Esco dalla stazione ferroviaria con il mio zainetto con i libri, la macchina fotografica e la cartina in mano per iniziare la mia passeggiata per Vigevano. Il mio tour per la "capitale" della calzatura inizia nella più bella piazza rinascimentale lombarda e tra le più belle d'Italia. Piazza Ducale in effetti per la sua maestosità toglie il fiato ai visitatori, ricca di storia, bellezze architettoniche e leggende facendola diventare un bel salotto. Iniziata da Ludovico il Moro tra il 1492 e il 1494 demolendo parte dell'abitato medievale, la sua realizzazione fu affidata a Ambrogio da Corte, altri affermarono invece che fu opera dell'ingegnere ducale Guglielmo da Camino. Di certo è che in quegli anni a Vigevano lavoravano anche il Bramante e Leonardo da Vinci. Ma la graziosa piazza raggiunse il massimo splendore a partire dal 1680 per mano del vescovo Juan Caramuel di Labkowitz che chiuse l'apertura appositamente creata tra i lunghi lati porticati per permettere l'accesso al castello delle carrozze attraverso una rampa. Sostituì la rampa con una scala, eliminò gli archi trionfali d'accesso alla piazza, completò la cerchia dei portici come oggi la vediamo e soprattutto rifece la facciata del duomo, cambiando di fatto il prospetto urbanistico, dapprima legato al castello e ora appare più un grande sagrato della chiesa. Il selciato della piazza è in pietra bianca di fiume, la bella pavimentazione dei portici attuali che sostituì quella in mattoni posta a spina di pesce è di inizio Ottocento. Mentre gli affreschi dei portici e i medaglioni furono ridipinti a inizio XX secolo, dopo che nel Settecento furono cancellati da una imbiancatura. I medaglioni dipinti sopra ogni colonna del porticato, raffigurano personaggi dell'antica Roma e delle dinastie degli Sforza, ma vi sono scritti anche antichi proverbi. Sulla piazza si erge, in posizione non centrale e sul lato corto della piazza la statua di "San Givanin" per i vigevanesi. La statua di San Giovanni Nepomuceno che morì martire nel 1393, annegato nelle acque della Moldava per volontà di Vencislao. La statua è stata eretta a protezione della città dalle acque del fiume Ticino e dal torrente Terdoppio e fu ivi collocata nel 1731 dagli austriaci, il Santo divenne ben presto eletto loro protettore dai pescatori. Ovviamente tra gli affreschi dipinti sulla facciata dei portici non possono mancare lo stemma della città di Vigevano lo stemma Visconteo-Sforzesco. Anche questa piazza come tante altri luoghi di Vigevano raccoglie storie e leggende, tra le quali quella che narra che la notte seguente la sconfitta di Ludovico Maria Sforza detto il Moro a Novara, 8-10 aprile 1500, il suo cavallo bianco arrivò scosso nella piazza alla ricerca del suo padrone; corse talmente tanto che vi aprì una voragine e il cavallo ne fu inghiottito senza mai più venire ritrovato.
Due sono le altre curiosità che più di tutte mi interessano: la prima riguarda i magnifici lampioni che illuminano e decorano la piazza, la seconda Arturo Toscanini. Per la prima, quando a inizio XX secolo furono sostituiti i lampioni a gas, il comune di Vigevano impose per contratto alla fonderia che il lampione "modello Vigevano" non venisse mai più replicato in nessun altro luogo, per il secondo motivo, il racconto in cui si dice che il maestro Arturo Toscanini, definì la piazza "Una Sinfonia su quattro lati". Nel romanzo "Il meridionale di di Vigevano", Mastronardi così descrive la vita nella piazza in un giorno festivo: " Batte mezzogiorno. La piazza è piena di gente vestita della festa. Lungo i portici c'è passeggio. I portici del duomo inghiottono folla che va a sentire l'ultima messa".
Voglio tenere il castello per ultimo nella mia visita, quindi mi porto verso il duomo per poterlo visitare. Il suo prospetto chiude tutto un lato corto della piazza, la facciata è stata eseguita nel 1680 per nascondere la vecchia facciata, ma anche per chiudere la piazza rendendo apparentemente la chiesa in asse con la piazza. La facciata è scompartita in quattro settori suddivisi da cinque coppie di lesene che racchiudono quattro portali, ma solo i due centrali danno accesso al duomo, sopra i quali sono visibili gli stemmi del Pontefice e del Vescovo. Per rendere più armonioso il progetto della chiesa e integrarlo con il disegno della piazza, ai lati della chiesa ed integrata con essa la facciata si chiude con due piccole costruzioni appoggiate all'ultima coppia di lesene. Su queste ali laterali vi sono quattro finestre, le ultime due richiamano nelle forme quelle dei palazzi. Al centro della facciata del duomo sono presenti due grandi finestre incorniciate da tre coppie di doppie lesene, ma solo la finestra di sinistra permette alla luce di entrare in chiesa. Un grande fregio con la dedica a Sant'Ambrogio è incorporato nella parte sommitale del timpano semicurvo della chiesa, due piccoli obelischi e le statue di Sant'Ambrogio, San Carlo e della Madonna affiancato da angeli musicanti completano la facciata. Il campanile è stato forse ricavato da un antica torre della fortificazione, forse addirittura dalla torre civica. Curioso vedere come i vigevanesi che transitano sul sagrato della chiesa allungano il passo per non calpestare una grande croce in granito, infatti la tradizione vigevanese vuole che per scaramanzia non la si debba calpestare. L'attuale chiesa risale alla terza decade del XVI secolo per volontà di Francesco II Sforza, dopo che Vigevano fu elevata a rango episcopale. Sullo stesso sito in precedenza esisteva un altro edificio religioso e del quale rimane l'abside risalente al XIV secolo mentre la cupola è invece settecentesca.
Entro nella chiesa che è a tre navata suddivise da massicci pilastri, il soffitto ha la volta a crociera nelle navate laterali e a botte-affrescata nella parte centrale. La chiesa possiede molte opere d'arte, per invitarvi a visitarle ne descriverò solo alcune. Innanzi tutto la navata centrale e la cupola sono affrescate nell'Ottocento dal torinese Francesco Gonin già operante alla corte dei Savoia. Tra le tele più famose la tavola a tempera "Il crocifisso tra angeli e santi e devoti" donata da Francesco II Sforza nel 1534 alla Compagnia del S.S. Sacramento. Internamente anche la cappella dei Santi Giacomo e Filippo, venerati fin dal Quattrocento come protettori dei "Batelana" ossia i tessitori, industria fiorente nel XV-XVI secolo a Vigevano. Un altro quadro interessante è posto nelle vicinanze della grande cappella dedicata a San Carlo Borromeo; il quadro del 1502 attribuito a Macrino d'Alba raffigura "La Vergine con il bambino con San Bernardino, Santa Chiara e il beato Macassolio" quest'ultimo, secondo le tradizione era il protettore dei buoni affari dei Vigevanesi. Ed ancora la "Pala Morselli" del 1510 attribuita a Bernardino Fenori raffigurante San Tommaso di Canterbury tra Sant'Elena e Sant'Agata. Ancora un trittico cinquecentesco raffigurante Sant'Agostino assiso in cattedra, nella parte centrale, Santa Monica e San Simpliciano nella parte destra e a sinistra sono raffigurati Sant'Ambrogio nell'atto di battezzare Sant'Agostino. La pala ovale sopra l'altare rappresenta la "Madonna in trono con il bambino e Sant'Ambrogio e San Carlo". L'altare maggiore è dell'inizio XIX secolo e nel tempietto a sei colonne è contenuta l'urna con delle reliquie dei Santi protettori. Un bel coro ligneo cinquecentesco è posto alle spalle all'altare. Occorre alzare lo sguardo per ammirare le otto beatitudini, affrescate dal Gonin sulla cupola. Interessante anche il polittico "Madonna con bambino e angeli, Deposizione e i Santi Cristoforo, Francesco, Giacomo e Domenico" della prima metà del XVI secolo, ancora sull'altare di sinistra il "Battesimo di Gesù" di Ferdinando Porta del 1735. Il duomo conserva anche il monumento funebre del Vescovo Juan Caramel di Lobkowitz sul lato sinistro della sagrestia minore, mentre il monumento funebre al vescovo Galeazzo Pietra, primo vescovo di Vigevano è posto nell'andito della sacrestia capitolare.
Impossibile, mentre mi porto verso l'uscita non soffermarsi davanti alla cappella che ospita la statua lignea della Vergine, del XV secolo e proveniente dalla chiesetta castrense, e l'affresco quattrocentesco sempre sul lato sinistro, protetto da un vetro, raffigurante la Madonna che allatta. La curiosità, per eccellenza, della chiesa è posta sul pavimento nei pressi della balaustra della cappella di San Carlo dove nel marmo è rimasta fossilizzata la testa di un dinosauro.
Uscendo dalla chiesa, cartina alla mano disegno il mio percorso cittadino, ovviamente dopo aver gustato un buon caffè sulla Piazza Ducale. Chissà se è lo stesso locale in cui Lucio Mastronardi amava sostare, osservare e poi descrivere i suoi concittadini nei suoi libri, "Mi siedo a un tavolino del caffè sociale. Ordino un aperitivo. Quasi tutti i tavolini sono occupati da industrialotti" - dal romanzo "Il meridionale di Vigevano" che così descriveva ciò che vedeva: "La piazza si va spopolando. Batte il botto. E' un bordello di macchine che ripartono. Quelli che hanno dovuto lasciare l'automobile nelle strade e nelle piazze vicino alla Piazza, dove non c'era più posto, si sfogano a scendere dalla via del Popolo, attraversarla sparire oltre il Duomo, ricomparire dalla via del Popolo per attraversarla di nuovo."
Mi avvio per via del Popolo, strada trafficata da massaie intente a far la spesa nei vari negozi, dopo pochi metri incontro la chiesa di Santa Maria del Popolo, un gioiellino barocco edificato nel 1698, anche se le origini sono cinquecentesche quando fu fondata come oratorio; una statua lignea della Madonna venne donata da Francesco II Sforza quando fu elevata a oratorio ducale. La chiesa giudicata troppo piccola fu demolita e ricostruita nella forma attuale. Dell'antico oratorio rimane solo il campanile, all'interno oltre alla statua lignea della Madonna vi è una bella statua lignea settecentesca di San Giuseppe e il cinquecentesco crocifisso ligneo, e diversi bei affreschi. La facciata tipicamente barocca, presenta una sola porta d'accesso e un corpo modanato, arricchito da lesene e colonne. Il piccolo sagrato è protetto da una antica e artistica cancellata in ferro battuto. Mastronardi nel romando "Il calzolaio di Vigevano" così descrive lo stesso percorso che ho fatto: "Ogni domenica mattina c'è passeggio sotto i portici, dalle undici all'una, su e giù da un capo all'altro. Ogni tanto si va in su, sulla via del popolo, la stra' del re buon e si arriva fin in piazza Fiera, quindi ritorno in Piazza. Intervallo a mezzodì: si va a sentire l'ultima messa in Duomo che come tacca, finisce".
Proseguo anch'io per lo "struscio" descritto da Mastronardi e raggiungo così palazzo Roncalli, eretto tra il Seicento e il Settecento e ampliato nell'Ottocento per volontà di Vincenzo Roncalli, industriale serico e Senatore del Regno, che volle, alla sua morte, lasciarlo alla città per realizzarvi un Istituto di Arti e Mestieri. La sua facciata è tipicamente neoclassica ed oggi ospita oltre alla biblioteca dei ragazzi anche associazioni e laboratori artigianali.
Superando via del Popolo raggiungo la chiesa di San Pietro Martire, eretta per i Domenicani da Bartolino da Novara nel 1363 e modificata nel 1918. Durante l'epoca sforzesca era collegata tramite un passaggio coperto alla falconeria del castello. La grande facciata è in stile gotico lombardo. Presenta una sola porta d'accesso coronata di formelle modanate, sopra il portone un grande rosone, quattro finestre gotiche completano la facciata. L'interno della chiesa è a croce latina con tre navate, colpisce subito l'acquasantiera con scritte gotiche. Nel transetto di destra sono presenti affreschi raffiguranti San Vincenzo Ferreri e le Sante Emerenziana e Caterina da Siena. Il quattrocentesco crocifisso ligneo è quello che la tradizione vuole abbia parlato al Beato Matteo Carreri. Mentre nel transetto di sinistra sono presenti due settecentesche opere raffiguranti San Domenico che compie un miracolo, sul fianco della tela una statua lignea che lo ritrae. Invece è di grande impatto scenografico l'altare maggiore realizzato in marmi policromi, rialzato con alcuni gradini rispetto al piano della chiesa. Accedo allo scurolo, posto sotto l'altare che ospita la teca con i resti del Beato Matteo Carreri. Costui fu priore del monastero e dopo la sua morte, avvenuta nel 1470, venne dichiarato a furor di popolo patrono di Vigevano, solo dodici anni dopo la sua morte fu beatificato. L'annesso complesso che ospitava il convento fu successivamente sede del Tribunale, ora è in attesa di nuova destinazione. Anche questa chiesa contiene alcuni misteri e leggende. Tra le quali posso ricordare quella del dito del Beato Matteo. Costui sentendosi vicino al trapasso volle tornare per un ultima volta nella sua Mantova. Giunto in piena notte nella casa della sorella, questa non gli aprì la porta. Matteo raggiunse così una chiesetta poco distante per passarvi la notte prima di tornare a Vigevano. Nella chiesetta con il suo dito incise sulla porta la scritta "Rustica progenie, sarai perseguitata dagli scorpioni". Tornato a Vigevano, dopo poco tempo vi morì. La sorella accorsa al suo capezzale gli tocco la mano e quel dito che si staccò ancora oggi è venerato a Mantova.
Un'altra storia, invece, vede coinvolto un mio noto conterraneo. Antonio Ghislieri, poi Papa Pio V, che fu priore del convento, il futuro Papa e Santo era solito, tutti i giorni baciare i piedi del crocifisso ligneo. Qualcuno cosparse sui piedi del Cristo del veleno, Antonio vi si avvicinò per baciarli ma questi miracolosamente si ritrassero salvandogli la vita.
Uscito dalla chiesa mi sovviene quanto scritto da Mastronardi "Provate fare tutto il Carrobbio!. Un negozio sì l'altro sì tutti pelati. Provate fare la Sardegna o il corso Pavia o il Dosso? Tutti fabbrichini e fabbriche"- Il calzolaio di Vigevano. Indicando così la brulicante vitalità della zona. Proseguo per il Carrobbio.
Allungando il passo raggiungo via della Costa, dove vi è il giardino Riberia e dove sono ancora visibili i resti delle stalle probabilmente progettate dal Bramante e l'abside di quello che fu la chiesa di Santa Teresa. Infatti nella parallela via Riberia, nel palazzo dove oggi vi sono alloggi popolari un tempo vi era il convento delle Vergini delle Carmelitane scalze, istituito da Ferdinando Roxas, ultimo vescovo spagnolo di Vigevano, nel 1684. Le monache dedite alle regole di Santa Teresa erano osservanti di clausura. L'edificio divenne poi orfanotrofio e dedicato a Agnese Riberia.
Il passo è breve per raggiungere via del Terraggio dove è possibile passeggiare lungo uno dei pochi tratti di camminamento di ronda rimanenti delle mura originali della città. Altri tratti sono rimasti inglobati nelle mura delle abitazioni. Mi soffermo brevemente alla chiesa di Santa Margherita, conosciuta come chiesa del Carmine che sorge tra via Ribera e via del Carmine, dove già esisteva una chiesa più antica e demolita nel 1498 per fare posto alle fortificazioni della città. Assumerà il nome del Carmine nel Seicento quando fu la sede della Confraternita di devoti alla Madonna del Carmelo. L'attuale chiesa fu edificata nel XVI secolo ma la facciata in puro stile barocco risale al 1732. La chiesa si caratterizza per il portale e le statue della Madonna tra gli angeli e Santa Margherita e Santa Teresa. All'angolo tra via Mulini e via Rossigni lancio un rapido sguardo alla piccola chiesa barocca del Crocifisso. Questa chiesetta fu edificata nel 1680, forse su una precedente edificio religioso. L'edificio è a pianta centrale, a croce greca, all'esterno nella facciata sono visibili lesene con capitelli corinzi sostenenti un timpano ottagonale. Anche il tiburio ha una copertura a forma ottagonale. All'interno un affresco con Cristo Crocifisso, il cui sangue è sparso in abbondanza dalle sue ferite. Ai suoi piedi inginocchiato in adorazione San Francesco d'Assisi e Santa Caterina da Siena. Poco distante in via Mulini, vi sono ancora dei mulini ad acqua, riconoscibili dalla grande ruota che gira grazie allo scorrere dell'acqua. In uno di questi mulini è ancora possibile comprare la farina appena macinata. Chissà se anche questi mulini o canali sono opera del lavoro di bonifica che Leonardo da Vinci fece durante la sua permanenza alla corte di Ludovico il Moro. Sempre in via Mulini vi è una palazzina liberty che si caratterizza per le cornici decorate delle finestre e dalle mensole ma anche per le vetrate d'angolo dai colori vivaci. Raggiungo così Piazza Volta e parco Parri dove all'angolo via Repubblica e via Garibaldi c'è Palazzo Sanseverino, costruito nel XV secolo dal conte Galeazzo Sanseverino, genero di Ludovico il Moro e suo capitano Generale. Il palazzo fu anche fortificato e prese il nome di Rocca Nuova. Più volte oggetto di assedi sia francesi che spagnoli, fu da quest'ultimi demolito nel 1646, sui suoi resti nacque il monastero di Santa Chiara e di quello che rimaneva del cortile con un bel porticato con colonne rinascimentali, divenne il chiostro delle clarisse. Oggi ospita abitazioni, uffici e galleria di mostre temporanee. Non lontano da qui in piazza Volta il moderno santuario della Madonna di Pompei del 1940 a poco distante il monumento del calzolaio d'Italia del 1953, la mente non può non correre ai libri di Lucio Mastronardi che nel romanzo " il meridionale di Vigevano" scrive: "Il viale della Fiera sciamava di gente, che usciva dal cinema. Nella piazzetta del Calzolaio l'aria rintronava di motoriin partenza". Arrivato in via Boldrini non posso non entrare nella settecentesca chiesa di San Carlo. La facciata imponente ha una forma rettangolare suddivisa da sei lesene che corrono per tutta la facciata divise solo da un marcapiano. Ha una sola porta d'accesso e una grande finestra rettangolare aperta nella parte centrale sopra il marcapiano, una piccola cella campanaria completa la facciata. Al suo interno vi sono tele settecentesche sulla vita di San Carlo. Proseguendo per via Griona, all'incrocio tra via Garibaldi e corso Novara vi è la chiesa di San Bernardo che purtroppo trovo chiusa. La chiesa fu costruita nella prima metà del XIV secolo e fu fatta demolire da Ludovico il Moro per costruire le mura difensive. La chiesa venne ricostruita nel XVI secolo e di nuovo venne abbattuta, e ricostruita ancora nella seconda metà del XVII secolo. Infatti la facciata rispecchia lo stile barocco con il suo frontone ricurvo.
E' tradizione, il primo sabato di settembre abbrucciare sul sagrato un fantoccio rappresentante il diavolo. La tradizione nasce dalla leggenda che vuole che a Vigevano San Bernardo da Chiaravalle incontrò il diavolo che gli ruppe una ruota del carro su cui viaggiava. Il santo allora prese il diavolo e lo usò come ruota per proseguire il viaggio. La tradizione vuole altresì che il fantoccio legato su un cavo d'acciaio e attraverso una carrucola venga fatto calare sul falò per essere abbruciato, si tratta di un rito propiziatorio che vuole il bene che vince sul male. Poco distante vi è Palazzo Crespi che oggi ospita la biblioteca comunale intitolata a Lucio Mastronardi. L'edificio fu edificato a fine Ottocento da Luigi Crespi. Il palazzo a tre piani presenta la facciata del piano terreno a bugnato. Durante il ventennio il Partito Nazionale Fascista l'adibì a Casa de Fascio.
Rientrando sui miei passi mi dirigo verso il centro attraverso via Dante giungendo così in piazza San Francesco, dove si affaccia l'omonima chiesa. La gotica chiesa fu iniziata nel 1379 su disegno di Bartolino da Novara, ampliata nei secoli successivi e la facciata rifatta nel 1910. L'interno conserva diverse opere d'arte, tra questi il crocifisso nel coro, "La gloria di San Francesco" sull'arco dell'altare maggiore. La chiesa contiene anche diversi reliquiari. Sul fianco destro della chiesa, su via San Francesco vi è una cappelletta contenete l'ossario del cimitero dei frati. La facciata della cappelletta è barocca e al suo interno, visibile attraverso una grata, sono presenti sull'altare diversi teschi umani, attribuiti ai frati francescani. Così descriveva la vita quotidiana in via Dante nei pressi della chiesa Lucio Mastonardi: "La mattina della natività della Madonna, Luisa tornava dalla Chiesa di San Francesco. C'era un sole che pareva primavera. Per tutta via Dante vede gente con dei collanoni di scarponi; ragazzi che si strusciavano sotto quel peso; vecchi con coperte grigioverdi; tricicli pieni di roba. E giovani che correvano, tutto un movimento, un traffico" da Il calzolaio di Vigevano.
Sempre in via San Francesco, su una casa in totale abbandono, ma riconoscibile da una targa vi è la casa natale di Lucio Mastronardi. Costui nasce a Vigevano il 28 giugno 1930 da madre lombarda di professione maestra elementare e da padre abruzzese di Cupello, ispettore scolastico. Lucio ha un carattere difficile e sicuramente poco incline alla disciplina. Dopo il tentativo di iscrizione al Ginnasio di Vigevano, Lucio passa alle Magistrali e consegue il diploma di maestro elementare da privatista. Inizia l'attività di insegnamento dapprima nelle carceri di Vigevano, poi a Casorate prima e per ultimo a Vigevano. Raggiunta la tranquillità economica inizia a scrivere di narrativa dapprima sul giornale vigevanese, "l'Informatore Vigevanese"; conosciuto lo scrittore Elio Vittoriani che lo incoraggia nella stesura del romanzo "Il calzolaio di Vigevano", che verrà poi pubblicato nel 1959 su una rivista letteraria, seguirono nel 1962 "Il maestro di Vigevano" e "Il meridionale di Vigevano" pubblicato nel 1964. La storia della capitale della calzatura diventano un film "Il maestro di Vigevano" di Elio Petri nel 1963. Film talmente realistico che suscitò molte polemiche. Il carattere di Lucio non è però cambiato, facilmente irascibile e attaccabrighe, litiga con un ferroviere durante i suoi spostamenti in treno, viene arrestato e condannato a due anni di manicomio criminale. In seguito trasferito ad Abbiategrasso ma dispensato dall'insegnamento chiede di essere trasferito come bibliotecario a Milano. A Milano, riprende a scrivere e pubblica il racconto "La ballata del vecchio calzolaio" nel 1969, "A casa tua ridono" nel 1971, seguono una serie di racconti "L'assicuratore" del 1979 e nel 1977 pubblica "Genti di Vigevano" che raccoglie i primi tre romanzi e due racconti da "L'assicuratore". Richiamato nel 1972 all'insegnamento, si scagliò dopo un diverbio contro il direttore scolastico, arrestato passò tre giorni di carcere a San Vittore e fu condannato a quattro mesi con la condizionale. Nel 1974 sposa una collega e nel 1975 nasce la figlia, nel frattempo il suo stato psichico peggiora e il senso di inquietudine lo perseguita, tanto da tentare il suicidio gettandosi dal balcone di casa. Nel dicembre 1978 dopo un ricovero al policlinico di Pavia gli viene diagnosticato una neoplasia polmonare. La mattina del 24 aprile 1979 esce da casa per una passeggiata ma non farà più ritorno. La domenica del 29 aprile il suo corpo esamine venne ritrovato sul greto del fiume da un pescatore.
Proseguendo per via Merula, faccio una breve deviazione su vicolo Deomini dove sorge addossato ad un edificio civile, la piccola chiesa dedicata a Sant'Ignazio di Layola. La chiesetta, eretta nel 1634 è riconoscibile solo dal cartello turistico perché la facciata presenta solo un portale con frontone spezzato, al cui interno è posto il busto del santo. La chiesa si trova annessa ad un istituto scolastico delle suore domenicane. Poco distante si trovano due importanti palazzi, Palazzo Merula e Palazzo Colli Tibaldi, il primo fu edificato nei primi decenni del Seicento. Il palazzo nasce come convento per le monache terziarie domenicane. Nell'Ottocento il convento venne soppresso e la proprietà passa all'ospedale che lo adibisce a orfanotrofio maschile intitolando la struttura a Giovanni Merula, sacerdote vigevanese che alla sua morte lascia il suo patrimonio all'istituto. Dopo un periodo di abbandono viene acquistato dal comune che lo adibisce a Archivio storico comunale, a museo dell'Imprenditoria Vigevanese, alla Società Storica Vigevanese e al fondo Lucio Mastronardi. Entrando nel cortile posso ammirare il meraviglioso chiostro maggiore con il suo ampio e luminoso portico a due piani.
Poco distante vi è Palazzo Colli Ribaldi, oggi sede di una banca, dove un tempo sorgeva il teatro Galimberti già costruito sull'area dell'ex chiesa delle Domenicane. L'edificio recuperato e restaurato agli inizi del XX secolo da Giovanni Colli Ribaldi, da cui il teatro prese il nome, poi trasformato in cinema.
Raggiungo l'incrocio con corso Vittorio Emanuele II, mi si prospetta di fronte il teatro Cagnani, costruito tra il 1870 e il 1873. Originariamente era intitolato semplicemente come "Teatro municipale" e venne poi intitolato al compositore Antonio Cagnani dopo la sua morte avvenuta nel 1696. Questo compositore, nato a Godiasco di Salice Terme, è famoso per aver composto il Re Lear e la Messa per Rossini. La facciata del teatro richiama lo stile dell'architettura ottocentesca.
Voglio fare una leggera deviazione al mio percorso studiato sul treno per andare a vedere almeno da fuori la chiesa Madonna della Neve,con il suo campanile barocco, posta in via De Amicis la cui edificazione è del 1599 e prese il posto della chiesa di Santa Maria dei Pesci di cui conserva il quattrocentesco affresco della "Madonna con il gatto" che si dice fosse stato ispirato da Leonardo da Vinci. La facciata esterna è barocca, l'unica decorazione presente è il fregio in marmo rosso di Verona posto sulla porta d'accesso. Vicino alla chiesa corrono placide le acque del naviglio Sforzesco.
Rientrato verso corso Vittorio Emanuele II, passeggio fino a raggiungere una piazzetta su cui si affaccia la chiesa di San Dionigi sui resti di una precedente chiesa del XV secolo dell'omonima confraternita che aveva il compito di praticare assistenza ai condannati a morte. Rifatta nel XVIII secolo, attualmente è sede di un auditorium. La facciata esterna è tipicamente barocca in mattoni rossi, tripartiti da quattro lesene, la parte centrale leggermente concava ospita la porta d'accesso, finte nicchia e finestre realizzate in mattone con disegni a volute che ne completano la parte inferiore, sopra il marcapato una grande finestra vi permette l'ingresso alla luce. Al suo interno l'altare maggiore è in marmo policromo sopra di esso vi è la seicentesca tela raffigurante il Martirio di San Dionigi del Cerano. Nella cappella del Santo Sepolcro vi è una splendido gruppo ligneo, forse cinquecentesco, mentre vicino all'altare della "decollazione", dove venivano assistiti i condannati a morte, vi è ancora una botola in marmo a indicare la cripta dove questi venivano sepolti.
Sempre su questa piazzetta si prospetta Palazzo Murari, risalente al XVI secolo, facilmente riconoscibile per le finestre ad occhio poste nel sottotetto simili a quelle di piazza Ducale e alle finestre con cornici in arenaria.
Tornato sul corso, mi avvio verso il Palazzo municipale costruito tra la fine del XVII secolo e inizio XIX secolo. L'edificio nacque come ospedale di Vigevano ma dal 1911 ospita gli uffici comunali. L'imponente facciata è tipicamente settecentesca. Varcato il portone di accesso mi ci si prospetta davanti un piccolo giardino con corti interamente porticate. Una imponente e scenografica scalinata permette l'accesso al piano superiore. Diversi busti di persone famose decorano il porticato e l'androne dello scalone.
Raggiungo facilmente piazza Sant'Ambrogio posta dietro il palazzo municipale. Su questa piazza, adibita a parcheggio si prospetta il Vescovado. Il nucleo originale del palazzo risale alla prima metà del Cinquecento ma quello che mi interessa è ciò che avvenne in questo palazzo. La storia mi riporta al 6 agosto 1848 quando Re Carlo Alberto, febbricitante, qui venne curato, solo dopo tre giorni in questo palazzo venne firmato l'armistizio tra austriaci e piemontesi che concluse la prima guerra d'indipendenza. L'atto è qui noto come l'armistizio Salasco, dal nome del generale piemontese che lo siglò. Lucio Mastronardi così la descrive nel romanzo "Il calzolaio di Vigevano": "L'ultima battaglia della Prima guerra di indipendenza venne fatta alla sforzesca, storica frazione, sulla stradale per Pavia, e al Vescovado Salasco firmo l'armistizio".
Mi ritrovo sulla Piazza Ducale e ormai l'ora di pranzo è passato da tempo, devo trovare un locale che riesca a colmare il languorino che mi assale. Lo trovo vicino ai portici di Piazza Ducale, ho così modo di scoprire quali sono i piatti tipici vigevanesi. Ovviamente piatto principe è a base di riso ma anche il "Figadej" un salame a base di fegato di maiale. Interessanti i dolci, dal riso dolce del Moro ai biscotti "Bramantini". Durante il lauto pasto ho potuto ammirare il passaggio che non si è mai interrotto sotto i portici della piazza: "Sotto i portici camminano donne con borsoni; vanno e vengono dal mercato. Ai tavolini del caffè, operai che si sono messi in proprio, mostrano agli amici le para di sò produsion" da "Il meridionale di Vigevano".
Devo ancora vedere un bel po' di cose in questa città e la prima è a pochi passi, infatti in vicolo del Seminario non solo vi è il Seminario vescovile, edificato nel 1565 e con continui rifacimenti fino al 1956, la cui torretta risale al 1895 e fu costruita come osservatorio astronomico ma vi è posto di fronte all'ingresso la chiesetta di Sant'Anna costruita nel 1694.
Nella vicina via XX Settembre una lapide attira la mia attenzione che ricorda il luogo dove nacque il 3 ottobre 1858 Eleonora Duse. La sua famiglia di artisti si trovava a Vigevano quando Eleonora nacque in questo palazzo, l'allora albergo Cannon d'Oro. Eleonora Duse fu una delle attrici drammatiche più importanti sulla scena mondiale a cavallo del XX secolo. Fu musa ispiratrice di Gabriele d'Annunzio che le dedicò il romanzo "Il fuoco".
Per raggiungere via dei Cairoli devo passare sotto un grande voltone carrozzabile su cui si apre sia la strada coperta che la strada sotterranea. Sull'accesso del voltone fa bella mostra lo stemma sforzesco con il biscione, così Mastronardi lo descrive ne "Il calzolaio di Vigevano": "Forse non faceva caso al Biscione sopra il Portone, simbolo di Vigevisimus o Viglebanum; forse non sapeva che lo scalone della Piazza conduceva alla casa Sforza". Questa strada sotterranea è la parte inferiore di una passeggiata coperta, un manufatto unico nel suo genere realizzato nel 1347 da Luchino Visconti per consentire alle sue truppe di entrare e uscire dal castello senza essere visti dagli abitanti, ma anche per garantirsi una via di fuga. Unisce il maschio del castello alla Rocca vecchia ed è lungo 167 metri e largo 7. La strada sotterranea era utilizzata anche come alloggiamenti, scuderie e depositi, anch'essa ha una uscita alla Rocca Vecchia.
Uscito verso via Cairoli, lo sguardo corre sulla mia destra dove posso ammirare nel castello la Loggia delle Donne, dove un tempo esisteva anche un giardino pensile.
Lungo via Cairoli appoggiato al muro della strada coperta c'è la piccola chiesa di San Giorgio di cui Mastronardi ne "Il calzolaio di Vigevano" scrive: "Si sposavano in San Giorgio, la chiesa degli studenti, perché vicino alle scuole liceo, una chiesetta grossa un ditale, scalcinà, senza prete fisso". Ancora oggi la chiesa di San Giorgio in Strata è aperta al culto. Costruita nel X secolo e rimaneggiata nel XIV secolo sulla strada romana, strata che porta a Pavia, conserva nella facciata le caratteristiche dell'architettura lombarda. A navata unica conserva un affresco raffigurante San Giorgio che uccide il drago, databile XIV secolo.
Poco distante dalla chiesetta si ergono Palazzo Saporiti e di fronte l'ex collegio convitto Saporiti. Nel 1828 il marchese Marcello Saporiti dona alla città di Vigevano questo suntuoso palazzo con facciata in stile neoclassico a sei grandi e alte colonne che sorreggono un grande timpano al cui interno vi sono gli stemmi della città di Vigevano e della casata Saporiti. L'edificio, secondo la volontà del marchese viene adibito a sede delle scuole superiori e di corso universitario. L'ex collegio convitto fu sempre voluto dal marchese Marcello ma realizzato dal pronipote Apollinare Rocco Saporiti, di particolare interesse di quest'ultima costruzione le due corti, la prima interamente fortificata, la seconda un trionfo di lesene e archi a tutto sesto.
Rientro verso Piazza Ducale per accedere al castello e lo faccio attraverso la scalinata che mi conduce alla Torre del Bramante. Mastronardi nel "Il calzolaio di Vigevano" scrive: "E' la torre, la torre che titana sopra il Castello Sforzesco, in piazza onoregloria protezione vanto del paese, la torre è opera del Bramante, qui non ci sono dubbi". L'origine della torre, situata nel punto più alto della città risale al 1198 e nel XV secolo. Bramante rese l'ingresso al castello veramente trionfale, ancora nel XVII secolo vi fu aggiunto il cupolino barocco "a cipolla". La torre ha una forma originale, costruita da sezioni merlate che si restringono avvicinandosi alla cima. La base della torre è costituita dalla cosiddetta torre del rivellino, di origine comunale utilizzata come difesa del castello in epoca viscontea, successivamente per volontà comunale prima e di Ludovico il Moro poi, che ne affidò i lavori al Bramante subì continue aggiunte e modifiche. Nell'androne di ingresso posso notare diversi affreschi della seconda metà del Settecento quando i Savoia si impadroniscono di Vigevano, infatti vi è riprodotta anche la Sacra Sindone. Donato Bramante lavora per la torre tra il 1492 e il 1494, è a lui che si deve la sua forma slanciata, suddivisa in tre parti con eleganti merlature. Anche questa torre ha diverse storie e leggende tra le quali quella che narra che quando i vigevanesi riconquistano il castello occupato dai pavesi e dai gambolin, quest'ultimi furono scaraventati giù dalla torre. Invece è documentata quella legata al "campanone" ospitato nella cella campanaria seicentesca. Pare che il "campanone" battesse ogni mezzora, anche di notte e gli abitanti, nell'Ottocento, soprattutto quelli che risiedano nelle immediate vicinanze della piazza non riuscissero a dormire. Costoro presentarono un reclamo al Comune, la diatriba si risolse asportando uno spicchio della campana, rendendola così "fessa" attenuato il suono. Ancora oggi è possibile ascoltare battere i suoi rintocchi ogni quarto d'ora. Nel "Il maestro di Vigevano". Mastronardi descrive il campanone. " Quel campanone scandisce le ore, le mezze'ore da duecento anni: e c'è chi lo sente per la prima volta, chi per l'ultima. Chissà quando lo cambieranno quel campanone".
Ho così accesso al cortile interno del castello che ospitò Luchino Visconti e Ludovico il Moro e che vide la presenza oltre a Donato Bramante anche Leonardo da Vinci. Conclusa la dinastia sforzesca, il maniero passa in possesso agli spagnoli e nel Settecento diverrà sede di una guarnigione austriaca. Successivamente passò all'esercito Sardo e quindi al Regio Esercito Italiano, rimanendo struttura militare fino al 1968. Attualmente è sede dei musei civici, del museo archeologico della Lomellina ed altri musei. Ludovico il Moro ne fece una vera residenza nobiliare, fece costruire una terza scuderia e la loggia delle donne. Infatti subito dopo la scalinata, superata la torre non posso che notare le tracce di affreschi sulle scuderie. Accedo così alle scuderie "di Ludovico", un immensa sala con soffitto a volta sorretta da colonne in serizzo, mentre nei piani superiori vi alloggiavano i soldati.
Uscito dalla scuderia, sulle sue mura alcune lapidi ricordano le efferate fucilazioni di partigiani che vi ebbero luogo durante la seconda guerra mondiale.
Anche la falconeria è un loggiato molto suggestivo. Destinato all'allevamento di falchi da preda, fu costruito intorno al 1381. Spicca il camminamento coperto che ai tempi di Beatrice d'Este portava alla loggia delle donne. La loggia delle donne è la parte superstite del palazzo delle donne realizzato nel 1490 dal Bramante come abitazione riservata a Beatrice d'Este e alle sue dame. Abitazione dotata di un giardino pensile, denominato il "Giardino della Duchessa". La loggia è a sette arcate tutto sesto di marmo bianco che poggiano su raffinate colonne.
Arrivo così all'ingresso del maschio; vorrei poter vedere la sala dell'affresco ma purtroppo è chiusa. E' così detta dopo il rinvenimento di un antico affresco che risale agli Sforza. In particolare l'opera databile tra il 1466-1476 descrive un paesaggio con paggi che soffiano in corni da caccia. Invece il maschio, corrispondente all'antico castrum di probabile origine longobarda che svolgeva funzione difensiva per gli abitanti e luogo di conservazione delle derrate alimentari durante le guerre. Del castello Lucio Mastronardi, da questa particolare descrizione nel romanzo "Il meridionale di Vigevano": "Il Circolo (Circolo Ufficiali) si trova in tre saloni del castello, sotto la torre. Lo scalone, in Piazza che porta al Castello, è addobbato da vasi e piante, e coperto da un tappeto. Dopo tre scalini, un altro uscio. Ci troviamo nel vestibolo del Circolo" – prosegue –" Per non sbattere gli occhi sulle mie scarpe e sulle specchiere, guardo il soffitto, affrescato dai discepoli di Leonardo, e dove pare non sia estranea la mano del maestro".
Prima di lasciare il castello, mi siedo per riposare su una panca di pietra sotto frondosi alberi. Mi sovvengono alcune storie e leggende ultimamente lette che riguardano il castello. Si racconta che vi abiti un fantasma che si aggiri intorno alla terza scuderia, nel luogo dove avvenivano le fucilazioni durante la seconda guerra mondiale; si tratta di un giovanissimo partigiano. Mentre un altro fantasma, una dama di compagnia di Beatrice d'Este vaga per le stanze del castello.
Un'altra vuole che la chiesetta castrense fosse stata fatta demolire da Ludovico il Moro per impedire ad una sua amante di sposarsi, ma che comunque la ragazza riuscì a fuggire insieme al suo amato dal castello e convogliare a nozze.
Percorro la strada coperta, immergendomi in atmosfera d'altri tempi, posso con la fantasia sentire lo scalpitio dei cavalli, il rumore degli armigeri che con le loro armature sono di guardia al passaggio tra il castello e la Rocca vecchia.
Esco così in quella che era la Rocca vecchia, ora trasformata nel 1836 nella Cavallerizza, un maneggio coperto e uno scoperto per i cavalli alloggiati nel castello.
Ormai sono sul treno che mi riporta a casa e mi sovviene un noto vescovo di Alessandria, di famiglia vercellese ma nato a Vigevano, Francesco Arborio di Gattinara che entrò giovanissimo nei Barnabiti e fu vescovo di Alessandria dal 1706 al 1727, visse la permanenza in Alessandria durante gli assedi delle truppe austro-piemontesi comandate dal principe Eugenio e fu presente alla consegna della città da parte del governatore spagnolo, conte Francesco Calmeremo, alla conclusione degli assedi.
Rientro soddisfatto per aver potuto visitare un'altra città, perla della nostra penisola, ma anche di aver potuto camminare sulle orme di uno straordinario scrittore come Lucio Mastronardi.