Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XL parte)

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KreacherLa storia della piazza è antica, collegata da sempre ai principali monumenti che vi si affacciano. La vicinanza delle Porte Palatine ha da sempre favorito l'area con i secoli il traffico delle merci, ed è qui che nei giorni festivi, si teneva il mercato, come fu teatro delle celebrazioni per la vittoria delle truppe sabaude contro gli assedianti francesi nel 1706. In quella occasione fu celebrato in duomo, un solenne Te Deum.
Un poemetto, L'Arpa Discordata, in lingua piemontese, sacerdote di Favria, Francesco Antonio Tarizzo, ricorda l'evento:
«Ma a la seira trionfant
Con ël Prinsi Eugeni acant
Va soa Altessa Real a ringrasié
De la vitòria a Domneddé.
Chi ha nen vist sossì, sò dan
Son andasne a San Gioan:
Tut ël Pais, en pompa, dj'ebreo
E arivà là a l'han cantà ël Tadeo»
tradotto
«Ma alla sera trionfante
Con il principe Eugenio accanto
Va sua Altezza Reale a ringraziare
Della vittoria Domineddio
Chi non ha visto ciò, peggio per lui
Son andati a San Giovanni:
Tutto il Paese, meno gli ebrei
Ed ivi giunti han cantato il Te Deum»
I versi di questa poesia sono in molteplici versioni, comunque dovrebbe concludersi, secondo il Soffietti:
«Già che Turin l'é liberà,
pòso mia arpa dëscordà
e i la taco eternamente
al muraje de Casal con cheur content.»
(F. A. Tarizzo(?), L'arpa Discordata, 2006, Torino, Centro Studi Piemontesi, L'Arpa Discordata (testo Soffietti) vv.1703-1706)
Non esiste però una versione certa del poemetto e anche la lunghezza dello stesso sono diverse.
Nel corso dei secoli, la piazza subì poche trasformazioni con i suoi portici che la cingevano nella parte est, voluti da Carlo Emanuele II di Savoia, fino al periodo fascista e le devastazioni della II Guerra Mondiale che si concluso con l'abbattimento dei palazzi in faccia al duomo, sostituiti con un moderno e discutibile palazzo comunale per gli uffici dei lavori pubblici, inaugurato nel 1965, chiamato dai torinesi "Palazzaccio".
Durante il periodo giacobino, anche questa piazza mutò il nome in Place du Marché.
Sono ormai sotto casa Pingone e il mio sguardo si rivolge all'antico selciato romano ed all'importante monumento, ossia le Porte Palatine, antico accesso alla città, di epoca romana.
Fu costruita in epoca Augustea o Flavia, come porta d'accesso alla città, costruita principalmente in laterizio, la porta è difesa da due possenti torri poligonali a 16 lati o facce,alte 4 metri. Tra le torri una possente struttura a due ordini, dove al primo ordine vi è una cortina di 9 finestre centinate, in quello superiore altrettante ma quadrate.
I fornici sono quattro, due centrali per il passaggio dei cari e due per il passaggio pedonale. Sono presenti ancora le feritoie dove scorrevano le grate di chiusura delle porte.
In epoca medioevale divenne fortezza e forse palazzo ducale, da dove deriverebbe il nome Palatina, per la presenza dei nobili longobardi e franchi. Tanto che si afferma che fu luogo in cui alloggiò di Carlo Magno nel 773.
Le Porte Palatine sono state utilizzate in molti modi nel corso della loro storia: da fortezza, a palazzo fino a divenire per lungo tempo anche prigione. Scampò alla demolizione, grazie all'intervento dell'architetto di corte, Antonio Bertola. che convinse re Vittorio Amedeo II della sua valenza storica per la città. Alla sua base nel 1934 furono poste delle statue bronzee raffiguranti Cesare e Augusto, ritenuti secondo la tradizione fondatori di Julia Augusta Taurinorum.
L'antico selciato romano che ancora attraversa le porte fino a palazzo Pingone, porta ancora segnato nelle pietre l'antico passaggio dei carri.
Sempre di epoca romana sono i resti del Teatro Romano, posti tra il duomo e la manica lunga di palazzo Reale, ben visibili, anche dalle porte Palatine.
Fu sotto queste porte che il 7 febbraio 1563, alle ore undici del mattino, il duca Emanuele Filiberto, consacrò ufficialmente Torino quale capitale degli Stati sabaudi. Sempre vicino a queste porte si bruciò o si lapidò la "strega" che aveva predetto lo spargimento di sangue nel duomo, che portò alla morte Garibaldo e il suo sicario.
La Casa del Pingone è un edificio del XV secolo che prende nome da Emanuele Filiberto Pingone barone di Cusy, storico di corte del duca Emanuele Filiberto di Savoia. Discendente da parte paterna d'una famiglia di Aix-en-Provence, letterato, cultore d'antichità e di vestigia del passato. Costui si trasferì da Chambery a Torino per seguire la corte ducale. Il Pingone studiò Legge presso l'Università di Padova ed inizio la sua carriera al servizio della corte sabauda, trasferendosi in questa casa. Divenne ambasciatore a Nizza e per volere del duca Emanuele Filiberto di Savoia, divento uno dei maggiori genealogisti di corte. Infatti fu autore dell'opera Inclytorum Saxonae Sabaudiaeque principum arbor gentilizia.
La casa fu rimaneggiata più volte tra il Seicento e il Settecento, ampliandola e inglobando una torre medievale preesistente, unica torre medievale ancora visibile a Torino.
La casa appare dall'aspetto modesto, benché il suo colore rosso attiri l'attenzione del passante, ma conserva e si può ancora distinguere la merlatura ghibellina inglobata nella struttura muraria. Inoltre vi sono tracce di finestre a crociera di epoca cinquecentesca, ancora riscontrabili sul prospetto su via Porta Palatina.
Il Pingone ebbe il compito di ricercare e scrivere sulle origini mitologiche di Torino, così come quella dinastica dei duchi, ciò per rispecchiare degnamente il nuovo ruolo della città, destinata ad essere sede della corte ducale. Infatti fu il Pingone che attribuì il merito di aver fondato Torino nel 1529 a.C. ad un principe egiziano, Fetonte.
Il progetto propagandistico del duca, teso ed esaltare le origini della sua nuova capitale, si concretizzò, appunto, nella pubblicazione, nel 1577, della storia di Torino.
Sempre con passo affrettato, sfuggevole quando gli serve, vedo transitare e parcheggiare in via Porta Palatina la sua auto, una panda 4x4, sicuramente va a compiere qualche servizio per il suo "padrone". Infatti il Kreacher torinese non è molto dissimile dall'elfo domestico, Kreacher, della Rowling. Sono entrambi creature magiche che assolvono i compiti domestici. Anche se quello torinese non è un elfo. Sono comunque personaggi molto anziani.
Quello torinese non è molto alto, ha sempre ambito e ricoperto ruoli di responsabilità, anche se viene trattato sempre male dai suoi "padroni", proprio come quello della Rowling. E se uno indossa un sudicio straccio legato come un gonnellino attorno alla vita, l'altro veste sempre elegantemente. Il Kreacher della Rowling ha gli occhi di un grigio melmoso, molti peli bianchi che fuoriescono dalle grandi orecchie a forma di ali di pipistrello ed un naso grosso. Mentre quello torinese ha un viso tondo, con una fronte alta e spaziosa, capelli argentei, sopraccigli spesse e scure con due occhi profondi ma stanchi, non ha mai portato baffi o barba, nel periodo da me conosciuto. Un naso a patata su una bocca sottile. Come arriva, scompare rapidamente. Dietro casa Pingone, all'angolo con via Egidi al civico 9, una casa apparentemente modesta e quasi indifferente, racconta un bel pezzo di storia torinese, si tratta di palazzo d'Este.
Secondo la tradizione, Emanuele Filiberto avrebbe regalato nel 1570 questo palazzotto al marchese Filippo d'Este.
Ma per comprendere meglio l'avvenimento dobbiamo capire chi è Filippo d'Este: Marchese di San Martino in Rio, nacque a Ferrara nel 1537. Il padre Sigismondo, alleato di Carlo V, aveva goduto dell'appoggio dell'Impero contro Ercole II, che voleva occupare i feudi che possedeva nel Ferrarese. Filippo fu educato alla corte di Ferrara, cagionevole di salute fin da giovane. Era assai colto, fervido credente, strinse stretti legami con molti letterati, ma, soprattutto, con Torquato Tasso. Ricevette il titolo di marchese di San Martino in Rio, in territorio reggiano, dal duca Alfonso II nel 1573, un feudo che apparteneva già al ramo della famiglia dal 1501.
Alfonso II gli affidò delicate missione in Spagna per ottenere l'appoggio della Corona per la conferma delle investiture imperiali. Gli ottimi rapporti esistenti tra gli Este e i Savoia portano al suo trasferimento a Torino e il suo successivo matrimonio, nel 1570, con Maria, figlia naturale ma legittimata di Emanuele Filiberto di Savoia. E qui inizia una storia che potrebbe essere una sceneggiatura di una telenovella. Infatti, poiché precedentemente Maria, la figlia del duca di Savoia, era già stata promessa al marchese de la Chambre, il duca di Savoia dovette pagare una penale 10.000 scudi per la rottura del fidanzamento, come prescritto sugli accordi del contratto nuziale. La stesura del nuovo contratto prevedeva che Maria portasse in dote 4.000 scudi d'oro e la signoria di Crevacuore, nel Vercellese. Questa signoria fu in seguito permutata con quella di Lanzo (Torino), eretta in marchesato nel 1580.
In occasione del matrimonio con la figlia Maria, il duca Emanuele Filiberto insignì Filippo nominandolo generale della cavalleria di Savoia e luogotenente di una compagnia di uomini d'arme che stanziavano nel Ducato di Milano e lo investì dell'Ordine della Ss. Annunziata.
Nell'ottobre del 1578 il Tasso trovò ospitalità a Torino presso il palazzo di Filippo d'Este. Una targa posta all'altezza del terzo piano del palazzotti, ricorda la permanenza di Torquato Tasso.
Torquato Tasso era un'anima errante e sofferente, alla continua ricerca di una felicità. Arriva a Torino, per un breve tempo, in fuga dalla Ferrara degli Este. Pochi mesi ma sereni per Tasso, accolto nella cerchia del marchese Filippo e a corte del duca, cui dedica alcune rime e sonetti. Torquato Tasso soffre di depressione che sfocia in veri attacchi di follia, durante la sua permanenza a Torino. La sua presenza in città, oltre alla lapide è ricordata da uno dei quadri posti alle pareti dello scalone d'onore di Palazzo Reale.
Durante il soggiorno torinese il Tasso si dedicò a varie composizioni come sonetti, dialoghi e discorsi. Come avventurosamente arrivo a Torino, munito di una lettera di presentazione dal cardinal Luigi d'Este, allo stesso modo ripartì alla volta di Ferrara, per essere rinchiuso per alcuni anni in manicomio.



Fine XL parte.