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La Vigna di nonno Dante

Lunedì 21 Maggio 2018 08:41
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Nonno DanteNonno Dante seduto sotto la grande e frondosa noce, si riposa dopo aver zappato ed estirpato le erbacce tra i filari del prezioso nettare di bacco. Vicino al nonno, con la sua immancabile paglietta in testa, c'è la pompa dell'acqua del vecchio pozzo, immerso nella piccola vasca di pietra, il bottiglione da due litri di vino, frutto delle sue fatiche nella vigna. Due tovaglioli a scacchi bianchi e rossi sono aperti sulle sue e mie gambe, distese sul verde dell'erba.
Su di essi, due rosette con prosciutto cotto per me e salame per il nonno; è la merenda che nonna Pierina ci ha preparato per la giornata. Mi divertivo molto ad ascoltarlo mentre mi raccontava un mucchio di storie di un tempo passato e con lo sguardo gli rubavo la grande manualità ed esperienza nel curare la vigna; esperienza che ha appreso da suo padre Giovanni quando rientrò migrante dall'Argentina.
Sono pochi i filari della vigna di uva barbera e con qualche tralcio di uva americana, ma bastano per fare il vino e soddisfare le esigenze familiari.
In testa alla vigna, il nonno ha messo a dimora delle piante di Rosa, dice che sono il termometro della salute della vigna.
Tra i filari, ogni tanto vi è una pianta di amarene o di pere che il nonno cura con attenzione, affinché possano dare i loro dolci frutti; anche tra le corsie dei filari delle vigna, dove mi piace correre c'è un piccolo orto: patate, cipolle, carote ed insalata. Nel piccolo orto, rigagnoli d'acqua del pozzo corrono tra i solchi. Ogni tanto tra i filari si trova qualche colorito fagiano, mentre è di casa la lepre che al nostro arrivo, scappa sempre in mezzo al campo di erba medica. Quando il nonno raccoglie la frutta o gli ortaggi, la ripone con cura in una cesta di vimini, fatta con i rami sottili del salice bianco o come dice Lui, di "gaba". Qualche volta mette le amarene in piccoli contenitori fatti con i "fujachièn" ossia con le foglie di meliga, cioè il granturco. Quando arriva il tempo della vendemmia, anch'io sono impegnato a raccogliere l'uva, o meglio e guardare il nonno, il papà e lo zio impegnati a tagliare i grappoli che poi vengono messi nella brenta. Alcuni grappoli, forse i più belli, vengono messi nella cavagne per essere poi portati a casa per essere mangiati. L'uva è il barbera, ma ci sono anche viti di uva americana che è particolarmente dolce e solitamente nasconde qualche vespa tra gli acini. Non ce n'è tanta, come quella del bacò, ma che basta per dare colore e zucchero alla barbera, così mi ha insegnato il nonno. Mi ha raccontato anche che, durante il periodo fascista, era vietata la coltivazione sia del bacò che dell'uva americana, forse perché il bacò aveva un alto tasso di tannino. Il nonno e i vecchi del paese affermano che non si può fare del buon vino senza il bacò e l'uva americana. Sul carro trainato dai buoi c'è l'arbi, in cui tutte le brente e le gerle scaricano l'uva per essere portata a casa e poi pigiata. Anch'io mi diverto a pigiare l'uva con i piedi, anche se è un continuo lottare con le vespe che ci ronzano intorno. Il chicco dell'uva americana è più piccolo di quello del barbera ed è quindi facilmente riconoscibile anche da me, perché hanno compatti grappoli di acini tondi di cui ne vado ghiotto. Una delle merende preferite è un grappolo d'uva dolce con una spessa fetta di pane.
Sono ricordi indelebili che mi tornano alla mente e che vivo continuamente al presente. Sicuramente me li porterò dietro non solo come momenti nostalgici ma soprattutto perché genuini ed è bello riviverli con gli occhi di quand'ero bimbo.