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Con il pensiero verso Haiti (IV ed ultima parte)

Giovedì 14 Aprile 2011 20:31
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Haiti è l'isola che non c'è, quella di Peter Pan, quella dei sogni infranti. Quella del bambino che non voleva mai crescere, eppure Haiti esiste, è reale, con tutta la sua storia, le sue tragedie, il suo continuare a lottare.
Un' isola dimenticata fino a quel disgraziato 12 gennaio ora è piena di volontari e militari in divisa, da sembrare in guerra da quanto è militarizzata.
Ma ci sono anche i volontari haitiani che vivono nei campi improvvisati e che devono sostenere loro stessi e contemporaneamente aiutare i loro connazionali. Sono orgogliosi di essere haitiani, lavorano e collaborano con le migliaia di operatori internazionali provenienti da tutto il mondo e nascondono le proprie difficoltà con la voglia di essere uguali ai soccorritori d'oltremare anche senza le scintillanti auto delle O.N.G. presenti, indossando, quando possono permettersela, una misera pettorina con il nome della loro organizzazione.
La preoccupazione di tutti è rivolta all'imminente inizio della stagione delle piogge, e mentre la maggior parte della popolazione è ancora sotto i teloni e le casette provvisorie sono pochissime, molte aree destinate al ricovero sono ancora in fase di progettazione.
I problemi più grossi si incontrano nel reperire gli spazi necessari visto che vi sono ovunque cumuli di macerie e che è molto difficile individuare i proprietari di aree idonee ad ospitare strutture, naturalmente scontrandosi con la burocrazia e le leggi locali.
La legge prevede che ogni edificio ancorato al terreno diventi automaticamente proprietà padronale ed alcuni proprietari sono stati molto generosi a mettere a disposizione della gente i terreni per i ricoveri provvisori ma certamente non vogliono che nessuno metta strutture permanenti sulla loro terra.

Le abitazioni in legno destinate ai senzatetto sono progettate dalle O.N.G. e generalmente sono in grado di ospitare famiglie di 5 persone ma difficilmente saranno sostituite con case in muratura nei prossimi anni e quindi diventeranno per la maggioranza di loro case definitive.
L'urgenza di dare un tetto stabile non serve solo ad affrontare la prossima stagione delle piogge, infatti la distribuzione di grandi teli di nylon è l'attività principale dei soccorritori, ma individuare un area ordinata da urbanizzare anche solo in forma "provvisoria" vuol dire superare ben altri problemi vitali, quali la distribuzione dell'acqua, la possibilità di cucinare i cibi in ambienti adatti, ma soprattutto quella di superare il problema latrine che, come dicono i medici venezuelani e cubani, porterà inevitabilmente problemi di colera e dengue.

Il numero dei soccorritori civili e militari provenienti da tutto il mondo a mio parere è sproporzionato, crea solo caos nella devastata isola.
Il sisma ha provocato decine di migliaia di morti, milioni di senzatetto, distrutto la già scarsa economia del paese ma come contraltare ha attivato una catena di soccorsi incredibile, mai vista in precedenza. Ha prodotto lo studio di migliaia di progetti di cooperazione internazionale predisposti dalla moltitudine degli attori presenti, americani, francesi, centro-americani, brasiliani, canadesi, italiani, israeliani, tedeschi ecc. e delle molteplici organizzazioni: dalla Croce Rossa, alla Caritas, a Medici senza Frontiere, al Soccorso Islamico, Medici nel Mondo e poi ancora PAM, e tante altre…. Ciò ha aperto un grande mercato del lavoro per tanti giovani occidentali che rimarranno o arriveranno nell'isola per proseguire nella realizzazione di progetti di ricostruzione insieme a tanti altri civili e militari che profumatamente pagati sono presenti sull'isola dai primi momenti successivi alla prima scossa sismica.

La ricostruzione sarà sicuramente un business per molti, ma in fin dei conti l'importante è che dia lavoro, casa, e un'economia più solida agli Haitiani.
Non solo occorre ricostruire alloggi, scuole, palazzi governativi, ospedali, ma bisogna risanare il degrado ambientale pregresso dell'isola che con la deforestazione selvaggia produce annualmente morte e disperazione; dopo ogni Uragano si scatenano ad effetto domino frane sulle baraccopoli. Altro passo fondamentale sarebbe creare una predisposizione all'insediamento di varie attività produttive e costruire una nuova società haitiana, senza imporre dall'esterno dei sistemi fotocopia. Se ciò non dovesse essere fatto avremmo creato un nuovo disastro macchiandoci di mero opportunismo.
Dalla tragedia noi occidentali possiamo solo apprendere alcune lezioni, tra le quali la mancanza di cooperazione tra Stati che si evidenzia purtroppo con la competizione tra gli stessi.
United we stand, divided we fall: Haiti è stata il più recente e più grande esperimento di logistica Umanitaria in "via di sviluppo", dove strategie, scuole di pensiero, filosofie umanitarie si sono confrontate e spesso scontrate tra le grandi organizzazioni, oltre a scatenare le angosce delle piccole organizzazioni timorose di essere fagocitate dalla macchina delle grandi agenzie umanitarie.

Too little - too late. e sicuramente si poteva fare di più, prima e meglio per questa martoriata isola caraibica, nella speranza che almeno ora non ci si dimentichi di loro appena si spegneranno i riflettori delle televisioni.


Fine IV ed ultima parte.