
La vista sulle colline circostanti è punteggiata da vigneti e piccoli boschi, con un cielo terso che rende i colori ancora più vividi. Parcheggiato l'auto all'ingresso del paese, inizio il mio girovagare.
Passeggiando per le vie del paese, le pietre delle case antiche si scaldano illuminate sotto un sole gentile, mentre gli abitanti si salutano con un sorriso, sia se seduti fuori dalle porte o in cammino verso la chiesa parrocchiale che ha appena suonato la chiamata alla funzione religiosa. Carrosio è un rifugio perfetto per chi cerca tranquillità e bellezza autentica.
Il borgo di Carrosio credo nasca intorno a XI secolo ed è citato come Caroxium o Carosium, anche se con molta probabilità già in epoca romana doveva essere in qualche modo vissuto, essendo il borgo situato lungo la "via della Bocchetta", antico percorso di collegamento tra Genova e la valle padana. Il borgo fu soggetto nel X secolo alla signoria dei vescovi di Tortona e a quella dei marchesi di Gavi, gli Adalbertini, tra l'XI e il XII secolo.
Più antiche testimonianze sull'esistenza di un insediamento urbano sul territorio risalgono addirittura al 1141, quando i genovesi acquistarono il castello di Aimero, nucleo originario del paese, luogo posto su un colle non lontano dall'attuale borgo. Tra il XIV e il XV secolo la Repubblica di Genova concesse l'investitura del feudo ad alcune famiglie, come i Castagna, i Grimaldi e i Di Negro. Successivamente il territorio venne avocato come feudo imperiale ed affidato agli Spinola, a cui nel 1586 subentrarono i Salvago. Mentre nel 1622 il borgo risulta condiviso tra la Repubblica genovese, la famiglia Imperiale con i Lercari e i Doria. Nel marzo del 1625 i franco-savoiardi comandati da Carlo Emanuele I di Savoia invasero il territorio di Carrosio, affrontando i genovesi alleati con gli spagnoli.
L'occupazione delle truppe sabaude non durò molto tempo in quanto furono poi sconfitti sulla strada per Genova in Val Polcevera, ove ora insiste il Santuario di Nostra Signora della Vittoria nei pressi di Montanesi. Inoltre gli abitanti depredarono, aiutati da truppe provenienti da Polcevera l'esercito di Carlo Emanuele I che abbandonarono definitivamente Carrosio il 21 giugno 1625. Passato ai Savoia nel 1735, sotto Carlo Emanuele III di Savoia, divenne una enclave sabauda all'interno della Repubblica di Genova.
Abolito il feudo nel 1798, a Carrosio confluì quella che fu chiamata "Armata patriottica piemontese", un gruppo giacobino che tentò di agire militarmente contro il ducato sabaudo e fu protagonista di una rivolta contro il governo piemontese che si risolse in un attacco al castello di Serravalle Scrivia. Evento quest'ultimo che fallì miseramente e i rivoluzionari superstiti furono braccati dagli abitanti dei paesi vicini e uccisi "come uomini miscredenti e nemici di ogni autorità". I rivoluzionari insediarono nel paese un vero e proprio governo e riuscirono lentamente ad estendere il proprio controllo sulle aree vicine, con diverse azioni nelle valli dell'Orba e dello Scrivia.
L'occupazione di Carrosio da parte dei giacobini durò un paio di mesi e rappresentò l'episodio rivoluzionario di più lunga durata tra i moti insurrezionali della fine del Settecento piemontese. Dopo la sconfitta degli insorti da parte delle truppe sabaude, Carrosio fu governato direttamente dal comando francese della divisione di Genova sino al 1802, quando fu aggregato alla Repubblica ligure. Con Napoleone Bonaparte Carrosio entrò a far parte, nel settembre 1802, di uno dei 18 cantoni della "giurisdizione del Lemo", successivamente venne incorporata nell'impero francese.
Nel 1812 fu ospitato a Carrosio il Papa Pio VII, avviato all'esilio di Fontainebleau. Con il Congresso di Vienna, dal 1815 il borgo seguì dapprima il regno sabaudo e poi il resto della storia d'Italia. Altro importante passaggio a Carrosio fu quello del re Vittorio Emanuele I e la regina Maria Teresa d'Austria-Este il 2 settembre del 1815. Da segnalare anche la visita a Carrosio, il 27 giugno 2023 del principe Alberto II di Monaco dove è stato insignito della cittadinanza onoraria del paese, trasformando così il borgo in uno dei "Siti storici Grimaldi". Infatti i Grimaldi, controllarono la fortezza di Carrosio tra il 1248 e il 1251.
Storia molto particolare ha invece l'abitato di Aimero, forse già presente già diversi secoli prima di Cristo tra gli insediamenti liguri "di montagna" lungo il corso del torrente Lemme e distrutto dal console romano Lucio Emilio Paolo poco prima del 200 a.C. e i suoi abitanti in gran parte deportati o dispersi. Il villaggio poi ricostruito sul un colle prese il nome di "Meo" ma dopo il X secolo d.C. ebbe inizio la discesa degli abitanti per riformare il vecchio insediamento, soprattutto per le diverse frane che si staccarono dalla montagna rendendolo pericoloso.
Oggi a Meo è una collinetta che si erge solitaria e nessuna traccia rimane di quello che era il villaggio; l'unica costruzione ivi presente è la Chiesetta di Santa Maria dell'Ascensione. L'aumento delle frane e la progressiva diminuzione dell'importanza di Aimerio o Meo (nei documenti dell'epoca citata anche come Amelio) causò un rapido declino dell'insediamento, coi suoi abitanti che mantennero però le proprie origini nei diversi cognomi di Amelio, Ameri, Amerio e gli Imelio.
Vado dapprima a vedere la chiesa parrocchiale intitolata a Santa Maria Assunta, citata a partire dal 1212 come cella monastica dell'abbazia tortonese di San Marziano. Fu eretta in parrocchia nel 1490 ma la costruzione attuale, risale tra il 1675 e il 1729. In stile barocco genovese, la chiesa presenta una facciata composta da due registri o ordini entrambi tripartiti da lesene con basamento in malta cementizia.
Il registro inferiore, in posizione centrale presenta la porta di ingresso su cui si imposta, poco sopra, una specchiatura con terminazione semicircolare contenente un affresco; nelle porzioni laterali si aprono due nicchie, contenenti due statue. Le lesene facenti parte di questo registro sorreggono una trabeazione, composta da architrave sporgente. Nel registro superiore, in posizione centrale, vi è un ampia finestra semicircolare; nelle porzioni laterali si aprono due nicchie, contenenti due statue. Un frontone triangolare con centralmente nel timpano una nicchia con statua conclude la facciata.
Uno slanciato campanile con cupolino e lanternino rende grazioso il complesso. Tutta la facciata risulta intonacata e tinteggiata con due colorazioni diverse per sottolineare le parti in rilievo. Internamente la chiesa si presenta con un impianto a croce latina con transetto, navata unica e zona presbiteriale ed abside semicircolare. L'interno è interamente affrescato, conserva oltre a delle belle tele, sin dal 1716 un secentesco reliquario della Santa Croce in argento sbalzato e cesellato. Sul fianco destro della facciata chiesa parrocchiale vi è l'oratorio della Santissima Trinità, sede dell'omonima confraternita che fu edificato nella prima metà del Seicento ad opera di maestranze locali.
La facciata è tripartita da lesene, con il tetto a doppia falda coronato dal timpano Al di sopra del portale, posto centralmente vi è un affresco realizzato da Luigi Gainotti nel 1910 che raffigura la Santissima Trinità. Ai lati si aprono due monofore verticali. L'interno, ad unica navata con volta a botte, presenta ornamenti pittorici del primo decennio del XX secolo. Interessante è l'affresco presente sulla volta, la "Presentazione di Gesù al Tempio" e le figure di Santo Stefano e Santa Lucia sul frontale dell'abside. Sono conservati inoltre, oltre a una bolla di Innocenzo X, due mazze processionali settecentesche, decorate in argento e il gonfalone della Confraternita dipinto su entrambi i lati.
Sul piazzale della chiesa parrocchiale è presente il monumento ai caduti. Il monumento fu eretto nel 1922 ed ha forma di un obelisco. L'elenco dei caduti durante la Prima guerra mondiale sono incisi sull'obelisco, mentre su una lastra marmorea sono indicati i nomi dei caduti della Seconda guerra mondiale. Carrosio vide molte vittime durante la seconda guerra mondiale, come Angelo "Giuanola" Traverso, giovane atleta che non fece mai ritorno da El Alamein, mentre nei bombardamenti di Villalvernia del 1º dicembre 1944 perse la vita il 17enne Domenico Traverso e il 7 febbraio 1945, appena due mesi dopo, il fratello Pietro, di un anno più giovane che fu colpito a morte davanti alla Cappelletta della Misericordia da un aereo da caccia che passava a volo radente sul paese.
Odino Carlo Giuseppe del 1923, Guglielmino Guglielmo Giambattista Carlo del 1922, furono invece catturati e deportati a Mauthausen, mentre altri furono uccisi in scontri con i nazifascisti come Odino Luigi del 1925, Traverso Ernesto Tommaso del 1924. Sul muro delle adiacenti costruzioni alla chiesa parrocchiale sono presenti dei lacerti votivi di affreschi. La mia passeggiata continua passando sul fianco dell'oratorio per raggiungere il ponte sul torrente Lemme, unico luogo che mi rende visibile ciò che resta dell'antica recinzione muraria castrense, documentata già nel XII secolo e del suo Baluardo, chiamato la Rocca del lago. La struttura è in pietra a vista e mattoni, fu restaurata a fine Ottocento.
Dalla rocca sono visibili ciò che rimane di caseforti. Il Castello fu costruito per consentire il controllo sull'importante via di comunicazione che collegava Genova alla pianura Padana e fu edificato sulla rocca a strapiombo sul fiume Lemme dai marchesi di Gavi. Nel 1197 Genova distrusse il castello che ricostruì nella stessa posizione quando, pochi anni dopo, si impadronì del feudo di Carrosio. Il castello fu nuovamente distrutto dai genovesi al termine del XIV secolo, in seguito ad una serie di tumulti, quando la Repubblica genovese decise di intervenire reprimendo con la forza il dissenso. Dell'antica struttura sopravvivono una parte delle mura e una torretta di avvistamento, tuttora ben visibili dal fiume.
Rientrato in paese inizio a percorrere la strada principale che attraversa il borgo. Ricordo, transitando vicino alla chiesa, Don Emanuele Levrero, parroco di Carrosio tra il 1976 e il 1999 che venne nominato "Giusto tra le Nazioni" nel 2007. Una storia importante che vale la pena ricordare. Durante il suo periodo in una parrocchia di Sampierdarena di San Bartolomeo del Fossato, a Genova, Don Emanuele salvò dai campi di sterminio alcune persone di religione ebraica. Costui nascose nella soffitta della canonica e nella cabina del cinema diversi ebrei tra cui la famiglia Lemper.
Rischiò la sua vita, aiutò gli ebrei a nascondersi e a sostenerli. A conflitto terminato, non parlò con nessuno di questi trascorsi. Altro personaggio famoso è Padre Giacinto (Tommaso Ameri) che vi nacque nel 1919 e mori nel 1960 a Rivarolo (Ge). Costui fu un Teologo francescano e relatore in numerosi congressi mariani. Tra le sue opere ricordo la Doctrina theologorum de Immaculata B. V. Mariae del 1954 e Duns Scoto e l'Immacolata in Collettanea Franciscana del 1958. La strada principale intitolata al partigiano Giancarlo Odino è costeggiata da belle e antiche case e palazzi.
I settecenteschi palazzi dipinti di Carrosio ricordano il dominio di Genova su questo piccolo borgo della valle Lemme. Infatti questi palazzi rappresentano una delle peculiarità architettoniche più affascinanti con le loro facciate decorate con affreschi o pitture murali e testimoniano l'abilità degli artisti e la ricchezza dei committenti, specialmente tra il XVII e il XVIII secolo. La strada principale è stata intitolata al Comandante partigiano Giancarlo Odino che nacque nel 1894 a Genova e fu fucilato dai nazifascisti sul Colle del Turchino (Ge) il 19 maggio 1944. Costui aveva partecipato alla Prima guerra mondiale come sergente dei granatieri e fu promosso sottotenente nel 1928.
Odino era diventato capitano nel 1941. Nel 1943 fu richiamato alle armi e assegnato al campo di concentramento per prigionieri di guerra, allora in funzione a Gavi. Dopo l'8 settembre 1943, l'Odino si diede alla macchia e prese i primi contatti con alcuni dirigenti del C.L.N. di Genova. Nel gennaio 1944 costituì la "Brigata autonoma militare", attiva nella zona del monte Tobbio. Assunto il comando della brigata partigiana, prese il nome di battaglia di "Italo".
Con molti suoi partigiani, "Italo" cadde nelle mani dei nazifascisti durante un massiccio rastrellamento che il 7 aprile del 1944 si concluse con la strage della Benedicta. Benché Odino sopravvisse alla strage, fu costretto ad assistere all'eccidio di un centinaio dei suoi uomini, ma soltanto per essere fucilato poco più di un mese dopo e aver subito indicibili torture. Già decorato con Medaglia di bronzo e croce di guerra nel primo conflitto mondiale, gli fu conferita la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Mi soffermo davanti al cinquecentesco Palazzo comunale, edificato per volere dei Marchesi Spinola, secondo i canoni dell'architettura genovese tardorinascimentale. Il palazzo disponeva anche di torre, abbattuta nel 1920. L'edificio nel 1798 fu sede del comando della rivoluzionaria "Repubblica giacobina di Carrosio". Nelle strutture minori, poste attorno all'antica dimora venne installata nella seconda metà dell'Ottocento una piccola filanda per la seta.
L'edificio passò in seguito, per vicende patrimoniali e dinastiche, ai Salvago, Doria, Lercari e Migliorati – Gavotti. In questo palazzo sostò papa Pio VII durante il viaggio verso Fontainebleau quale prigioniero di Napoleone Bonaparte. Negli anni sessanta dell'Ottocento, vi trascorreva le vacanze estive Giacomo Della Chiesa, figlio di Giovanna Migliorati e discendente degli ultimi feudatari di Carrosio, che fu poi Papa dal 1914 al 1922 con il nome di Benedetto XV.
Di fronte al Palazzo Migliorati si apre Vicolo Gelsomino, che conduce fino alla rocca del Lago, baluardo della recinzione muraria del castello. Dal baluardo si sviluppa la caseforte del Torchio. Molte costruzioni lungo la strade e le "crose" hanno conservato l'aspetto medievale. In piazza Martiri della Benedicta, sulla facciata di alcune case sono ancora presenti indizi di affreschi a soggetto religioso ormai quasi indecifrabili. Tra i settecenteschi edifici vi è un fabbricato indicato con la denominazione tradizionale di Quartiere, che fu per secoli utilizzato come alloggio dei reparti militari genovesi, e in seguito sabaudi, stanziati nel paese.
All'angolo con via Tombino vi è un edificio con loggiato forse un rifacimenti ottocentesco che architettonicamente è in contrasto con una struttura senza pretese di raffinatezze stilistiche. Raggiungo così la Cappella di Nostra Signora della Misericordia che si prospetta su un piccolo piazzale lastricato in ciottoli bianchi e grigi. Un tempo la cappelletta segnava il confine meridionale del paese. La chiesetta fu edificata intorno al 1630, presenta una facciata a capanna e il frontale ha una porta lignea a doppio battente con due quadrate finestre con grate ai lati. Mentre una finestra trilobata è posta centralmente. La facciata è ornata da dipinti murali; uno è raffigurante San Giovanni Battista forse coevo alla costruzione, centralmente sotto il culmine del tetto vi è l'affresco della Madonna della Misericordia e lateralmente ad essa vi è ciò che rimane di un affresco raffigurante Sant'Andrea.
Riesco a dare una sbirciatina all'interno e a vedervi un altare in muratura di architettura tardo barocca. Poco distante, verso il torrente Lemme, un tempo vi era lo jutificio di Carrosio, chiuso negli anni Settanta del secolo scorso e che diede sviluppo e occupazione al territorio. Torno indietro per riprendere l'auto e proseguire verso sud, in direzione Voltaggio e raggiungere la località piano dei Brengi. Si tratta di un gruppo di case sul versante verso il torrente che ricorda che un tempo vi fosse un mulino e anche una locanda, famosa ancora ai tempi napoleonici come covo di banditi e poi di sovversivi.
Ai lati della strada invece c'è la Cappella dei Santi Rocco e Sebastiano. Questa cappella presenta una facciata a capanna con ingresso centrale e due finestre rettangolari, poste ai lati, sormontati da una tettoia a doppia falda inclinata con struttura lignea e copertura in tegole di laterizio. Sopra di essa, in posizione centrale, si colloca una finestra poliforme. Tutta la facciata risulta intonacata. L'originale Cappelletta seicentesca si racconta fosse completamente decorata da affreschi sulle pareti laterali; oggi purtroppo tale decorazione è andata perduta perché la cappella è stata interamente ricostruita nel 1861. Inoltre fu ridotta di dimensioni in quanto sacrificata nel 1959 alle esigenze dell'ampliamento della sede stradale.
Torno indietro e rientro nel centro di Carrosio e percorro la strada per la borgata Sottovalle di Arquata Scrivia. Superato i ponte sul torrente Lemme, inizio ad inerpicarmi su per boschi e colli dove ammiro diverse falesie. Il silenzio è rotto solo dal canto degli uccelli e dal rumore del vento tra gli alberi. Una giornata così invita a camminare lungo i sentieri che si snodano fuori dal centro abitato, esplorando i paesaggi collinari e godendo di una pausa all'ombra di qualche albero secolare. Sicuramente ciò dovrò farlo se voglio raggiungere la cappella del Meo.
Lascio la strada comunale per Sottovalle e m'inerpico su una stretta stradina laterale, fortunatamente asfaltata, purtroppo non vi sono cartelli indicatori. La strada finisce in un cortile di una grande cascina, dove abbandono l'auto. Una gentile signora, uscita da casa, non solo mi fornisce indicazioni per raggiungere la Cappelletta di Santa Maria dell'Ascensione, ma ci diamo appuntamento al ritorno per prendere insieme un caffè. Il percorso è in salita tra verdi boschi lungo un tratturo che talvolta scompare tra la folta vegetazione del sottobosco.
Raggiungo così un pianoro sul colle d'Aimero dopo mezz'oretta di camminata. Qui trovo edificata nel 1915 ove era originariamente l'antica seicentesca chiesetta, il piccolo nuovo edificio religioso. La Chiesetta di Santa Maria dell'Ascensione fu ricostruita su uno spuntone del colle d'Aimero che resiste tenacemente all'erosione secolare. Si tratta di un edificio stilisticamente raffinato con la sua forma esagonale come la sua copertura del tetto a cuspide. Sia la porta che le finestrature presentano aperture ad arco acuto. L'edificio, anticipato da un bel verde prato e tradizionalmente utilizzato dai carrosiani che vi si recano il giorno dell'Ascensione per consumare un frugale pasto nel prato dopo la Santa Messa.
Scendo per incontrare la gentile signora che si è offerta di prepararmi un caffè. Seduti intorno ad un tavolino, mentre lo sorseggiamo il caldo caffè appena uscito dalla caffettiera, mi racconta delle vicende della chiesetta del Meo, ossia di Santa Maria dell'Ascensione e della moltitudine di persone che un tempo la raggiungevano a piedi partendo da Carrosio. Nel chiacchierare, mentre mi racconta che ella è originaria di Genova, un bel meticcio cagnolone si fa accarezzare, scopriamo altresì che abbiamo comuni amici.
Lascio la mia nuova conoscenza, grato per il caffè, le informazioni e la gentilezza dimostrata e rientro così verso casa.