Blog di Dante Paolo Ferraris

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Chiaroscuri nella città eterna (IV parte)

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RomaCon passo solerte ma tranquillo, cercando di non essere investito dai gruppi di turisti asiatici che seguono la loro guida con la punta dell'ombrellino giallo rivolta al cielo, cerco di dirigermi verso la mia nuova meta.
Non posso non passare nella chiesa di Sant'Ignazio di Loyola a Campo Marzio, una chiesa barocca proprio adiacente al Collegio Romano di cui era cappella universitaria. Il Collegio Romano fu voluto da sant'Ignazio di Loyola dopo la fondazione della Compagnia di Gesù avvenuta nel 1534, offrendo un percorso scolastico che copriva dagli studi elementari a quelli universitari. Il Collegio Romano fu inoltre teatro dei dotti dibattiti tra Galileo e i luminari della santa sede, sia di astronomia che di astrologia in quella che fu anche sede dapprima di osservazione astronomica e poi sede del Regio ufficio centrale di meteorologia, istituito con Regio decreto 3534 del 26 novembre 1876.
La facciata della chiesa non è nulla di straordinario per la città eterna. È strutturata su due ordini: nella parte inferiore sono collocate le tre porte che ne permettono l'accesso e sono sormontate da curvilinei timpani abbelliti da raffinati festoni. Inoltre la porta centrale è affiancata da due grandi colonne con capitelli corinzi. Nella parte superiore, proprio sopra la porta centrale, vi è una gran finestra che permette alla luce di entrare nella chiesa illuminando la navata mentre ai lati vi sono due grandi nicchie vuote. Sulla facciata c'è la lunga incisione che suddivide la parte superiore da quella inferiore la quale ricorda che la chiesa fu costruita nel 1626 per volontà del cardinale Ludovico Ludovisi ( nipote di papa Gregorio XV).
L'edificio fu realizzato sul sedime dell'antica chiesa dell'Annunziata che era divenuta troppo piccola per l'afflusso degli studenti del Collegio Romano. Il nuovo tempio fu dedicato a Ignazio di Loyola, che era stato canonizzato il 12 marzo 1622.
Quando si entra nella chiesa si è colpiti dall'ampiezza della navata centrale. Le tre arcate per ogni lato lungo sono di marmo rosso, sostenute da colonne e danno accesso alle cappelle laterali. Nel presbiterio sono illustrati momenti fondamentali della vocazione di sant'Ignazio e degli inizi della Compagnia con begli affreschi. La volta ricorda l'assedio di Pamplona, episodio all'origine della vocazione di Ignazio.
Osservo verso l'alto, stando in piedi in un punto marcato a terra da un disco dorato posto sul pavimento della navata, potendo così ammirare la simulazione prospettica di una seconda chiesa, quasi fosse sovrapposta a quella reale; un altro segno nel pavimento, un po' più avanti verso l'altare, contrassegna un altro punto per l'osservazione ideale di una seconda tela prospettica, sopra la crociera, che riproduce l'immagine di una cupola. Infatti la maestosa cupola in muratura prevista dal progetto, forse per motivi economici, non venne mai realizzata. Si dice anche che siano stati gli abitanti del luogo a non desiderare una cupola troppo grande che oscurasse loro il sole.
Nell'edificio si conservano i corpi di diversi santi della Compagnia di Gesù, come Luigi Gonzaga, Roberto Bellarmino, Giovanni Berchmans. Un'altra tomba conserva il corpo di Padre Felice Maria Cappello (1879 - 1962) soprannominato "il confessore di Roma", anch'esso Gesuita docente alla Pontificia Università Gregoriana e per il quale è aperta la causa di beatificazione.
Giungo così in piazza del Pantheon, anche conosciuta come piazza della Rotonda. Qui, di fronte al Pantheon, quasi a rubare gli sguardi c'è l'obelisco "macuteo", alto circa sei metri, ma che con la fontana, il basamento e la croce raggiunge i 15 metri.
Fu realizzato all'epoca di Ramsete II a Heliopolis e portato a Roma da Domiziano, per essere collocato nel tempio dedicato alla divinità egizia Iside a Campo Marzio. Fu ritrovato nel 1337 presso la piazza di San Macuto (da cui deriva il nome di "obelisco Macuteo"), eretto nella piccola piazzetta e quindi spostato davanti al Pantheon nel 1711 per volere di papa Clemente XI collocandolo sopra ad una bella fontana.
Certo che in questa piazza i turisti vengono assaliti da stordimento, quasi fosse sindrome di Stendhal, poiché ovunque ti giri la storia di Roma e del mondo sembra vorticarti intorno e tu fai parte di questi giri velocissimi di trottola, al centro della piazza dove s'innalza l'obelisco Macuteo.
Ci sono infatti almeno tre lapidi, che definire eloquenti è poco; queste piccole lastre in marmo raccontano incisa la storia della città.
La prima lapide è di Pio VII, il cesenate papa Chiaramonti che nel 1823, ordinava di abbattere le «ignobili taverne», che «occupavano» l'area davanti al monumento; così, indica la dicitura, «vendicava la deformità» inflitta al luogo:
PAPA PIO VII NEL XXIII ANNO DEL SUO REGNO
A MEZZO DI UN'ASSAI PROVVIDA DEMOLIZIONE
RIVENDICÒ DALL'ODIOSA BRUTTEZZA
L'AREA DAVANTI AL PANTHEON DI M. AGRIPPA
OCCUPATA DA IGNOBILI TAVERNE
E ORDINÒ CHE LA VISUALE FOSSE LASCIATA LIBERA IN LUOGO APERTO
Già il Papa allora badava al luogo e alla sua integrità, proprio per la sua monumentalità. Ovviamente la lapide è un mero ricordo di tempi passati, ed ora sovrasta un ameno locale con tanto di tavolini e frotte di turisti. Tutta la piazza è nuovamente invasa dai dehors e da altre mille brutture che ne deformano l'aspetto monumentale, rendendolo un accattivante luogo ludico per turisti frettolosi, impegnati a sorseggiarsi un caffè comodamente seduti di fronte all'antico tempio, la cui cupola è stata la più grande del mondo per 1.700 anni (diametro 43 metri e mezzo, uno più del "cupolone" di San Pietro); paradossi e contraddizioni tutte italiane e consumistiche.
Nel mio giro di trottola altre due lapidi successive ricordano i soggiorni del musicista Pietro Ma scagni, nel 1890, e di Ludovico Ariosto, nel marzo - aprile 1513, in un albergo che si chiamava "del Montone", ed in seguito "del Sole". Voglio io qui richiamare alla memoria, anche se nessuna lapide lo ricorda, che da un balcone si affacciò anche Garibaldi, indossando non più la rossa giubba ma ormai i panni di senatore del Regno. Le cronache raccontano che l'apparizione al balcone suscitò un autentico tripudio della folla. In risposta all'esultanza popolare l'eroe dei due mondi disse: «O Romani, vi esorto a essere seri», invitando il popolo entusiasta ad evitare che lo si evocasse come un re.
Sempre sulla piazza un'altra lastra marmorea ricorda come, nel 1906, la superficie o parte di essa fosse stata lastricata con quadretti o quadrelle di legno provenienti dalle foreste argentine, donate dal Municipio di Buenos Aires che "volle pietosamente circondare di religioso silenzio le tombe venerate dei due primi re d'Italia".
In questo luogo storico aleggia ancora oggi il ricordo di un fatto di cronaca che il Benucci così descrive: "Nota è la storia di quei due nativi di Norcia, che tenevano un macello alla Rotonda, dove facevano così buone salsicce, che avevano un grande spaccio con loro gran guadagno. Si venne un giorno a scoprire che questi due esperti norcini, per far le salsicce più saporite, attiravano in una loro cantina uomini piuttosto pingui e laggiù li freddavano con un colpo di bastone alle tempie e, bruciati i loro abiti e le ossa, la carne impastavano nelle salsicce, ch'erano trovate tanto buone e che tutti i ghiottoni di Roma si disputavano. Scoperti vennero condannati a morte e la sentenza fu eseguita sotto Urbano VIII, il 3 febbraio 1638". Al riguardo tra i pochi romani superstiti è rimasta l'abitudine di esclamare "Ha fatto a fine di' noricini da' Rotonna" riferendosi a qualcuno che tarda ad arrivare o che non dà notizia di sè.
Non può mancare un sonetto del Belli dedicato a "La Ritonna":
Sta chiesa è tanta antica, gente mie, / Che ce l'ha trova er nonno de mi' nonna.
/ Peccato abbi d'avè ste porcherie / Da nun essece bianca una colonna! / Prima
era acconzagrata a la Madonna, / E ce sta scritto in delle lettane: / Ma doppo s'è
chiamata la Ritonna, / Pe' certe storie che nun so' bucie. / Fu un miracolo, fu;
perché una vorta / Nun c'erano finestre, e in conclusione / Je dava lume er bucio de
la porta. / Ma un papa santo, che ciannò in prigione, / Fece una croce; e subbito a la
vorta / Se spalancò da sé quell'occhialone. / E ‘r miracolo è mòne / Ch'er muro, co'
quer buggero de vòto, / se ne frega de sé e der terremoto.
Certo è che questo è il luogo migliore per un appuntamento per i turisti e qui, più che in ogni altra parte di Roma, gli stessi romani sembrano quasi scomparire da quanto ormai la piazza si sia fatta internazionale.
Eppure questo posto fu nei secoli passati uno dei centri nevralgici della Roma popolare. Non mi è difficile immaginare la Rotonna con i banchi di legno dei norcini e di chi vendeva cacciagione, uova e pollame. Sicuramente era un luogo affollato anche allora, con mercato gremito da matrone romane e di servette, ma meno straniero e meno scintillante di flash delle macchine fotografiche.
La piazza è un luogo magico, un vero un intrigo di scoperte, ma le più grandi o più misteriose sono racchiuse nel Pantheon, anche volgarmente chiamato la Rotonda.
Ogni qualvolta che mi trovo di fronte al Pantheon divento vittima di un sortilegio irresistibile, mi sento fortemente attratto da questo edificio, come se vi fosse una calamita che mi attrae verso il suo interno, ma come vi entro, qualcosa o qualcuno mi mette premura ad uscirne. Una strana sensazione che si è ripetuta molte volte. Sono come attratto dal pronao ombroso e grigio che trasuda tutti i suoi millenni, dalle sue pietre calpestate da milioni di persone di ogni lignaggio e ceto, dalla sua cupola che pare acquattata fra i palazzi che gli fanno da cornice. Tutto intorno, ormai come se fosse un antico fossato che protegge il castello, corre un girotondo marrone scuro di semplici antichi mattoni, ove antichi marmi vi sono deposti quasi come in una tavolozza settecentesca in chiaro scuro.
E come un antico rito, quasi protocollare, vi entro cercando di farmi scorrere nelle vene quel fluido di bellezza che racconta questo monumento.
Non si può non fare il conto dei suoi anni. Il vecchio tempio pagano, dedicato a tutti gli dei, è lì dal 25 avanti Cristo e dal 125 d.C. è di nuovo aperto alle funzioni, grazie all'intervento restauratore dell'imperatore Adriano che lo fece riedificare (nelle sue forme originarie) dopo un incendio. Ed è una chiesa cattolica dal 609, l'anno in cui l'imperatore Foca lo donò a papa Bonifacio IV per dedicarlo a tutti i martiri.
Il Pantheon forse è sorto sul luogo dove i Romani credevano che Romolo fosse stato divinizzato, cioè in Campo Marzio durante una tempesta, anche se una variante del mito racconta che la morte avvenne in Senato.
Tito Livio, Ab Urbe condita libri, scrive «Stamattina o Quiriti, verso l'alba, Romolo, padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo e apparso davanti ai miei occhi. [...] Va e annuncia ai Romani che il volere degli Dei è che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Che essi diventino pratici nell'arte militare e tramandino ai loro figli che nessuna potenza sulla Terra può resistere alle armi romane.»
Nella probabilità storica, invece è più credibile che il primo re di Roma sarebbe morto assassinato dai Patres durante una seduta del consiglio regio al Volcanal (il tempio di Efesto nel Foro romano), sempre secondo Plutarco in Vita di Romolo. Si narra che Romolo avesse imposto molte limitazioni alle competenze del Senato, trasformandolo nei fatti in un organo di facciata per mascherare una forma di monarchia sempre più "dispotica" e che il suo corpo sarebbe stato poi simbolicamente smembrato dai senatori, "a causa del suo carattere troppo duro" (Floro, Epitoma de Tito Livio ) e le sue parti "divise tra gli stessi membri del Senato" (Plutarco, Vita di Romolo), sepolte poi in diverse zone della città.
Ancora la tradizione popolare vuole che il punto in cui sorge il Pantheon fosse quel luogo leggendario dove Romolo, fondatore di Roma, alla sua morte fu afferrato da un'aquila e portato in cielo fra gli dei.
Il Pantheon è un monumento che vanta molti primati, tra cui lo stato di conservazione, ma possiede anche la cupola in muratura più grande di tutta la storia dell'architettura, l'opera dell'antichità romana più studiata, più copiata ed imitata, basta considerare che Michelangelo la considerava opera di angeli e non di uomini.
Il nome deriva da due parole greche: pan, "tutto" e theon "divino", infatti originariamente il Pantheon era tempio di minori dimensioni, dedicato a tutte le divinità romane. Fu fatto erigere tra il 27 e il 25 a.C. dal console Agrippa, prefetto dell'imperatore Augusto. Domiziano, nell'80 d.C., lo ricostruì dopo un incendio ma colpito da un fulmine prese nuovamente fuoco trent'anni dopo. Fu allora ricostruito nella sua forma attuale dall'imperatore Adriano, nel periodo in cui l'impero di Roma raggiunse il culmine del suo splendore.
Benché la nuova struttura risultasse molto diversa da quella originale l'imperatore Adriano volle che sulla facciata fosse apposta un'iscrizione latina che tradotta significa "Lo costruì Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta".
Indugio sotto il pronao per godermi lai variazione di luce che il colonnato offre e per avvertire i segni lasciati dal tempo trascorso, attraverso i suoi muri ma anche dal mosaico di targhe, lapidi, iscrizioni che sono state posate sui suoi marmi.
Dopo aver varcato il monumentale portone bronzeo, necessariamente devo alzare gli occhi verso la volta del soffitto e cercare la luce che entra attraverso il famosissimo occhio della cupola, domandandomi se davvero il pavimento sottostante non si bagna quando fuori piove, come vuole una leggenda metropolitana e rispondermi che non è vero; è che ho avuto modo di essere presente in giorno di pioggia intensa e trovare l'acqua piovana che scendeva dall'occhio della cupola e cadeva su grandi teli, distesi per l'occasione per asciugare il pavimento.
La domanda che tutti si pongono è sempre la stessa, ma perché lasciare quest'occhio, o meglio questo «opaion» (per dirla come gli antichi romani), unica finestra circolare del diametro di nove metri che si apre al centro della mastodontica cupola? La risposta come sempre sta nella scelta scenografica di alcuni eventi, in particolare quelli del 21 aprile, data emblematica alla quale, per volere di Romolo, si fa risalire la fondazione della città eterna. Infatti i raggi del sole, scivolando dall'apertura, colpiscono le pareti del tempio come un riflettore di scena, e da secoli secondo le ore, i giorni e le stagioni illumina ormai le esedre interne e le diverse edicole. Ma è proprio a mezzogiorno del 21 aprile che il fascio luminoso, fluendo dall'opaion, colpisce perfettamente la porta d'ingresso del Pantheon. In quel preciso istante vi entrava l'Imperatore e la luce dei raggi solari, amplificata dalle lucenti e monumentali porte di bronzo, creava una impressionante scenografia, quasi fosse un teatro solare che magnificava ed esaltava l'ingresso dell'Imperatore nel giorno dei Natali di Roma. Un vero progetto archeo-astronomico, che trova pari solo nello studio delle Piramidi egizie.


Fine IV parte.