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A zonzo con il calessino (XXXVIII parte)

Domenica 01 Novembre 2020 11:49
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CalessinoAttraversiamo l'abitato di Pieve Albignola. Un piccolo Borgo della campagna pavese che si sviluppa prevalentemente lungo la strada che conduce a Pavia.
Il sole è alto e abbiamo premura di arrivare nel capoluogo pavese. Le case non sono alte e hanno le fattezze caratteristiche delle zone: cascine e case di campagna. Il Borgo noto come Plebs Albignole risale a prima dell'Anno Mille, ed era ubicato sull'argine del Po, ma fu poi travolto da una piena e ricostruito nel posto attuale. Certo è che nel 1181 i suoi capifamiglia pagavano le tasse del "giogatico" ai signori di Pavia.
Pieve Albignola seguì sempre le vicende storiche della Lomellina ed in particolare di Sannazzaro de' Burgondi e quindi nel feudo dei Malaspina di Sannazzaro, fino all'abolizione del feudalesimo nel 1797.
L'etimologia del nome "Pieve" indica l'antica presenza di una Pieve, una Chiesa con fonte battesimale ormai scomparsa. Invece"Albignola" deriva dal latino "alboneae", l'odierna Erbognetta, un corso d'acqua un tempo ricco di risorgive ormai ridotto a semplice roggia.
Di rilievo vi è la Parrocchia dei Santissimi Pietro e Paolo Apostolo che è collocata su una piazzetta adiacente alla strada che stiamo percorrendo e sulla quale vi è anche collocato il bel Monumento ai Caduti di Guerra pievesi. La Chiesa Parrocchiale, è stata ricostruita e ampliata sulla fondamenta di una ben più antica chiesa, come testimoniano i ritrovamenti anteriori al XVI secolo.
La Chiesa è interamente realizzata in muratura di mattoni a vista, la sua facciata è tripartita da lesene e divisa in due ordini. Due nicchie con le statue dei Santi titolare sono poste nelle due ali della parte centra ove vi è collocata l'unica porta d'accesso frontale. Nel secondo ordine vi è solo una ampia finestra rettangolare posta centralmente e sopra uno sporgente marcapiano. Anche il frontone è in cotto e non presenta nessuna particolare decorazione.
Una bella e semplice cappelletta campestre è invece collocata tra Via della Stazione e Via Scaldasole.
Dopo aver superato il ponte su Terdoppio, raggiungiamo Zinasco che in realtà si compone di tre centri abitati, Zinasco Vecchio e Zinasco Nuovo e Sairano, allineati lungo la Strada Provinciale 193 bis e che con i calessini percorriamo.
Zinasco, o meglio l'attuale Zinasco Vecchio, è noto fin dal XII secolo come Cinascum. Mentre nel XV secolo compare anche Zinaschino o Zinaschetto, l'attuale Zinasco Nuovo.
Nel periodo medioevale seguì le sorti di Cava Manara, passando dagli Eustachi di Pavia agli Arborio di Gattinara e nel 1650 ai marchesi Olevano di Pavia. Divenne poi territorio dei Savoia, come tutta la Lomellina nel 1713. Sotto i Savoia fu territorio di confine con l'Impero d'Austria e fece parte della provincia di Lomellina. Sairano faceva già parte del territorio di Zinasco dal XVII secolo e il nome del Comune era Zinasco, Zinaschetto e Sairano.
Il primo Borgo che attraversiamo è Zinasco Nuovo, dove in Piazza della Liberazione c'è il Santuario della Madonna del Terdoppio o della Maternità, un piccolo gioiello della cultura artistica medievale. Le prime notizie sul Santuario risalgono all'età Paleocristiana, per la precisione alla metà del IV secolo d. C. quando venne edificata una cappella dedicata alla Madonna. Verso la fine del XV secolo la piccola Chiesa diventò un luogo di culto quando, secondo la leggenda, vi comparve miracolosamente un'immagine della Madonna che fino ad allora si trovava sopra a un pilone che era situato nei suoi dintorni.
La Curia di Pavia affidò il Santuario ai Monaci Cistercensi, e dopo un periodo come commenda, nel 1671 la chiesa venne affidata ai Carmelitani di Mantova. Nel 1791 la Chiesa venne ceduta all'ospedale di Pavia, che ne progettò la demolizione, ma grazie agli abitanti di Zinasco, la chiesetta si salvò. Nell'Ottocento, sotto Napoleone la Chiesa fu incamerata dalla Parrocchia di Zinasco Vecchio, che fece ristrutturare il Santuario. L'edificio è piccolino, ad aula unica e conserva sull'altare il dipinto della Madonna con il Bambino, che molto probabilmente risale all'Alto Medioevo.
Sulla strada principale che assume nel centro abitato il nome di Via Pollini si affaccia maestosa la Chiesa di San Giovanni Evangelista. Antica cappellania della chiesa matrice Santa Maria di Dorno, fu eretta in parrocchia nel 1852. Fino all'epoca Zinasco Nuovo aveva come parrocchia quella di Sant'Antonio abate di Zinasco.
Dopo aver lasciato Zinasco Nuovo raggiungiamo Zinasco Vecchio. Sulla Piazza della Vittoria, trovo un bel Monumento ai Caduti e l'Edificio Comunale. Nei pressi del Municipio vi è la Chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate.
Benché la Parrocchia sia stata istituita nel marzo 1555 la Chiesa attuale risale all'anno 1757. La facciata è maestosa, suddivisa in due ordini, presenta un unico accesso con un bel portale che introduce una chiesa a tre navate. L'ordine inferiore è decorato con leggere lesene in cotto. Sopra il portale vi è un iscrizione dedicatorio al Santo protettore. Nel secondo ordine, anch'esso decorato da lesene, trova al suo centro un altorilievo raffigurante Sant'Antobio Abate, chiude la facciata un bella cimasa con pinnacoli.
Superato Zinasco Vecchio raggiungiamo l'antico Borgo di Sairano. Questo antichissimo Borgo conserva nel suo interno la sua Chiesa Parrocchiale dedicata alla Beata Vergine Assunta. È presente anche ciò che rimane del vecchio Castello, oggi incorporato in Villa Carena. Il Castello risale al XV secolo ma con profonde rifacimenti settecenteschi.
Svoltato sulla Sp. 596 dei Cairoli, superiamo la piccola frazione di Santa Croce di San Martino Siccomario per arrivare rapidamente, grazie alle strade a scorrimento veloce, sulla Sp 35 dei Giovi che unisce Milano a Genova, transitando per Pavia. Ormai attraversiamo il territorio comunale di San Martino Siccomario, che sorge alle porte di Pavia ed è un tutt'uno con la città.
Questo Comune fin dal 909 compare in un documento sotto la voce Terra Arsa, detto infatti in seguito San Martino in Terra Arsa, il determinante del toponimo Siccomario sarà aggiunto solo a metà Settecento. Il toponimo San Martino deriva da una leggenda Medioevale secondo cui qui vi sarebbe vissuto da bambino San Martino di Tours. Unica cosa certa è che durante la dominazione franca vi sorgeva un ospizio dedicato al Santo e che l'Imperatore pose sotto la giurisdizione del monastero di San Martino di Tours.
Con Siccomario viene individuato quel territorio delimitato a sud dal fiume Po, a est dal Ticino, a nord dal canale Gravellone che lo divide da Pavia, a ovest dal confine storico con la Lomellina. Conosciuto fin dall'antichità come zona agricola particolarmente fertile, il nome Siccomario comparve per la prima volta in un documento di vendita di beni del 1099 da parte dell'Abbazia di San Maiolo in Pavia, sotto la forma Sigemarius, forse da un nome di persona di origine germanica, proprietario terriero della zona. Fu poi feudo dei Beccaria, estinta la linea dei signori di San Martino nel XVII secolo, nel feudo si succedettero in breve tempo gli Arborio di Gattinara, i Menocchio di Pavia, Filiberto Buglione di Chieri, Conte di San Martino nel 1760, da cui fu ceduto allo Stato nel 1772, per cui il feudo di San Martino cessò venticinque anni prima dell'abolizione del feudalesimo. Pavia restava invece all'Austria, ed il canale Gravellone, che scorre alla periferia del Borgo, divenne confine di Stato fino al 1859. È importante ricordare che fu proprio sul Gravellone che nel 1848, il Re Carlo Alberto consegnò all'esercito sabaudo il Tricolore italiano, da allora bandiera nazionale.
Tra i monumenti, da poter ammirare ricordo la Chiesa Parrocchiale dedicata San Martino da Tours, la cui costruzione si fa risalire al quinto secolo d.C. anche se ciò non è supportata da documenti o ritrovamenti archeologici. I vescovi pavesi e la tradizione popolare vorrebbero che fosse stata edificata da San Crispino Vescovo, per onorare San Martino di Tours. Anche la data della sua prima consacrazione è dubbia, infatti popolarmente si vorrebbe che risalirebbe all'anno 448 da parte di San Germano di Auxerre, ma anch'essa priva di riscontri documentali.
L'attuale Chiesa fu edificata nella prima metà del Settecento, comunque su un edificio romanico presumibilmente dei primi del XIII secolo, quasi sicuramente quest'ultimo costruito su un precedente edificio altomedioevale. L'edificio subì diversi restauri, anche per le soventi esondazioni del Ticino. Il campanile stesso, demolito dopo un'alluvione nel 1838, fu ricostruito solo nel 1896.
Il suo interno si presenta a tre navate, con soffitto a volta e quattro finestre per lato. L'abside, risalente al XIII secolo fu affrescato agli inizi del XVI secolo. Nella cappella a sinistra del presbiterio vi è un cinquecentesco affresco che si trova raffigurante la nascita della Vergine e la sua presentazione al Tempio. Presente nella Chiesa anche un quadro di scuola del Parmigianino, che rappresenta la Madonna del Rosario con in braccio il Bambino tra San Francesco e Santa Caterina. Altro importante edificio religioso è il Santuario della Madonna delle Grazie o della Madonna Addolorata che venne fatta erigere da Angelo Michele Marozzi, arcidiacono della Cattedrale di Pavia, per adempiere al testamento della madre, la nobildonna Clara Marozzi. Costei nel 1626 aveva lasciato l'obbligo ai propri eredi di costruire una chiesa dedicata alla Madonna Addolorata sul luogo di sua proprietà, sulla strada tra San Martino e Cava Manara.
La Chiesa del Santuario è ornata da un bel portale di ingresso fiancheggiato da due colonne di granito che sorreggono un architrave. Sull'architrave sono ricordati i nomi dei benefattori che ne vollero l'edificazione. L'interno della Chiesa del Santuario è a navata unica, con quattro cappelle laterali. Tra i dipinti presenti in Chiesa oltre a un grande dipinto che ricorda la natività di Maria è posto sull'altare maggiore, in marmo rosa, un bel dipinto di fine Quattrocento raffigurante la Madonna Addolorata. Ma per deformazione professionale devo anche ricordare che su un angolo della facciata del Santuario vi è una piccola targa che reca le parole "Hic lingebat Padus" ossia qui giunse il Po, e la data del 18 ottobre 1839, a ricordo della piena che sconvolse completamente la geografia dei luoghi, cancellando dalle carte geografiche il villaggio di Mezzano Siccomario.
Ormai i calessini sono a Pavia, superato il ponte sul fiume Ticino la statua della Minerva ci accoglie.



Fine XXXVIII parte.