Blog di Dante Paolo Ferraris

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Un cubano in Mandrogna (V parte)

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WilmerWilmer è inizialmente affascinato da una città costruita sull'acqua, ma presto si stanca in questo dedalo di vie, anzi, di calle troppo strette. Il caos opprimente è dovuto alla moltitudine di turisti che quasi in ogni periodo dell'anno affollano la laguna. Invece per me Venezia è come un sogno, mi riempie gli occhi, mi altera la percezione del tempo rallentandone impercettibilmente lo scorrere, dandomi la sensazione di trovarsi in un luogo misterioso e mozzafiato. In passato, all'epoca del mio servizio militare di leva, è stato luogo di fuga privilegiato per tutte le domeniche che avevo libere.
A piedi raggiungiamo Piazza San Marco da Piazzale Roma, girovagando per le strette stradine e le antiche piazze, ma dopo un po' ci si stanca a vedere negozi di souvenir, tutti uguali e tutti con la stessa merce. Attira più l'attenzione il barcone trasformato in negozio di frutta e verdura, o le pilotine dei Vigili urbani o dei Vigili del fuoco che in sirena sfrecciano sull'acqua dei vari canali veneziani.
Nei canali più stretti, quelli chiamati rii, trovi solo le piccole imbarcazioni usate dagli abitanti o le gondole cariche di turisti; mano a mano che si incrociano i canali più larghi, si vedono correre mezzi sempre più grandi come i vaporetti che fungono da servizio metropolitano di trasporto per Venezia.
Cerco di spiegare al mio compagno di viaggio che l'accesso principale dei palazzi antichi, e non solo di quelli nobiliari, era proprio affacciato sull'acqua e gli spazi che intercorrevano tra le case erano invece concepiti come semplici elementi divisori, per questo sono tuttora irregolari e spesso molto stretti, ciò per giustificargli la tortuosità delle calle.
Non mi domanda perché Venezia è territorialmente divisa in sestieri, anziché in quartieri come le città di terraferma, quindi è inutile che gli dica che sono sei queste zone: Cannaregio, Castello, Dorsoduro, San Marco, San Paolo, Santa Croce e Giudecca.
Ma anche per indicare le vie si usa il termine "rughe", o il più diffuso "calli", "callette", "caleselle" o ancora "fondamenta", per quelle vie che fiancheggiano i canali principali.
Un gabbiano si posa delicatamente sulla spalla di una turista. Gira vezzoso il capo, poi riparte. Siamo rimasti entrambi immobili a guardarlo svolazzare in un ingannevole abbandono della sinuosa calletta, nella zona del Canal Grande, per poi entrare tra le scolorite case lungo il piccolo canale, sfiorando nel suo traballante volo il cappello di paglia di un gondoliere e sparire tra rugginose imbarcazioni li abbandonate.
Come Wilmer, viaggio sempre con il naso all'insù e gli occhi bassi, a cercare di rubare ogni immagine possibile di Venezia.
In questa città la storia e l'arte si incontrano, in un crocevia di culture e di scambi commerciali,che conserva ancora oggi intatto il fascino dello splendore della antica marineria.
Il Ponte di Rialto fu costruito nel 1591. Sui lati del corpo centrale si trovano negozi di lusso mentre, alla fine del ponte, sorge la chiesa di San Giacomo di Rialto. Lo percorriamo ripetutamente mentre Wilmer dimostra già stanchezza, forse troppe cose da vedere e da capire in così poco tempo.
Piazza San Marco e la Basilica sono il vero cuore della città. Mostro al mio compagno di viaggio la Basilica di San Marco, rivestita da mosaici che raccontano la storia della Serenissima, ma come sospettavo è più attirato dalla moltitudine di persone che riempiono la piazza.
A fianco della Basilica sorge il Palazzo Ducale, antica sede del governo della Serenissima, la cui costruzione risale al XV secolo. Attualmente il Palazzo è un museo, con opere dei migliori artisti veneziani, ma non vi entriamo, preferiamo goderci l'aria fresca e la splendida giornata di sole.
Di fronte al Palazzo Ducale sorge il campanile di San Marco, costruito nel 1173, restaurato da Bartolomeo Bon nel XV secolo e interamente ricostruito nel 1902 a seguito del suo collasso. Pare incredibile ciò che avvenne e tento di spiegarlo a Wilmer che mi guarda con fare incredulo.
Mi soffermo lungo Riva degli Schiavoni a raccontargli del Ponte dei Sospiri, lo storico soprannome datogli nell'Ottocento, poiché si immaginava che i prigionieri che da qui transitavano per andare dai tribunali alle prigioni, guardando la meravigliosa veduta della laguna e sull'isola di S. Giorgio, dalla minuscola finestra del ponte coperto, sospirassero sapendo che molto probabilmente non avrebbero mai più rivisto la luce del sole.
Con curiosità osserviamo un uomo che da solo occupa una delle panchine di un pontile galleggiante. Si mostra indifferente allo spettacolo che gli sta innanzi, dove ad attendere il vaporetto ci sono decine di persone dai lineamenti ed abbigliamenti più diversificati; la sua testa abbandonata tra le spalle che sembra libera di ciondolare e il suo sguardo perso in pensieri racconta l'espressione della malinconia che mi pare rappresentare l'animo di Venezia.
Affaticato, mi appoggio alla balaustra di ferro battuto di un piccolo ponte e guardo le gondole dalla piatta carena, snelle ed eleganti, scivolare placide sull'acqua e ripongo questa seducente immagine nella mia memoria, pronto a ripescarla quando il desiderio nostalgico di tornare mi apparirà forte nella mia mente.
Ci inoltriamo in un viottolo, deserto e stretto dove le alti pareti delle case sembrano volerci sempre più stringere, l'improvviso silenzio in una strada solitaria, ove non vi è presenza umana se non la nostra, mi fa correre lunga la schiena gocce di sudore freddo per la paura di aver perso l'itinerario prefissato. Cerco con l'udito, il duetto dei passi di donne e uomini sconosciuti, il brioso ritmo di camminata con passi leggeri, mi apparivano fino ad un attimo prima misteriosi e sottili. In questo labirinto veneziano fatto di "calle, callette e fondamenta" Wilmer mi segue fiducioso non pare aver colto il mio timore di aver perso la direzione.
Ora l'eco dei passi nuovamente si sparge d'intorno ed ecco all'improvviso il chiassoso trenino umano ricomparire, è nuovamente la Venezia turistica, ci ritroviamo pigiati fra i muri scrostati e una moltitudine di ospiti stranieri alla scoperta della città dei dogi.
Mi è quasi impossibile descrivere Venezia in poche parole, un'impresa persa in partenza, come persi sono gli sguardi di Wilmer, visibilmente affaticato di tanto girovagare tra il caos di frotte di turisti.
Venezia non solo è una delle città considerate tra le più belle al mondo, ma è anche un luogo in cui la storia è talmente stratificata e "ammucchiata" da far parlare ogni singola pietra con la quale è stata edificata.
Ecco perché Venezia è incredibile, affascinantemente malinconica ma anche appagante e non solo nel visitare i grandi monumenti ma anche perdersi per le calli, scoprire i campielli più isolati, sostare in una osteria e pranzare con i gondolieri, su minuti tavoli e rendersi conto come il turista non sia estraneo alla città, ma solo un passeggero, un ospite importante.
Torniamo a Riva degli Schiavoni che prende il suo nome dai mercanti provenienti dalla Dalmazia che ai tempi della Repubblica di Venezia era chiamata anche Slavonia o Schiavonia, ed è qui che vi approdavano con le loro navi mercantili ed avevano i loro stand commerciali. La riva infatti costituiva parte integrante del porto commerciale di Venezia, cerco di spiegare a Wilmer come l'origine del nome non abbia nulla a che vedere con la schiavitù.
Mentre prendiamo il battello che ci riporterà a Piazzale Roma, mi pervade la malinconia; anche se mi pare di trovarmi dentro il supplizio di un girone dantesco, schiacciato tra le centinaia di turisti che affollano il vaporetto. Non voglio lasciare questo posto, qui mi sento come a casa. Guardo Wilmer appoggiato alla ringhiera del battello, che corre placidamente sulle acque del canale della Giudecca, intento a scattare fotografie. Ogni tanto mi lancia uno sguardo di compiacimento, vedo i suoi occhi pieni di gioia e soddisfazione e il suo sorriso mi ripaga della sfacchinata fatta.
Raggiungiamo il pullman per tornare al nostro bed & breakfast; siamo stanchi, le gambe cedono ma ho ancora voglia di Venezia. Devo tornare a respirare ancora un po' gli odori di questa città, dai muri chiazzati d'umidità, ammirare le finestre e i portali cinquecenteschi, rimanere affascinato e imitare i marinai che bevono "ombre" nelle osterie.
Siamo stanchi e giunti a Mestre nel tentativo di prendere un secondo pullman che ci eviti la lunga camminata dall'aeroporto di "Tessera", sbagliamo anche mezzo e quindi allunghiamo infinitamente il viaggio, tanto che finalmente giunti all'Aeroporto dobbiamo riposarci e rinfrescarci al bar prima di riprendere la camminata verso la nostra meta.



Fine V parte.