Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il paradiso è tra il cielo e la terra lambito da un azzurro mare (XV parte)

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paradiso"Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la più dilettevole parte d'Italia. Nella quale, assai presso a Salerno, è una costa sopra 'l mare riguardante, la quale gli abitanti chiamano la Costa d'Amalfi, piena di piccole città, di giardini e di fontane e d'uomini ricchi e procaccianti in atto di mercatanzia, sì come alcuni altri. Tra le quali città dette, n'è una chiamata Ravello". Con queste poche righe Giovanni Boccaccio a metà del 1300 descriveva la Costiera Amalfitana nella quarta novella della Seconda Giornata del Decamerone. Lasciamo Ravello per raggiungere Conca dei Marini, un paese sparpagliato tra cielo, terra e mare, dove il colore dominante non è l'azzurro del mare ma il verde smeraldo disseminato da puntini gialli della fitta vegetazione posta a terrazzamenti, il verde intenso degli orti e degli alberi costellati da quei puntini gialli che altro non sono che i limoni della costiera.
Le tecniche costruttive delle case sono simili in tutta la zona costiera e dimostrano, con un'architettura semplice, quali erano le esigenze principali della vita contadina e marinara. Le case caratteristiche, sopratutto quelle dei contadini, si sviluppano su due livelli, conformandosi con l'andamento del terreno. Al livello più basso vi erano i locali per le attività quotidiane e rustiche come le stalle e spazi per l'allevamento di animali da cortile, il ripostiglio per gli attrezzi agricoli, le cantine per conservare il vino e le cisterne per conservare l'acqua piovana. Quelli superiori avevano almeno due stanze, con doppia volta a botte o crociera e generalmente ci si accedeva da una scala esterna. Qui anticamente ogni famiglia viveva con il prodotto della propria terra ed erano pochi i beni di consumo che venivano acquistati mediante il baratto.
Poggi panoramici, terrazzini uniti da piccole e strette scalinatelle fanno di questo angolo della costa divina uno dei luoghi più tranquilli, ove il fascino discreto di chiesette e di piccole case bianche, aggregate o sparse a mezzacosta, infonde serenità e curiosità. Conca dei marini deve il suo nome alla particolare conformazione geografica a forma di conca, con l'aggiunta della denominazione dei Marini per sottolineare la vicinanza al mare ed il ruolo svolto dai suoi abitanti che anticamente erano tra i più bravi marinai della costa tirrenica e che hanno contribuito a definire questo paese come "città dei naviganti".
La Marina di Conca è una piccola baia circondata da molte casettine bianche e la sua piccola spiaggia rappresenta il principale stabilimento balneare del paese, nonché il porto in cui attraccano tuttora le imbarcazioni dei pescatori locali. La Marina di Conca, inoltre, è stato luogo celebre tra gli anni sessanta e gli anni settanta per aver dato ospitalità ad alcuni personaggi famosi, tra cui si ricorda ancora la principessa Margaret d'Inghilterra, Gianni Agnelli, e gli scatti fotografici dei paparazzi a Jacqueline Kennedy che nel 1962, di ritorno da una visita a Ravello, vi sostò per immergersi nell'azzurro mare della costiera. Purtroppo nel maggio del 1996 il territorio fu colpito da una grande frana, creata dal distaccamento delle pareti rocciose retrostanti la zona di balneazione. Non vi furono vittime, ma furono distrutte alcune costruzioni situate nei pressi della Marina e la spiaggia rimase inagibile per diversi anni.
Poco distante troviamo ben visibile dalla strada panoramica la Torre del Capo di Conca, detta anche Torre Saracena o Torre Bianca, un'antica torre di guardia cinquecentesca che sorge su un promontorio chiamato Capo di Conca e voluta dal viceré di Napoli Pedro de Toledo a difesa del territorio contro le invasioni dei Turchi. Come quasi tutte le torri di avvistamento, dopo la sconfitta dei Turchi a Lepanto, anche la torre di Capo Conca perse di importanza e fu abbandonata al suo destino ed addirittura usata a scopo cimiteriale fino al 1949, finché fu restaurata dall'amministrazione comunale.
Non si può fermarsi a Conca dei Marini e non gustare la sfogliatella di Santarosa, della quale una donna del luogo mi racconta la storia mentre gusto e apprezzo questo tipico dolce in un ristorante locale. Pare che nel Settecento le suore domenicane di clausura del Conservatorio di Santa Rosa da Lima di Conca dei Marini, dedite alla preparazione del pane e di dolci, diedero vita a questa ghiottoneria. Era rimasta una porzione di pasta e una delle suore decise di non disfarsene ma la stese in un tegame ponendovi della crema fatta con semola di farina, latte e zucchero con frammenti di frutta secca e amarene sciroppate, e dopo aver coperto il tutto con l'altra pasta la mise nel forno caldo del pane. L'eccellente e gustoso risultato di questo primo prototipo della sfogliatella fu una torta che col tempo assunse la tipica forma di sfogliatella, rendendo famoso il luogo e il monastero.
Ma un luogo con tale fascino e mistero non può non avere anche le proprie leggende, e qui torna il mare prepotentemente a occupare tutta la scena, soprattutto per ciò che riguarda il mito che lega Conca dei Marini a Sant'Andrea Apostolo ed alla vicina Amalfi.
Si narra che quando le spoglie di Sant'Andrea giunsero da Costantinopoli in attesa che fosse ultimata la cripta ad Amalfi, il cardinale Pietro Capuano, legato pontificio, fece nascondere le reliquie a Conca dei Marini. La storia reale che si desume dai documenti dell'epoca non specifica molto se non dire che furono custodite "in loco celebri", ma la leggenda vuole che il corpo dell'apostolo fosse stato tumulato per un periodo di circa due anni nella cappella della Madonna della Neve.
Vicino alla baia di Capo di Conca troviamo la Grotta dello Smeraldo, già visitata tempo fa con il "conte", un ampia cavità carsica alta oltre 20 metri. La grotta è accessibile dall'esterno con scale o ascensore e dal mare, cosa che consiglio, mediante imbarcazioni dalle quali lo scenario che si mostra lascia attoniti per la sua naturale bellezza. Scoperta casualmente nel 1932 da un pescatore locale, il nome le è stato attribuito per la somiglianza ai colori della preziosa gemma.
La caratteristica colorazione riflessa nelle acque va dal blu cobalto al verde smeraldo proprio grazie all'effetto della luce solare che filtra da un ingresso sottomarino posto a diversi metri di profondità. L'antro roccioso ampio e alto mostra una scenografia creata naturalmente dall'erosione delle acque che dona alla caverna marina un aspetto suggestivo ed è difficile dimenticare gli sguardi di meraviglia di chi mi accompagnò in tale visita.
In tanta bellezza non poteva mancare in questo fazzoletto di roccia tra cielo e mare uno dei ristoranti da me più amati, non solo per il pesce che con mani capaci viene trasformato in prelibatezze, ma anche per la tipicità ed unicità del ristorante "Capo di Conca." A farmelo conoscere è stato ovviamente Andrea e ho ripetutamente visitato questo locale con i diversi amici che con me vissero queste memorabili imprese di suggestione e meraviglia.
A parte la difficoltà a trovare parcheggio sulla strada panoramica, per raggiungere il ristorante ti aspetta una ripida scalinatella e un divertente quanto alternativo percorso fatto a bordo di una vecchia mehari che ti permette di risparmiare qualche centinaio di metri di ripida discesa. Un piccolo servizio che il locandiere mette a disposizione dei suoi avventori. Seduti su questa piccola e caratteristica auto, pilotata e non guidata da uno Schumacher della costiera, rapidamente si raggiunge il ristorante. Non fai tempo a capire dove sei seduto che la navicella arancione con rapidi balzi riesce sulla stretta stradina larga quanto l'auto per raggiungere la terrazza del ristorante.
Il locale è realizzato dentro a piccole grotte, dove trovi la cucina del ristorante, la dispensa e due piccole stanze per gli ospiti e il punto migliore per gustare il pesce è proprio sul mare, quasi dentro le acque. Intorno a te barche, reti da pesca e le sedie sdraio di coloro che vengono a godersi il sole della costiera.
Un piccolo attracco permette a piccole barche di raggiungere il ristorante più comodamente e le luci delle lampare, il profumo del mare, il sottile venticello serale aiutano il commensale a ristorarsi dopo una faticosa giornata di "svago". Il pesce, che effettivamente sembra appena pescato, viene aromatizzato con i sapori della costiera che pare delizino in modo sopraffino le papille gustative. Dopo essersi saziati con tali prelibatezze la risalita per raggiungere la sovrastante strada viene accompagnata dal profumo del finocchio selvatico che ricopre le brulle rocce.
Ma anche qui, curioso come sono, riesco a stappare qualche antica e suggestiva storia, come quella sulle Janare. Infatti si narra che nel 1500 a Conca dei Marini ci fossero le streghe, dette janare. Si pensa che questo termine derivi dal latino ianua (porta), luogo sul quale si deponevano oggetti contro il malocchio. La leggenda vuole che le streghe si ritrovassero in un campo di ulivi vicino alla chiesa di San Pancrazio martire, vicino alla Grotta dello Smeraldo, e che venissero attribuiti loro vari poteri, tra i quali la capacità di creare filtri d' amore e pozioni contro il malocchio. Una stregoneria buona ma che poteva tramutarsi in cattiva se le janare fossero state tradite o oltraggiate.
Ma delle Janare sicuramente ne parleremo ancora nella prosecuzione del nostro viaggio verso Furore.



Fine XV parte.