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Il mio Piemonte: Gabiano

Domenica 20 Marzo 2022 10:00
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GabianoLa mia visita al comune di Gabiano inizia dal Monumento di Chioalengo, piccola frazione sulla cresta delle verdeggianti colline del basso Monferrato. Appena passo il cartello che mi indica che sono entrato nel comune di Gabiano, trovo dopo poche centinaia di metri, sulla mia destra il Cippo che ricorda il cantavennese Costantino Sbarato, ucciso dai nazi-fascisti il 1 novembre 1944, durante i drammatici fatti che ebbero come epilogo l'incendio di Cantavenna. Raggiungo così il Monumento che ricorda i fatti del novembre 1944, quando i partigiani monferrini della Divisione "Patria", nel primo giorno del mese, respinsero una colonna di automezzi tedeschi. Pochi giorni dopo i tedeschi tornarono per rastrellare la zona, accanendosi contro questa piccola borgata di Chioalengo e Cantavenna. Cinque furono gli abitanti uccisi durante l'incursione e altri quattro furono deportati in Germania nei campi di concentramento e non fecero più ritorno.
Proprio nella curva quasi a gomito che fa la strada provinciale, oltre al bel monumento in mattoni, con una lastra in marmo che riporta i fatti, i nomi dei caduti e che si conclude con un ammonimento alle future generazioni affinché conservino la libertà conquistata, fa bella mostra di sé anche la piccola Chiesa di San Grato. Questo edificio religioso, con semplice facciata e tetto a capanna, dotata di campanile, è già citata in documenti di inizio XVIII secolo. La sua facciata, interamente intonacata è delimitata da due lesene angolari che sorreggono un frontone triangolare. Ai lati del portale si aprono due finestrelle arcuate, al di sopra delle quali vi sono due nicchie vuote, mentre oltre il portale c'è una finestra semicircolare. Posta sul lato destro della chiesa vi è la casa canonicale. L'interno è ad aula unica con volta a botte; il presbiterio è delimitato da una modesta balaustrata, ed ha un'abside semicircolare. Dietro l'altare, in stucco marmorizzato, sulla parete è collocata una tela raffigurante San Grato.
Proseguo il mio percorso fino a raggiungere l'importate frazione di Cantavenna. Già all'ingresso del borgo incontro una cappelletta dedicata a San Rocco. Questo è un piccolo edificio, con tetto a capanna, ben conservato, che si affaccia sulla strada provinciale 5 detta "la panoramica". La sua dedicazione mi ricorda come anche questo luogo non fu indenne dal passaggio di epidemie.
Transito anche davanti all'antico edificio delle scuole di Cantavenna, in tipico stile Novecento. Sulla facciata due lapidi elencano i caduti di Cantavenna della Prima Guerra Mondiali e l'altra ricorda i caduti della seconda, le vittime dei rastrellamenti nazi-fascisti del novembre 1944 e della lotta di liberazione. Raggiungo così la piazza principale dove parcheggio l'auto e innanzitutto mi reco sullo splendido belvedere che si affaccia sulla pianura vercellese e che ti permette di ammirare, nelle giornate più limpide, anche città lontanissime, grazie al fatto che Cantavenna è situata a 350 metri di altezza sul livello del mare.
La piazza su cui ho lasciato l'auto ha da un lato l'edificio che ospita la cantina del Rubino di Cantavenna. Questo vino è un D.O.C. dal colore rosso rubino più o meno intenso che con l'invecchiamento può avvicinarsi al rosso granato. Vino dai profumi speziati e di frutti rossi e grazie all'elevata quantità di tannini è garantita la longevità al prodotto. Il Rubino è composto per il 75% da uve Barbera del Monferrato e per il restante 25% da Grignolino e Freisa.
Su questo edificio vi è anche un grande bassorilievo dedicato al Contadino difensore della libertà, opera dello scultore Giannino Castiglioni. Una targa ricorda il tragico evento accaduto anche a Cantavenna nel periodo 1-16 novembre 1944, quando la colonna nazifascista con blindati e lanciafiamme circondò l'abitato di Cantavenna, ove avevano trovato rifugio i partigiani. Cantavenna fu incendiata e vi furono diversi morti e distruzioni. Il bestiame fu requisito come tutte le scorte di viveri e granaglie. Sul lato opposto sopra un colle si erge la chiesa parrocchiale di San Carpoforo. Ai piedi della salita vi è una bellissima stele con fontana, dono degli emigrati monferrini a Chicago, sulla quale sono incise un volo di rondini ed un frase che ricorda l'attaccamento di questi emigrati al loro territorio. La frase incisa infatti recita: "Come noi tornate".
Salgo il passaggio gradinato fino a recarmi sul sagrato in ciottoli della chiesa. Intorno all'edificio religioso, alberi ad alto fusto, fioriti cespugli e un curato giardino decorano questo colle. Osservo attentamente la facciata della chiesa, recentemente restaurata. La facciata, in stile neoclassico, interamente intonacata, presenta un solo ingresso, tetto a capanna, suddivisa in due ordini. Il primo ordine è tripartito da quattro colonne con capitelli corinzi poggianti su un alto basamento, che corrispondono ad altrettante lesene nel secondo ordine. Le colonne del primo ordine paiono reggere uno spesso marcapiano sporgente. Ai lati della porta, tra le colonne sono ricavate grandi nicchie vuote. Mentre anche la porta è incorniciata da due leggere lesene con capitelli corinzi che sembrano voler sorreggere una trabeazione su cui poggia un frontone ampiamente decorato. Nel secondo ordine sono presenti fastigi allegorici, mentre nella parte centrale è inserita un'ampia finestra a lunetta.
Sul frontone della chiesa, trova inserito nel timpano un grande orologio con numeri romani. La storia racconta che ove sorge la bella chiesa parrocchiale, i giacobini avevano piantato l'albero della libertà. Peccato che la chiesa, a croce greca sia chiusa, avrei voluto ammirare l'interessante affresco della volta, raffigurante il Trionfo di Cristo Re. La chiesa è stata edificata a metà del XIX secolo per volontà popolare che non solo contribuirono economicamente, ma prestarono la loro opera volontaria nella sua costruzione.
Mi aggiro intorno alla chiesa. Vedo sull'abside i segni dei colpi di cannonata nazista e poco distante, nascosta dalla vista dalla strada dalle case, vi è un altro interessante edificio religioso, questo interamente in mattone a vista. Si tratta della chiesa dedicata a San Luigi Gonzaga, che risalirebbe al 1725, ma se così fosse, l'intitolazione dovrebbe essere successiva, dato che Luigi Gonzaga fu canonizzato nel 1726. Anche questo edificio è con tetto a capanna, suddivisa in due ordini, entrambi tripartiti da leggere lesene in mattoni. L'unica porta d'accesso è affiancata da due finestre, mentre nell'ordine superiore al centro vi è una finestra quadri lobata.
Nel riprendere la strada panoramica che attraversa Cantavenna in direzione di Gabiano, trovo un altro interessante edificio religioso che è la chiesa di San Sebastiano. Questa chiesa, dalle fattezze semplici è assai ampia, se paragonata a quella di San Rocco e possiede un tozzo campanile. Anche questa chiesa ricorda la devozione al Santo, protettore dalle epidemie.
Il borgo di Cantavenna è molto esteso, con belle case, non solo agricole. Recentemente un artista cileno Eduardo "Mono" Carrasco, gabianese d'adozione, ha realizzato un murales dal titolo Fatica e Speranza lungo la strada panoramica che attraversa il paese.
Cantavenna diede i natali all'onorevole Giuseppe Brusasca, costui fu un noto esponente politico del Partito Popolare. Laureatosi in Scienze giuridiche ed economiche, avviato alla professione di avvocato, fu eletto consigliere comunale a Casale Monferrato. Costretto a lasciare il Monferrato nel 1927, fu tra i primi ad aderire alla Democrazia Cristiana. Dopo l'8 settembre 1943 fu nominato da De Gaspari a membro del comitato esecutivo del Partito per l'Alta Italia in rappresentanza del Piemonte con il compito di organizzare il Movimento della Resistenza. Salvò personalmente quattro famiglie di ebrei dalla deportazione, fatto che gli vide conferire l'onorificenza dei Giusti dal governo d'Israele. Vice presidente del CLNAI, Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia, accolse i soldati americani sulle rive del fiume Bormida. Fu il primo Presidente della Provincia di Alessandria dal dopoguerra. Partecipò alla conferenza di Pace di Parigi come rappresentante delle forze volontarie della lotta di Liberazione italiana. Fu nominato sottosegretario agli esteri nel ministero di De Gasperi. Fu incaricato con il conte Sforza ad occuparsi della riorganizzazione fiduciaria della Somalia e promosse la ripresa dell'aviazione civile italiana. Fu decorato con la medaglia della Sanità e della Pubblica Istruzione per aver diretto la ricostruzione del Polesine dopo l'alluvione del 1951. Rappresentò l'Italia in oltre 50 missioni all'estero, tra cui in Corea durante la guerra in Estremo Oriente. Ma si occupò anche di spettacolo, organizzando le mostre d'arte cinematografiche di Venezia. Come deputato proveniente da zone agricole favorì la costituzione di diverse cantine sociali.
Lascio sulla mia sinistra la strada che conduce alla borgata Martinengo: un pugno di case un tempo assai popolata da numerose famiglie contadine, oggi tranquillo borgo abitato da più pochi paesani ma che mantengono vive le tradizioni rurali monferrine. Invece al bivio successivo, lascio la strada provinciale 5 per scendere verso Mincengo, un'antica borgata posta su una lunga cresta della collina diradante verso valle. Sono presenti belle case con le tradizionali corti monferrine e verso valle trovo la chiesetta di Santo Stefano. Questa chiesetta è privata e fu eretta nel 1712. Si tratta di un piccolo edificio a pianta rettangolare, posto all'interno di un cortile protetto da un'alta cancellata. Mi si presenta con un prospetto intonacato, scandito da due coppie di lesene su due ordini e con un semplice frontone triangolare. La chiesa ha un unico portale d'accesso, nel secondo registro invece si apre una finestra rettangolare.
Raggiungo così la Chiesa di Sant'Aurelio posta nell'omonima località, in una valletta tra Zoalengo e Mincengo. Fu parrocchia dal XVII secolo fino alla sua soppressione nel 1986. Secondo alcuni storici, come Marco Aurelio Cusano fu eretta verso l'830, in occasione del trasferimento delle reliquie del Santo vescovo armeno Aurelio da Milano all'Abbazia di Hirschau in Germania per volontà del Vescovo di Vercelli. Dopo che nel XVI secolo, la chiesa risultava in rovina, agli inizi del XVIII iniziarono lavori di restauro, ricostruzione e ampliamento conclusi nel 1899.
Parcheggiata l'auto, dapprima sosto ad ammirare lo splendido panorama che si gode dal sagrato della chiesa. Infatti non solo si ammirano le diverse borgate poste sulle colline circostanti, ma sono ammagliato dai colori che la campagna tutto intorno mi regala. È molto bello il sagrato recentemente restaurato, sul quale si affaccia anche il Monumento ai Caduti della Prima e Seconda Guerra Mondiale della località. La facciata della chiesa è neoclassica a due ordini suddivisi da lesene, con frontone triangolare, interamente intonacata. L'unico ingresso è anticipato da cinque gradini e sul fianco sinistro, nel secondo ordine in posizione centrale vi è un'ampia finestra quadrilobata; all'altezza del presbiterio si eleva un bel campanile.
Purtroppo la trovo chiusa e posso solo andare a memoria di quanto letto sulla chiesa. Interno a navata unica con quattro cappelle: la cappella dell'Addolorata, la settecentesca cappella di San Giuseppe, la cappella della Madonna del Carmine e la cappella del Battistero. Sono presenti diverse importanti tele come quelle raffigurante la Morte di San Giuseppe. Presenti anche tre grandi medaglioni rappresentanti le Virtù teologali e un quarto medaglione raffigurante Sant'Aurelio.
Il presbiterio è rialzato da scalini e chiuso da una balaustrata di marmo nero intarsiato, mentre l'altare maggiore è in laterizio marmoreggiato. L'abside semicircolare presenta tre vetrate raffiguranti l'Annunciazione e una pala settecentesca di Sant'Aurelio.
Lasciata la chiesa, attraverso una stradina in auto, raggiungo una piccola e malconcia cappelletta posta lungo una stretta strada che conduce a Zoalengo. La cappelletta dell'Addolorata detta della Beata Vergine dello Spasimo infatti si trova isolata in aperta campagna. Fu edificata nel 1737 per un voto fatto dal nobile Giovanni Bartolomeo Seggiaro. Si presenta come un piccolo edificio ad aula rettangolare, con abside pure rettangolare e pronao aggiunti alla fine del XIX secolo. Benché presenti muri scrostati, ampie macchie di umidità, l'altare è adorno di fiori e ceri votivi, segno comunque di una assidua frequentazione.
Salgo così nuovamente verso la strada provinciale numero 5, attraversando l'abitato di Zoalengo. Questa piccola frazione di Gabiano, si sviluppa sia verso valle che lungo la strada provinciale detta Panoramica del Monferrato, che da Gabiano porta a Cantavenna. Quasi all'incrocio con la strada provinciale, semi nascosta da alberi ad alto fusto, c'è la Chiesa di San Rocco. Anche questo edificio religioso fu eretto a metà del XVIII secolo sulle rovine di una chiesa precedente. La chiesa è anticipata da un piccolo protiro costruito successivamente, mentre l'interno è ad aula rettangolare con abside semicircolare.
Raggiungo così l'abitato di Gabiano dolcemente adagiato intorno al maestoso castello che domina sia la valle del Rio Gaminella, che la vasta pianura vercellese e non solo. Il paese di Gabiano ha una lunga storia e il nome stesso del Comune lo dimostra, infatti una strada romana correva proprio sulla dorsale delle colline da Vardacate, l'attuale Casale Monferrato verso a Industria, abitato romano situato Monteu da Po'. A testimonianza di ciò, insisteva un insediamento rurale romano, un fundus appartenente a un certo Gabius, da cui il borgo avrebbe preso il nome.
Non hanno origini romane invece molti degli altri centri abitati che fanno parte del Comune di Gabiano come Varengo, Zoalengo, Mincengo, Martinengo, che sono insediamenti di origine barbarica in quanto anche sulle colline monferrine arrivarono i barbari, tra cui Goti e Longobardi. Da loro, che realizzarono i nuovi villaggi, derivano i nomi dei paesi, tratti dalla propria lingua con la desinenza "engo". Ma anche i toponimi Case Garimanno ci riporta agli Arimanni, questa sorta di truppa d'élite dell'esercito longobardo a cui venivano concessi dei territori coltivabili e che garantivano il controllo di strade, ponti ecc. Ma anche l'idronimo Marca, il torrente che scende da Odalengo Grande, attraversa Moncestino e confluisce nel fiume Po sotto Gabiano, ricorda la presenza franca a longobarda.
Con i franchi di Carlo Magno, Gabiano e il circondario, divenne un feudo appartenente ai monaci dell'Abbazia di Novalesa. Il primo castrum viene edificato nel IX secolo e la popolazione che abitava più a valle, dove oggi sorge la chiesa parrocchiale, inizia a spostarsi verso questa prima fortificazione, in cerca di protezione in caso di scorrerie e passaggi di armati. Il fortilizio era anche a guardia del porto sul fiume Po. La tradizione vuole invece che il primo castello fosse stato fondato da Aleramo che fu investito della marca del Monferrato nel marzo 967 dall'Imperatore Ottone I. Nella seconda metà del XII secolo, Gabiano passò sotto il dominio del Marchese del Monferrato, venne rafforzata la fortezza e costruito un palazzo nobiliare. Nel 1247 Rainero e Bastardino, Aleramici, ricevettero l'investitura del feudo di Gabiano, costoro furono i capostipiti del casato che deterrà giurisdizione sul Borgo fino al 1421.
Il Comune di Gabiano fu attestato per la prima volta in un consiglio nel 1287, data dalla quale si fa nascere l'autonomia comunale, infatti in quell'anno si deliberò di cedere in dono lotti di terreno edificabili a chi volesse porsi sotto la tutela e la guida del nuovo borgo. Furono successivamente diversi i feudatari che si susseguirono, proprio perché il luogo era di rilevante importanza sia strategica, per il controllo delle sottostanti pianure, che economica, in quanto si pagava una tassa per attraversare il Po.
Dai Signori del Monferrato passerà agli Scarampi quale pegno e da questi ad un suo ramo degli Incisa. Il consigliere marchionale e governatore del castello di Casale, Carlo Montiglio, nel 1531 subentrerà quale Signore della contea di Gabiano. Successivamente la contea nel 1618 venne ceduta al duca Ferdinando Gonzaga. Il castello era ormai ridotto in pessime condizioni a causa dell'occupazione di truppe sabaude e nel 1624 il feudo gabianese, eretto a marchesato, viene ceduto ad Antonio Durazzo, gentiluomo genovese. Rimarrà in mano a questa famiglia fino alla morte del marchese Giacomo Filippo nel 1922. La moglie Matilde, nata principessa Giustiniani, passerà il castello alla nipote marchesa Carlotta Cattaneo Adorno ed è ancora oggi proprietà dei marchesi Cattaneo Adorno Giustiniani, che ne hanno fatto un'importante cantina produttrice di vini rossi come il Grignolino, il Rubino di Cantavenna, la Barbera d'Asti, e diversi vini bianchi, nonché offrono ospitalità in alcune lussuose suite del castello.
Già nel Seicento il castello fu trasformato in una grande cascina che venne ripetutamente occupato dalle truppe sabaude dal 1628 al 1631, nel 1692 è altresì dato alle fiamme dai diversi contingente di soldati in transito. Nel Settecento venne restaurato e trasformato in palazzo di campagna. Solo nel 1907 il castello viene restaurato secondo i canoni medievali e portati a conclusione negli anni Trenta del XX secolo. Furono anche ristrutturate in stile neogotico delle case attigue al castello.
Il restauro del castello fu inaugurato nel 1935 alla presenza della Regina Elena di Savoia, di cui la marchesa Matilde era dama di corte. Il complesso del castello comprende anche una cappella ed uno splendido parco. La cappella castrense è dedicata a San Pietro. Nel castello vi era in precedenza una chiesa dedicata a Santa Maria, ricordata ancora nel 1152, poi scomparsa.
Raggiungo così piazza Europa, dove si prospetta il bel palazzo municipale con alle spalle il maestoso castello. Il palazzo comunale fu edificato negli anni 20 del XX secolo e risente pesantemente dello stile in voga nel periodo fascista. Per evocare il castello, anche il palazzo municipale è ornato da merli. Il suo interno è ampio e spazioso e presenta una bella scala nobiliare. Sulla facciata esterna è presente una lapide che ricorda i 44 militari Gabiano e frazioni caduti nella Prima Guerra Mondiale a cui sono stati poi aggiunti i caduti delle altre guerre. Il Borgo è molto bello con case ben conservate, giardini fioriti e con tutti i servizi necessari per la collettività. Anche il traffico è ordinato e la gente incontrata per strada è cortese e disponibile a fornire ogni utile informazioni ai visitatori. Davanti al municipio mi soffermo a guardare il bellissimo panorama sulla sottostante vallata del rio Gaminella. Con lo sguardo posso osservare il coronamento di colline che sono intorno a Gabiano, da quella di Villamiroglio a quelle che tra poco raggiungerò di Sessame e Varengo. Dietro al palazzo municipale, nei pressi di un ingresso al castello c'è la Chiesa di San Defendente. Questo edificio ha una facciata molto alta, interamente intonacata, suddivisa in due ordini e un ampio frontone. I due ordini sono tripartiti da lesene; nel primo, la porta centrale è affiancata da due minute finestre. Invece il secondo ordine ha un'ampia finestra rettangolare al centro. La devozione a San Defendente è molto sentita, il Santo è invocato contro il pericolo dei lupi e contro gli incendi. Anche San Defendente, come San Candido venerato a Murisengo, fu un soldato romano della Legione tebea guidata da San Maurizio e come loro fu martirizzato. Questa cappella è inserita nel centro storico di Gabiano, proprio a ridosso del castello in un'area chiamata del Rollino.
Scendo in auto verso la parrocchiale, ma prima faccio una visita al gruppo di case identificato come "Case Grosso. Qui vi è una chiesetta con un bel paramento in mattoni a vista e uno snello campanile. La facciata presenta decorazioni in pietra di luserna, aggiunti successivamente e che la rendono particolare. Proseguendo il mio viaggio, lascio sulla mia sinistra una grande casa su cui è collocata una lastra marmorea che ricorda che vi soggiornò nelle belle estati monferrine Giovanni Canna, noto ellenista filologo classico, umanista e poeta italiano, nonché docente di lettere greche e latine. Giovanni Canna, nacque a Casale Monferrato il 20 dicembre 1832 e vi morì il 20 febbraio 1915, ma la sua famiglia era originaria di Gabiano. Infatti il padre Carlo fu Giudice del Mandamento di Gabiano ad inizio del XIX secolo e il nonno Giovanni Battista fu un ufficiale al servizio del conte Giacomo Nemours di Frassinello. Giovanni Canna si laureò all'università di Torino in Lettere, insegnò latino e greco dapprima al Liceo Cesare Balbo di Casale Monferrato, poi ottenne la cattedra di Letteratura greca all'Università di Pavia che tenne fino alla morte. Fu accademico della Crusca e scrisse moltissimi testi e traduzioni di letteratura greca.
Raggiungo la grande piazza Senatore Brusasca, dove è collocato il Monumento ai Caduti di tutte le guerre. S'affaccia sulla piazza, posto su un rilievo, l'antica Chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo. Fu in questo sito che forse vi era l'antico insediamento romano. Fu qui che nel 1774, poco a valle della chiesa, venne ritrovata la pietra miliare di granito in due frammenti, questo cippo fu dapprima infisso nel piazzale della chiesa, poi nel 1873 venne acquistato da Camillo Leone e ora si trova al Museo Leone di Vercelli.
La chiesa presenta una bella facciata neoclassica e un campanile romanico. Questa facciata è divisa in due ordini intonacati e dipinta in bianco e giallo ocra. La chiesa fu fondata come pieve nel XI secolo, ricostruita nel XVII secolo e restaurata nel XIX secolo in stile neoclassico. All'interno conserva importanti affreschi di Paolo Maggi del XIX secolo, ma vi sono anche interessanti tele seicentesche e diversi reliquari. Dell'originario edificio dell'XI secolo rimane il campanile. A lato della chiesa si trova la grande casa parrocchiale del XVII secolo. Prima di andare a Sessana e Varengo vado nella borgata della Piagera. La si raggiunge seguendo la sinuosa strada provinciale numero 1. Il panorama che si ammira percorrendola è incredibile tra vigne ai lati e il guardingo castello che controlla il passo, ma anche le boscose colline di Villamiroglio. La Piagera è posta ai piedi di Gabiano ed è attraversata dal Rio Marca.
Il Po, giocando con le sue alluvioni, più volte ha cambiato il paesaggio, soprattutto in località "Piana delle Ghiaie". I continui apporti di limo ne fanno un'area fertilissima, tanto che la frazione Piagera è sede di un importante mercato ortofrutticolo. Dopo aver girovagato un po' a piedi tra belle case, riprendo l'auto per tornare sui miei passi, ma non prima di essermi soffermato ad osservare un monumento posto in un grande parcheggio. Il monumento in pietra e cemento rappresenta due mondine. Una lapide posta ai piedi delle mondine recita: "In memoria e ad onore delle forti lavoratrici delle arse colline del Po che per integrare lo scarso pane delle loro famiglie in tempi di grande povertà rurale scesero nei campi della pianura redenti dalle acque a mondare e a tagliare il riso quando prima dell'era della macchina…".
Il monumento è del 1981 e alla lapide manca qualche lettera ma sono sicuro che il mio amico Sindaco Domenico Priora prontamente provvederà a sistemarla.

Mentre risalgo verso la parrocchiale, mi sovviene il film di Giuseppe de Santis Riso amaro del 1949 con Silvana Mangano, Vittorio Gasmann e Raf Vallone, il primo film neorealista ad avere successo di pubblico nelle sale italiane.
Giunto dalla parrocchiale di San Pietro, m'avvio sull'irta ma bella strada provinciale 10, assai panoramica, che da Gabiano giunge a Sessana. Questo piccolo borgo contadino è ordinato e pulito e si sviluppa ai lati della strada provinciale che corre lungo la cresta della collina. Quasi al centro di Sessana si erge la Cappella di San Grato. La Chiesa di San Grato è del 1770 è in mattoni a vista però la facciata ed il campanile sono intonacati. Il suo interno è a navata unica con abside semicircolare. Presenta degli affreschi alle pareti e alla volta. Sulle pareti dell'abside vi sono i dipinti murali di San Grato al centro, San Rocco e San Sebastiano. Ciò mi riporta alla memoria la devozione anche a San Grato, invocato come protettore dei raccolti dalle tempeste, specie dalla grandine.
Mi si racconta che intorno alla metà del XIX secolo gli abitanti di Sessana, tormentati da una tempesta che da giorni rovinava il raccolto, si rivolsero al parroco Don Adanio, che suonando la campana fece smettere la tempesta. La leggenda vuole che ancora oggi qualche parrocchiano corra a suonare la campana quando il tempo si fa minaccioso.
Superata la frazione di Sessana, continuo a salire lungo la bella strada e giungo nell'abitato di Varengo. Questo è un antico insediamento documentato fin dall'anno 940, diventato Comune autonomo da Gabiano nel 1456, soppresso e nuovamente accorpato a Gabiano nel 1928.
Il suo toponimo dovrebbe derivare dal vocabolo di origine celtica "varena" che significa granaio, altri pensano che derivi da Avaringo, antico nome del luogo che potrebbe farla derivare dagli avari, un'antica tribù barbara legata alle popolazione dei Goti che abitarono l'area. Anticamente il suo territorio apparteneva ai marchesi di Gabiano, fintantoché Varengo fu elevata a contea e fu insediata alla famiglia Magnocavallo. Il borgo è bello e dagli edifici si nota una certa floridezza. Superato l'arco mi si prospetta una piccola piazzetta, dalla quale una lunga scalinata conduce sul "colle della Sorba", ove si erge la magnifica chiesa tardo-barocca di Sant'Eusebio che dovrebbe sorgere sui resti dell'antico castello. La chiesa è realizzata con i mattoni a vista e presenta una facciata suddivisa in due ordini, scanditi da lesene. I due ordini sono divisi da un bel marcapiano. Un bel frontone con fiaccole ne conclude il coronamento.
Fu progettata dal conte Francesco Ottavio, Magnocavallo architetto e drammaturgo e fu costruita tra il 1766 e il 1780. Salgo i quaranta gradini che mi conducono sul bel sagrato della chiesa. Gli scalini in pietra portano incisi i nomi dei benefattori che contribuirono alle spese di restauro degli anni Venti del secolo scorso. Vi è una sola porta d'accesso e il suo interno si presenta con una pianta ad ottagono irregolare con cappelle semiellittiche. Giro intorno alla chiesa per godermi lo splendido panorama che si gode. Dietro alla chiesa vi era un tempo il vecchio cimitero ora ridotto a giardino, dentro al quale si erge l'antica cappella dell'arciprete Don Tommaso Razzano.
Scendo da questo poggio per recarmi in borgata Borgatello, poco distante dal centro di Varengo. Su un colle, il cui accesso è costeggiato da un lussureggiante viale vi è la chiesetta dedicata dapprima a San Silvestro e poi a Santa Lucia; questo piccolo edificio è assai slanciato, presenta una sola porta affiancato da due finestre a tutto sesto. Ha il tetto a capanna con frontone nel cui timpano è inserita una nicchia priva di statua. Scendo da Borgatello e prima di raggiungere Giuvarengo, ultima mia tappa, mi reco in frazione Casaletto, dove lungo la stretta strada che conduce sulla provinciale n° 1, c'è la Cappella privata di Santa Maria della Neve. Questa graziosa cappella è interamente in mattoni a vista e tetto a capanna, con facciata con una sola porta d'accesso affiancato da due piccole finestre rettangolari. Sopra la porta vi è una finestrella quadrilobata incorniciata da un disegno modanato in mattoni, nel timpano è disegnato il profilo di un cuore.
Raggiungo così il fondo dell'abitato di Giuvarengo, che si estende su una cresta del colle che si affaccia sulla vallata del rio Gaminella. La borgata si conclude con la chiesetta dedicata inizialmente a San Rocco, di cui la strada prende il nome, quindi a San Pancrazio. Questo è un grande edificio, ma dalle fattezze semplici, con tetto a capanna e realizzato tutto con mattoni a vista.
La facciata è divisa da due ordini suddivisi da uno sporgente marcapiano. Nel primo ordine vi è l'unica porta d'accesso affiancata da due alte finestre ad arco a tutto sesto. Nel secondo ordine vi è una finestra quadrilobata e la facciata si conclude con un frontone triangolare.
Scendo così lungo la provinciale n° 1 della Gaminella e faccio ancora una breve sosta davanti al monumento delle Tre Croci che ricorda che qui vennero fucilati tre giovani, Mario De Luca, Lorenzo Rondano e Savino Miracapilli, uccisi durante i tragici rastrellamenti compiuti dalle forze nazi-fasciste nel novembre 1944.
Prima di lasciare Gabiano devo ricordare anche il monumento dedicato ai giovani della Brigata autonoma partigiana "Patria", che combatterono i nazi-fascisti su questi colli. Questo bel monumento è nell'area verde antistante il cimitero di Gabiano. Ma anche la scuola media statale di Gabiano è dedicata ad un altro gabianese che sacrificò la propria vita per l'Italia, ossia Sanlorenzo Bartolomeo, ivi nato nel 1881 e che morì nella battaglia delle "due palme" in Cirenaica il 12 marzo 1912. Al Vice Brigadiere Sanlorenzo Bartolomeo per il suo eroico comportamento e sacrificio fu concessa la Medaglia d'Argento al Valor Militare alla memoria.
Lascio così il borgo di Gabiano che mi ha offerto oltre ad un paesaggio splendido tra colli che dolcemente si aprono sia verso la verdissima valle del rio Gaminella che del rio Marca e della pianura vercellese con le sue risaie, anche belle pagine di storia e di sacrificio contadino. Sono stati i coltivi, i prati, i boschi, i vigneti, gli orti e i frutteti che si sono alternati a rendere lieta la giornata. I suoi piccoli e pittoreschi villaggi, adorni con le loro chiese e cappelle campestri mi hanno evocato storie lontane e racconti che sembrano ancora attuali.
Ormai ho lasciato Gabiano e già la mia auto corre verso casa.