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Il mio Piemonte: Novalesa

Domenica 21 Ottobre 2018 10:04
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NovalesaColgo l'occasione di un viaggio in Val Susa per chiedere al mio collega Andrea, una breve deviazione per raggiungere un borgo situato nella val Cenischia, il cui nome Novalesa compare per la prima volta nel 726 nell'atto di fondazione della celebre abbazia. I primi secoli di vita del borgo si svolsero all'ombra di questo monastero, ma già nel 1279 gli abitanti di Novalesa ottenevano dal priore Amedeo una lunga serie di franchigie con quell'atto li rendeva di fatto padroni dei loro beni privati.
La storia e lo sviluppo del borgo sono legati alla presenza della strada reale che risalendo il corso del fiume Doria Riparia e poi del Cenischia permetteva di varcare le Alpi sul Colle del Moncenisio, uno degli itinerari più frequentati per raggiungere la Francia.
Alla tradizionale attività agro-pastorale si aggiunse presto, grazie all'incremento del traffico dovuto ai commerci, lungo la cosiddetta strada di Francia anche un attività legata all'ospitalità dei viaggiatori con alberghi e locande, mentre gli abitanti si adoperavano anche come guide lungo l'arduo sentiero che conduceva al valico. Sopratutto nel XVI secolo, con la diffusione delle carrozze iniziò il periodo aureo del borgo, infatti fino a Novalesa i viaggiatori arrivavano con le carrozze, da qui venivano smontate e a dorso di muli attraversavano il valico e rimontate a Lanslebourg. In quel periodo si contarono circa 78 attività commerciali tra locande, alberghi, osterie, botteghe di carradori e fabbri. Nel 1764 Novalesa poteva contare su ben centocinquanta portatori, queste figure storiche erano denominati "marrons", robusti giovani, sia di Novalesa che di Lanslebourg che con adeguate portantine facevano valicare il Colle del Moncenisio senza fatica ai viandanti. In quel periodo oltre ad un posto di Dogana, il borgo, ormai Comune autonomo aveva un Sindaco, la cui carica era spesso abbinata al directeur de passage, ossia un responsabile del traffico sulla via del Moncenisio.
Con la costruzione della strada napoleonica, costruita su un altro tracciato, Novalesa perse d'importanza.
Entrando nel paese da Ferrera Cenisio, l'attuale Moncenisio incontriamo la cappella di San Sebastiano, ove al suo interno è allestito un presepe permanente. La cappella di San Sebastiano sorge nella località Lazzaretto ed era già presente nel 1771. La facciata è intonacata, profilata a capanna e conclusa agli spigoli da ampie paraste, il tetto è due falde che sopravanzano moderatamente il filo del muro per proteggere l'ingresso. Il campanile benché di particolare foggia è "a vela" e l'interno a navata unica è conclusa da un'abside poligonale intensamente affrescato con immagini di San Sebastiano.
Lungo la via Maestra, strada principale del borgo su cui si affacciano le antiche case, si trova la parrocchiale di Santo Stefano, patrono del borgo, costruita sul sito di una precedente cappella romanica e totalmente ricostruita ed ampliata nel 1684 come pare voglia ricordare una data scolpita sulla facciata. Sul lato sinistro esterno e sull'adiacente palazzo, ora sede del Museo etnografico, sono affrescate alcune scene della passione di Cristo e allegorie di virtù dei Santi come pure quella nascosta nel vicolo che conduce sul retro della chiesa. All'interno vi sono interessanti opere come un bel polittico del XVI secolo di scuola franco-piemontese, ma anche una copia coeva della Crocifissione di San Pietro di Michelangelo Merisi, o Amerighi, noto come il Caravaggio (1571 -1610). Una Adorazione dei Magi attribuibile alla scuola del pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (1577 -1640), la Deposizione di Cristo attribuita a Daniele Ricciarelli, detto Daniele da Volterra (1509 -1566 ) e l'Adorazione dei pastori del pittore francese rococò François Le Moine (1688 – 1737). Questi quadri furono donati nel 1805 da Napoleone Bonaparte all'abate Gabet, priore dell'Ospizione del Moncenisio, poi passate di proprietà dell'abbazia e con la legge Siccardi del 1855, in cui si sopprimevano le congregazioni religiose passate di proprietà alla parrocchia.
Il vero tesoro della chiesa però, è la cassa ricoperta con lamine d'argento e figure in sbalzo, realizzata per contenere le reliquie di Sant'Eldrado.
La prima domenica successiva al 13 marzo si festeggia il compatrono Sant'Eldrado (Abate dell'Abbazia della Novalesa anno 900′ circa), le cui reliquie vengono portate in processione per circa 2 km da portatori robusti in un'urna di notevole peso.
L'edificio adiacente che ospita il Museo etnografico è una seicentesca costruzione, si trattava della Casa della Comunità ed oltre ad ospitare la sala delle riunioni o delle congreghe, vi era anche un presidio del corpo di guardia e la prigione.
Accanto alla parrocchiale la cappella del Santissimo Sacramento (1597) che ospita dal 2002 il Museo di Arte Religiosa Alpina, una delle sedi del Sistema Museale Diocesano, che raccoglie oggetti di oreficeria, tessili e dipinti provenienti dalla parrocchiale e dalle cappelle del territorio di Novalesa.
Poco distante un pannello informativo ci racconta la storia dell'Hotel Imperiale o meglio dell'antico albergo Ecu de France/Epée Royale, dove soggiornò anche Napoleone Bonaparte. Lo stesso pannello informativo ricorda una divertente testimonianza di una viaggiatrice, Filippina di Sales, che il 5 marzo 1781 scriveva del suo soggiorno sul suo diario: "[…] ci dirigiamo verso un albergo, l'Ecu de France, secondo mio marito più confortevole. In effetti dopo qualche discussione e l'incentivo di alcune monete d'argento, un ostessa dalla corporatura di un granatiere, con un non lieve accenno di peluria sul labbro superiore e il viso incorniciato dalla cuffietta increspata tipica di questi posti, acconsente a cederci delle camere abbastanza comode e pulite e a servirci immediatamente un pasto caldo […]."
Infatti, sempre legati alla cultura di questo villaggio montano, tra i vestiti savoiardi e gli altri antichi costumi, vi è la cosiddetta "roba savuierda", più o meno ricca, sia come stoffa che per la ricchezza di pieghe e passamanerie, a seconda la possibilità della singola famiglia.
Sempre sulla via Maestra si affaccia la Casa degli affreschi acquisita nel patrimonio municipale, è una ex locanda medioevale con un doppio ambiente interno ben conservato. Probabilmente è da identificarsi nell'antica Locanda della Croce Bianca citata nei documenti a partire dal XIV secolo. Sulla facciata presenta degli affreschi con gli stemmi araldici sabaudi e delle regioni europee di provenienza e di destinazione degli avventori della locanda. internamente, la Casa presenta diverse decorazioni geometriche a fresco e su tappezzeria, con scritte lasciate dagli avventori nel corso del tempo come quella rinvenuta durante i restauri di un pellegrino di origine polacca.
Ormai è giunta ora di pranzo, non potevano che trovare un locale che potesse essere di maggior auspicio, visto la storia del borgo. L'albergo non è antico, anzi è stato costruito nel 1899, ma dimostra i segni dell'età. Mi ricorda vagamente, nell'arredamento, nel modo di accogliere i clienti, alcuni alberghi che frequentavo negli anni Settanta, inizio Ottanta del secolo scorso sugli appennini liguri. Un misto di albergo e colonia sociale, con arredi retrò, ampi finestroni, lunghe tende, grandi saloni con tavoli rettangolari con fiori di plastica, in questo caso veri ma un po' appassiti, la bottiglia di vino già stappata sul tavolo. Al posto della brocca d'acqua una normale bottiglia d'acqua. Tovaglia e tovaglioli bianchi e un menù di buona qualità ma senza particolari raffinatezze. Un servizio agile e veloce fatto da giovani ragazze vestite con camicia bianche e gonne o pantaloni nere come il grembiule indossato, capelli rigidamente raccolti. Una clientela che varia da operai, commessi viaggiatori e persone anziane che pensionano in albergo per qualche tempo in ricerca di un po' di frescura in questa estate torrida.
Dopo aver consumato il nostro pasto, la mia attenzione non poteva che rivolgersi verso la vicina Abbazia. Pagato un modesto conto alla non più giovane Signora alla cassa, che ci racconta un po' di locali pettegolezzi, se ben stimolata ci dirigiamo verso questa breve e fugace meta. Mentre attraversiamo il ponte su Cenischia, osservo con sguardo ammirato una serie di cascate che dagli alti strapiombi delle montagne che fanno da cornice a Novalesa si gettano a valle e scompaiono dentro un verde mare di alberi di conifere. Un luogo come questo già abitato da antiche popolazione dove sono stati ritrovati reperti di arte rupestre e antichi reperti celtici dei Druidi non possono essere prive di antiche storie di folletti. La fantasia popolare vuole che esista la grotta dei farfoulët (folletti) dalla quale escano i suoi piccoli abitanti per andare a lavare i loro vestiti nel ruscello.
Raggiungiamo così in mezzo ai prati l'Abbazia di Novalesa, fondata nel 726 da Abbone, governatore di Susa e affidata ai Benedettini. L'abbazia, dotata di notevoli possedimenti divenne uno dei più importanti centri culturali del Medioevo, vi soggiornò nel 773 Carlo Magno che ne implementò possedimenti e privilegi. Fu ricostruita dopo la distruzione perpetrata dai saraceni nel 906, senza però eguagliarne la grandezza. Come tutti gli ordini anche l'Abbazia fu soppressa da Napoleone Bonaparte e riconsegnata ai monaci nel 1816 ma fu definitivamente chiusa nel 1855 il complesso di edifici fu dapprima trasformato in stabilimento idroterapico e poi passo al Collegio Umberto I di Torino. Dopo un restauro effettuato dalla Provincia di Torino viene dal 1973 riaffidata ai monaci benedettini che ne fanno un centro per il restauro dei libri antichi.
Nel raggiungere il complesso monastico, posso ammirare facendovi una breve sosta, circondata da lussureggianti verdi campi la cappella di Santa Maria Maddalena, risalente al VIII-IX secolo. La cappella dalle fattezze semplici è circondata da una vecchia staccionata in legni, ha una facciata a capanna, tetto a doppio spiovente ed arcate cieche su ogni lato, mentre la facciata è semplice, priva di finestre e solo dalla piccola finestra ricavata nella porta posso ammirare lo splendido affresco di Santa Maria Maddalena al suo interno. La cappella segnava un luogo di sosta per la preghiera prima di poter accedere al monastero. Parcheggiamo l'auto di fronte all'ingresso dell'Abbazia entrati nel primo cortile, in fondo al quale sorge la chiesa, quasi completamente riedificata nel 17112 per volere di Vittorio Amedeo II. La più antica Chiesa abbaziale, dedicata ai Santi Apostoli Pietro e Andrea, venne edificata tra il 726 e il 739, a navata unica. Nei secoli XI e XII fu ricostruita in stile romanico a tre navate. Dopo ulteriori interventi nel XV e XVI secolo, la chiesa venne ricostruita, come posso vederla oggi, attraverso una porta di vetro, a navata unica con quattro ampie cappelle laterali e un profondo presbiterio absidato. La facciata è molto semplice, alta e slanciata, a porta unica con solo due lesene angolari, priva di finestre se non quella rettangolare posta sotto il grande timpano. Cenni di affreschi Settecenteschi ne fanno immaginare la suggestione iniziale. Sulla destra della chiesa si erge il campanile in pietra locale, dalle forme semplici ed eleganti.
Sul fianco destro si apre attraverso una porta l'accesso al chiostro, del quale restano i portici che possiamo vedere solo attraverso un varco.
Il chiostro quadrilatero porta tracce di affreschi e frammenti lapidei epigrafici romani ed è stato più volte rimaneggiato.
Un anziano monaco, seduto su una panca sta amabilmente conversando con una attempata coppia di pellegrini, la scena fa molta tenerezza soprattutto se ambientata in luogo come questo. In questo luogo ogni pietra traspira spiritualità in un contesto di storia e natura. Purtroppo siamo arrivati in un orario in cui i locali attigui dove si può visitare il museo del restauro del libro sono chiusi. Ebbi modo di ammirare i laboratori di restauro e il museo qualche anno indietro. Tornati all'esterno, proseguo a piedi lasciando per un attimo Andrea davanti all'Abbazia e mi dirigo verso altre cappelle che circondano l'antico Cenobio.
La Cappella di San Michele conosciuta anche come cappella di San Pietro, risale ai secoli VIII-IX è poco dissimile da quella di Santa Maria Maddalena anche se la facciata è scandita da tre alte arcature. Dopo la soppressione del 1855 fu adibita a stalla e a deposito di attrezzi. Conserva anche questa tracce di affreschi medioevali. Poco distante la cappella del Santissimo Salvatore, della seconda metà del secolo XI. Dopo la soppressione del 1855 fu ridotta ad abitazione privata ciò ha fatto perdere quasi tutti gli affreschi. In discesa dal colle dove si erge l'Abbazia si erge la cappella di Sant'Eldrado, abate del Monastero dall'822 all'840, sicuramente la più bella e meglio conservata delle quattro cappelle. Questa risale al secolo X-XI ed è preceduta da un atrio edificato nella seconda metà del secolo XVII. La decorazione interna, che la ricopre per intero, risale alla seconda metà del secolo XI, durante il governo dell'abate Adraldus. Imponente è la figura del Cristo "Pantocratore" (onnipotente), seduto su un trono raffigurato con una tunica di color porpora (simbolo della sua divinità) e un pallio di colore blu (segno della sua vera umanità). Fanno corona al Cristo i due santi ai quali è dedicata la cappella, ossia Sant’Eldrado in abito monastico e San Nicola in paramenti episcopali.
La presenza di San Nicola potrebbe apparire strana se non spiegata: nel 1087 alcuni marinai trafugarono e portarono a Bari da Mira in Asia Minore le reliquie di San Nicola. Una trasmissione di memorie popolari vuole che poco dopo, mentre si stava decorando la cappella, un crociato francese di ritorno in patria passando alla Novalesa vi avrebbe lasciato una reliquia del Santo. Inoltre, un'urna contenente reliquie di diversi Santi, non identificati, è conservata nella cappella. Mentre di Sant'Eldrado, abate del monastero di Novalesa, possiamo brevemente raccontare che nacque nella seconda metà del secolo VIII, da genitori, di un antica famiglia guerriera aristocratica franca. Abate della comunità novalicense per un trentennio, Eldrado si distinse per le sue doti straordinarie caritatevoli e di bontà. Due secoli dopo un anonimo cronista ne tratteggia questo ritratto: "Eldrado rifulse per santità, fu pieno di saggezza, fu illustre per miracoli e fu il restauratore del monastero". La tradizione liturgica pone il suo transito al 13 marzo, verso la metà del secolo IX, forse poco dopo l'844. Il suo miracolo maggiormente ricordato tra i numerosi miracoli a lui attribuiti in vita e post mortem è il cosiddetto "miracolo dei serpenti", grazie al quale l'abate aveva liberato dalla minaccia dei serpenti, che infestavano la valle di Briançon, il villaggio identificato con l'attuale Monêtier-les-Bains.
È giunta l'ora di lasciare Novalesa e riprendere la strada di casa, felice di aver potuto vedere, visitare e raccogliere un pezzo di storia e tradizioni di questo meraviglioso Piemonte.