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Il mio Piemonte: Balocco

Lunedì 09 Settembre 2019 12:21
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BaloccoIl ticchettio della pioggia, le nuvole grigie e il vento ha accompagnato la mia notte. Forse non è splendente il mattino, ma le nuvole che offuscavano il cielo sono scomparse e il viaggio in auto verso il vercellese si presenta tranquillo.
Raggiungo così Balocco, l'antica Badalauchum, toponimo che deriva da uno strumento per catturare gli uccelli o addirittura poteva essere Badaluchus ossia scaramuccia. Di certo nel 1224 era attestato come Badalocus che rinvia al verbo batare cioè "lasciare aperto" o "abbandonare al suo destino", con un po' di fantasia, attraverso locus potrebbe significare "luogo senza difesa".
Balocco comunque è un luogo antichissimo, fu sede di una delle prime sedici pieve rurali vercellese, già citate da una lettera del Vescovo Ottone o forse Ingone a Waldone tra il 924 e il 960. Invece è del 7 maggio 999 il diploma di Ottone in cui appare un riferimento alla chiesa di San Michele. Nel 1124 viene menzionato Eustacchio Gonfalonieri di Balocco, primo nobile che infeudò il territorio e vi signoreggiò a fasi alterne fino all'inizio del XVII secolo.
La famiglia Confalonieri, di origini milanese, doveva il loro cognome al diritto di precedere l'arcivescovo di Milano nelle processioni, portando il gonfalone. Verso la fine del XIII secolo s'insediarono nel feudo anche i signori di Buronzo che ne divennero i consignori. Nel 1335 il feudo passò sotto il dominino dei Visconti e nel 1357 subì la distruzione ad opera di Ugolino Gonzaga. Nel 1378, dopo la sottomissione avvenuta nel 1373, dei Confalonieri e dei signori di Buronzo ai Savoia, Balocco entrò a far parte del capitanato di Santhià. Nel 1397, Giovanni di Rovasenda venne assassinato nei pressi di Cerrione; il delitto venne attribuito a sicari al soldo dei Savoia. Questo assassinio scatenò una lunga serie di lotte tra i signori di Rovasenda e i signori confinanti fedeli ai Savoia. Nel 1413 i signori di Rovasenda, fedeli al marchese del Monferrato, assalgono Balocco saccheggiandolo e distruggendolo, dando alle fiamme il castello. Nel 1601 parte del feudo fu concesso a Claudio Courtet e poi passò a Giuseppe Pramaggiore di Ivrea. Ancora nel 1635, fu investito del feudo di Buronzo, Giovanni Francesco Buronzo delle Donne. In seguito passò parti del feudo al Colonellato dei Plebani di Bronzo e nel 1750 ne fu investito Marco Antonio Masi, figlio di Ludovica Maria Plebano.
Parcheggio nella piazzetta antistante il castello, la presenza di una fortificazione è attestata già nel XII secolo e avevo avuto modo di leggere che la sua tipologia fosse quella di un castrum munito di un ampia cinta racchiudente anche la parrocchiale di San Michele Arcangelo. Il castello subì molte distruzioni, ivi comprese quella del 1401 guidata dal condottiero Facino Cane che distrusse quasi totalmente il castello. Ricostruito nel 1423, subì altre devastazioni nel 1622 ad opera delle truppe spagnole. Oggi del XV secolo rimane il mastio, la torre centrale a altre due torri minori di cui una quadrata e l'altra circolare. Il resto è rimaneggiato successivamente.
Faccio così un giro intorno al castello che è visibile grazie all'ampio bel parco non munito di alte mura. È un alternarsi di finestre afferenti a varie epoche costruttive, con le caratteristiche merlature aggettanti del mastio e i beccatelli.
Dopo aver fatto un breve ripasso del lessico dell'architettura medioevale e non solo, scattato molte foto, mi dirigo verso la chiesa.
La chiesa parrocchiale porge l'abside verso il castello, era già presente prima del X secolo, come chiesa plebana. La parte più antica della attuale chiesa parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo risale all'XI secolo. La chiesa romanica è ben riconoscibile nonostante le aggiunte successive. Sicuramente la presenza della pieve del castello indicano che da qui passava un importante strada che univa le aree di montagna con la città della pianura.
La chiesa a tre navate ed in origine ad una sola navata contiene nel suo interno un trittico del XVI secolo raffigurante la Vergine e Bambino, San Michele Arcangelo e Santa Margherita, attribuito al Giovanone, ma anche un affresco con i Santi Bernardino da Siena e Caterina d'Alessandria del XV secolo.
Faccio due passi per il piccolo borgo, che conta poche centinaia di abitanti.
Il palazzo comunale, il monumento ai caduti, il bar ristorante, antiche e moderne case, antiche cascine e piccole stradine lo caratterizzano.
Devo prendere l'auto per raggiungere la chiesetta della Madonna di Campagna. Un tempo vi erano molti più edifici religiosi, oggi totalmente scomparsi, come la pieve di San Martino, attestata la prima volta nel 1179, scomparve probabilmente tra il XIII e il XIV secolo per motivi non noti. Si presume, grazie al prediale San Martino, che fosse collocata all'incrocio della strada Bronzo-Formigliana e Villarboit-Balocco, nelle vicinanze della Roggia di Balocco. Non esiste più traccia nemmeno dell'oratorio di San Sebastiano che sorgeva poco fuori l'abitato di Balocco in direzione di Bastia, in prossimità del rio Ronzano. Non si conosce quando fu costruita ma il fatto che fosse dedicata a San Sebastiano e che fosse poco fuori dal borgo fa presumere che l'oratorio fosse stato edificato nel XIV-XV secolo. Infatti San Sebastiano era invocato a protezione dalle malattie e soprattutto dalle pestilenze. La vicinanza del rio e di molti altri corsi d'acqua fece in modo che l'oratorio venisse completamente rovinato dalle esondazioni, come aveva annotato il parroco nel 1770. La tela raffigurante San Sebastiano a causa di tali danni, era stata trasportata nella parrocchiale. Il vescovo, nel 1771, autorizzò l'abbattimento dell'edificio e il riutilizzo dei materiali per riparare il muro di cinta del cimitero. Ma vi era anche un oratorio, dedicato a Sant'Antonio Abate, alle Cascine di Balocco. Il torrente Cervo divide la Cascina di Balocco dal centro urbano e ciò impediva per lunghi periodi agli abitanti della cascina aldilà del torrente di potersi recare nella chiesa parrocchiale. Nel 1666 il vescovo di Vercelli autorizza per questi motivi l'edificazione di questo oratorio che viene costruito nel 1675 e nel 1767 viene affiancato all'edificio religioso un piccolo cimitero perché servisse il cantone. Nella prima metà del XIX secolo, l'oratorio versava in cattive condizioni a causa della scarsa manutenzione per le difficoltà economiche dei suoi abitanti e nel 1832 l'edificio venne dichiarato inadatto al culto. Quello che rimane dell'edificio è stato riutilizzato per le attività agricole.
Raggiungo così la piccola chiesa di Madonna di Campagna, attraverso una strada sterrata. Parcheggio l'auto comodamente in un ampio spazio inghiaiato appositamente per i fedeli che si recano nel piccolo santuario. La chiesetta è molto piccola e semplice nella struttura con la sua forma a capanna. Si conosce ben poco della sua data di fondazione, ma parte della tipologia delle mura mi fa presumere tra il XIII e il XIV secolo. Sicuramente appare nel XIV nelle attestazioni di patronato ai Confalornieri. Fatta in mattoni e nel lato meridionale anche in file di pietre del torrente Cervo disposte a spina di pesce, si presenta oggi restaurata e con la facciata interamente intonacata. Un verde giardino fiorito la circonda, un piccolo sagrato anticipa l'unica porta d'accesso con ai lati due semplici finestre squadrate con grate. Una grande finestra sagomata, posta sopra la porta centrale, permette l'accesso alla luce. Un tempo doveva presentare delle finestre anche sui lati, oggi soltanto un lato ha delle finestre poste subito sotto il tetto.
La chiesa è posizionata vicino a due canali e rogge d'alimentazione delle risaie, un tempo anche al corso del torrente Cervo o Serf in dialetto, ma in una posizione privilegiata essendo stata edificata su un rilievo che la proteggeva dalle inondazioni. La devozione popolare è legata all'apparizione della Vergine. Si racconta che ad una ragazza muta, intenta a pascolare delle vacche in un campo nominato "Prato Bosie" le sarebbe apparsa la Madonna che la invita ad andare dal parroco indicando dove venisse costruita una chiesa in suo onore. La giovane acquisita la parola e recatesi dal parroco e in segno di ringraziamento del miracolo con devozione popolare la chiesetta sorse. Un'altra leggenda vuole che fosse stato ritrovato lungo il corso del torrente Cervo la statua della Madonna, portata nella parrocchiale, ma la mattina fu ritrovata nella chiesetta di compagna. Un'altra storia vuole che durante una piena del torrente Cervo, le acque minacciose giunte all'altezza della chiesetta si arretrarono e cambiarono percorso, salvando l'intero borgo da una nuova alluvione.
Mi affaccio alle piccole finestre e posso così notare come i recenti restauri abbiano portato all'antico splendore la chiesa. Sullo sfondo su un rinnovato altare, in una nicchia mi pare riposta la statua lignea policroma della Madonna col Bambino che dovrebbe essere di fattura del XVII-XVIII secolo, come avevo avuto modo di leggere su una guida. La chiesetta fu protagonista della campagna anticlericale del XIX del secolo. Infatti non furono sufficienti tridui, penitenze, digiuni per allontanare il terribile morbo, tanto che nel 1835 la malattia iniziò a serpeggiare anche a Balocco e furono organizzate processioni alla Madonna di Campagna per invocarne la protezione. Nel 1854 la chiesa fu trasformata in lazzaretto, cercando così di isolare gli infetti e curarli senza rischi per la popolazione. Le cure si basavano sostanzialmente in abluzioni con liquidi disinfettanti fatti con erbe ritenute antisettiche, suffumigi con erbe aromatiche. Gli infermi ricoverati nella chiesa avevano come giaciglio della paglia che veniva periodicamente bruciata. Se nel 1854 la media mortalità mensile di ottobre e novembre era di 2-3 persone, a Balocco, secondo i registri parrocchiali perirono 10 persone di cui sei tra i 24 e i 45 anni. Nel primo decennio del XX secolo terminando l'epidemia di colera si affacciò anche a Balocco l'epidemia di influenza spagnola. Il Comune costruì ai lati dell'abside un casotto; dovevano essere due, uno per il locale cucina, l'altro per realizzarvi una latrina, ma difficoltà economiche ne impedirono la costruzione. Il casotto costruito, era comunicante con le chiesa attraverso una porta. Durante questo periodo in chiesa non fu officiata nessuna funzione anche perché fu costruita una parete di legno all'altezza del gradino del presbiterio. Ciò creò ovviamente pessimi rapporti con il parroco. Nel 1921 la chiesa fu riaperta al culto e raccolse negli anni molti ex voto, ritenuta la chiesetta ormai come un santuario, ex voto che furono poi trasferiti nella chiesa parrocchiale. La chiesa subì vari restauri dagli anni 90 del XIX secolo, infatti era in stato di abbandono, circondata da rovi e con parte del tetto distrutto.
È proprio vero, dove le calamità, ossia le alluvioni, non fanno danni, riesce a farle l'uomo con l'incuria e l'abbandono. Ora la chiesetta è un piccolo scrigno di sacralità tra le risaie.
Sempre in auto raggiungo così la frazione di Bastia, dove esiste ancora un bel castello, forse in origine una casa forte del XIV secolo di cui non mi è riuscito raccoglierne la storia. Adibita ad abitazione privata, ha un ingresso maestoso che accede direttamente al cortile interno, chiuso su tre lati dall'imponente mole dell'edificio, rialzato interiormente in cotto. Si possono ancora notare antichi fregi, merlature e i resti dell'antico fossato.
Poco distante su un'altura si erge la chiesa parrocchiale di Sant'Antonio istituita nel XVI secolo. Una rampa di scale in pietra ne permette l'accesso. La chiesa ha una sola porta d'accesso con un grande rosone sopra di essa. Il tetto è a capanna e appoggiato su un lato vi è una slanciata torre campanaria con un grande orologio posto sotto la cella contenente le campane.
Non posso accedervi in quanto la chiesa la trovo chiusa, ma gli annunci ecclesiastici affissi nella vicina bacheca dimostrano una comunità vivace e assidua nella attività parrocchiali.
Lascio il borgo, superato il canale Cavour, e il borgo di Formigliana, lungo la strada ex statale che da Vercelli conduce a Biella, trovo sulla mia destra, ancora in comune di Balocco, un gruppo di case, indicate come cascina Lista.
Anche in questa cascina, un tempo abitata da decine di persone e lontana dalla parrocchiale di San Michele Arcangelo venne autorizzata l'edificazione di una chiesa dedicata anch'essa a Sant'Antonio. La cascina Lista costituiva il centro del territorio agricolo della famiglia Arborio Mella. La chiesa ancora in perfette condizioni, grazie anche a recenti restauri. Edificata nel 1845 dal Conte Emanuele Arborio Mella che ne pagava anche la retta al cappellano che aveva anche l'obbligo di tenere a catechismo i ragazzi delle cascine. La chiesetta si presenta a capanna con una sola porta centrale, con due nicchie laterali. Sopra il marcapiano un ampia finestra semicircolare ne permette l'ingresso della luce, sopra al grande timpano una croce metallica. L'altro campanile della chiesa svetta tra le risaie del vercellese, quasi volessi indicare con la sua presenza il controllo divino. Lascio così questo ameno borgo agricolo e soddisfatto di aver conosciuto un altro pezzo di storia e territorio piemontese continuo il mio vagare tra gli antichi borghi circondati da risaie.