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Il mio Piemonte: Carbonara Scrivia

Sabato 17 Ottobre 2020 20:24
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Carboonara ScriviaLa giornata è calda e afosa, il sole con i suoi raggi sembra voglia bruciare tutto ciò che mi circonda, in cielo nessuna nuvola, l'aria sembra rarefatta e anche i passerotti hanno deciso di non uscire dal nido.
In auto mi avventuro tra i colli del tortonese in cerca di fresco. Raggiungo così Carbonara Scrivia, un piccolo Borgo a pochi chilometri da Tortona. Anche qui non trovo la frescura che cercavo, ma decido comunque di fare due passi per il suo centro.
La piccola piazza intitolata monsignor Clelio Goggi in cui parcheggio è già il centro storico del borgo. Su questa ci si affaccia l'austero e magnifico dongione, oltre al moderno edificio comunale, l'ufficio postale, la sede della pro loco e la chiesa parrocchiale di San Martino.
Si hanno poche notizie circa l'origine del toponimo, probabilmente deriva dal fatto che un tempo si producesse carbone, forse già in epoca romana. Più fantasiosa, ma piace di più ai carbonaresi, è l'ipotesi che Carbonara derivi dal francese cher, bon air - cara, buona aria – vicino alla forma dialettale. Il determinante Scrivia che si riferisce al fiume lungo il quale è adagiato il Paese venne assunta dopo l'unificazione italiana.
Il primo documento in cui è nominato il territorio del Comune è un diploma di Giseprando, Vescovo di Tortona, datato 8 maggio 954 e relativo alla chiesa di San Martino di Vico Molone, identificato da alcuni storici, tra cui Monsignor Clelio Goggi, con l'attuale Carbonara Scrivia. Con il diploma del 4 novembre 975 l'Imperatore Ottone II confermò al Vescovo di Tortona la giurisdizione sulla città e sul territorio circostante per un raggio di 3 miglia, ivi compreso quindi il territorio di Carbonara e la sua chiesa. Occorre ricordare che Vico era già per i romani una suddivisione del pagus campestre, mentre Molone, dice Monsignor Clelio Goggi, è un aggettivo ligure che significa grande.
Alcune fonti affermano che nel XII secolo, la famiglia dei Curolo, investiti come confeudatari dal Vescovo, vi avrebbe fatto edificare un castello, che potrebbe essere identificato nella zona denominata "castello". Gli abitanti del castello parteciparono alla difesa della città di Tortona, assediata dalle truppe di Federico Barbarossa, che la conquistò. Sino a questo periodo non compare ancora il toponimo Carbonara.
Il castello passò nuovamente alle cronache, quando i Guelfi, capitanati da Alberto Scotto, vi si radunarono per cacciare i Ghibellini da Tortona. Il fortilizio fu successivamente distrutto e se ne sono perse le tracce.
Il toponimo Carbonara lo troviamo per la prima volta nel XIII secolo in un atto di affitto in cui è denominata Carbonara, altri affermano già la presenza nel 1183, di Fra Giovanni di Carbonara, quale celliere dell'Abbazia di Rivalta.
Nel 1347 Carbonara entrò a far parte del Ducato di Milano e i Visconti edificano l'attuale castello a difesa di Tortona. Filippo Maria Visconti, ne investe il feudo a "Perino" da Tortona, suo fedele capitano.
Nel 1457 Carbonara passò ai Guidobono Cavalchini, che manterranno il possesso per ben tre secoli. Nel XVII secolo durante le guerre tra francesi e spagnoli, anche il Borgo di Carbonara fu ripetutamente saccheggiato. Controllato dagli spagnoli, passò come tutto il tortonese, sotto l'egemonia degli austriaci, che nel 1706 assediarono Tortona. Nel 1738 Carbonara entra nei possedimenti di casa Savoia con re Carlo Emanuele III; da allora in poi il Paese seguirà le vicende di casa Savoia e dell'Italia Unita.
Il Dongione che fa bella mostra di sé al centro del Paese è l'unico resto di un castello che dovrebbe risalire al XIV secolo o primi anni del XV secolo. L'ultimo proprietario, Guidobono Cavalchini, lo cedette negli anni ottanta del XIX secolo al Comune di Carbonara Scrivia. Il castello e la sua rocca, furono più volte distrutte e ricostruite, sia per le guerre che per il forte terremoto del 1828 che danneggiò notevolmente la costruzione.
Ciò che ne rimane è il Dongione, un edificio che si presenta come una costruzione massiccia, in forma di parallelepipedo. Il suo basamento murario è a scarpa fortemente inclinato, realizzato proprio per esigenze difensive. Le sue continue ricostruzioni e modifiche mettono in evidenza dei marcapiano con decorazione a dente di sega, finestrature tamponate e la parte sommitale contornata in tutta la sua estensione da un camminamento di ronda sporgente con beccatelli e caditoie. La parte sommitale è completata da bertesche e torrette angolari. Attualmente è utilizzato per mostre d'arte e iniziative culturali.
Al Dongione si prospetta la Chiesa Parrocchiale dedicata a San Martino. Alcuni affermano che l'attuale chiesa datata al 1780 sia sorta sulle rovine di una precedente del XVI secolo. Infatti per la medioevale pieve di San Martino, il Goggi afferma che la chiesa fosse stata edificata fuori dalle mura cittadine e che poi venne trasportata all'interno del paese nel XVI secolo.
L'edificio si presenta con una facciata semplice, intonacata e decorata con quattro grandiose lesene in marmo che in coppia la tripartiscono, poggianti su un alto zoccolo anch'esso in marmo. Presenta un solo ingresso, anticipato da un grande sagrato e una scalinata d'accesso. Il portone è coronato da piedritti e una trabeazione con lunetta in marmo. Un ampia finestra semicircolare, modanata con fattezze barocche, è posta sopra la porta e ne fornisce la giusta luce. Il marcapiano corre su tutta la parte centrale della facciata, e vi è inscritto "Beato Martino". Sopra di esso un grande timpano interamente decorato a mosaico con l'immagine di Cristo pastore.
All'interno, a navata unica, si conserva una tardo quattrocentesca Pala d'altare raffigurante: Madonna in trono con Bambino, Cristo della Passione e San Martino con donatore, attribuita alla bottega tortonese dei Boxilio.
Percorso un tratto di via Roma, all'incrocio con vicolo San Rocco, trovo l'omonimo Oratorio. L'edificio ha una facciata molto semplice a capanna ed è interamente intonacato. Vi sono solo due lesene angolari che sorreggono il grande timpano. La porta d'accesso è semplice, sovrastata da un immagine di San Rocco e sopra di esso da una finestra a lunetta. L'interno a navata unica e abside semicircolare è semplice, ma decoroso e conserva un bel gonfalone della Confraternita.
Il mio giro per Carbonara è quasi completato, non mi resta che allontanarmi dal centro per andare a vedere ciò che ormai sta diventando una memoria storica, ossia la stazione ferroviaria di Carbonara Scrivia. Questa era una stazione posta sulla linea Tortona - Arquata Scrivia e fu aperta il 1 ottobre 1916, con l'attivazione della linea "direttissima" da Tortona ad Arquata Scrivia. Purtroppo la stazione venne soppressa il 15 giugno 2008.
Il territorio di Carbonara Scrivia, occorre ricordare, era percorso dalla via Postumia. Molte sono le tracce lasciate dai romani, in particolare il monumento funebre posto in località mulino nuovo nei pressi della strada statale 35 dei Giovi.
Tra le persone illustri di Carbonara Scrivia posso ricordare Carbone Domenico che vi nasce il 16 luglio 1823. Costui laureatosi in Medicina nel 1847 fu un patriota e scrittore italiano, volontario nelle guerre del Risorgimento, provveditore agli studi di Torino e autore per l'infanzia. Fra i suoi scritti, fece storia la sua satira su "Re Tentenna", allusione all'indecisione e ai frequenti cambiamenti di Carlo Alberto. L'epiteto affibbiato al Re, che da allora in poi diventò popolare e passò alla storia, gli procurò l'esilio prima a Roma poi a Firenze. Fu anche un Massone con Carducci e nel 1861 il ministro Lanza lo nominò Provveditore agli studi di Cuneo, Brescia e Pavia e fu altresì Direttore delle scuole municipali di Torino e rettore del collegio Ghislieri di Pavia. Pubblicò diverse opere per la scuola, tra cui "I fatti di Enea", "Il Novellino" e diversi canti come "Sono Italiano", "Un canto popolare" e poesie come "All'esercito italiano reduce di Crimea".
Altro personaggio storico, nativo di Carbonara nel 1863, fu suo figlio, Carbone Tito. Costui laureatosi in Medicina a Torino nel 1886; si impegnò a fronteggiare l'epidemia di colera a Tortona, guadagnandosi la medaglia dei benemeriti della salute pubblica. Fu altresì Assistente medico alle carceri di Torino, assistente di anatomia patologica all'università di Torino e Direttore dell'Istituto di patologia dell'Ospedale Mauriziano,ottenendo la libera docenza. Si dedicò alla ricerca medica, effettuò viaggi studio anche nell'America centrale. Fu docente di Anatomia Patologica nelle Università di Cagliari, Modena e Pisa. Importanti furono i suoi risultati nella ricerca scientifica studiando il pigmento malarico ed ottenne altresì importanti risultati nella ricerca sulla cirrosi epatica. Morì a Milano dopo aver isolato il Micrococcus melitensis dove ne rimase contagiato.
Posso ricordare Malpassuti Vittorio natovi nel 1889. Costui fu un poeta e a 22 anni pubblicò la sua prima raccolta di poesia "Voci d'ombra". Inoltre con altri giovani scapigliati, fondò a Genova, dove si trasferì, il "Tigullio", giornale letterario. Dopo aver combattuto nella Prima Guerra Mondiale, si spostò a Roma, dove pubblicò "Vene azzurre". Fu amico di Gabriele D'Annunzio e nel 1919 iniziò a lavorare per il cinema compilando dapprima le didascalie dei film e poi vere e proprie sceneggiature per oltre 1500 film. Morì a Roma nel 1944.
Un personaggio a me un po' più sconosciuto è il carbonarese Carbone Giuseppe o meglio conosciuto come Padre Michele da Carbonara. Padre Michele vi nacque nel 1836 e si laureò in teologia nel 1859 e in diritto canonico nel 1865, si fece frate cappuccino nel 1888 e nel 1894 fu il primo Prefetto apostolico dell'Eritrea. Appassionato studioso della nostra letteratura scrisse alcuni apprezzati studi su Dante Alighieri. Morì a Carbonara Scrivia il 18 giugno 1910.
Lascio Carbonara Scrivia alla ricerca di un po' di fresco in questa assolata estate.