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Il mio Piemonte: Frassinetto

Giovedì 01 Dicembre 2022 11:58
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FrassinettoUn caldo mattino mi ha svegliato, il fresco sfila via piano piano e il sole che sussurra all'alba convincendola che è arrivata la primavera. Sono già in auto in corsa verso la mia meta e davanti a me vi è un cielo azzurro così limpido che da tempo non vedevo. Oggi vado in Valle Orco e precisamente voglio visitare Frassinetto. L'origine del suo nome potrebbe derivare della presenza di frassini sul suo territorio, altri affermano che derivi dal toponimo Fraxinetum derivante dall'arabo "Farakhshanit" che significa luogo fortificato, pensando ad un antico insediamento arabo, durante le scorrerie saracene attorno all'anno Mille. Personalmente sono convinto che deriva dall'abbondanza di frassini sul suo altopiano. Non ho trovato tante informazioni sul suo territorio, forse in antichità il territorio era abitato dal popolo dei Salassi che per sfuggire all'avanzata romana, nel I secolo a.C. trovò rifugio su questi monti. Qualcosa di più si conosce dell'epoca medioevale, quando condivise le sue vicende con Pont Canavese, essendo assoggettato ai medesimi feudatari, ossia i conti di Valperga e i conti di San Martino. La lotta tra le due diverse fazioni dei nobili del luogo, non lasciarono indenni la popolazione di Frassinetto fra il XIII ed il XIV secolo. Inoltre è certo che anche la sua popolazione partecipò alla famosa rivolta dei Tuchini nel 1386. Subì nel 1399 l'occupazione delle truppe del conte Amedeo VIII di Savoia inviate a sedare gli ultimi centri della ribellione e per far pagare un conto assai salato agli abitanti di Frassineto e di Pont Canavese, pari a 1135 ducati per ottenere il perdono dei Savoia. La storia di Frassinetto segue poi le vicende del canavese e della dinastia dei Savoia, fatte anche di guerre, carestie ed epidemie. Ma soprattutto la storia di Frassinetto è fatta di vicende legate alla faticosa vita dei contadini di montagna con le loro tradizioni.
Lasciata Pont Canvese, la strada, stretta e tortuosa sale verso i suoi 1046 metri s.l.m. Costeggio un ambiente ricco di pascoli che si alternano a boschi di betulle, castagni e frassini. Prima di entrare nell'antico borgo, lascio l'auto e mi immergo lungo un sentiero che scende nel bosco per raggiungere la Chiesa della Madonna del Bello Sguardo.
Lungo il sentiero i primi incontri, un gruppo di caprioli è sul mio percorso; sono intenti a mangiare, mi fermo ad ammirarli, loro e non mi hanno visto, solo uno scrocchio, ossia il verso del capriolo, suono cupo e ritmato molto simile all'abbaiare roco di un cane, scrolla dai loro impegni questi animali che e senza nemmeno voltarsi con due salti sono già scomparsi nel bosco. La chiesa ha un grande e massiccio campanile, realizzato interamente in pietra con tetto in losa. Alcune finestre ad arco del campanile sono state tamponate in pietra. La chiesa ha un grande prato verde davanti al suo ingresso. Un alto portico protegge l'ingresso della chiesa. Si tratta di un edificio molto grande, posto lungo il sentiero che dalla pieve di Santa Maria di Doblazio raggiungeva Frassinetto. Tornato all'auto, raggiungo l'ingresso del borgo e ivi parcheggio l'auto nei pressi del cimitero. Da questo parcheggio si gode uno spettacolare panorama sulla valle Orco Situato. È una balconata panoramica, che con un giro a trecentosessanta gradi non solo spazia fino a Torino nelle giornate limpide, ma anche ad uno splendido anfiteatro di montagne, dalla punta Quinzeina al Verzel, dalla cima Pal al monte Giavino. Sempre nei pressi del cimitero vi sono due monumenti dedicati ai caduti della prima e seconda guerra mondiale ed ai partigiani morti per la resistenza italiana, sono elenchi nominativi veramente lunghissimi.
A piedi salgo verso il paese attraverso una lunga scala che parte dal cimitero e che mi conduce in borgata Capelli ove sorge la chiesa parrocchiale intitolata a San Bartolomeo. Si tratta di un antica chiesa parrocchiale dal medioevale campanile in pietra. Non si conosce esattamente la data di costruzione della chiesa, ma dovrebbero risalire al XIII – XIV° secolo. La Chiesa ha un imponente e maestosa facciata, presenta un altissimo prospetto, tetto a capanna e portico che corre lungo tutta la facciata. Tripartita da lesene fino a tetto presenta affreschi sopra ogni arco del portico, e ancor sopra tre finestre ovaloidi. Nella parte centrale sopra alla sua finestra vi è un affresco, proprio sotto il culmine del tetto. L'interno è a unica navata e presenta cinque altari. In chiesa è conservata la pregevole tela della Deposizione, opera del pittore frassinettese Carlo Bonatto Minella, del 1874, dipinta a soli 19 anni e si asserisce che per essa l'artista ritrasse nella Madonna il volto di sua madre, e nel Cristo le sembianze paterne. Gli affreschi presenti sono invece del trentennio del XX° secolo, opera del pittore Giovanni Silvestro. La chiesa subì diversi ampliamenti e rimaneggiamenti, i più importanti nel 1641 e nel 1771. Il pittore Carlo Bonatto Minella, che nacque a Frassinetto il 10 agosto 1855 era un ragazzo di umilissime origini, infatti il padre faceva il boscaiolo. Dotato di sorprendenti doti pittoriche, il giovane per pagarsi gli studi, partiva da Frassinetto a piedi e portava con sé un cestino di formaggi, frutto del lavoro dei genitori, che vendeva a Torino per comprarsi pennelli, tele e colori. Oltre alla "deposizione di Gesù dalla Croce", datato 1874 ed esposto nella chiesa parrocchiale, in oratorio è presente una tela dell'artista raffigurante San Rocco che era stata dipinta per la chiesetta della borgata Berchiotto, dedicata a San Rocco e alla Madonna della Consolata. Carlo Bonatto Minella si spense nella casa natia il 6 giugno 1878, a soli 23 anni minato dal mal sottile ossia dalla tubercolosi ma soprattutto da stenti e miseria. Opere del pittore sono conservate presso la Galleria d'Arte moderna a Torino. Mi aggiro così tra le strette viuzze intorno alla chiesa, tutto intorno a me antiche case perlopiù restaurate mantenendo i caratteristici tetti in losa. Ritornato sulla strada principale, via Roma. Faccio una breve sosta in un bar, dove intrattengo quattro chiacchere con degli anziani signori del luogo da cui scopro che buona parte delle lose che ricoprono i tetti delle case di Frassinetto sono ricavate dai tagliapietre locali. Mi specificano che questo antico mestiere, esercitato fino al secolo scorso, richiedeva uomini robusti, in grado di tagliare e lavorare le pietre estratte direttamente sulla loro montagna. Uscito dal locale, dalla strada alzo lo sguardo verso il monte Quinzeina che come un guardiano pare controllare Frassinetto e le sue borgate.
Devo prendere l'auto per visitare le diverse borgate che punteggiano l'altopiano e le sue verdi montagne.
Dapprima vado a visitare Chiapinetto: mi soffermo sulla piazza che anticipa il borgo e accompagnato da un bel gatto grigio e nero inizio ad aggirarmi tra le strette vie del borgo. Le case sono abitate, lo dimostrano i panni stesi, i balconi ingentiliti da vasi fioriti e dalla cura e pulizia delle stradine. Non vi persona alcuna in giro, ma da dietro le finestre si sente armeggiare mestoli e piatti, segno di una certa vivacità del borgo. Solo grazie al mio accompagnatore, che s'infila sotto un dedalo di stradine porticate comprendo la particolare conformazione dell'abitato. Infatti gli studiosi hanno definito questa tipologia di conformazione "a conchiglia con valve chiuse". Infatti, come le conchiglie, hanno un'unica apertura verso l'esterno: le case sono costruite intorno ad cortile coperto ed è insieme di porticati, loggiati e scale che hanno un unica apertura verso la strada. Sicuramente lo scopo oltreché difensivo è voluto anche per difendersi dai rigidi inverni e dalle valanghe. Le case e i loggiati hanno tutti archi a tutto sesto, alcuni, forse i più antichi si sorreggono senza l'uso di calce, impressionante la perfezione di tali costruzioni. Saluto con una carezza il mio accompagnatore, dopo aver visitato anche la chiesetta di Santa Croce, raggiunta proseguendo per una stradina sterrata poco oltre l'abitato di Chiapinetto. La graziosa cappella dovrebbe essere ottocentesca mentre il campanile è stato costruito solo nel 1993. In auto vado poi a Pachiola, anche questo è una caratteristica borgata di montagna con le sue case anch'esse dai tetti in losa e dalle balconate in legno. Mi inoltro con calma, lungo la stretta strada che collega il capoluogo con le borgate più lontane. Dapprima mi soffermo a vistare la borgata Molini così denominata appunto per la presenza di due mulini ancora oggi visibili anche se non più funzionanti e con gli edifici diruti. Un vero peccato vedere queste antiche costruzioni in pietra con le loro balconate in legno versare in queste condizioni, soprattutto pensando quanta storia locale è passata con il lavoro delle macine del loro mulino. Subito dopo, con una breve deviazione raggiungo la borgata Tetti. Inoltrandomi per la viuzza che attraversa il piccolo abitato incontro la caratteristica chiesetta dedicata alla Madonna degli Angeli e a San Michele. Le casette in pietra sono quasi tutte ristrutturate. La chiesetta presenta un tetto a capanna con un bel campanile, il tutto è stato recentemente restaurato, La facciata ha una sola porta d'accesso con affiancate due piccole finestre, sopra alla porta un affrescato con l'immagine della Madonna decora l'edificio. Un piccolo cagnolino, dorme tranquillamente sotto la panchina posta nei pressi del sagrato della chiesa.
Proseguendo la passeggiata supero un bel porticato che conduce alla piazzetta detta "Vi Baron", dove la stradina asfaltata termina e continua come mulattiera diretta ad altre alle borgate. Il pensiero corre a quando non esistevano le strade asfaltate e tutte le comunicazioni avvenivano tramite queste mulattiere e sentieri che dovevano essere assai trafficate. Riprendo l'auto e supero il villaggio Trifoglio; questo è un agglomerato di nuove e antiche costruzioni, segno della valenza turistica della zona dove è facile è trovare il silenzio immersi nel verde dei boschi delle Alpi Graie. Sono villette e piccoli condomini con belle terrazze fiorite e giardini lussureggiati con prati verdi e una moltitudine di fiori.
Dopo il villaggio Trifoglio la strada divella fino alla borgata Truffa che un tempo ospitava la sede il Comune. Presente sulle case, ormai dirute, affreschi votivi ed all'interno dei borgo è ancora riconoscibile la facciata del vecchio palazzo municipale. La strada scende ancora lungo un pianoro dove sono disposte, le case delle borgate Gorla e Lupeta. La strada comincia a risalire fino alla borgata Puet e poi ancora fino alla fine d'essa, dove a 1014 metri s.l.m. si trova la borgata Coletto e da dove si gode di un magnifico punto panoramico. Tra le frazioni Puet e Coletto trovo una graziosa cappella, dedicata a san Domenico, alla Madonna della Neve e a Sant'Antonio da Padova, già esistente nel 1743. La chiesetta ha un tetto a capanna con un bello e slanciato campanile. Un piccolo sentiero, dalla strada mi conduce al suo piccolo sagrato. Un pilone votivo è posto lungo questo breve sentierino. Sulla facciata della chiesa sono affrescati le immagini di Santi Trovo una anziana signora intenta a riposare su un vicino muretto. Non posso nemmeno immaginare quanti anni abbia e non glielo chiedo, ma intavoliamo un breve discorso. La sua alta statura e limitata dalla sua forma ingobbita, le mani sono asciutte e callose, anche il suo viso anche se ingentilito da una folta chioma bianca i cui cappelli sono raccolti in un fazzoletto, è stanco. Gli occhi sono lucidi e le rughe sono ormai decori su un viso fiaccato dal lavoro e dall'età. Mi racconta di quante volte, con la gerla sulle spalle ha percorso i sentieri che collegavano le diverse borgate, mi narra di quando le stalle erano piene di bovini e la giornata era scandita dai ritmi della campagna e dall'incedere delle stagioni. Colgo l'occasione per scoprire qualcosa di più sulla vita di un tempo in questa zona del Piemonte.
Mi racconta quando con sua madre passava di cavana in cavana. Le cavane sono costruzioni in pietra di due piani, ormai quasi abbandonate, disseminate per la montagna e che erano edificate soprattutto negli alpeggi avendo cura che non fossero in zone troppo ventose o a rischio valanghe. Le cavane, continua l'anziana signora avevano una sola stanza che era utilizzata per vari usi. Vi era un angolo destinato al focolare in cui su un braciere pendeva una catena attaccata al muro con un il paiolo. Ciò permetteva di cucinare la polenta, ma anche cagliare il latte per fare il formaggio. Mi spiega che non aveva ne camino ne comignolo ed Il fumo usciva direttamente dal tetto attraverso le lose. Nelle Cavane veniva raccolto il fieno da dare alle mucche, se per il cattivo tempo non potevano andare al pascolo. Ma c'era anche un pagliericcio, di foglie secche per riposare. Sotto quest'unica stanza c'era la stalla. Le cavane migliori avevano il "crutin" vicino a una fontana per conservare il latte, i formaggi e il burro in un luogo fresco. Ricorda come un tempo si conviveva nelle cavane con i ghiri e con i topolini.
Quante cose vorrei ancora chiedere a questa anziana signora, ma il tempo corre e voglio visitare ancora qualche frazione. Devo tornare indietro fino alla borgata Molini per potere proseguire la visita delle altre borgate. Superato il ponte sotto il quale scorrono cristalline le acque dei torrente Stroncato, la prima borgata che trovo su questa strada in salita è Cereser, ubicata alla destra della strada principale, raggiungibile da una stretta strada asfaltata. Il borgo è posto in una bella posizione soleggiata e panoramica. Questa miriade di piccoli borghi posti tra boschetti e piccoli rii e prati sembrano essere spuntati come funghi ma sono la testimonianza di quanto fosse dura la vita di questi montanari. Poco dopo trovo un altra stradina che conduce alla borgata Balma e proseguendo all'ombra degli alberi e tra la rigogliosa vegetazione, salgo ancora fino alla borgate Lassere. Superata la borgata Galli e dopo ancora la borgata Trucco arrivo infine a Berchiotto. Da questo luogo si gode un eccezionale panorama sulla sottostante vallata. Questa fu una popolosa borgata, tant'è vero che esistevano una scuola e una parrocchia autonoma, poi unificatasi con quella di Frassinetto. L'interno della borgata conserva le tipiche case in pietra caratterizzate dai tetti di "lose", dalle balconate in legno, dalla presenza di stalle e "crutin".
Queste antiche vestigia del passato, in un borgo ormai quasi disabitato, trovo un ampia arcata che copre un tratto della stradina nel centro dell'abitato. La chiesa di borgata Berchiotto è posta lungo la strada, che diventa sterrata e conduce all'ultima borgata di Frassinetto, ossia Fraschietto. Questa bell'edificio religioso ha un bella facciata interamente affrescata, anticipata da un portico che corre lungo tutta la sua lunghezza. La chiesa è a capanna con tetto in lose e navata unica. Anche il campanile fa bella mostra di se, orgoglioso di essere l'edificio più alto della borgata. La popolazione della borgata in questa chiesa festeggia la Madonna Consolata insieme a San Rocco. Risalgo la strada sterrata, frequentata anche dalle navette di coloro che vengono a divertirsi provando lo zip-line, un volo di 1800 metri, imbragati su una carrucola che dai 1298 metri s.l.m. a 40Km di velocità ti porta al centro sportivo di Frassinetto a 1040 metri s.l.m. Nella borgata Fraschietto trovo una casaforte, forse dei secolo XVII, abbastanza ben conservata e denominata "Cà' di Cunt", casa dei conte, costruita nelle vicinanze della strada, poco sopra la borgata. Le caseforti nel canavese rivestivano un ruolo strategico e difensivo, sorgono generalmente in luoghi isolati. Sono costruite in pietra, si sviluppano in altezza e i locali sono divisi da volte in legno. Questa è stata costruita dal conte di Carabìn, come poi apprenderò, che qui si rifugiò con la famiglia verso il 1600, forse per sfuggire alle continue avversità politiche e militari che succedevano in vallata. Fraschietto è un borgo, che si ripopola solo in state grazie al turismo. Si sviluppa attorno alla seicentesca chiesetta dedicata alla Madonna dei Carmine e a San Bernardo.
È tempo di rientrare, la passeggiata tra queste borgate mi ha molto soddisfatto. Scendendo verso valle continuo a osservare le case di pietra che tanto mi hanno affascinato come i ricordi dell'anziana signora che mi ha raccontato "quando saliva agli "alp" ossia all'alpeggio nella tarda primavera, verso maggio con il bestiame dei nonni. Da questi scoscesi pendii scendeva spesso scalza, perché l'erba umida era scivolosa e quindi con le scarpe o le zoccole non stava in piedi. Racconti di un tempo trascorso che ai giovani sembrano racconti fantastici. Lascio questo borgo ricco di pascoli, boschi di betulle, castagni e frassini e torno verso la pianura.