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NEET

Sabato 21 Luglio 2018 10:04
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NovalesaLa giornata era uggiosa, ero uscito in bicicletta per recarmi in paese in farmacia. Dovevo comprare alcune medicine per Birba, la mia gatta diciannovenne. Dopo aver acquistato i farmaci, nel riprendere la bicicletta avevo visto seduto al tavolino del vicino bar un ragazzino, mi aveva colpito perché l'avevo visto più volte sempre seduto al bar impegnato a leggere o scrivere sul suo smartphone. Il ragazzino lo ritrovo la settimana dopo, sempre al bar, sempre a smanettare sullo smartphone. Dopo essere entrato nel locale ed aver bevuto un caffè caldo, mi avvicino al giovane ragazzo per prendere il giornale posto sul suo tavolino. Entriamo quasi subito in confidenza a causa della stessa squadra di calcio per cui tifiamo. Mi racconta che ha finito le scuole e che non ha intenzione di proseguire gli studi, in quanto è inutile studiare per poi rimanere disoccupato, così almeno afferma. Il giovane ragazzo ha una corporatura minuta la sua altezza è nella media degli adolescenti di oggi, ha una testa coperta da una folta capigliatura riccia castana. Il viso è allungato con due occhi castani, grandi e curiosi, due sopracciglia fini e curate gli fanno da contorno. Il naso è leggermente adunco mentre la bocca è sottile e piccola con due labbra rosee. Sono le orecchie un po' grandicelle ed a sventola a caratterizzarlo.
È il mio primo incontro con un Neet. Non bisogna confonderlo con i fannulloni dell'On. Renato Brunetta, nemmeno con i bamboccioni del ministro Padoa-Schioppa, neppure con i choosy, come li ha spregevolmente definiti l'ex ministro Fornero.
I neet, acronimo inglese coniato nel 1999 sta ad indicare Not in Employment, Education or Training. Sono i giovani che non lavorano, non studiano, ma che desiderano lavorare e crearsi una famiglia, ma che dopo un periodo di ricerca del lavoro, si arrendono frustrati. Gli chiedo se ha mai lavorato e smocciolando con il naso per la timidezza mi dice di aver fatto qualche lavoretto in una falegnameria, il barista e ha anche lavorato in campagna durante la vendemmia, ma che erano lavori saltuari spesso in nero. Afferma che però era contento di portare a casa quella manciata di euro, perché non doveva chiederli a sua madre. Continua, allacciandosi le scarpe, forse per vergogna nel raccontare la sua storia, che ha perso settimane a consegnare decine di curriculum nelle varie agenzie e attività commerciali. Si è inscritto ai vari servizi di collocamento ma senza risultati e lo sconforto lo ha vinto. Quando gli chiedo come passa la giornata, mi risponde stirandosi la maglietta, che la mattina cerca di aiutare la madre nei lavori domestici, magari andando a fare la spesa, poi si siede sulle panchine dei giardinetti, fa due passi fino alla stazione ferroviaria o viene al bar finché gli amici non lo raggiungono. Michele, questo il suo nome, ha un cassetto pieno di desideri, vorrebbe un lavoro per permettersi di metter su famiglia e comprarsi un piccolo appartamento ed avere un cane. Non va mai a ballare e raramente va al cinema, spesso raggiunge gli amici all'uscita dei locali per stare in loro compagnia. Il padre fa l'operaio alla Solvay e la madre, quando trova, va a fare le pulizie delle scale dei condomini o piccoli lavoretti. Condivide la stanza dell'appartamento in affitto con la sorella più piccola. Nella stanza si è ricavato un piccolo spazio per se, dove ha affisso al muro il poster dell'Inter. Per il resto deve sostenere l'urto di decine di peluche, ascoltare le canzoni di Justin Bieber e Benji e Fede che trova anche ritratti in vari poster affissi per la stanza. Michele ha preso il diploma di perito meccanico e le sue aspettative lavorative si scontrano con le politiche che oggi sono lontane dai bisogni reali, vive chiuso in se stesso, per cui il pomeriggio è lunghissimo quasi una tortura, deve aspettare che i suoi amici tornino da scuola o dall'università per scambiare qualche parola, fare una partita a calcetto o giocare a biliardino. Si è chiuso dentro, ha rinunciato a costruirsi un domani ma non ha rinunciato a credere che qualcosa cambierà. Non va a votare perché "sono tutti uguali" mi dice, "promettono lavoro per tutti e poi gli unici ad avere grassi stipendi sono loro e i calciatori, ma io sono anche un pessimo terzino". Continua "È terribile vedere gli amici che vanno a divertirsi e io rimango al palo". Deve essere straziante anche per i genitori vedere il proprio figlio che non trova lavoro e che non può vivere la sua età come fanno tanti suoi coetanei. Chiude dicendomi "Mi fanno arrabbiare quando per televisione dicono che la crisi è finita. Ma dove vivono?". A differenza degli stereotipi che dipingono questi ragazzi come disinteressati e svogliati, anche i neet hanno le stesse aspirazioni dei loro coetanei più fortunati, ma si trovano nelle condizioni di dover affrontare un disagio sociale, tipico di una società globalizzata e tesa al consumistico benessere e dove le differenze sociali sono drammaticamente tornate in auge. Questi ragazzi si sono impantanati in una palude sociale che vede il lavoro come un miraggio e dove ha vinto la rassegnazione. Dobbiamo tutti, soprattutto quella politica assente, fare in modo che questi giovani non si facciano soffocare assorbiti dalla palude del qualunquismo e dal consumistico modo di vivere questa società.