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Il mio Piemonte: Viverone

Domenica 17 Maggio 2020 12:15
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La giornata è luminosa e un giro sul lago e sui colli su cui si erge Viverone si prospetta particolarmente interessante. La zona costiera del lago era abitata già ai tempi dell'età del bronzo.
Infatti insieme al ritrovamento di armi da caccia furono ritrovate intere palificazioni che sostenevano le capanne posizionate su palafitte poste sul lago. Furono ritrovate anche due imbarcazioni preistoriche ricavate da un unico tronco, denominate piroghe. Attualmente queste due imbarcazioni ritrovate nel lago di Bertignano sono conservate al museo d'antichità di Torino.
Il toponimo di Viverone non ha un significato certo. Una teoria lo fa derivare dalla coltivazione della vite, infatti due grappoli d'uva sono rappresentati sullo stemma comunale, intorno allo stemma vi è scritto "vitis viva" ma si presume che derivi da "vitis vivax" ossia "il vigore dalla vita".
Altri eruditi locali sostengono che il nome derivi da "vivarium" ovvero vivaio, legato all'allevamento dei pesci di lago. Pare comunque che in antichità fosse anche chiamata "Veurano", "Veuranio", "Vevrano" ma anche "Veprio", "Vibrio-oni", "Vevrano" ed infine "Veveronis".
Le sue coste e le sue alture videro la presenza dei romani, dopo che sottomisero gli antichi abitanti, gli ictumuli, chiamai anche vittimuli, tribù Liguri, proprio perché abitanti una posizione strategica, posta sulla via della Gallia.
Con la caduta dell'impero romano, Viverone subì le devastazioni di tutte le orde barbariche provenienti dal nord Europa e dai paesi caucasici.
Questi luoghi trovarono un periodo transitorio di pace con l'arrivo dei longobardi, a sua volta cacciati dai Franchi. I loro eredi nel X-XII sec. si contesero il territorio della Capitale ecclesiastica di Sant'Eusebio.
Il suo territorio era suddivise in diverse comunità religiose, oltre a quello di Sant'Eusebio, quelle dell'Abbazia di San Genuario di Lucedio e ai canonici di Sant'Andrea di Vercelli.
Anche il lago prese diversi nomi come lago di San Martino, per la presenza di un borgo con presidio monastico benedettino del IX secolo dedicato a San Martino di Tours, oggi totalmente scomparso, forse addirittura sepolto dalle acque del lago. Il lago assunse anche il nome di lago d'Azeglio, borgo posto sulla costa torinese.
La presenza di una via francigena, non solo rendeva il borgo appetibile per gli scambi commerciali, ma anche ricco di strutture di ospitalità e di insediamenti ecclesiastici.
Passato definitivamente in possesso del Vescovo di Vercelli, dopo la cessione degli ultimi feudatari, Oddone e Bongiovanni nel 1150 circa, Viverone fu anche un importante presidio benedettino.
Intorno al XII secolo fu costruita su una collina prospiciente il lago, una chiesa dedicata a San Michele, poi ampliata a convento e denominata Cella di San Marco nel XV secolo, ma conosciuta anche come Cella di San Michele e poi Cella Grande.
La zona subì dapprima gli scontri tra Guelfi e Ghibellini e fu poi oggetto di scorrerie e saccheggi delle truppe del Capitano di ventura, Facino Cane, all'epoca al soldo del marchese del Monferrato, alleato dei Visconti, che contendevano il territorio ai Savoia-Acaia.
Nel 1404 il territorio di Viverone, che era unito a quello di Roppolo, entrò in possesso dei Savoia che lo infeudarono al Marchese Mercurino Arborio di Gattinara; morto costui, prima di rientrare in possesso del casato degli Arborio di Gattinara, fu temporaneamente infeudato al nobile Francesco Dal Pozzo. Fu questo il periodo di maggiore splendore, infatti fu costruito il castello, sulla collina di Bertignano, su un precedente castrum militare del XI secolo, già distrutto dalle truppe di Facino Cane.
Fino a fine XVIII secolo il territorio rimase infeudato al casato dei Gattinara, poi anche altre famiglie godettero del territorio viveronese. La disputa sul possesso della zona proseguì anche dopo l'Unità d'Italia, infatti fu contesa tra la Provincia di Torino e le Province di Vercelli. Oggi il territorio è suddiviso tra la città metropolitana di Torino e la Provincia di Biella, a cui Viverone appartiene.
I torinesi usavano chiamare il lago con il nome di "Lago di Anzasco", questo è lido di Piverone nel territorio torinese. Con l'auto mi arrampico subito sulla collina per raggiungere il cimitero, infatti la chiesa del cimitero o della Curavecchia, fu l'antica parrocchia di Viverone e Roppolo.
L'edificio in uno stile romanico quattrocentesco, fu costruito su una chiesa precedentemente esistente.
La chiesa ha un tetto a capanna, la sua facciata è settecentesca ed è intonacata, e fu realizzata dopo l'allungamento dell'edificio. Anche l'abside, originariamente poligonale, ha subito modifiche con le successive costruzioni della sagrestia e della seicentesca cappella del Suffragio. La chiesa è a navata unica ed è stata dichiarata monumento nazionale.
Prima di raggiungere il lago di Bertignano e il ricetto, mi soffermo a guardare dall'esterno la chiesa di San Rocco, posta nell'omonima via, angolo con via Umberto I, un vero gioiello di barocco piemontese, edificata ad inizio XVIII secolo.
La chiesa si presenta suddivisa in tre ordini e i primi due tripartiti. La parte centrale è convessa e presenta una bella porta d'ingresso, un marcapiano lo divide dal secondo ordine con al centro un rosone ovale. Le due parti laterali sono concave e presentano nell'ordine inferiore due finestre e in quello superiore due nicchie vuote.
L'edificio fu costruito per invocare la protezione di San Rocco dalle pestilenze e per un voto al Santo nel 1500.
Raggiungo, attraverso una stretta strada che si immerge per la collina fino al lago di Bertignano, questo piccolo lago, che dà il nome all'omonima borgata, è di tipo intermorenico originatosi nel quadro di espansioni e ritiri dell'antico ghiacciaio Balteo.
Il lago di Bertignano, in passato, era utilizzato come serbatoio di accumulo di acqua, anche pompata dal sottostante lago di Viverone, alimentato attraverso una condotta forzata di una centrale idroelettrica; ora la condotta, interrata, non è più funzionante. Il lago rimane comunque un ottimo luogo di riposo e pesca.
Riprendo l'auto, parcheggiata nei pressi di una ottocentesca edicola votiva dedicata alla Beata Vergine Nera d'Oropa con bambino e voluta dalla popolazione di Rolle e Bertignano, e mi dirigo verso il ricetto.
Raggiunta la cima della collina, parcheggiata l'auto, mi avvio verso l'unica torre rimasta dell'antico ricetto fortificato.
Il ricetto fu realizzato con il benestare del conte Amedeo VIII di Savoia, su richiesta della popolazione per avere un luogo in cui trovare riparo, insieme ai loro raccolti in caso di scorrerie di armati. Il ricetto era a forma quadrata, con forse quattro torri ed era addossato ad un preesistente castello, di cui rimane una cappella del XII secolo con affreschi cinquecenteschi, dedicati a San Giovanni Battista.
L'incastellamento dell'area fu già attestata nel 1145 come castrum. Il castello fu distrutto e ricostruito ripetutamente e la sua area retrostante fu utilizzata per costruire il ricetto.
Oggi non sono distinguibili gli edifici del castello, le sue fortificazioni e il ricetto, avendo subito diverse modifiche nei secolo successivi. L'unico elemento evidente del vecchio insediamento è la torre angolare quadrata e alte mura in pietra.
Passeggiando tra le strette vie si respira ancora l'aria di un tempo con le case-magazzino che ancora oggi mantengono l'austero aspetto. Pare incredibile ma ci si sente immersi nel Medioevo.
Raggiungo così, quello che doveva essere la chiesa castrense, oggi oratorio di San Giovanni Battista. L'edifico con un tetto a capanna ha la facciata interamente intonacata di bianco. Da una delle due finestre ad arco che sono posti ai lati della porta d'ingresso posso vedere che la chiesa è ad aula unica, che il soffitto è in legno e che la parete absidale è affrescata con bei dipinti. Sopra la porta è posto un rosone in posizione centrale.
Rientro verso l'auto, ma non prima di essermi goduto lo splendido panorama sul lago offerto da questo balcone naturale che è il ricetto.
Oltre ai bellissimi fiori che adornano i balconi delle case, ma anche dei prati e giardini, fanno bella mostra di sé i filari di Erbaluce. Questo vitigno produce un vino color paglierino con un profumo floreale. Il nome del vitigno Erbaluce deriva dall'espressione "erba lux" che ben sintetizza il colore del grappolo. È un vitigno che trova la sua coltivazione nel cuore del canavese fino alla Serra di Ivrea e le colline che coronano il lago di Viverone.
L'Erbaluce è un vino D.O.C.G. ossia Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Vuole una leggenda che l'Erbaluce sia nata dalla lacrima di una ninfa.
In auto mi dirigo verso il centro di Viverone e lasciata l'auto nei pressi del municipio percorro via Umberto I, posso così ammirare l'oratorio dedicato ai Santi Sebastiano e Fabiano, posto di fronte alla residenza municipale.
La chiesa è di proprietà privata, in origine di apparteneva della famiglia Lucca e fu edificata probabilmente nel XVI secolo, a seguito di un voto fatto in occasione di una pestilenza, successivamente fu ampliata e modificata nel XVIII secolo. Il commerciante Domenico Tarello, alla fine del XIX secolo acquistò la piccola chiesa e i suoi eredi vollero anche dedicarla anche a San Domenico.
La piccola chiesa è a navata unica, con porta centrale e due piccole finestre ai lati. Sopra alla porta centrale, una finestra quadrata permette l'ingresso alla luce.
Di fronte alla chiesa si erge il palazzo municipale con un immenso parco, già Villa Lucca, eretta sul finire del secolo XVIII dal cavaliere Pietro Lucca, ultimo erede di una nobile famiglia viveronese.
Sempre su via Umberto I, trovo la chiesetta dedicata ai Santi Stefano e Defendente; questo edificio era già attestato nel XVI secolo ed è un piccolo scrigno di bellezza e sacralità. Voluto dagli abitanti, fu ricostruito nel XVII secolo. Un piccolo sagrato in pietra di fiume protetto da pilastrini in pietra e catene anticipa l'ingresso della chiesetta. La chiesa con tetto a capanna e un piccolo campanile è in ottime condizioni.
La porta d'ingresso è accompagnata ai lati da due piccole finestre rettangolari. Sopra alla porta d'ingresso, un alta finestra permette l'ingresso della luce, ai suoi lati due affreschi, raffiguranti l'uno San Defendente, l'altro forse Sant'Agostino. All'interno, ben conservato, sopra l'altare, un bel quadro con la Madonna e i due Santi protettori.
La via principale è molto ben curata con le sue casette a due piani che la costeggiano.
Raggiungo così la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta in cielo, costruita su una precedente chiesa dedicata a San Nicola, l'attuale chiesa è di fine XVIII secolo.
Sul sagrato è presente la statua di San Pio da Pietralcina, la facciata della chiesa è invece in un probabile stile tardo romanico, di difficile definizione. L'interno è a tre navate ed in stile barocco piemontese. Nella piazzetta laterale alla chiesa, proprio di fronte allo snello campanile, vi è l'oratorio dedicato a San Giovanni Bosco.
In via Scoglia al civico 3, in quella che oggi è un abitazione privata, vi era un tempo, già a partire dal 1578 il convento degli Agostiniani Eremitani.
Raggiungo così l'auto per arrivare, poco fuori il borgo, alla Cella Grande o Cella di San Michele.
La raggiungo a piedi dopo aver lasciato l'auto, prima di imboccare il luogo viale di viti coltivati su pergolati che si reggono su pilastrini in pietra.
Il panorama è splendido e il campanile dell'antica chiesa della Cella si staglia tra il cielo azzurro e il blu del lago. Il campanile a cinque piani realizzato in pietra locale è risalente al XI secolo ed è ornato da trifore e bifore.
Dell'antica Cella rimane anche la chiesa che trovo chiusa, ma che fu rimaneggiata su forme romaniche e barocche. Ora l'antica Cella è integrata in un abitazione privata con sede di una nota cantina vitivinicola.
Raggiungo così il lungo lago, con le sue bellissime passeggiate e il suo piccolo porticciolo.
Sono diversi i locali dove la gioventù e non solo, possono passare ore di relax.
Il lago di origine glaciale è alimentato da profonde sorgenti. Le sue rive sono coperte da una forte vegetazione ma altresì ricche di strutture di accoglienza-ristorazione e piccole spiagge.
Comodamente seduto su una panchina, mi riposo, ammirando la ricca fauna con diversi tipi di anatidi e gabbiani che per niente spaventati continuano ad aggirarsi intorno alle sponde, forse speranzosi che qualche turista gli lanci un pezzo di pane.
Sono molte anche le specie ittiche presenti tra cui: trinche, persici, lucci, ecc… Il tempo del mio rientro verso casa è arrivato, lascio con dispiacere Viverone e il suo splendido lago, dove mi sono potuto immergere nella storia e riposarmi in una natura paradisiaca