Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XXXVIII parte)

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Madama BumbFinalmente raggiungo la piazzetta Reale.
E così mi trovo nel punto considerato magneticamente e spiritualmente più positivo di tutta la città: il varco che divide piazza Castello dalla piazzetta Reale. Qui un tempo si ergeva una costruzione in cui veniva esposta la Sindone per la venerazione popolare. La costruzione che divideva le due piazze era chiamata Padiglione, ed ancora oggi molti torinesi così chiamano la cancellata che ancora divide le due piazze. Si racconta che l'esposizione della Sindone procurasse guarigioni o alleviasse ogni tipo di problemi solo toccandola, e che la sua forza 'taumaturgica' durante le ostensioni ne donasse un influsso benefico agli astanti in preghiera, tanto che l'adorazione della popolazione avrebbe intriso il luogo dove veniva esposta di una carica magnetica positiva, ossia il Padiglione.
Così descrive Vittorio Alfieri nella "Vita di Vittorio Alfieri da Asti": «...mancava forse soltanto alla di lui facoltà architettonica una più larga borsa di quel che si fosse quella del Re di Sardegna: e ciò testimoniano i molti e grandiosi disegni ch'egli lasciò morendo, e che furono dal Re ritirati, in cui v'erano dei progetti variatissimi per diversi abbellimenti da farsi in Torino, e tra gli altri per rifabbricare quel muro sconcissimo, che divide la Piazza del Castello dalla piazza del Palazzo Reale; muro che si chiama, non so perché, il Padiglione.»
Il Padiglione,costituito da un lungo porticato, era il luogo usato dai Savoia per affacciarsi per le manifestazioni pubbliche come appunto le ostensioni della sacra Sindone. Il Padiglione prese fuoco il 7 luglio 1811, durante i festeggiamenti per la nascita del Re di Roma, ossia Napoleone Francesco Giuseppe Carlo Bonaparte (Parigi, 20 marzo 1811 – Vienna, 22 luglio 1832). Costui era figlio di Napoleone Bonaparte e della sua seconda moglie Maria Luisa d'Asburgo-Lorena, e fu anche per un breve periodo, Imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone II. Nel suo atto di nascita, posto in un registro speciale, si può leggere:
«Sua Maestà l'Imperatore [dei Francesi, N. di r.] e Re [d'Italia, N. di r.] ci ha dichiarato essere sua intenzione che il re di Roma riceva i nomi di Napoléon, François, Joseph, Charles.»Napoleone II.
L'incendio del Padiglio racconta anche una strana e particolare storia. La vicenda è legata ad un taccuino portato in salvo dall'incendio, insieme ad altri oggetti di scarso valore contenuti in una cassa e deposto provvisoriamente in uno scantinato in via della Zecca, oggi via Verdi. Quel taccuino insieme ad altri oggetti fu successivamente acquistato da avvocato torinese che benché in parte illeggibile, fu datato 1756 e pare che contenesse annotazioni profetiche di fatti poi realmente avvenuti.
Sempre via della zecca fu scenario di misteriosi delitti tra cui l'avvelenamento dello scultore Giacomo Spalla, nel 1834, un giallo mai risolto.
L'entrata principale dell'Università di Torino è posta in via Verdi, ieri appunto via della Zecca. Il cui portone ligneo d'ingresso è molto prezioso, opera appunto dell'ebanista Giacomo Spalla, che fu anche docente di scultura ed intaglio. Un personaggio autorevole ed apprezzato nell'800 anche dalla corte di Napoleone per la finezza dei suoi lavori. Il professore era un abitudinario ed amava fare lunghe passeggiate pomeridiane, ed abitando a pochi passi dall'ateneo, al ritorno a casa faceva sempre in modo di passare davanti al portone dell'Università. Si dice che avesse pochi amici, nessun vizio e apparentemente nessun nemico.
Si legge dalle cronache che un ragazzino tra i nove ed i dieci anni, di aspetto insignificante, bussò alla porta di casa del professore intorno alle 17, quando costui doveva ancora rientrare dalla sua passeggiata. Gli aprì la moglie ed il ragazzino le diede un pacchetto dicendole "lo manda il farmacista, lo speziale Cauda".
Al ritorno benché il Professore non avesse ordinato nulla dallo Speziale, come racconta la moglie, scartò il pacchetto e ne trasse una boccetta con un liquido verdazzurro e trasparente. Il professore svitò il tappo, annusò il contenuto e ne assaggiò un sorso. La boccetta conteneva un veleno e Giacomo Spalla morì in pochi attimi. Ovviamente il farmacista dichiarò di non aver inviato nessun pacchetto a casa dello Spalla e la polizia nonostante diversi mesi di indagini non riuscì neanche ad identificare il ragazzino e il caso venne archiviato.
Ritorniamo nella piazzetta reale e ricordiamo solo alcuni di altri terribili incendi che sconvolsero Torino tra i quali quello del 1817 del palazzo municipale, di palazzo Chiablese del 1821, dell'albergo della Dogana Vecchia del 1840 e del 1858 del teatro Alfieri.
Fu poi per volere di Carlo Alberto che il padiglione venne sostituito da una cancellata in ferro fuso, progettato da Pelagio Palagi tra il 1835 e il 1838. Sulla cancellata composta da grandi lance dalla punta dorata vi sono dei riquadri a mo' di scudi con effigiata la testa di medusa.
Mentre sui pilastri della cancellata compare la scritta "fert"; motto di casa Savoia, un altro dei più grandi misteri torinesi.
La prima volta la scritta fert comparve fu sull'insegna del collare dell'Ordine del Collare; ordine cavalleresco fondato da Amedeo VI di Savoia nel 1364 e trasformato da Carlo "il buono" ossia Carlo II o III di Savoia(1486 – 1553) come Ordine (religioso-militare) della SS. Annunziata.
Ma molte sono le interpretazioni di questo motto, gli studiosi hanno dato diverse interpretazioni, tra le quali le più note sono:
  1. Fert acronimo di Fortitudo Eius Rhodum Tenuit (La sua forza preservò Rodi). Questa versione è del letterato cinquecentesco Francesco Sansovino e si riferirebbe ad un episodio leggendario secondo cui un Amedeo di Savoia si recò a Rodi per liberarla dall'assedio dei turchi riuscendo nell'impresa. Pero non risulta che Amedeo IV e nemmeno Amedeo V e nessun conte di Savoia si recò mai a Rodi. In realtà l'isola passò ai Cavalieri Ospitalieri, che la presero ai bizantini, due secoli dopo gli eventi leggendari narrati;
  2. Fert, terza persona singolare del presente indicativo del verbo irregolare latino fero, fers, tuli, latum, ferre, che nella sua accezione più ampia significa "portare", oppure nell'accezione di "sopportare", il che farebbe pensare ad una esortazione. Questa interpretazione è coerente con lo spirito sia dell'Ordine Cavalleresco del Collare, il cui motto iniziale Fert era unito al nodo di Savoia, indicante la devozione mariana, uno dei più importanti aspetti della sopportazione al dolore della vergine e alla devozione mariana che diverrà l'eletto caratteristico dell'Ordine religioso-militare della SS. Annunziata, infatti i suoi membri erano esortati a sopportare le prove in onore e devozione alla Santissima Annunziata;
  3. Fert, potrebbe significare Fortitudo, Fortezza, essendo il Fert accorciamento di Fertè, antica parola che significa Forteresse;
  4. oppure acronimo di Fortitudo Et Robur Taurinensis (forza e robustezza torinese) e molte altre tra cui l'interpretazione satirica popolare che gli affibbia il significato di Fœmina Eri Ruina Tua (la donna sarà la tua rovina). Ciò potrebbe fare riferimento al matrimonio morganatico di Vittorio Amedeo II, vedovo di Anna d'Orlèans, con l'antico suo amore ossia Anna Carlotta Teresa Canalis di Cumiana, divenuta Marchesa di Spigno. Un mistero questo che arricchisce di misterioso sia città di Torino che la dinastia dei Savoia.
Sempre la cancellata fu arricchita, all'ingresso, dalle statue di Castore (sx) e Polluce (dx) fuse in bronzo e ivi collocate nel 1847. Una storia di esoterismo ci racconta che il cancello del Palazzo, incorniciato dalle statue equestri dei due Dioscuri, segnerebbe il confine, tra la magia bianca, data dall'antica esposizione della Sindone e quella diabolica o della magia nera.
Castore e Polluce sono i due mitologici gemelli (uno mortale e l'altro immortale) figli di Zeus, che simboleggiano il duale della vita e la morte. Si racconta inoltre che Castore ha una stella a cinque punte sul capo mentre i suo gemello non ne è dotato, e su questa differenza si sono costruiti diversi miti ma questo falso mito lo possiamo facilmente sfatare: entrambi avevano la stella, solo che al sinistro cadde e non fu più ricollocata. I punti di massima concentrazione delle forze bianche sarebbero proprio il centro della cancellata e si racconta che basta sostarvi per qualche istante per sentirsi ricaricare magneticamente.
Mentre tento invano di ricevere la mia ricarica magnetica positiva, osservo ancora una volta piazza Castello e mi sovviene invece un momento storico nefasto per la città di Torino, ossia quando nel 1630, mentre la peste infuriava, quattro masche venivano arse vive sulla piazza castello, tra i capi d'imputazione c'era anche quello di aver contribuito a diffondere il contagio. E se le streghe, adepte del diavolo facevano ammalare, il diavolo stesso poteva far guarire infatti nella spezieria dell'ospedale cittadino, si produceva lo stercum diaboli fatto con ossa triturate e polvere di mummia egiziana utilizzata contro l'epilessia, considerata pozione del diavolo.
Eppure questa piazza ha visto anche momenti edificanti come la firma della pace nel 1381 che fu l'evento che pose fine alla guerra di Chioggia tra Genova e Venezia.
Chissà quali alti dignitari attraversarono la piazza l'8 di agosto 1381 e vi sostarono per prendere gli ultimi accordi prima di entrare al cospetto di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde che persuase i Veneziani e i Genovesi al deporre le armi.
I due contendenti sottoscrissero i seguenti accordi:
  • Venezia cedeva la Dalmazia al re di Ungheria, ma riceveva in cambio una retribuzione annua di 7000 ducati d'oro oltre che il monopolio della navigazione nell'Alto Adriatico.
  • Venezia cedeva alla Casa d'Asburgo Conegliano e Treviso.
  • Padova cedeva a Venezia Cavarzere.
  • Il Patriarca di Aquileia s'impegnava a ritirare le sue truppe dai luoghi da esse occupati.
  • Genova si impegnava a ritirare le truppe da tutti i territori conquistati, mantenendo però l'egemonia commerciale su Cipro e l'occupazione di Farmagosta.
  • Amedeo VI, in quanto mediatore, riceveva l'isola di Tenedo, nell'Egeo.
Un'altra importante struttura scomparsa, era la manica che univa la Reggia sabauda a Palazzo Madama, percorribile al suo interno dai Savoia, voluta da Carlo Emanuele I, fu realizzata in legno nel 1606 e decorata da importanti artisti come Guglielmo Caccia detto Moncalvo. Distrutta a causa degli incendi del 1667 e del 1679, venne ricostruita su ordine di Carlo Emanuele II ma demolita, infine, dai francesi di Napoleone Bonaparte.
Proprio davanti all'ingresso di palazzo ho il piacere di incontrare sempre con il suo passo frettoloso Madama Bumb. Costei è l'insegnante di Volo nella Hogwarts della Rowling. Un'insegnante alquanto severa, con gli occhi gialli come un gatto, i capelli grigi corti. La professoressa nella Hogwarts torinese invece è un alto responsabile che mi è stata vicina nei momenti di mia permanenza a Torino. Ci fermiamo un attimo a scambiarci un saluto, accompagnata dai suoi bambini che le gironzolano intorno. Ci raccontiamo le ultime vicissitudini della nostra vita e sul suo nuovo lavoro, dopo che ha lasciato il prestigioso impiego presso la Hogwarts torinese.
È una donna molto alta, con un viso ovale, occhi scuri e profondi, capelli lunghi e scuri, fa uso di un trucco delicato che valorizza il volto e non lo stravolge. Veste elegantemente ed usa costantemente, nonostante fosse già alta e longilinea delle scarpe con tacchi alti.
È un incontro piacevole che mette serenità, una delle poche persone che incontrai durante la mia permanenza torinese che si comportasse sempre correttamente anche se talvolta il suo modo di essere diretto poteva infastidire.
Dopo esserci raccontati, con piacere, le ultime vicissitudini famigliari e lavorative accaduti negli ultimi anni, ci lasciamo cordialmente con un arrivederci.
Continuo il mio viaggio tra i luoghi simbolici della capitale sabauda, ricominciando proprio dal maestoso palazzo Reale.
Tutto ha inizio quando nel 1563, con il trasferimento della capitale del ducato da Chambéry a Torino, Emanuele Filiberto di Savoia, stabilì la propria residenza nel palazzo del vescovo, presso il Duomo, luogo ove oggi insiste il palazzo Reale. Nel 1584, Carlo Emanuele I affidò all'architetto Ascanio Vittozzi la costruzione di un nuovo edificio,al posto del vecchio palazzo vescovile, si proseguì l'ampliamento del palazzo nel 1643, con la reggenza di Maria Cristina di Francia e la direzione dei lavori passò a Carlo di Castellamonte e poi a Carlo Morello.
Quando Vittorio Amedeo II ottenne il titolo regio, nel 1713, fu creata intorno a palazzo reale, la cosiddetta "zona di comando", annessa allo stesso palazzo e costituita dalle Segreterie, dagli Uffici, dagli Archivi di Stato e dal Teatro Regio. L'architetto messinese Filippo Juvarra, che all'interno del palazzo realizzò fu invece incaricato di progettare e realizzare l'ardita Scala delle Forbici e il Gabinetto Cinese. Sulla scala delle forbici un simpatico aneddoto racconta che gli altri architetti di corte quando videro i disegni della scala a rampe sdoppiate ne presunsero il crollo quando fossero state tolte le impalcature di sostegno, deridendo il progettista messinese. Invece la scala non crollò e molti torinesi sostengono che le forbici che sono rappresentate dalla scala, tagliarono la linguaccia dei detrattori del grande architetto.
Alla partenza di Juvarra per Madrid la carica di primo architetto regio passò a Benedetto Alfieri, che completò tra gli altri anche gli apparati decorativi degli appartamenti al secondo piano. Re Carlo Alberto fece rinnovare da Pelagio Palagi, alcune sale del piano nobile, quali il Salone degli Svizzeri e la Sala del Consiglio, e una parte degli appartamenti al secondo piano.
Ulteriori lavori vennero fatti nel 1862,quando fu realizzato un nuovo scalone d'onore ed altri eseguiti per le nozze di Umberto II di Savoia, nel 1930. Con il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e poi a Roma, il palazzo perse progressivamente le sue funzioni di residenza
Un ingente numero di arredi e di effetti personali dei Savoia si trasferirono quindi a Palazzo Pitti, a Firenze e poi al palazzo del Quirinale, lasciando la dimora torinese a semplice alloggio per le loro visite a Torino e poi trasformandosi a Museo pubblico.
Ricordiamo anche i magnifici giardini reali attraverso la descrizione di Giuseppe Pomba nel 1840 in "Descrizione di Torino":«Dietro il Palazzo, verso la strada di circonvallazione, si stende il R. Giardino sostenuto dagli antichi bastioni. Lo fece nel genere regolare, introdotto da Le Nôtre per i giardini di Luigi XIV, il francese Dupacs o Duparc. È adornato da una grande fontana con Tritoni, di vasi e statue. Alcune sue parti furono testé racconciate alla moderna. Ciò che in esso havvi di più delizioso è il gran viale accanto alle segreterie.»
Ma anche a palazzo Reale si materializzano almeno tre fantasmi, tra cui una figura femminile, tutti in abiti nobiliari, si crede che la loro comparsa annunci una disgrazia in casa Savoia, ovviamente oltre al fantasma di madama Cristina che percorrerebbe le sale del palazzo dove si svolgevano i balli.
Interessante è anche sapere che Carlo Emanuele I, soprannominato "testa'd feu" testa di fuoco, fosse cultore di alchimia e si dice che abbia fatto allestire dei laboratori nei sotterranei del palazzo, ma il re era anche molto superstizioso e sebbene tra i suoi titoli fosse anche re di Gerusalemme, evitò di visitarla perché una zingara gli avrebbe predetto che li vi sarebbe morto. Morì invece a Savigliano nel palazzo Cravatta che si affaccia su via Jerusalem.
Ma tante sono le superstizioni o i simboli magici e anche taumaturgici che sono legati ai Savoia. Era infatti credenza diffusa che le incoronazione dei duchi e dei re sabaudi fossero effettuate facendo indossare all'incoronato un anello magico. Questo anello è conosciuto come anneau de san Maurice, ossia l'anello che sarebbe stato rinvenuto nella tomba di san Maurizio, generale appartenente alla Legione Tebea e decapitato per volere dell'imperatore Massimiliano nel 286 ad Agaunum in Raetia, l'attuale Saint Maurice-en-Valais, in Svizzera. L'anello venne consegnato dall'abate Rudolfo al conte di Savoia Pietro II, detto il Piccolo Carlomagno, forse intorno alla metà del XIII secolo; l'abate, volendo evitare che la reliquia cadesse in mani estranee alla dinastia, subordinò la consegna dell'anello al giuramento del conte, di trasmetterne il possesso di padre in figlio e di non cederne mai la proprietà a terzi.
Si narra che l'acqua in cui fosse fatto bollire l'anello fosse dotata di capacità taumaturgiche capace di guarire da molte malattie ed in particolare avrebbe il potere di vanificare l'effetto letale dei veleni. Si racconta che Amedeo VI, il conte Verde, essendosi accorto che il duca di Milano aveva fatto avvelenare i cibi destinati alle sue truppe accampate nei pressi di Milano, avesse ordinato la somministrazione di alcune dosi di quest'acqua dai poteri magici ai suoi soldati. Dell'anello di san Maurizio si persero le tracce, si imputa la dispersione dell'anello durante l'occupazione napoleonica del 1796 o al furto durante il saccheggio delle truppe francesi comandate dal conte Carlo Condé de Brissac nel 1536. Chi bevve quell'acqua si salvò, gli altri perirono. Invece si dice che Amedeo VIII, portasse sempre al collo una teca contenente frammenti ossei del martire tebeo, quale protezioni mauriziana.
Un'altra storia dalla forte simbologia e mistero e quella che è nata intorno alla morte di Amedeo VII, il conte Rosso, che ormai in fin di vita, forse per infezione tetanica, fu curato con la somministrazione di "polvere di corno di unicorno" sciolta in vino bianco. La cura non fece ovviamente effetto e il conte spirò il 2 novembre 1391.
L'unicorno o liocorno, animale mitico, aveva sempre affascinato le fantasie di uomini d'oriente e d'occidente, credendo che questo corno possedesse poteri straordinari contro i veleni, l'avvelenamento era un mezzo molto usato sia tra la nobiltà occidentale che orientale per il possesso del potere, si credeva anche che la polvere ricavata dalla frantumazione del corno avesse poteri afrodisiaci tali da garantire il proseguo delle dinastie nobili. Sostanzialmente si trattava della zanna o dente di un cetaceo, il Narvalo.
Si afferma anche i Savoia fossero in possesso di un corno di liocorno e che fosse conservata come un talismano, ma che sempre il conte Carlo Condé de Brissac lo trafugò.
Più recente è invece, racconta Renzo Rossotti, nella "Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Torino" (ediz Newton& Compton), quale grande conoscitore di storie e misteri piemontesi, che il ventaglio di seta della regina Margherita. Ventaglio dal color giallo vivo, donatogli da Marco Minghetti, uomo politico e presidente del Consiglio dei Ministri che aveva una profonda venerazione della regina, possedesse straordinari poteri.



Fine XXXVIII parte.