Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Campiglia Cervo

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Campiglia CervoLa partenza è verso l'alba, oggi il mio giro mi porterà in una delle più belle valli e misteriose del biellese. Voglio visitare alcuni borghi che sono stati oggetti di fusione nel 2016 e che oggi fanno riferimento a Campiglia Cervo. Questo nuovo comune ha un vastissimo territorio e tante piccole frazioni che cercherò di visitare. La Valle Cervo è incastonata tra le montagne biellesi ed è una destinazione ideale per chi ama la natura, la storia e le tradizioni montane. Questo viaggio si annuncia come un'immersione in paesaggi spettacolari, borghi antichi e sapori autentici.
Superato la città di Biella, luogo storico ai piedi delle Alpi Lepontine, imbocco la strada provinciale 100 che risale la valle, e subito entro in un mondo dominato da boschi di castagni, faggi e torrenti cristallini. Raggiunto Campiglia Cervo, posto al centro del fondovalle del torrente Cervo che lo percorre, facilmente posteggio nei pressi del palazzo comunale. È uno dei principali centri turistici della vallata che nasconde molte bellezze e tra queste anche curiosità e leggende. Le prime notizie di Campiglia risalgono al 1207, quando in una bolla del Papa Innocenzo III si cita l'esistenza di una chiesa dedicata a San Martino, dipendente dalla pieve biellese di Santo Stefano e retta con ogni probabilità da una comunità monastica. La stessa chiesa, all'epoca rettoria, fu tra le prime nel 1575 a staccarsi dalla chiesa matrice di San Lorenzo di Cacciorna.
Già nel 1580, l'originaria chiesa venne nel frattempo dedicata a San Bernardo da Mentone e a San Tommaso Apostolo, e più tardi ai Santi Bernardo e Giuseppe. Infatti il Santo patrono di Campiglia Cervo è San Bernardo da Mentone che è anche il patrono dei montanari e degli alpinisti. Il palazzo comunale è un piccolo edificio, sulla cui facciata sono dipinti alcuni importanti stemmi, tra cui lo stemma comunale. Il toponimo Campiglia deriva da Campus, ossia terra adatta alla coltivazione, mentre il Cervo è il torrente che lambisce il paese. La storia del Comune inizia nell'agosto del 1694, quando i capi famiglia di tutte le borgate decisero il distacco dal Comune di Andorno, eleggendo i propri rappresentanti. Il palazzo municipale presenta un basso porticato al piano terreno e un bel balcone in pietra e ferro battuto è posto centralmente.
Inizio ad aggirarmi per il bel borgo, costruito in pietra squadrata e in parte intonacata. Gli edifici lungo la strada principale sono anche a tre o quattro piani fuori terra, si presentano massicci, alcuni hanno anche balconi con ringhiere in ferro battuto, altri presentano belle finestre ad archi a tutto sesto. Dalla strada provinciale dipartono stradine a gradoni in acciottolato che salgono verso la montagna, altre scendono verso il torrente Cervo.
Su molte case, sono state collocate dei cartelli che ricordano gli antichi esercizi commerciali ed artigianali che un tempo vi trovavano ospitalità, come la cartoleria Tiburzio di Santina e suo papà Pipin, oppure la fruttivendola Eufrosina ma che vendeva anche vino e altro, oppure il negozio di fiori, frutta e verdura di Erminia che vendeva i prodotti del suo orto e giardino o la lattaia Emma dal Ciòs che vendeva il latte e tante altre attività ormai scomparse.
Interessante è l'oratorio di San Quirico, posto nei pressi del palazzo municipale. Le sue origini risalgono almeno al XVI secolo, ma l'attuale oratorio è il frutto di una seconda ricostruzione risalente al XIX secolo. L'edificio presente una pianta ottagonale all'esterno e circolare all'interno. Internamente è ornato di un altare con tabernacolo in legno dorato del XVI secolo e di una tela ottocentesca raffigurante i santi titolari.
L'accesso all'oratorio avviene attraverso una porta sotto un piccolo porticato. Su diverse case vi sono anche affreschi a tema sacro. Invece l'edificio che ospita la Società Operaia di Mutuo Soccorso, sorta grazie ad alcuni operai e scalpellini al rientro dalla costruzione del traforo ferroviario del Frejus, riporta sopra l'ottocentesco ingresso un altorilievo scolpito nella sienite che rappresenta l'ingresso del traforo ferroviario con i nomi dei soci fondatori.
Raggiungo la chiesa parrocchiale intitolata ai Santi Bernardo e Giuseppe. L'attuale chiesa fu edificata all'inizio del XVII secolo e ampliata nel presbiterio e nel coro nella prima metà del XIX secolo, ricostruita su preesistenti fondamenta. Questo edificio presenta una facciata eseguita nel 1848 su disegno dell'Ing. Alessandro Mazzucchetti ed è composta da due ordini sovrapposti arricchiti con lesene e cornici del 1866. Gli esterni della chiesa sono realizzati con la caratteristica pietra granitica della valle, ad eccezione della facciata realizzata successivamente de in stile barocco.
L'attuale chiesa parrocchiale fu consacrata nel 1662. L'attiguo slanciato campanile a pianta quadrata risale alla metà del XVII secolo. Sull'architrave di una apertura del campanile vi è inciso "1653" indicandoci quando il campanile in pietra fu ultimato. L'interno è a tre navate e custodisce in una cappella della navata destra, un polittico del 1565 di Bernardino Lanino.
Un'altra tela importante è il "Crocefisso con le Pie Donne"di Giovanni Antonio Cucchi, campigliese di nascita, posto in fondo alla navata di sinistra. Presente anche un bell'altare ligneo dedicato a Sant'Antonio, opera seicentesca del Serpentiere Attiguo alla chiesa parrocchiale vi è un grande edificio che ospitava le scuole Tecniche Professionali di Costruzioni Edili e Stradali, istituzione scolastica che ebbe grande importanza per l'intera vallata, per circa 100 anni. La scuola fu edificata tra il 1860 e il 1870, si dice da un idea di Camillo Benso conte di Cavour, progettata dall'Ing. Alessandro Mazzucchetti.
Da questa importante istituzione uscirono moltissimi "scalpellini", ricercati in tutto il mondo per la lavorazione della pietra, soprattutto la sienite, pietra locale molto resistente. Supero i ponti sul torrente Cervo; Si tratta di due ponti in pietra affiancati: quello pedonale risale alla metà del XVIII secolo, l'altro è stato realizzato intorno al 1930. Mi trovo sul versante di destra del torrente di Cervo che viene chiamata Bande Veja ossia più in ombra (Veja).
Da qui parte un interessante sentiero che raggiunge il Santuario di San Giovanni Battista. Si tratta di un percorso del Sacro Monte, immeritatamente non valorizzato e riconosciuto dai percorsi dei sacri monti. Questo fu realizzato alla fine del Seicento e si snoda su ripetuti tornanti che parte da 800 metri s.l.m. fino a 1000 metri s.l.m. e presenta cinque cappelle con un porticato antistante, realizzato per la sosta dei pellegrini. Le pitture murali come le statue in gesso necessitano di urgenti restauri. Si tratta delle cappelle di Sant'Antonio Abate e San Paolo Eremita, Sant'Ilarione, San Gerolamo, Sant'Onofrio e Santa Maria Maddalena.
Dal Ponte proseguo fino al cimitero, voglio vedere la chiesa cimiteriale, anche questa realizzata in pietra squadrata con l'ingresso anticipato da un portico in laterizio. È il momento di raggiungere la borgata di Santa Maria di Pediclosso. Per arrivarci devo prendere l'auto e recarmi verso la frazione di Oretto di Campiglia Cervo, lasciare l'auto e prendere un sentiero che conduce al santuario di San Giovanni d'Andorno.
La raggiungo dopo una bella camminata tra alti alberi di castagni. Si tratta di un nucleo di case che deve il suo nome all'omonima chiesa. Si tratta della più antica chiesa di tutta la Valle ed importante rettoria medievale. Santa Maria di Pediclosso con il trascorrere dei decenni divenne un oratorio campestre, dipendente dal vicino Santuario di San Giovanni d'Andorno. Si tratta di un edificio dell'XII secolo, a pianta rettangolare a navata unica e divisa in due campate, anticipata da un ampio portico e piccolo campanile in pietra. Sull'altare vi è un affresco con la Madonna in trono con il Bambino e due angeli risalente all'inizio del XVI secolo e attribuito al pittore Gaspare da Ponderano.
Anche le case del piccolo borgo sono assai belle, antiche e ben conservate. Le case furono abitate costantemente fino alla fine del Novecento. I prati sfalciati, le finestre decorate con vasi e i giardini curati e fioriti e un piccolo lavatoio, raccontano ancora la presenza di persone che vengono ad abitare le case. Un abbeveratoio per animali ricorda come questa zona vi fossero anche mandrie di bestiame.
Rientro verso la strada e riattraverso il bosco di castagni che per secoli forniva alimento, legname per la costruzione e legna da ardere per scaldarsi e cucinare. Ma anche il suo tannino, contenuto nella corteccia, era utilizzato per la concia delle pelli e la tintura dei tessuti. Al ritorno della passeggiata mi fermo nella borgata Oretto, ove molte case sono state recentemente restaurate, con la pietra bene in vista e balconi in legno ottimamente conservati e abbelliti da vasi di fiori multicolori.
Le abitazioni riflettono l'architettura rurale piemontese, con case in pietra e tetti in lose. Fa bella mostra di se, in unno spiazzo una piccola chiesetta o cappellina, esternamente intonacata e tinteggiata con colori pastello. Sul culmine del tetto fa bella mostra di se un campaniletto a vela. Arricchisce la facciata un affresco posto in facciata sotto il culmine del tetto e una finestra ovale collocato centralmente sopra alla porta d'accesso.
Sempre in auto, proseguo per la banda veja e, sempre immerso in un bosco, dopo aver percorse strette strade con diversi tornanti, raggiungo Mortigliengo. Questo è un piccolo e pittoresco borgo montano, caratterizzato da paesaggi alpini e una ricca tradizione culturale. Dopo aver vagolato un po tra le belle case e respirato la fresca aria di montagna mi soffermo a vedere il suo oratorio.
Questo oratorio intitolato a S. Anna e Agata, originariamente era anche dedicato alla Madonna della Neve. Il seicentesco edificio presenta una facciata con tetto a capanna e da due paraste angolari che sorreggono una trabeazione, sopra la quale vi è un timpano triangolare. Due piccole finestre sono poste ai lati della porta, una più ampia e sagomata è posta centralmente, mentre una terza è posta centralmente nel timpano.
La facciata è assai particolare perché sopra all'aula della chiesa fu costruito nel XIX secolo un locale che fu adibito a scuola per i bambini della frazione con relativo alloggio per il maestro. L'interno è a pianta rettangolare, ad unica navata con presbiterio che culmina in un abside poligonale. Degni di nota il tabernacolo e il baldacchino di legno dorato, opere attribuibili a Pietro Antonio Serpentiere. Bello anche l'alto e slanciato campanile in pietra.
A Mortigliengo l'edificio più imponente è la villa dell'ingegnere Alessandro Mazzucchetti realizzata nel 1877. L'ottocentesca villa è una delle più eleganti dimore signorili della zona ed è dotata di torre panoramica, terrazzo e grande parco. Alessandro Mazzucchetti era laureato in Ingegneria idraulica e architettura e lavorò alla costruzione di molte strade ferrate. Fu anche il progettista delle stazioni ferroviarie di Porta Principe a Genova, Porta Nuova a Torino e di quella di Alessandria, prima che il regime fascista la distruggesse per riedificarla in stile razionalista. Fu anche impegnato nella costruzione dell'arsenale militare di La Spezia.
Trovo una bella e grande fontana ed un lavatoio, tutto ottimamente conservato, ma la cosa che più mi ha colpito un cartello ligneo che recita "È proibito di sporcare le acque sotto la pena di multa in Lire 5".
Nella vicina borgata Mazzucchetti, anch'essa ormai scarsamente abitata vi trovo una ruralità di montagna che si respira tra le sue strette strade, le sue case in pietra e i balconi con le ringhiere in legno. Nascosto, sotto un porticato lungo una pubblica via, protetto da un portico, trovo anche un vecchio apparecchio telefonico pubblico della SIP, uno di quelli che funzionava ancora con le monete. Su un adiacente vecchio cartello in lamiera vi è il suo numero di telefono, affinché si potessero ricevere anche delle telefonate. Nel duro granito è scavata la fontana con vasca squadrata e che riporta la data 1885 incisa.
Sempre nella dura pietra è scavata, ai confini dell'abitato, un grande abbeveratoio per il bestiame. In auto, sempre percorrendo una strada tra bellissimo boschi arrivo a Bariola. Anche questa borgata è quasi abbandonata ma conserva delle belle e grandi case, immerse nel verde della vallata. Faccio una bella passeggiata tra le case e anche qui vi trovo lavatoio e fontana in granito, quest'ultima con incisa la data 1893. Su diverse case vi sono affreschi, anche ben conservati di santi e fa bella mostra di se anche una meridiana.
Difficile immaginare la difficoltà della vita quotidiana che un tempo si viveva in questi luoghi, senza energia elettrica, la mancanza di elettrodomestici ecc... Riprendo l'auto e mi ritrovo davanti al grande e bell'edificio che era un tempo sede del Comune di San Paolo Cervo. Il Palazzo comunale fu costruito nel 1887 dall'impresario Giovanni Pietro Magnani in sostituzione del primo municipio, che datava 1728 ed era localizzato nella frazione Piana nell'attuale sede della pro-loco.
Il palazzo fu donato alla collettività da Giovanni Pietro Magnani nel 1880. Giovanni Pietro Magnani detto "Magnanin", vi nacque nel 1812, fu un impresario a cui fu affidata la costruzione del porto di la Spezia e del Canale Cavour, nonché numerosi tratti di ferrovia. Fece inoltre costruire a sue spese la strada che collega la carrozzabile della valle al centro del paese ecc... L'ex Municipio di San Paolo Cervo è situato sul versante detta Banda Veja e presenta un bel portico che anticipa l'accesso.
Sotto il portico vi sono le lapidi che ricordano i caduti di San paolo Cervo nella Prima e Seconda guerra mondiale, oltre a quella al benefattore. Infatti San Paolo Cervo è costituito da diverse frazioni e fu elevato in comune nel 1700 unendo i numerosi insediamenti sparsi sul territorio. Il Palazzo ospitava anche le aule per le scuole dell'allora comune. Il nuovo imponente palazzo comunale fu costruito in un luogo centrale, da cui partivano tutte le strade che collegano tutte le borgate, anche attraverso il ponte dell'Asmara, posto sul fondovalle per collegare i centri abitati sparsi sul versante destro orografico della valle, un tempo frazioni di San Paolo Cervo.
Anche il ponte fu un dono di Giovanni Pietro Magnani. Nel 1722 San Paolo venne infeudato ai fossanesi Ercole e Giovanni Bava, che vennero insigniti del titolo comitale. Il XX secolo fu caratterizzato, da un costante calo demografico. Dal Municipio vi è un belvedere che mi permette di godere di una splendida vista sulla sottostante valle. Poco sotto vi è la borgata La Piana con l'oratorio in pietra, intitolata a sant'Apollonia. Questo ha origini settecentesche e si presenta con un aspetto severo in pietra squadrata. La chiesa è di modeste dimensioni, con pianta rettangolare.
L'interno presenta un unico altare con un icona ad affresco murale, raffigurante la Madonna con San Giovanni Evangelista, Sant'Apollonia e Sant'Agata. Il campanile è a pianta triangolare e si innalza sull'angolo sinistro della facciata. Mi soffermo ad ammirare l'ottocentesca villa Magnani, edificio costituito da tre piani collegati da un elegante scalone. Il giardino della Villa era attraversato dalla mulattiera che collegavano la borgata Magnani alla Balma e per evitare ciò, il Magnani fece costruire una galleria pedonale detta "la Truna".
Vicina a Villa Magnani vi è Villa Biglia, dimora signorile di un altra famiglia di impresari. Della famiglia Biglia ricordo Giovanni Battista Biglia nato nel 1830, che fu un impresario che ottenne importanti appalti, come l'acquedotto di Palermo, la ferrovia Torino-Genova, e le tratte Parma-La Spezia e Torino-Venezia. In auto mi sposto verso la borgata di Driagno, lungo la strada trovo l'oratorio di San Paolo Apostolo. L'oratorio, apprendo che forse sia sorto sui resti di un'antica cappella dedicata a San Lorenzo.
L'edificio è assai grande e la sua facciata è settecentesca; non è intonacata e benché si presenti assai rustica ha un particolare fascino architettonico. Di forma slanciata, la facciata ha un solo ordine, tripartito da paraste che poggiano su un alto basamento. Queste sembrano sorreggere un frontone spezzato con al centro una grande finestra. L'accesso è anticipato da una scalinata di 5 gradini. La chiesa, all'interno presenta un pianta a croce greca ed ha tre altari. La chiesa fu colpita da un terremoto il 18 giugno 1968, fu in seguito restaurata nel giugno 1969. Un'iscrizione posta all'interno della chiesa ricorda l'evento e il suo restauro.
Raggiungo cosi la borgata di Driagno che prende il nome dall'omonimo torrente che lo attraversa. Driagno è una pittoresca frazione, un borgo montano che offre un'atmosfera autentica per immergersi nella natura e nella cultura locale. Di Driagno ricordo Giò Battista Biglia nato nel 1690 e morto nel 1745. Costui originario della frazione Driagno, fu uno dei maggiori impresari edili delle fortificazioni dello stato sabaudo. Dopo aver fatto due passi, osservato gli antichi edifici, mi avvio per la raggiunge la borgata di Riabella.
Devo tornare indietro, transitare per Piana, costeggiare un lungo tratto in cui si affianca il Torrente Cervo, per poi inoltrarmi, tornante dopo tornante, in mezzo a bellissimi boschi fino raggiungere Riabella. Di questo borgo ricordo Carlo Martinazzo Curt, natovi nel 1761 e morto nel 1848. Costui fu un noto impresario che durante l'epoca napoleonica realizzò le strade che collegano Nizza con il Tenda e con La Turbie. Parcheggiato l'auto mi aggiro tra le belle case, molte ristrutturate e costruite con i canoni delle case di montagna.
Anche se d'inverno Riabella ha pochi residenti, d'estate la borgata si riempie di villeggianti, molti originari di Riabella. Raggiungo la sede della Pro Loco che mantiene vivo le tradizioni locali. Questa sede è stata realizzata nell'edificio che un tempo ospitava la scuola elementare. Sulla facciata vi sono delle lapidi: una ricorda i caduti della Prima Guerra mondiale, una seconda, datata 1912 ricorda i riabellesi che combatterono per la conquista della Libia, una terza ricorda genericamente i prodi riabellesi.
Sfrutto l'occasione per ricordare che Anna Martinazzo, natavi nel XVI secolo da Fabiano e Francesca Peraldo, costei si sposò con Giacomo Micca di Sagliano e dal loro matrimonio nacque, il 6 marzo del 1677, il celebre eroe Pietro Micca. Costui con numerosi abitanti della valle nel 1706 partecipò alle ostilità franco-piemontesi legate all'assedio di Torino. Ma gli uomini di San Paolo pare abbiano contribuito anche al successo piemontese della battaglia dell'Assietta del 1747, in quanto costruirono sul colle una serie di masere (muri a secco), fatte poi crollare addosso alle truppe francesi, che riportarono così ingenti danni. A ricordare i caduti Riabellesi vi è anche un bel monumento in granito posto su uno splendido belvedere.
Raggiungo così la chiesa, intitolata a SantEusebio e alla Madonna di Oropa. Un oratorio primitivo ebbe origine nel XVII secolo e la chiesa attuale è una ricostruzione che risale alla seconda metà del XIX secolo. L'edificio si presenta con una facciata del tipo a capanna e si può definire di stile "neoclassico". Questa è tripartita verticalmente da lesene che poggiano su un basamento in pietra. Le lesene sono interrotte da una fascia orizzontale che porta l'iscrizione dei santi titolari della chiesa. Culmina con un timpano triangolare, sotto il quale vi è una finestra circolare.
La chiesa ha una sola porta d'accesso e il prospetto è interamente intonacato e tinteggiato con colori tenui a pastello. L'interno si presenta ad una sola navata a pianta a croce latina con due altari laterali. Trovo anche a Riabella una lapide che ricorda i partigiani garibaldini che combattendo a Riabella contro i nazifascisti il 12 gennaio1945 persero la vita: Rubello Acquadro (Rus) di anni 34, Carlo Balzaretti (Intrepido) di anni 18, Mario Braghin (Cip Cip) di anni 20, Lellio Guala (Ennio) di anni 16 che fu fucilato a Biella il 31 gennaio 1945. Ancora a Riabella vi è la Cappella "de Crëst", che conserva all'interno un interessante affresco raffigurante la Madonna Addolorata.
Nel borgo oltre al caratteristico lavatoio c'è una bella fontana ed abbeveratoio con tipico voltone. Lascio il borgo di Riabella e torno indietro fino al ponte sul torrente Cervo. Nei pressi del ponte che lo scavalca trovo un bellissimo monumento, presso il parco delle cave, dedicato allo scalpellino, antica e preziosa attività della valle. Superato il ponte percorro un tratto della SP100 e torno indietro verso Biella.
Supero l'abitato di Balma e qui vi trovo dapprima la ex stazione ferroviaria e deposito della linea Biella-Quittengo, dove Balma era la stazione terminale. Della linea, ormai scomparsa, rimangono i ponti su rii e torrenti. Questa fu aperta nel 1891 e chiusa nel 1958. La linea a scartamento ridotto aveva locomotori a vapore fino al 1924 e poi fu elettrificata. Lunga poco più di 13 Km il suo sedime è stato inglobato nell'allargamento della strada provinciale.
Parcheggiato vicino alla locale farmacia, vado a vedere la piccola chiesetta intitolata alla Madonna della Salute. Questo oratorio è l'ultimo costruito in ordine cronologico e risale al 1911. L'edificio è di modeste dimensioni, con un piccolo campanile con punta a cipolla e con un portico in legno addossato alla facciata. L'oratorio fu dedicato alla Madonna della Salute affinché proteggesse le persone e le abitazioni dai pericoli derivanti dalla presenza delle cave di sienite, ossia dall'esplosione o dallo sparo delle mine.
Riprendo il viaggio, supero l'abitato di Fucina che prende il nome da un antica fucina che un tempo vi operava. Lascio la strada provinciale e mi inerpico verso Rialmosso e Oriomosso. Raggiungo dopo un bel tratto di strada l'interessante borgo di Rialmosso. L'ingresso del borgo passa attraverso il porticato della cappella di Nostra Signora d'Oropa. Si tratta di una piccola cappella voltata, realizzata in pietra, cui sotto transita la strada principale. Il suo interno, assai spoglio, conserva un bell'altare e un affresco necessitante di un restauro.
Parcheggiato vicino alla chiesa, inizio il girovagare e dapprima mi soffermo davanti al monumento ai caduti realizzato in granito a forma di obelisco, poggiante su un basamento in granito a forma di parallelepipedo. In cima all'obelisco vi è una stella in bronzo, mentre sul basamento vi sono lapidi con i nominativi dei caduti di Rialmosso nelle due Guerre mondiali, ma anche ai caduti per l'indipendenza nella guerra del 1849.
La vicina chiesa è intitolata ai Santi Filippo e Giacomo e divenne parrocchia il 24 novembre 1606 e lo rimase fino al 1986, quando a causa del crescente e continuo spopolamento, diventò rettoria. Il primo edificio religioso nacque come oratorio frazionale nel XV-XVI secolo e poi fu soggetto ad ampliamento e ricostruzioni risalenti ai secoli XVII-XVIII. La facciata fu realizzata nei secoli XVII-XVIII ed è caratterizzata da un porticato settecentesco che si estende per tutta la sua larghezza, sostenuto da colonne di pietra; al di sopra di esso vi è una balaustra. Sulla porta vi è un bel affresco necessitante un restauro.
Mi avvio per visitare il centro del borgo e lo raggiungo attraverso una bella scalinata in ciottolato. Il centro del borgo ha antiche case con balconate in legno, pietra e ferro battuto. Interessante il grande edificio che ospitava il salone parrocchiale con il suo grande porticato. Le strade interne sono inghiaiata e in ciottolato. Su un vecchio edificio con balconate in pietra e ferro battuto, una lapide ricorda che vi nacque e morì il prof. Luigi Boffa Tarlatta, un importante pittore biellese vissuto dal 1889 e 1965.
Riprendo l'auto per raggiungere Tomati, mi soffermo in questo piccolo borgo costruito su terrazzamenti per andare a visitare una grossa macina in pietra che veniva utilizzata per pestare la canapa che veniva coltivata in loco. Vi sono anche grandi vasche scavate nella pietra utilizzate per la macerazione della canapa. Dopo un breve giro tra le antiche case in pietra, riprendo l'auto e mi dirigo verso Oriomosso. La strada, benché stretta e asfaltata è godibile per essere immersa nel verde, costeggiante la dura roccia e con panorami incredibili. Paesaggio che mi godo in uno slargo, attrezzato anche per i picnic.
Da qui cerco di individuare i borghi che ho visitato nella banda Veja. Dopo ancora un bel tratto di strada e dopo una serie di tornanti arrivo ad Oriomosso, non prima di essermi nuovamente fermate ad ammirare il panorama dal belvedere del cimitero. Il borgo è veramente bello e ben conservato, inoltre buona parte delle case sono abitate tutto l'anno. Dopo aver percorso un bel tratto di stradine in ciottolato e pietra, seguito da un bel gattone bianco e rosso, molto vanitoso che ama mettersi in posa per farsi scattare delle foto, raggiungo la piazza principale del borgo, dove si gode un panorama splendido a 1041 metri s.l.m. Qui si ergono importanti edifici.
Il primo è la chiesa della Purificazione di Maria, una rettoria della parrocchia di Campiglia. L'edificio è realizzato in muratura mista pietra e laterizio. Fu costruito intorno alla metà del XVII secolo su un edificio preesistente. Il campanile attuale è una ricostruzione del 1766 e si trova a sinistra della facciata; è costruito in pietra squadrata intonacata solo nella parte superiore. L'edificio ha un tetto a capanna e portico d'acceso. Il tetto è assai sporgente, sotto il portico è presente una sola porta d'accesso con due finestrelle rettangolare laterali. Il portico è sorretto da colonne in granito e sopra la porta vi è un bel mosaico.
Tutta la facciata è intonacata e nella parte superiore non presenta finestre, ma queste sono dipinte come le nicchie. Nell'adiacente palazzo sono affissi due lapidi in marmo, la prima riporta il bollettino della vittoria firmata da Diaz, l'altra è l'elenco dei caduti oriomossesi nella Prima guerra mondiale, della guerra di Spagna e di Etiopia. Sopra di esse vi è un tondo in ceramica vetrificata con immagine sacra.
Per visitare Oriomosso occorre sapere perdersi tra le sue stradine e mulattiere, cercando angoli dai quali ammirare la vallata sottostante, assaporandosi la quiete. Le case sono splendide con i loro portali e stipiti in pietra e le tante decorazioni anche affrescate. Anche le fontane sono belle, ed in alcune vi è la lapide di ringraziamento all'Avv. Federico Rosazza, datata 1876, per il generoso contributo nella realizzazione della stessa. Nel girovagare, tra strette stradine e portici antichi raggiungo la casa che diede i natali al Sottotenente degli Alpini Ugo Boggio-Marzet morto in combattimento il 18 maggio 1917 alla Selletta Vodice, come recita una targa marmorea.
È ora di rimettersi in viaggio per spingersi fino a Roreto. Per raggiungere questa elegante borgata devo tornare indietro per un bel pezzo di strada, per poi trovare il bivio che mi conduce a questo piccolo borgo. Roreto non è grande ma è abitato, infatti trovo una giovane coppia di ragazzi che mi indicano come aggirarmi per il borgo, tra l'altro i miei passi sono anticipati da un bel gattone a pelo lungo, munito di collarino.
Seguendo il gattone arrivo davanti a Villa Piatti e alla chiesa. Il seicentesco oratorio della Madonna del Carmine presenta in facciata due coppie di paraste scanalate ai lati che sorreggono un fregio dorico, sopra il quale vi è un timpano triangolare. In facciata, l'alto edificio presenta solo la porta d'accesso e nessuna finestra, se non una finestra a lunetta dipinta al centro della facciata. L'intero edificio è muratura mista in pietra e laterizio.
L'interno presenta una navata unica con volta a crociera; l'abside a pianta rettangolare sormontato anch'esso da volta a crociera. Sull'altare si trova un tabernacolo di legno dorato e dipinto nel XVII secolo. All'interno sono conservate tre tele settecentesche. Presenti anche alcuni ex voto dipinti su legno risalenti ai secoli XVIII e XIX. Di fronte vi è il maestoso ingresso voltato con grande scalinata d'onore di Villa Piatti. Questa ottocentesca Villa fu edificata dall'impresario Pietro Antonio Piatti.
La sontuosa villa è dominata dalla rotonda e slanciata torre circolare con finestre a sesto acuto; presente anche una meridiana. La villa ospito Camillo Benso conte di Cavour, il giurista Giovanni Battista Cassinis che fu anche Presidente della Camera dei deputati e Edmondo DeAmicis in cui trovo l'ispirazione per "I piccoli Valit", un ritratto dei bambini della Bürsch. Questa è la zona della Valle cervo che viene comunemente denominata, con un termine che nell'antica parlata locale indicava la casa, cioè la Bürsch.
Sotto Roreto c'è la piccola borgata Romani dove tra questa frazione e Maciotta, vi è un'antica costruzione in pietra e legno, edificata dove un tempo passava l'antichissima strada. Questa era la sede del dazio e del forno comune. Dopo aver salutato il mio amico pelosetto, in auto m'avvio per Quittengo. Questo versante della vallata, per il sole che lo bacia maggiormente viene chiamato Banda Soulia. Raggiungo Quittengo e dopo aver parcheggiato l'auto vicino all'ex municipio inizio il mio giro tra le stradine del piccolo borgo.
Le poche strade sono ben conservate e pulite, come le case che vi si affacciano. Quelle abitate presentano vasi fioriti sui balconi o sui davanzali delle finestre. Anche a Quittengo le case sono prevalentemente in pietra squadrata. In pietra scolpita anche le fontanelle da cui sgorga acqua freschissima, dove vi trovo scolpite anche le ottocentesche date di costruzione. Salgo verso il vecchio municipio, che presenta in facciata le lapidi dei suoi caduti per la patria della Prima e Seconda Guerra mondiale.
Su quello che ricorda i militari e partigiani caduti nella seconda guerra mondiale campeggia un iscrizione che recita: "Non più greggi, ne armi temprate, non più campi insanguinati, né rovine fumanti. Il passato è un triste ricordo e un avvertimento. Il futuro una promessa e una speranza. L'olocausto dei nostri fratelli additi nuove vie a mete feconde nella fratellanza tra i popoli." una frase che spiega bene le atrocità della guerra e i sacrifici subiti dalle genti di montagna. L'edificio, interamente intonacato con balconi in pietra e ferro battuti è anticipato da un bel prato e un belvedere sulla sottostante valle.
Anticamente gli abitanti di Quittengo erano prevalentemente dediti alla pastorizia, soprattutto ovina e caprina, solo successivamente anche bovina. Il territorio fu abitato già in antichità, si pensi che nel 1939, in regione Casale di Sagliano, confinante con Quittengo, fu rinvenuta un'urna fittile contenente una novantina di monete in bronzo e una decina di tessere in piombo, presumibilmente sepolta intorno al 260 d.C. Anche Strabone, nei suoi resoconti, scrive di alcune miniere d'oro sopra l'attuale frazione di Sassaia. Ma i primi nuclei stabilmente abitati furono edificati da carbonai provenienti dalla valle di Mosso intorno al XII secolo nelle frazioni Rial di Mosso e Orio di Mosso; in questo periodo il territorio era controllato dai valdostani conti di Challant. Il territorio segui le vicissitudini del biellese e poi dei Savoia.
Nel 1694 avvenne il distacco dell'alta Valle del Cervo da Andorno; inizialmente il capoluogo fu Campiglia Cervo, ma il nuovo Comune si frazionò ulteriormente nel 1700 dando origine, tra gli altri, al comune di Quittengo. I primi documenti che parlano di Quittengo risalgono al XVI secolo, in cui compare come Quitengo, Quintengo e Quintango. Il toponimo potrebbe derivare da Quit, radice indo-europea indicante posto soleggiato e pianeggiante, balcone erboso; questo significato coincide perfettamente con l'immagine che ha sempre dato di sé Quittengo, definito "il balcone della valle".
Al suddetto significato è da aggiungere la desinenza -engo, di derivazione germanica, con significato di luogo fortificato. Le principali attività degli abitanti, oltre ad allevamento e agricoltura, erano i lavori di estrazione della sienite e la lavorazione della pietra con i famosi scalpellini. Tra i personaggi illustri quittenghesi, ricordo Franco Costa (1909-1980), pittore, futurista e astrattista; Alfonso Sella (1913-2001) che fu un valente Botanico, scrittore, linguista e artista della naturalista.
Un'attenzione particolare la rivolgo al periodo dell'unità d'Italia e alle vicende garibaldine, lo spunto me lo offre una lapide posta sulla facciata nord dell'oratorio dei SS. Rocco e Grato, che ricorda Cicero Tommaso caduto sul Volturno nel 1860 e Magnani Pio caduto a Monte Suello nel 1866. Ma furono tra i 1000 di Garibaldi anche i quittenghesi Crosa Renzo e Morassi Secondo. Sugli stipiti di molte case trovo scolpite anche la data di loro edificazione, molte sono settecentesche.
Raggiungo così l'oratorio dei Santi Rocco e Grato. Vista la sua intitolazione deve probabilmente la sua origine a pestilenze o di epidemie. L'edificio dovrebbe risalire al XVI secolo e si presenza con una facciata con tetto a capanna con frontone triangolare. Il prospetto anteriore è diviso in due ordini, interamente intonacato e tinteggiato, suddivisi da un aggettante marcapiano. Nel primo ordine la porta d'accesso presenta un portale in pietra con timpano spezzato contenente una piccola nicchia con una statua al suo interno.
Due finestre rettangolari con grate e con ai piedi due panchine in pietra sono poste ai lati della porta. Nel secondo ordine vi e una finestra polilobata non posta centralmente ma ribassata verso il marcapiano. Una meridiana arricchisce la facciata. Tozzo, maestoso e realizzato in pietra il campanile si affianca alla facciata della chiesa. Internamente la chiesa è a navata unica e conserva tele settecentesche.
Proseguo il mio girovagare, riattraverso Campiglia Cervo che ora è assai più popolato di stamattina, acquisto due panini per il pranzo, vista l'ora tarda che ho fatto e subito dopo l'abitato trovo la cappella del Ritert. Sotto il portico della bella cappella passa la strada provinciale 100. Questa Cappella fu edificata a partire dal 1641 in seguito alla cessazione di un'epidemia di peste. Infatti è intitolata alla Madonna Addolorata e a San Rocco. Un affresco staccato con il muro dal primitivo oratorio ne fa risalire le origini all'inizio del XVI secolo.
Invece l'attuale oratorio è una ricostruzione della prima metà del XIX secolo; il suo aspetto esterno è caratterizzato dalla presenza di un ampio porticato che in origine fungeva da navata aperta per i fedeli, oggi svolge il ruolo di passaggio stradale. Al suo interno presenta un solo altare in marmo e conserva una tela settecentesca raffigurante il Cristo deposto dalla croce. Alla strada provinciale si affaccia il borgo di Valmosca che raggiungo facilmente attraverso una strada laterale.
Benché il borgo sia più piccolo di quelli visitati finora mi rendo conto, dai panni stesi che è più densamente abitato. Anche Valmosca ha la sua chiesa intitolata a San Biagio e fu edificata nel 1645. La facciata dell'oratorio di San Biagio è caratterizzata da due paraste, poste ai lati, poggianti su alto basamento in pietra che pare sorreggere una trabeazione che culmina con timpano triangolare. Il prospetto è interamente intonacato e tinteggiato con colori pastello con una cromia predominante data dal colore giallo. Presenta una sola porta d'accesso, affiancata da due finestrelle.
Sopra la porta vi è l'immagine del Santo titolare affiancato da due meridiane. Centralmente, posto sotto l'aggettante trabeazione vi è una grande finestra rettangolare. Anche il timpano è affrescato. Il massiccio campanile in pietra squadrata a vista è ottocentesco ed ha sostituito un precedente campanile di fine XVII secolo. L'interno si presenta ad un'unica navata. Sopra all'altare maggiore, in marmo, è posta una tela raffigurante la Madonna con il Bambino, San Biagio e San Giovanni Battista, risalente alla seconda metà del XVII secolo.
L'oratorio fu gravemente danneggiato da un'alluvione il 5 giugno 2002 e all'interno della chiesa si possono vedere le fotografie dei danni che l'alluvione causò all'interno e all'esterno e l'intervento dei volontari dell'Associazione Nazionale Alpini. Subito dopo la borgata c'è il bivio che mi porterà a Forgnengo. Prendo la SP 115 ed inizio nuovamente a salire su verso la montagna, fintanto che non incontro Forgnengo. Fin da subito si presenta come un borgo carino, ben conservato e abitato.
Lasciato l'auto parcheggiata lungo la strada provinciale, m'addentro nel borgo attraverso una scalinata in pietra. Il borgo si presenta con le classiche case di montagna in pietra, tetti in lose, lunghi balconi in legno, porte delle case prevalentemente in legno scolpito incorniciati da portali in granito. Incontro qualche persona, tutte assai cordiali e a cui ricambio il saluto volentieri.
Mi ritrovo davanti ad una casa in sui sul muretto è inciso un vecchio gioco, che si premurano di raccontarmi che fosse un gioco molto in voga in Valle Cervo. Si tratta del gioco dell'orso. La sfida si svolge tra due giocatori su un tavoliere dalle linee originali ossia due cerchi concentrici, intersecati da una croce e completati da lunette che delimitano i punti di intersezione sul cerchio più esterno. Un giocatore muove la pedina dell'orso, che è sempre il primo a essere mosso, mentre l'altro ha a disposizione tre pedine corrispondenti ai cacciatori. L'obiettivo è chiudere tutte le vie di fuga all'orso, bloccandolo. La sfida si svolge in due manche a ruoli invertiti e vince l'orso che resiste più a lungo.
Dopo questa chiacchierata e dove apprendo che questo gioco è diventato un torneo in Valle, raggiungo la chiesa. Questo oratorio è intitolato ai santi Fabiano e Sebastiano; l'edificio attuale è una ricostruzione della prima metà del XIX secolo ma la sua origine risale al XVI secolo. La sua facciata ottocentesca è a capanna e si presenta con un aspetto semplice con basamento in pietra. Il prospetto anteriore è intonacato e tinteggiato con la cromia predominante del giallo paglierino.
La porta è in legno con una cornice in pietra, come anche le due finestre laterali. Si accede all'oratorio, a navata unica, attraverso cinque gradini di accesso alla porta. Sulla facciata è presente un affresco raffigurante i due santi titolari dell'oratorio e sopra di esso vi è un rosone circolare. La facciata termina con un semplice timpano triangolare. Un abitante, ben informato mi racconta che Forgnengo, ha origini risalenti al XIII secolo. Dopo aver gironzolato un po per il borgo, riprendo l'auto in direzione Piaro. Quest'altro borgo lo raggiungo dopo qualche chilometro.
Come fatto finora, anche se sono un po' stanco, m'avvio tra le sue strette stradine. Come tutti i borghi finora visitati, non hanno una grande densità si popolazione, ad esclusione fatta del periodo estivo e delle festività. Anche questo borgo ha il suo oratorio e questo è intitolato a Sant'Antonio Abate. Piaro sembra fosse già esistente nel tardo XIII secolo ma il suo oratorio ha origine solo nel XVI secolo e fu ricostruito nelle forme attuali nella fine del XVII secolo. Lo trovo chiuso e non riesco nemmeno a sbirciare dalle finestrelle in quanto ne è privo. Si presenta con un'unica navata a pianta esagonale. Anche questo presenta la facciata intonacata e tinteggiata con tenui colori giallognoli.
Sopra l'architrave della porta è presente un affresco e sotto il culmine del tetto a capanno, con spiovente aggettante vi è una piccola finestra polilobata ed incorniciata a stucco. L'adiacente e massiccio campanile è in pietra squadrata e solo la cella campanaria risulta intonacata e tinteggiata. Riprendo l'auto, devo percorrere ancora qualche chilometro tra bellissimi boschi e scorci sulla valle incredibili. Lascio la strada provinciale e percorso ancora poche centinaia di metri, trovo un ambio piazzale.
Devo lasciare l'auto e proseguire a piedi in una vecchia mulattiera che è stata ricoperto da un bel selciato in pietra. Un cartello indicatore turistico, in legno, recitava, Sassaia il villaggio di pietra. Alcuni amici mi hanno detto che potrei trovare un solo residente che vi vive tutto l'anno, mentre d'estate si popola con decine di persone. Sassaia è composto da qualche decina di case, rigorosamente in pietra. Mi si prospetta come un borgo compatto circondato dai boschi.
Le stradine con i suoi archi voltati delle case lo rendono un luogo molto suggestivo, ricco di angoli caratteristici e di punti panoramici interessanti dove il tempo sembra si sia fermato. Non possono mancare gli ottocenteschi lavatoi e fontane. Quanta acqua ho visto scorrere in tutti questi borghi, non a caso la valle Cervo è chiamata la valle dell'acqua.
Sassaia è raggiungibile anche attraverso una mulattiera che parte da Campiglia Cervo, ora sentiero escursionistico. Nella piazzetta del lavatoio trovo il Sig. Pietro che mi accoglie con un sorriso. Scambiamo alcuni convenevoli e poi iniziamo a chiacchierare. Non voglio chiedergli l'età ma è più vicino agli 80 che hai 70 .Il signor Pietro, vive qui in solitudine dal 2009, anno in cui, mi racconta, è mancata sua madre. Benché Sassaia sia un luogo molto suggestivo, ricco di angoli caratteristici e di punti panoramici interessanti, l'autunno e l'inverno da soli non deve essere facile.
Mi pervade un senso di tenerezza nel pensare quest'uomo non possa parlare con nessuno per tanti mesi all'anno. Mi confida che a Campiglia ha degli amici e la spesa gliela porta il postino o qualche amico. Ogni tanto vanno anche i Carabinieri a trovarlo e a fare quattro chiacchiere. Mi dice che gli basta la compagnia del suo fedele cane e dei gatti del borgo. Coltiva un piccolo orto, dove razzolano qualche gallina e la capra. I suoi occhi sono gioiosi nel potermi raccontare di Sassaia quando un tempo era densamente abitata. Mi accompagna alla piccola chiesetta, ottimamente conservata.
L'oratorio di San Silvestro ha origini secentesche. Si tratta di un edificio di modeste dimensioni con la sua facciata a capanna. Realizzato in pietra è intonacato e tinteggiato di bianco solo nella parte alta, come d'altronde anche il campanile. Presenta in facciata due finestre laterali alla porta e perpendicolarmente alla stessa, una finestra rettangolare centrale e una ovale sotto il culmine del tetto. Sul lato lungo, un altra finestra rettangolare posta all'altezza di quella ovale, probabilmente indica la presenza di una stanza.
Era cosa normale utilizzare stanze ricavate nel sottotetto come aule scolastiche o alloggio per il maestro. Nel borgo infatti vivevano una ventina di famiglie. Vi sono tante stelline scolpite nella pietra e il mio sherpa mi racconta che le stelline erano le donne di Sassaia, costrette a lavorare dal calare al sorgere delle stelle. Infatti, buona parte delle donne, avevano il marito o i figli maschi impegnati a fare i minatori o gli scalpellini, attività che li teneva per molto tempo lontano da casa. Quindi, oltre a curare la casa e i figli piccoli, dovevano occuparsi del poco bestiame che avevano; una mucca e qualche capra, raccogliere il fieno per gli animali, preparare i formaggi o il latte, andarlo a vendere a Campiglia, coltivare un piccolo orto e la canapa, fondamentale fonte di ricchezza per la famiglia. Una coltivazione difficile, fatta sui terrazzamenti, visto il territorio alpino.
Il signor Pietro è alto, longilineo e con una bella e folta testa di capelli bianchi che qualcuno in estate gli taglia, fuori stagione provvede da solo, e me lo dice ridendo. Il periodo estivo è quello in cui Sassaia si anima un po' di più, ma per tutto il resto dell'anno, questo borgo è abitato solo da Pietro. Alla domanda su come si sente a vivere da solo per tanti mesi e soprattutto d'inverno, lui annuisce e sorride affermando che Sassaia è silenziosa e tranquilla, gli mancano solo le Miasce che preparava sua mamma.
Raccolgo da Pietro una specie di ricetta di questo dolce: servono 20 cucchiai di farina bianca, 20 cucchiai di farina gialla, 2 uova, una tazza di latte con la sua panna, 9 cucchiaini di zucchero e un pezzetto di burro, quello buono aggiunge. Mi ricorda che un tempo si ungeva la forma delle pinze per fare le miasce con la cotenna di maiale. Aggiunge che ultimamente la madre ci metteva la scorza di limone. Si mescolava bene tutti gli ingredienti, con i bambini appoggiati al tavolo a guardare la preparazione e già gustandosela con gli occhi.
Mescolato bene il tutto, fino ad ottenere una crema, si poneva una cucchiaiata del risultato sulla piastra unta e molto calda, chiusa con l'altra piastra del ferro e si faceva cuocere prima da una parte e poi dall'altra. Spesso le piastre aveva simbologie sacre che rimanevano impresse nelle miasce. Purtroppo è arrivato il momento di salutare Pietro che mi accompagna per un breve tratto. Un arrivederci con molta malinconia il nostro. Sassaia fu luogo di nascita di Giovanni Tommaso Guideto nel 1740 che fu l'archiatra della valle d'Andorno e costui fu autore di uno studio sulle febbri biliari.
In auto riscendo sulla provinciale 100 e superato il ponte sul torrente Cervo prendo la strada Rosazza Oropa. Anche strada è assai tortuosa e incorniciata dal verde dei boschi che si arrampicano sulle vette di questi monti. Dopo poco incontro la borgata Jondini o Gliondini che trovo a valle della strada. Voglio fare un rapido giro in questo minuto borgo, che sembra dominato dal campanile dell'oratorio intitolato a san Mauro.
Le sue origini risalgono al XVII secolo, in seguito fu ampliato fino a raggiungere l'attuale aspetto nella fine del XVIII secolo. La facciata presenta un aspetto neoclassico, con quattro paraste doriche che sorreggono un ampio frontone triangolare. Le colonne appoggiano su un basamento in pietra. Affiancano la porta d'ingresso sue finestre. La parte centrale è caratterizzata dalla presenza di un rosone, al di sotto del quale vi è un affresco raffigurante San Mauro. La facciata è intonacata e tinteggiata e nel timpano del frontone si apre un oculo. Il campanile fu iniziato a fine XVIII secolo e terminato in quello successivo.
Riparto per il santuario di San Giovanni d'Andorno, ove alloggerò e cenerò con tranquillità. San Giovanni d'Andorno è uno dei pochissimi Santuari dedicati a San Giovanni Battista in Italia e risale al 1512, secondo un antico documento ritrovato ed è citato come San Giovanni Battista della balma, ossia, grotta, caverna, spelonca. Ancora oggi la statua lignea del Santo è ivi conservata. Il culto di San Giovanni Battista ha origini remote in valle e la leggenda che si tramanda vuole che che la statua del Precursore fosse stata più volte dai pastori spostata nei pascoli più alti, ma che essa ritornasse sempre nella grotta.
Dopo diversi tentativi, secondo la leggenda, i pastori riconobbero il carattere miracoloso della grotta e costruirono attorno ad essa una prima modesta cappella. La sua realizzazione, nelle forme attuali, comincia a partire dai primi anni del XVII secolo, per poi proseguire fino ai primi decenni del XX secolo. Il tutto realizzato grazie alle contribuzioni e il lavoro di generazioni di valligiani La chiesa di inizio Seicento fu costruita sull'antico e preesistente sacello del Precursore, e ridisegnata e sopraelevata dal famoso architetto Bernardo Vittone.
Raggiungo il santuario ed entrato nell'enorme piazzale inferiore, mi accolgono gli edifici sorti intorno ad esso e costruiti fra il 1608 ed il 1776. Si tratta degli alloggi per i pellegrini, escursionisti, bar, ristorante, albergo, negozio ed il fabbricato della scuola non più in uso. Al centro del piazzale vi è la caratteristica fontana con vasca a pianta ottagonale detta burnel, con pila centrale, già realizzata nella prima metà del Seicento. Dopo essermi accreditato, presa la stanza in cui passero la notte, prenotato la cena, vado a fare due passi.
Dapprima vado a vedere il campanile del santuario che non è collocato vicino ad essa ma è posto nella faggeta poco distante, in posizione isolata, da dove il suono delle sue campane si sente in quasi tutti i borghi dell'Alta Valle. Sotto il campanile vi è il cimitero edificato a meta del XIX secolo, ove sono sepolti i maggiorenti della Valle oltre al Senatore Federico Rosazza, magnanimo filantropo di Rosazza.
Incredibile il Parco della Rimembranza realizzato negli anni '20 del Novecento, dove dei cippi riportano i nomi dei militari caduti delle guerre d'indipendenza italiana, di Crimea e delle due guerre mondiali. Vi è anche un bel monumento a Edmondo De Amics che amò e frequento la valle Cervo. Dopo questa ulteriore passeggiata, mi godo il tramonto dal belvedere del piazzale grande del Santuario; il sole lascia lentamente il posto al buio ma è un gioco di colori fantastico con le luci delle case della valle che lentamente si accendono. Ormai sono seduto a tavola e cenerò con un tagliere di affettati e formaggi, tra i quali la fa da protagonista il Maccagno, un formaggio d'alpeggio che trovo sul desco sia morbido che stagionato.
Chiudo il mio lauto pasto con una calda, fumante e gustosa polenta concia. Si tratta di un modo di cuocere la polenta con burro e formaggio e quest'ultimo può essere quello tipico della zona in questo caso il maccagno. Un tempo, la polenta concia era il pasto di tutti i giorni dai valligiani, in quanto più grassa per l'aggiunta del formaggio, utile affrontare le dure condizioni climatiche e di lavoro. La camera è rustica, come s'addice ad un luogo come questo ed è arredata in stile piemontese novecentesco.
La mattina, dopo una lauta colazione, con il sole già alto e l'aria frescolina vado a visitare la chiesa. Una ampia e bella scalinata mi conduce al piazzale superiore che funge da grande sagrato per la chiesa. Si tratta di un luogo molto bello con un giardino e roseto. Sulle adiacenti costruzioni, come la canonica sono affisse molte lapidi che ricordano i benefattori. La facciata della chiesa è secentesca, realizzata in granito della valle con ornati in pietra bianca. Dalla facciata emerge la sopraelevazione derivata dal progetto dell'architetto Vittone.
Il portale della chiesa è in granito e pietra bianca, fu scolpito nel 1605, affiancato da due colonne. Il timpano spezzato, posto sopra il portale conserva una statua di San Giovanni Battista risalente al 1616. La facciata è divisa in due ordini, tripartito da finte lesene nel primo, benché da un lato vi è solo un accenno di lesena, visto che è poggiante sulla roccia della grotta. Suddivide i due ordini un marcapiano di marmo bianco, nella parte centrale del secondo ordine vi è una ampia finestra a serliana, mentre ai lati vi sono volute scolpite nella pietra. Il frontone è triangolare, poggiante su una trabeazione in marmo bianco e sorretto da due lesene. All'interno si presenta in stile barocco con un'unica navata sormontata da volte a botte e due cappelle laterali per lato. La copertura è formata da vele e cupola.
Mi soffermo da subito nella cappella/grotta che conserva l'antica statua di San Giovanni Battista. Si racconta che un tempo la grotta avesse delle infiltrazioni d'acqua che poi furono interrotte alla metà del XX secolo. Questa filtrazione dell'acqua dal soffitto che per secoli aveva dato vita ad una devozione particolare perché si credeva fosse miracolosa per guarire dai mali degli occhi. La chiesa ha quattro cappelle laterali, due su ogni lato dedicate ai genitori del Battista, ossia Santa Elisabetta e San Zaccaria e a quelli di Gesù. Conserva pregevoli opere settecentesche di artisti e artigiani biellesi e valsesiani. Belle anche le pile dell'acqua santa, una delle quali datata 1585.
L'attuale altare maggiore risale al 1903 fu costruito in marmo con una grande Ancona formata da sei colonne tortili secondo il progetto dell'architetto Conte Carlo Ceppi. Lascio il santuario e raggiungo il vicino borgo di Bele, che prende il nome dall'omonimo torrente. Questo caratteristico piccolo borgo di montagna è ottimamente conservato ed abitato. Bele è legato alla leggenda dell' "om salvei". Si narra che un uomo selvaggio vivesse in una caverna e che nessuno sapesse da dove fosse arrivato fin lì. L'uomo di Bele, chiamato anche "om salvei", scendeva ordinariamente, diverse volte la settimana, fino al piano dei Bussetti, vicino a Rosazza, ed era accolto benevolmente dalle donne del luogo.
Costui aveva insegnato loro molte cose, come: fare il burro, i formaggini e le "miasse". Riceveva in cambio dei suoi insegnamenti un bicchiere di vino, un po' di formaggio o di lardo e della farina ecc... Il selvaggio aveva un brutto aspetto: magro e piccolino, con la testa grossa e i capelli ispidi. Costui si innamorò di una bella fanciulla del villaggio e, in un pomeriggio d'estate, la rapì e la portò con sé in montagna. Subito partirono le ricerche degli uomini del paese che impiegarono due giorni e due notti a trovare il nascondiglio dell'om salvei.
Nella sua caverna, l'om salvei dormiva e appena la ragazza, vide la luce delle lanterne, si alzò e uscì dalla grotta, abbracciando il suo fidanzato, e così se ne tornarono in paese. All'om salvei, era stata risparmiata la vita perché una leggenda diceva che chiunque avesse ucciso l'uomo di Bele senza essere stato assalito, si sarebbe procurato ogni sorta di disgrazia.
Dopo questa bella altra visita è arrivato il momento di lasciare Campiglia Cervo e la sua valle per tornare a casa. Una visita lunga per il mio girovagare per tutti i borghi ma piena di soddisfazioni e scoperte. I panorami, la gente, la cucina, le tradizioni si sono conservate dallo scorrere dei tempi e spero che così rimanga.