il sottoscritto, è il prezioso soffitto a cassettoni, ornato da grandi e piccoli rosoni dorati. Nella navata laterale destra, sotto l'altare consacrato a San Giuseppe, ove vi è rappresentato in una tela il Santo agonizzante assistito da Gesù e Maria, vi è un urna contenente il corpo del martire San Valentino. Le reliquie di San Valentino, o meglio le reliquie di un sacro corpo della famiglia dei Valenti, giunsero a Cavour da Roma nel 1833, dono di papa Gregorio XVI, grazie all'interessamento del cardinal Luigi Bottiglia dei Conti di Savoulx, cavourese di nascita.
San Valentino era forse un Vescovo poi martirizzato e che la tradizione giunta a noi vuole protettore dell'amore e soprattutto degli innamorati. Sulle sue origini di hanno molti dubbi e molte versioni contrastanti. In particolare è forte la credenza che egli sia stato Vescovo di Terni, vissuto nel III secolo, martirizzato a Roma nel 273 e sepolto lungo la Flaminia che porta a Terni, dove una chiesa è intitolata a suo nome.
Fa ombra sulla piazza l'ottocentesco campanile (1862), progettato dall'architetto Amedeo Pejron, già ideatore dell'aula del primo parlamento italiano a Torino.
Adiacente alla piazza, dietro un alto muro vi è Villa Giolitti. Questa villa del XIX secolo, appartenuta alla famiglia Plochiù, zii dello statista Giovanni Giolitti che qui vi soggiorno per molte estati. Nel grande parco, tra alberi secolari di querce, castagni, roveri e betulle vi è un cedro del Libano, messo a dimora dallo statista in occasione della nascita della figlia Enrichetta nel 1874.
Poco distante da questa villa, diparte la strada che conduce in cima alla Rocca.
Mi dirigo verso piazza Solferino e per farlo, transito davanti a Palazzo Bottiglia di Savoulx. Edificio questo del XVII-XVIII secolo dei conti di Savoulx.
Anche su piazza Solferino vi è una tettoia mercatale chiamata "Ala del peso", realizzata nel 1888 ed adibita a mercato del bestiame. Sulla piazza si affaccia Villa Peyron, dimora dell'architetto Amedeo Peyron. In questa villa furono ospitati molti personaggi famosi, tra i quali ricordo Ahmed Fuad, re d'Egitto, Luigi Einaudi e san Giovanni Bosco. Imboccato via Giolitti, poco dopo vi è Palazzo dei Buffa di Perrero, anch'esso luogo di soggiorno estivo dei conti Buffa. Sulla facciata della casa vi è collocata una lapide che ricorda il Tenente Colonnello degli alpini Carlo Alfonso Buffa di Perrero, morto a Castagnevizza sul Carso, durante la prima guerra mondiale, il 5 novembre 1916 mentre era al comando del 138° Fanteria. Costui fu decorato con Medaglia d'oro al Valor Militare.
Di fronte a questo palazzo, non posso non soffermarmi a guardare la chiesa di Santa Croce, eretta nel 1696 e che conserva al suo interno affreschi settecenteschi, diverse reliquie, fra cui quelle di San Marziale, giunte a Cavour nel 1771, e quella della Santa Croce.
Oggi è Sede del Museo di Arte Sacra. La sua facciata è molto semplice, spartita da leggere lesene con finti capitelli ionici, con una sola porta sulla facciata e un alto timpano.
Poco distante nella vicina via Plochiù, vi è casa Giolitti-Plochiù, edificio del XVIII secolo. In questa casa, appartenuta a Enrichetta Plochiù, madre di Giovanni Giolitti, una lapide mi ricorda che vi abitò e vi mori il celebre statista il 17 luglio 1928. Giovanni Giolitti, nacque a Mondovì il 27 ottobre 1842 e fu più volte Presidente del Consiglio dei Ministri. Raggiungo così in via dei Fossi, la Locanda della Posta, dove posso riposarmi facendo un lauto pasto. La locanda della posta era anticamente detta della Posta Reale ed esiste da inizio XVII secolo. Un locale dalla cucina della tradizione piemontese e io non posso fare a meno di assaggiare tutto quanto mi sarà possibile, innaffiando la mia gola arsa con del buon nebbiolo. Il locale ha un elegante arredo e con settecenteschi camini ed offre agli avventori diverse specialità, dai tagliolini e agnolotti fatti a mano con gustosi sughi di selvaggina e funghi, ai fritti misti alla piemontese, ai bolliti con una moltitudine di salsine, alla finanziera, quest'ultima una specialità torinese di cui vado ghiotto. Fantasiose insalate di mele, queste sono un prodotto tipico delle campagne cavuresi, ma anche paste di meliga, zabaione e il bunet. Dopo essermi rilassato, ma altresì appesantito, un'altra passeggiata non potrà fare altro che aiutarmi nella digestione.
Ritorno così su via Giolitti e raggiungo la chiesa dei Santissimi nomi di Gesù e di Maria. Un edificio del XIV secolo, già chiesa dell'ospedale, ampliata a fine del 1600, conserva diversi affreschi della precedente costruzione. Inoltre conserva le reliquie di Santa Vittoria.
Allungo un po' la strada prima di riprendere l'auto, solo per vedere un settecentesco edificio, un tempo proprietà del Marchese del Carretto, sempre nella centralissima via Giolitti. Su questo edificio, già sede dell'antica Pretura vi è una graziosa raffigurazione della Sindone, recentemente restaurata.
Ripreso l'auto mi avvio verso l'abbazia di santa Maria che dista poche centinaia di metri dal centro del paese. Immersa nel verde della campagna questa abbazia risale al XI secolo. L'attuale chiesa è frutto di diverse modifiche e rimaneggiamenti. Anticamente era a tre navate e fu fondata nel 1037 dal Vescovo di Torino, Landolfo, ove già in precedenza vi era un edificio religioso dell'VIII secolo, forse distrutto dai saraceni.
L'abbazia godette di un lungo periodo di ricchezza. Nel 1162 l'imperatore Federico Barbarossa la sottomette al potere dall'abate della Chiusa di San Michele. Inizia un periodo di contenzioso tra i monaci delle due abbazie. Nel 1390, l'abate Guglielmo vi battezza Bona di Savoia, figlia del conte AmedeoVII. Tale gesto non fu benevolmente accettato dai monaci della Sacra di San Michele. La prova di forza vide vincitori l'abbazia alla Chiusa di San Michele e quella di Cavour venne declassata al rango di Commenda. Da questo momento inizia un inesorabile e lungo periodo di decadenza.
Il re di Francia, l'Ugonotto Enrico IV, con un esercito guidato dal suo luogotenente Francesco di Bonne, duca di Diguières occupa Pinerolo, Briccherasio e assedia Cavour, costringendo alla resa la guarnigione sabauda del castello (1592) L'abbazia di Santa Maria e tutte le altre chiese vengono saccheggiate e profanate. Le reliquie di San Proietto, conservate nella cripta dell'abbazia sono disperse. Ancora nel 1690, un altro francese, il generale Nicolas de Catinat, distrugge nuovamente Cavour, atterrando l'abbazia. La chiesa abbaziale viene ricostruita nel 1728 con tutti i canoni barocchi con i suoi ricchi stucchi. Soppressa nel 1803, secondo le disposizioni napoleoniche fu riaperta al culto nel 1817. Nel 1867 viene definitivamente soppressa.
Il vero gioiello dell'edificio è la cripta, quasi una chiesa sotterranea, infatti conserva l'altare più antico del Piemonte. Essa ha una sala rettangolare con abside semicircolare, le colonne hanno capitelli risalenti forse tra il VII e VIII secolo, quindi appartenuti alla prima chiesa. Mi soffermo a guardare il campanile, in puro stile romanico di fine XV secolo, realizzato a base quadrata con belle bifore. All'interno del complesso vi è il museo "Caburrum", contenente reperti ritrovati nelle campagne di Cavour, a partire dal periodo preistorico, all'alto medioevo.
Non si può venire a Cavour e non andare a vedere la Rocca. Ci si arriva comodamente in auto e a piedi. Tra robinie, roveri, roverelle, querce, castagni, sambuchi, visito la "Torre di bramafam", rudere medioevale e, ancora i resti del castello superiore del XI secolo, ma anche il pilone della vetta, costruito nel 1931 sulla cisterna del castello e in cui furono gettati i corpi della popolazione e dei soldati trucidati dal generale Catinat nel 1690.
Dalla vetta si può ammirare il sottostante borgo e l'abbazia, oltre ad un incomparabile panorama sulle Alpi e sulla pianura Padana.
Sulla rocca è possibile osservare anche i "fori a coppella", incisioni rupestri risalenti al neolitico, di cui non si conosce lo scopo d'uso, forse hanno significati spirituali o magici. Questi "fori a coppella". e di altre particolari incisioni è sculture celtiche è particolarmente ricca tutta la zona del cavourese.
Riprendo la mia auto, soddisfatto di aver visto questo antico borgo e di aver soddisfatto le mie molte curiosità, di aver lautamente pranzato e conscio di quanto non ho potuto ancora vedere di questo mio Piemonte, mentre mi reco verso casa, fantastico e progetto nuove visite e nuove avventure.