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18 novembre 1991 - 18 novembre 2021 a trent'anni dalla tragedia di Vukovar

Lunedì 16 Maggio 2022 08:52
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VukovarHo passato tre bei giorni con Stefano Falco in Croazia a trovare comuni amici. In quegli stessi giorni si svolgevano le manifestazioni commemorative del 30° anniversario dell'eccidio di Vukovar. Mi sono tornate alla mente tante cose, per me sembra ieri e 30 anni mi sono sembrati tanti per rivedere, riprovare certe emozioni e stati d'animo. Non fui subito presente, dopo l'eccidio e la successiva liberazione della città ma qualche tempo dopo. La città era distrutta quando arrivai, le case segnate e crivellate dai colpi di kalashnikov, mortai, ecc.
Erano solo sgombrate le strade dalle macerie delle case distrutte. Mi ricordo che mi aggirai tra i poveri banchi di un mercato di frutta e verdura, dove anziane contadine cercavano di vendere i loro pochi prodotti della terra per racimolare qualche soldo. Pensai al rischio che avevano corso nell'avventurarsi nei campi che erano stati oggetto di scontri armati e quasi sicuramente minati. Pochi erano gli uomini che si aggiravano tra le strade della cittadina, martirizzata da assedi rappresaglie, bombardamenti e violenza. Le piccole finestre degli scantinati erano ancora protette da sacchi di sabbia e da scudi di legno e ferro.
L'alta torre dell'acquedotto, che diverrà poi simbolo di quegli scontri e violenze si ergeva crivellata dai colpi di cannone. Su un altura si ergeva lo scheletro della grande chiesa dedicata a san Francesco. Anche qui, in un luogo sacro fu manifesta la violenza e la distruzione. Il suo interno fu oggetto di furto, vandalismo e molto altro. Visitai l'ospedale cittadino dove ebbi modo di vedere non solo i danni, ma anche dove erano costretti a lavorare, medici ed infermieri operando e curando le vittime di questa assurda guerra. Scantinati, spesso privi di luce, dove feriti da armi da fuoco erano insieme a partorienti ed a ogni tipo di infermità e malattia. Scarseggiavano medicamenti e posti letto ma non la necessità di superare l'assedio.
Vukovar cadde il 18 e il 19 novembre, le sporadiche sacche di resistenza vennero soffocate in pochi giorni. Le milizie paramilitari furono le prime ad entrare in città; fra di esse vi erano le famigerate "Aquile Bianche" e i reparti del tristemente celebre Comandante Arkan. Pochissimi dei difensori della città riuscirono a fuggire; la maggior parte dei sopravvissuti venne fatta prigioniera. Un lungo assedio di oltre 80 giorni e l'irruzione delle squadracce armate di reparti non regolari nelle case, nell'ospedale alla ricerca di difensori della città, dei suoi familiari, di sospetti che essi siano sani o infermi, giovani o anziani, uomini o donne non risparmiò nessuno nè fecero differenza.
La dottoressa Vesna Bosanac, direttrice dell'ospedale di Vukovar, si offrì di restare per garantire ai feriti ricoverati un corretto trattamento ma fu arrestata e insieme ai feriti croati, civili e militari fu uccisa. Anche la popolazione civile subì molte violenze e maltrattamenti. Caricati come bestie e trasportati in una grande allevamento dove prima vi erano i porci furono costretti a scavare la propria enorme fossa e poi a colpi di mitragliatrici uccisi. Ebbi modo di visitare quello sterminato campo di dolore, dove centinaia di croci bianche con il nome della vittima ha sostituito le coltivazioni a mais che gli operosi contadini coltivavano prima della guerra.
Un grande monumento ricorda l'evento e un moderno mausoleo conserva i nomi di tutte le persone trucidate barbaramente. In una teca di vetro sono conservati i loro pochi averi, un documento d'identità, una fotografia e poche altre cose. Durante gli incontri che ebbi modo di avere, le persone, avevano permanente gli occhi velati dalla tristezza e forse feriti per ciò che avevano visto. Anche i loro racconti continuavano ad essere interrotti, come se un groppo in gola impedisse alle parole di uscire. Erano racconti colmi di tristezza, dolore per la perdita di un congiunto, un familiare o un amico. Non ho mai sentito parole di odio o rancore ma certamente, ieri come oggi è difficile se non impossibile dimenticare. Andai sulla sponda del Danubio e non potetti non immaginare, dai racconti ascoltati, il colore carminio delle sue acque in quei giorni del 1991. Sull'altra riva, la Serbia, con i suoi boschi, i suoi campi coltivati e i villaggi.
Ho avuto modo di assistere alla cerimonia dei 30 anni di quell'evento grazie alla televisione croata HRT, rivedendo i luoghi e rinnovando i ricordi. In questo anno di pandemia i cittadini sono stati invitati a stare a casa e ad accendere un lumino sulle finestre o potendolo fare, lungo la strada. È stata anche quella una serata emotivamente coinvolgente. Le strade, le finestre erano tutte illuminate dalla fioca luce dei lumi e davanti alle scuole si sono ritrovati gli alunni di tutte le scuole ad accendere il loro lume e a recitare una preghiera. L'unica cosa che so di certo e che le guerre vedono sempre vittime innocenti e spesso ci si trova a combattere per sopravvivere. L'uomo in questo è il peggior animale presente sul globo terrestre.