Blog di Dante Paolo Ferraris

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La città patavina di Antenore (IV parte)

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Tomba di AntenorePer raggiungere via San Francesco non posso non dare uno sguardo all'antico ponte romano sul Naviglio Interno, ora interrato ma visitabile.
Infatti Il Ponte di San Lorenzo è l'unico interamente conservato fra gli antichi cinque ponti della Padova romana; pare risalire al decennio 40 - 30 a.c., e conserva ancora l'iscrizione con i nomi dei magistrati che ne seguirono la realizzazione. Sotto questo ponte passava anticamente il naviglio interno, detto Flumesello.
Il Ponte fu ritrovato nel Settecento, ma è solo con gli scavi attuati nel 1938, per restaurare il Palazzo del Bo, venne totalmente alla luce, così da poterne ancora ammirare gli antichi resti.
Il Ponte deve il suo nome alla chiesa di San Lorenzo, oggi non più esistente perché fu soppressa nel 1809 per volontà napoleonica. A questa chiesa era anche addossata la Tomba di Antenore.
Ma eccoci di fronte all'antica tomba di Antenore, un'antica edicola medievale che secondo la tradizione, dovrebbe contenere le spoglie del mitico fondatore di Padova. Il monumento è posto oggi nell'omonima piazzetta, davanti all'edificio della Provincia.
Anténore è un personaggio della mitologia greca, citato in vari racconti. Nell'Iliade (un poema epico attribuito ad Omero), Antenore viene descritto come un vecchio saggio troiano che implora i suoi concittadini affinché essi consegnino Elena al marito, Menelao, per scongiurare il conflitto con gli Achei. Tale richiesta rimarrà inascoltata e darà avvio alla guerra.
Per molti altri autori classici, anche medievali, Antenore è invece additato come un traditore. Per Ellanico,(scrittore greco antico del V secolo a.C), Servio Mario Onorato (grammatico e commentatore romano) o Ditti Cretese (Presunto cronista ufficiale del re di Creta Idomeneo), Antenore tradì i Troiani, consegnando ad Ulisse e a Diomede il Palladio, ossia il talismano della invincibilità troiana, in cambio della salvezza della vita per sé e la propria famiglia.
Secondo Tito Livio, invece, Antenore ottenne la libertà dagli Achei proprio per il suo ruolo di moderato durante la guerra.
Comunque siano andate le cose, sempre secondo la leggenda, dopo la distruzione di Troia, Antenore raggiunse l'Italia con alcuni amici Troiani, e fondò Antenorea, denominata successivamente Padova, dove poi vi morì. Di fatto, Antenore è considerato altresì il capostipite dei Veneti.
Ricordo solo che durante i cinquanta giorni di guerra narrati nell'Iliade, Antenore perde sette figli ed il nipote Echeclo. Anche Dante Alighieri che soggiornò a Padova per qualche tempo, come testimoniato da una lapide visibile in Piazza Antenore, ricorda il fondatore di Padova, denominando Antenora il concentrico del cocito (girone dell'Inferno), luogo dove vengono puniti coloro che hanno tradito la propria patria, seppellendoli fino alla cintola e con la parte superiore del corpo esposta ai gelidi venti infernali.
Durante la costruzione di un ospizio per trovatelli in via San Biagio (1274), fu rinvenuta un'arca funeraria con due bare in cipresso e piombo, contenenti dei resti umani con una spada e due vasi di monete d'oro. Il giudice Lovato dè Lovati, umanista, notaio e poeta, venne chiamato a esprimere il suo parere sull'identità del guerriero ed attribuì i resti al principe troiano Antenore al quale, secondo Tito Livio, si deve la fondazione di Padova. Come sempre, alla ricerca di una legittimazione mitologica della propria città, i notabili della città avvallarono questa tesi e nel 1283 fu decisa la costruzione di un monumento per contenere l'arca, e a Lovati dè Lovati venne concesso di incidere due sue quartine in latino sui lati della stessa arca.
Lo stesso Lovati dè Lovati definito dal Petrarca come il più grande poeta latino della sua epoca se non avesse mescolato il letterario al politico, viene dapprima sepolto nella vicina chiesa di San Lorenzo, ma successivamente con la soppressione dei monasteri, la chiesa fu sconsacrata nel 1808, e nel 1937 fu demolita e in tale occasione la sua tomba venne spostata su un lato della piazza Antenore vicino proprio arca del cavaliere troiano.
Recentemente nel 1985 l'arca è stata riaperta per sottoporre i resti del cavalieri troiano ad analisi scientifiche che ne hanno escluso ogni relazione con l'eroe troiano, dimostrando che i resti apparterrebbero a un guerriero ungaro, morto durante le invasioni del IX secolo.
La casa su cui è posta la lapide che ricorda il soggiorno di Dante Alighieri è il quattrocentesco Palazzo Romanin Jacur che anticamente era chiamato "Ca' d'Oro", perché richiama il disegno dei palazzi veneziani benché ricostruito e restaurato nell'Ottocento in chiave neogotica. La lapide è posta all'altezza del primo piano, a sinistra del poliforo del piano nobile, ricorda che qui dimorò, nel 1306, Dante Alighieri, ma la notizia pare inattendibile, pur essendo certo che il poeta sia stato a Padova. Su questa casa alla destra del poliforo un altra lapide ricorda che l'edificio venne colpito da bomba aerea austriaca nel mattino del 21 giugno 1916.
Non fu il primo bombardamento della città durante la prima guerra mondiale, infatti la prima bomba cadde il 9 aprile dello stesso anno alle ore 11.45 colpendo una casa di via Savonarola 31 e causandone il crollo ma lamentando solo un ferito. Un secondo bombardamento si ebbe il 20 giugno sempre del 1916 che ferì 5 operai e un militare, mentre il 21 giugno alle ore 10.00, due bombe colpirono, l'una Palazzo Romanin Jacur ferendo un passante, la seconda una casa in via Manin ferendo un altra persona. Dobbiamo attendere il 13 luglio per veder cadere su Padova 153 bombe di aerei, con due morti e parecchi feriti. Dal 13 luglio fino al mese di novembre vi furono solo incursioni senza danno alle persone. La vera tragedia Padova la visse la sera dell'11 novembre con l'eccidio della "Rotonda" nel quale persero la vita 93 persone con 26 feriti. Così scrisse l'avvocato A.G. Tonzig: Volle fatalità che in seguito a segnali di allarme, moltissimi abitanti del quartiere popolare prossimo al Bastione della Rotonda, abbandonate le loro case ove si credevano mal sicuri, siano corsi a rifugiarsi, come avevano già fatto in occasione di precedenti incursioni, nella cosi detta "casamatta" del bastione stesso, l'interno della quale era in quei giorni invaso dalle acque e quindi reso inaccessibile in causa della piena dei fiumi. La moltitudine accorsavi fu perciò costretta a soffermarsi all'ingresso. Proprio in quel punto e precisamente nel piccolo vano esistente fra il bastione e l'attigua casa Burlini, cadde una bomba di grossissimo calibro (taluno afferma che le bombe vi cadute siano state due immediatamente consecutive), la quale esplose e determinò una vera ecatombe, facendo strazio orrendo dei corpi dei colpiti, molti dei quali furono ridotti addirittura in sanguinolenta poltiglia, mentre molti altri,spinti e cacciati a forza nell'interno della casamatta caddero in acqua e miseramente affogarono. I bombardamenti proseguirono per tutto il periodo della prima guerra mondiale fino alla fine della guerra nel 1918.
Su Piazza Antenore, che fu aperta solo nel 1937, come detto prima si affaccia il Palazzo della Provincia/Prefettura, dapprima sede del Palazzo di Giustizia e riqualificato solo nel 1933 con la sua facciata neorinascimentale. L'edificio sorge in parte nell'area un tempo occupata dalla Chiesa e dal Monastero di Santo Stefano delle monache benedettine (874) e successivamente incorporata dalla Chiesa di San Lorenzo. Ci soffermiamo lungamente ad ammirare la sede del Palazzo della Provincia e l'arca di Antenore. La vicina fermata degli autobus, trasforma le aiuole e con esse le monumentali tombe, a bivacco di giovinastri che senza rispetto e magari ignari su quale memoria storica stanno posando le gioviali natiche, rendono sfregio a tanta storia patavina.
E mentre iniziamo a percorrere via San Francesco, transitando sotto portici, mi sovviene quanto il grande ateniese Sofocle, (497-406 a.C.) scrisse in una sua perduta "tragedia" intitolata Antenoridi, sulla conquista di Troia, riferendo che davanti alla porta di casa di Antenore era stata appesa una pelle di leopardo quale segno di riconoscimento perché fosse lasciata inviolata e che Antenore e i figli, con gli Eneti sopravvissuti, trovarono scampo in Tracia, e da qui si diressero alla volta della cosiddetta "terra enetica" sull'Adriatico; da qui il nome Veneto.
Una passeggiata per via San Francesco è una passeggiata tra storia, palazzi antichi ma anche tra librerie, antiche botteghe, negozi di antiquariato e numismatica; specchio e memoria di antiche tradizioni artigianali.
Il percorso lungo la via Portici Alti, così veniva chiamata dai padovani, lo facciamo purtroppo con un passo lungo e sostenuto, ma cercando di non perdere le peculiarità e sopratutto cercando di immergersi nell'atmosfera di un angolo di città che pietra su pietra racconta la sua storia.
Incontriamo dapprima Palazzo Sala, poi Francesconi, costruzione del 1507, che presenta una ricca facciata in bugnato a punte di diamante, architravi, poggioli ecc. Alziamo lo sguardo per guardare l'antica torre di Palazzo Zabarella, un complesso medievale, oggi sede della Fondazione Bano, ente privato che si occupa di promuovere e valorizzare beni d'interesse storico e artistico.
All'angolo con vicolo Santa Margherita scorgiamo, sul sito di un precedente monastero, l'Oratorio di S. Margherita, realizzato nel 1748, in stile neoclassico con la sua sobria eleganza della facciata in pietra d'Istria, purtroppo non possiamo visitarne l'interno, ma mi prefiggo di farlo in una prossima visita alla città. Vicino troviamo la Scuola della Carità, una delle più importanti ed antiche confraternite laicali della Padova medioevale, che amministrava i lasciti destinati al soccorso di infermi e poveri, dove potremmo ammirare, se fosse aperta al pubblico, i cicli di affreschi dedicate alla Vergine. Notevole, anche Palazzo Papafava, posto al civico 39, poco prima dell'oratorio di Santa Margherita, un bel esempio del rinascimento patavino con le sue quattro arcate e con fascia d'affreschi cinquecenteschi.
Di fronte alla scuola della Carità e all'oratorio, silenziose arcate dai colori del mattone rosso che esprimono soffusa l'atmosfera dei secoli trascorsi ci ricordano che vi era l'ingresso all'Ospedale di S. Francesco Grande che è stato il principale ospedale della città di Padova dal 1416 al 1798, quando fu sostituito dall'Ospedale Giustinianeo e qui vi fu istituita una clinica medica per gli studenti di medicina. Le undici arcate portico dell'ospedale medioevale sono il naturale proseguimento di quelle della Chiesa e Monastero di San Francesco che i patavini chiamano San Francesco grande.
La chiesa è parte integrante di un grandioso complesso gotico e si pone come elemento di divisione tra l'Ospedale e il convento francescano. I vari edifici godono di un lungo portico, tutto voltato a crociera e parallelo alla via, composto da trentasette arcate con decorazioni in cotto. Un tempo il sottoportico era completamente decorato dalle storie di San Francesco in "verdeterra" (una sorta di grisaglia monocromatica). Il tempo l'ha deteriorato e l'uomo ha fatto la sua parte per contribuire al degrado, così da scorgerne solo qualche immagine.
Troviamo poca gente in strada, qualche sparuta auto, dei ragazzi in bicicletta e l'immancabile personaggio che forse ha bevuto qualche "ombra" di troppo.
Ci soffermiamo a guardare lo stemma araldico posto sulla colonna nell'androne d'entrata di Palazzo Orsato Lazara Giusti del Giardino, che ne racconta le nobili origini.
Il palazzo del XV secolo fu residenza degli Orsato, illustre famiglia padovana, e nel 1574 ospitò il Re di Francia e Polonia Enrico III Valois, inoltre durante la prima guerra mondiale ospitò anche Vittorio Emanuele III.
Nel 1944 il palazzo fu confiscato dalla Banda Carità, Corpo speciale segreto della Polizia Fascista e fra l'ottobre del 1944 e l'aprile del 1945 fu purtroppo spettatore delle violenze e degli assassini da essa perpetrati.
Su di una lapide, posta nel portico, è possibile leggere i versi della Canzone della Nave:
Nave tu porti un carico d'intemerata fede, gente che spera e crede nel sol di libertà.
Vai verso la vittoria carica di catene, navighi fra le pene verso la libertà.
Fame, torture, scariche sibili di staffili non ci faran vili: viva la libertà.
Sorge la nuova Europa in mezzo a tanti mali, e un popolo d'eguali nasce alla libertà.

Versi opportunamente modificati dall'originale per ricordare le vittime della banda paramilitare fascista ed il luogo di prigionia e tortura di partigiani e patrioti. Oggi il Palazzo è sede della Società del Casino Pedrocchi, un'associazione privata, centro di cultura, di lettura e di memorie storiche.



Fine IV parte.