Blog di Dante Paolo Ferraris

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Un cubano in Mandrogna (I parte)

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WilmerL'attesa dell'arrivo del volo all'aeroporto di Milano Malpensa stava diventando snervante, favorita anche dalla difficoltà di trovare parcheggio all'auto.
Sui monitor, sopra la porta dell'uscita degli arrivi, gli atterraggi delle varie compagnie si susseguono senza sosta e il mio pensiero corre ai magnifici luoghi da dove questi arrivano. Non puoi non pensare alle splendide spiagge delle Maldive o alle più vicine, ma entusiasmanti città d'arte europee.
Finalmente compare il volo da me tanto atteso, considerato che era da un anno che tentavo, senza mai riuscirci, di invitare due amici cubani a visitare il nostro paese. Delle due persone che avevo invitato, Wilmer e Yanelis, che avevo conosciuto in un recente viaggio sull'isola caraibica, solo Wilmer aveva poi potuto partire, mentre la sorella aveva preferito restare a casa con la mamma e il suo lavoro da estetista.
Quando a Jatibonico li avevo invitati, non avrei mai pensato alle traversie che stavo per affrontare per ospitare i due giovani ragazzi. Per me era semplice, loro mi avevano fatto presente che serviva una mia lettera di invito per poter entrare in Italia ed io stupidamente pensavo di prendere carta e penna, scrivere una bella lettera d'invito, al massimo con la mia firma autenticata in Comune, e spedirgliela. Invece NO! Qui inizia una storia che mi vede sempre più "incarognito" nel voler superare le difficoltà burocratiche poste dal Governo italiano per permettere ad uno straniero di entrare in Italia con visto turistico.
Ho tentato di risolvere il problema da solo, affidandomi alle istruzioni impartite nel sito dell'Ambasciata italiana all'Havana, ma ho dovuto desistere, dovendomi affidare ad una Agenzia milanese che si occupava di visti e di pratiche di questo tipo con Cuba.
Ovviamente l'agenzia ha un costo, così come hanno un costo esorbitante i documenti da predisporre, talmente elevato che, avrei potuto godermi un ulteriore periodo di riposo sui mari caraibici, con il denaro speso per le pratiche d'invito, ma ormai era diventata una questione di "principio".
Ho dovuto fare diversi viaggi a Milano per le pratiche: notaio, assicurazione sanitaria, fideiussione bancaria per l'ospitalità, prenotazione del volo, ecc…, senza contare le prenotazioni via internet per "l'intervista" che la persona, che volevi ospitare, doveva fare all'Ambasciata italiana all'Havana.
Wilmer non abita nella capitale e non ha i soldi per raggiungere l'Ambasciata ed ovviamente la risposta dopo l'intervista, per ottenere il visto d'ingresso in Italia, venne data la settimana successiva. Quindi doppia spesa da affrontare e due giorni persi da Wilmer sul lavoro.
Tutto ciò ripetuto ben 4 volte, cioè il tempo di validità dei documenti, ma ovviamente non delle spese d'Ambasciata che devi pagare ad ogni intervista e che devi mandare con mandato bancario internazionale, super controllato, perché Cuba è un paese sotto embargo. Insomma credo di aver contribuito a pagare un pezzo del debito pubblico nazionale italiano con i balzelli pagati.
Senza considerare le spese telefoniche per concordare orari di appuntamenti all'ambasciata o per comunicare i motivi per cui per ben tre volte è stato negato l'ingresso in Italia. Insomma questo arrivo era da me atteso più che mai, sia perché risultava una mia personale vittoria contro il muro della burocrazia, vinto con tenacia e perseveranza, sia perché nel mantenere una promessa avrei potuto riabbracciare un amico, un fratello che attendevo da oltre un anno.
Gli ultimi giorni le telefonate e i messaggi si erano fatti più frequenti e date, orari, numero del volo nel mio pessimo spagnolo, si confrontavano con un pessimo italiano di Wilmer. Ma anche i preparativi a casa mia per il suo alloggiamento non erano stati semplici, per uno scapolone che vive da solo, dover ospitare per un mese una persona voleva dire mettere sottosopra non solo gli armadi, ma anche uno stile di vita.
Ed eccomi qua, in attesa che si spalanchino le porte scorrevoli per vedere uscire Wilmer e riabbracciarlo.
Insieme a me vi era tanta gente che aspettava amici o parenti che rientravano dalle ferie caraibiche, ma anche tanti cubani/e che attendevano amici o famigliari che venivano loro in visita.
Avevo preventivamente informato Wilmer su cosa non portarsi a bordo dall'aereo per evitare problemi doganali e lo avevo preparato, si fa per dire, al caos italiano e alle temperature di un estate che si presentava torrida.
Il pannello luminoso segnala l'atterraggio e contemporaneamente mi atteggiavo, quasi da vincitore di chissà quale battaglia, se non quella di Pirro, forse di "pirla" è il caso di dire, per essere riuscito a raggiungere il mio obbiettivo.
Avevo studiato con accuratezza cosa fargli vedere della nostra Italia ed anche cosa fargli mangiare dei nostri cibi tradizionali. Ormai anche i miei famigliari erano ansiosi di conoscerlo visto i racconti dei miei viaggi a Cuba e delle "tribolazioni" patite per l'invito.
Avevo persino chiesto aiuto ad una conoscente, che aveva fatto il Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, ma senza aver ottenuto nessun aiuto; quindi considero il risultato ottenuto un mio costoso successo personale.
La porta si apre ed iniziano ad uscire i primi viaggiatori, tutti turisti italiani reduci da un meraviglioso periodo di ferie esotiche. Anche senza la guayabera da loro indossata, si capiva dal sorriso e dal colore della pelle che rientravano da terre baciate e amate dal sole. Il ritmo della musica del reagheton di alcuni ipod, dei più giovani, era la controprova della loro provenienza.
E' tra gli ultimi ad uscire, le pratiche di controllo per lui sono state un po' più lunghe per via del visto d'ingresso turistico, che per un ragazzo di 24 anni, che si presenta solo e senza bagagli, avrà creato perplessità ai nostri doganieri.
Mentre mi domando se sarò ancora in grado di riconoscerlo, anche se è passato solo un anno e mezzo dall'ultima volta che ci siamo visti. La porta a vetri si spalanca ed esce questo ragazzo, alto, moro con capello riccio, corto e ben curato, di carnagione mulatta, sorridente, con una tshirt bianca con stampe giovanili, un paio di jeans sdruciti, scarpe da ginnastica, ed un piccolo zainetto sulle spalle, che come mi vede inizia a gioire festante.
E' stato un lunghissimo abbraccio ed i nostri occhi quasi lacrimano per questo atteso ricongiungimento. Mentre andiamo a prenderci un caffè al bar dell'aeroporto, il nostro tragitto è un susseguirsi di sguardi e di domande, e la sua felicità si manifesta in ogni suo gesto o parola.
E' stato il suo primo viaggio in aereo ed è la prima volta che esce da Cuba; come non poter ascoltare il suo racconto, le sue paure i suoi timori del volo ed infine la gioia di essere atterrato in Italia.
All'aeroporto lo avevano accompagnato la mamma e la sorella, come si fa con un remigino il primo giorno di scuola, con tutte le raccomandazioni del caso.
Dopo un attimo di sosta e aver "scaricato" l'adrenalina del viaggio e dell'arrivo, andiamo al parcheggio a prendere l'auto per avviarci a casa di un amico che lo attende per conoscerlo.
Come esce dall'aeroporto il suo sguardo si perde tra i pullman, le auto, la gente, il caos e la frenesia di chi parte od arriva e mi domando cosa può aver pensato in quei momenti. Ha lasciato poco più di 10 ore fa la tranquillità della campagna cubana e la serenità che ti offre quel limpido mare per ritrovarsi di colpo nel caos e nel frastuono di un mondo per lui tutto nuovo.



Fine I parte.