Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XLIV parte)

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Petunia DursleyRiprendo la mia passeggiata verso via Milano. Mi fermo all'angolo tra l'attuale via Milano e via Corte d'Appello dove una volta c'era una pietra lucida, levigata dall'uso, era il "masso dei falliti". La gogna per i debitori e i banchieri. Gli insolventi erano fatti sedere sulla dura pietra, e dopo la lettura della sentenza e della condanna il debitore veniva fatto sbattere con il sedere sulla pietra, tra il pubblico ludibrio.
La storia ci racconta che il termine bancarotta, nasce dalla rottura della panca di legno che a colpi di sedere il fallito doveva rompere per ripetere simbolicamente il suo reato.
Sempre sull'angolo delle due vie, sorge un pezzo di storia torinese, quello che assomiglia ad una torre medioevale, in realtà è una torre civica, iniziata nel 1786 e mai conclusa. Ritornando a parlare di via Milano ricordiamo solo che un tempo questa via non era così diritta, anzi la progettazione dell'allineamento della contrada di Porta Palazzo, uno dei tanti nomi che ha avuto, si inserisce nel programma di ridefinizione del disegno di Torino capitale, affidato da Vittorio Amedeo II al primo Architetto, Filippo Juvarra.
Pur non avendo il tempo di fare due passi per via Corte d'Appello, è necessario avere alcune nozioni su questa apparentemente anonima strada. A poca distanza dell'incrocio con via Milano, su un settecentesco palazzo, due lapidi ricordano due importanti avvenimenti. La prima ricorda san Giuseppe Benedetto Cottolengo, e vi è inciso: "La sera del 2 settembre 1827 il canonico Cottolengo assisteva in questa casa una povera ammalata forestiera e, scosso da infinita pietà per le sventure umane, divampava in quell'anelito di bene che diventò un prodigio quotidiano nella piccola casa della Divina Provvidenza". Questa scritta ci riporta alla chiesa del corpus Domini e alla casa dalla "volta rossa". La lapide è apposta nella facciata dell'Hotel "Dogana Vecchia", un tempo denominato l'Antica locanda "Dogana Nova". L'altra lapide, sempre posta sulla facciata dell'albergo, da sempre luogo di ospitalità di illustri viaggiatori, sia in transito che per affari di Stato, di lavoro, ecc... comunque legate al ruolo di Torino capitale del Ducato di Savoia e del Regno di Sardegna. Infatti la lapide ricorda che vi alloggiò Wolfgang Amadeus Mozart dal 14 al 31 gennaio del 1771. L'allora giovane ma già illustre musicista, arrivò da Milano, accompagnato dal padre Leopold Mozart. La posizione dell'albergo era assai comoda per chi giungeva da Milano in carrozza in quanto molto vicina a piazza di Porta Palazzo, dalla quale potevano raggiungere la locanda a piedi, percorrendo la "Contrada d'Italia", come era chiamata via Milano, prima dell'Unità d'Italia. Così il 16 gennaio 1771 il quattordicenne Wolfgang ha la possibilità di assistere alla prima rappresentazione dell'opera "Annibale in Torino" di Giovanni Paisiello al Teatro Regio. Forse Leopold intendeva tentare un approccio con il re Carlo Emanuele III di Savoia per proporre un incarico per il figlio, Wolfgang, presso il Teatro di corte, sicuramente tra i più importanti d'Europa. Nonostante fosse stato introdotto nei saloni più nobili di Torino Wolfgang Amadeus Mozart, non fu mai ricevuto dal Re. Proprio nella locanda "Dogana Nova" il 27 gennaio 1771 compì il suo quindicesimo compleanno. Il 31 dello stesso mese i Mozart lasciano la capitale sabauda, per ritornare a Milano presso il conte Carlo Giuseppe Firmian, plenipotenziario di Maria Teresa d'Austria per la Lombardia e protettore dei Mozart durante le loro permanenze in Italia. Curioso sapere che nella camera Mozart dell'Hotel è stata girata una scena d'amore tra Gabriella Pessione e Johannes Brandrup, protagonisti della fiction di Rai1 "Lo smemorato di Collegno". Anche il salone settecentesco del piano terra è stato ribattezzato in "Sala Amadeus" e in questo salone fu girata la scena della sala da ballo per la fiction di Canale 5 "Maria Montessori", con Paola Cortellesi nel ruolo della protagonista. Ma molti altri furono gli illustri ospiti dell'allora locanda "Dogana nova", come Giuseppe Verdi, presente a Torino il 14 settembre 1858, per incontrare Vittorio Emanuele II. Nuovamente nel 1861 quando viene eletto deputato al primo Parlamento italiano. Anche Francesco Crispi, patriota e politico siciliano, soggiornò nell'albergo nel dicembre 1859. Attivo organizzatore della spedizione dei Mille, nel 1861 fu deputato del primo Parlamento italiano, in seguito Ministro degli Interni e Presidente del Consiglio del Regno d'Italia. Forse anche Napoleone Bonaparte, quando allora ancora Primo Console, entrò a Torino dopo aver sconfitto a Marengo l'esercito austriaco, giungendovi il 22 giugno 1800. Ma anche Giambattista Bodoni nel suo trionfale ritorno in Piemonte, ormai conteso dall'aristocrazia, dopo essersi recato a Saluzzo, sua città natale, fece sosta a Torino l'11 giugno 1798 e soggiornò alla "Dogana Vecchia" prima di riprendere il viaggio per Parma, città dove visse per molti anni e dove morì. Poi dobbiamo ricordare la tragica storia di Pietro Giannone (1676-1748) che fu scrittore e storico napoletano. Esponente di spicco dell'Illuminismo italiano, soggiornò alla "Dogana Vecchia" il 27 e 28 novembre del 1735. Venne arrestato a Torino dalla polizia sabauda per le sue idee anticlericali e morì rinchiuso nella Cittadella. E poi molti scrittori ottocenteschi francesi,come Émile Gaboriau che fu colui che promosse la narrativa poliziesca, con il suo ciclo di Monsieur Lecoq, aprendo così la strada a Sherlock Holmes. Due isole più avanti, sempre in via Corte d'Appello, c'è l'antico Palazzo di Giustizia di Torino, chiamato palazzo della Curia Maxima. Dal 1838, ospitò il Senato di Piemonte, prendendone la denominazione, cioè l'antico supremo tribunale del Ducato di Savoia e poi del Regno di Sardegna.
Nel 1848, quando una delle due Camere del Parlamento Subalpino prese il nome di Senato, il Senato di Piemonte divenne la Corte d'Appello. Il palazzo è realizzato in uno stile misto tra il barocco e il neoclassico, infatti vari architetti vi lavorarono, a partire da Filippo Juvarra, proseguì Benedetto Alfieri, Ignazio Michela e Alessandro Antonelli. Sul retro, vi erano le antiche Carceri Criminali o Carceri Senatorie, demolite poi nel 1870 da l'Antonelli, spostando le prigioni in corso Vittorio Emanuele II, ossia le Carceri Cellulari o "Nuove". Non è difficile immaginare la calca di persone curiose che stanziassero in attesa di importanti processi, sia sotto l'androne dell'enorme e tetro palazzo, che nel cortile dello stesso. Come nei processi di cronaca nera quale ad esempio il processo ai feroci assassini di Villarbasse, autori il 20 novembre 1945 del massacro in una cascina a scopo di rapina. Le vittime furono colpite con dei randelli e poi gettate in una cisterna ancora vive, i colpevoli furono fucilati. Fu l'ultima esecuzione in Italia prima che la pena capitale venisse abrogata. Si racconta che tra le mure delle carceri Senatorie, che s'affacciano su via delle Orfane, ogni tanto si sentono dei lamenti, forse sono i gemiti dei condannati a morte che piangevano la loro sorte. Le carceri Senatorie, oltre agli alloggi di servizio dei guardiani, trovava alloggio all'ultimo piano il boia, con la sua famiglia. Anche la forca, usata per le esecuzioni era tenuta nei sotterranei: veniva montata e smontata alla bisogna. L'ultima forca usata a Torino finì nel museo di Antropologia criminale del professor Cesare Lombroso nei primi decenni del Novecento, mentre le scale utilizzate dal boia per appendere il cappio fu adoperata per molti anni per la pulizia dei lampioni del palazzo della Curia Maxima.
Proseguiamo la passeggiata su via Milano, verso la chiesa di san Domenico. La via sarà intitolata al capoluogo lombardo in segno di ringraziamento per il dono alla città di Torino del monumento all'Alfiere, collocato in piazza Castello. Raggiungo la chiesa di san Domenico, posta all'angolo dell'omonima via all'incrocio con via Milano. È l'unico edificio torinese in stile gotico, la cui trecentesca facciata è in mattoni a corsi regolari, con un'alta ghimberga che incornicia il portale. Il frontone è altissimo, appuntito, fiancheggiato dai caratteristi pinnacoli dell'architettura gotica. La facciata della chiesa si apre su un piccolo spazio inserito dal piano strada. Questa piccola piazzetta antistante la chiesa è dedicata al beato Giuseppe Girotti, frate del convento ucciso dai tedeschi nel 1945 per avere aiutato gli ebrei e beatificato nel 2014. Una targa lo ricorda. La storia di costui lo vede, annoverato tra i giusti tra le nazioni per la sua azione a favore degli ebrei durante l'Olocausto per la quale sacrificò la propria vita con la deportazione e la morte nel campo di concentramento di Dachau. Questa chiesa è il principale esempio di arte medievale di Torino. La sua costruzione fu iniziata nel 1227 e poi proseguita con un ampliamento dopo la seconda metà del secolo. Subì molti restauri prima di essere riportata alle sue originarie caratteristiche gotiche. All'interno si possono ammirare dei frammenti di affreschi della fine del Trecento.
La chiesa rappresentava l'edificio religioso della comunità torinese di Domenicani con l'annesso convento eretto verso il 1260. Però per molti decenni rimase senza facciata, finita nel 1334 mentre il campanile fu aggiunto nel 1451. Poiché la chiesa era gestita dai Domenicani, fu anche il centro dell'Inquisitori torinesi. In un'ala del convento che volge verso via Bellezia vi trovò sede il Sant'Uffizio che, dal 1252 decretò più di 80 condanne a morte. Alla sede dell'inquisizione era annesso il carcere e il cimitero. Il tribunale dell'inquisizione a Torino era composto da religiosi e da membri laici scelti direttamente dal Duca di Savoia, i condannati dal tribunale venivano portati in piazza Castello e qui arsi vivi come i valdesi Golla Elia e Paolo Rappi o, Bartolomeo Hector venditore ambulante valdese impiccato e arso, e ancora Goffredo Varaglia valdese ex frate cappuccino e teologo. Di quest'ultimo il Comune di Torino posò una targa alla memoria del pastore valdese nel luogo dove il 29 marzo 1558 fu impiccato e arso sul rogo. Luogo in cui i torinesi e i turisti non fanno molto caso, camminandoci sopra, in piazza Castello, ma che racconta una delle pagine più tetre della nostra storia. Fu lo stesso tribunale che nel 1728 processò e condanno ad abiurare ed a convertirsi alla religione cattolica anche il giovane Jean Jacques Rousseau.
La chiesa fu molto amata dai Savoia, spesso oggetto di donazioni da parte della casa regnante. Infatti vi fu eretta anche una cappella laterale dedicata al beato Amedeo IX, voluta da Vittorio Amedeo III di Savoia. Inoltre nella chiesa è custodito il vessillo che, secondo alcuni, sarebbe appartenuto alla nave, comandata da Andrea Provana di Leynì del 1571, che partecipò alla battaglia di Lepanto, donato da Vittorio Amedeo II, alla cappella del Rosario, in ringraziamento dopo la vittoria nell'assedio di Torino del 1706. Nella chiesa ebbe anche la sua prima sepoltura Emanuele Filiberto, prima di essere tumulato nella cappella della Sindone.
Un violento incendio, nella seconda metà del settecento distrusse parte dell'edificio, ricostruito per volontà di casa Savoia. Curioso sapere che nel 1630, durante la peste, fu praticata un'apertura, protetta da una grata, per permettere alla gente di assistere alla Messa, senza entrare in chiesa.
Nel 1729 nell'ambito del nuovo piano regolatore della città, che prevedeva l'ampliamento e la rettificazione della contrada d'Italia,l'attuale via Milano, venne demolita la navata destra, accorciando la chiesa di oltre quattro metri.
Nella chiesa trovano riposo molti personaggi illustri, oltre gli appartenenti all'ordine domenicano, tra cui il padre Reginaldo Giuliani, Cappellano degli Arditi, caduto a passo Uarieu, decorato di Medaglia d'oro al valor militare. Costui nacque a Torino il 28 agosto 1887, fu religioso domenicano, militare e scrittore.
Durante la Prima Guerra Mondiale combatté con gli Arditi della III armata, di cui fu il cappellano militare. Partecipò anche all'Impresa di Fiume con D'Annunzio, ed alla Marcia su Roma.
Partecipò, inoltre, come cappellano delle Camicie Nere alla Guerra d'Etiopia.
Morì nella battaglia di Passo Uarieu il 21 gennaio 1936 mentre assisteva un militare morente.
Alla sua vita, fu liberamente ispirato il film di Roberto Rossellini L'uomo dalla croce del 1942. Sempre nella chiesa trovò sepoltura anche Emanuele Filiberto Pingone, storico torinese alla corte di Emanuele Filiberto di Savoia.
La mia attenzione è rivolta ad un'altra sepoltura, quella del beato Pietro Cambiani da Ruffia, uno dei primi inquisitori del Piemonte. Egli nacque da una nobile famiglia nel 1320, prese i voti nel convento domenicano di Savigliano, fece una rapida carriera ecclesiastica, considerato un dotto predicatore, nel 1351 papa Innocenzo VI lo nomina Inquisitore Generale per tutta l'Alta Italia.
A Pietro Cambiani, gli eretici tesero un agguato a Susa, il 2 febbraio 1365, pugnalandolo mentre si trovava ospite dei Frati Minori. Il suo corpo, fu dapprima sepolto a Susa e poi nel 1516 trasferito a Torino, nella chiesa di San Domenico.
Mentre, mi abbevero alla piccola fontanella posta sulla piazzetta, vedo sul marciapiede, sul lato opposto di via Milano, passare con passo veloce, testa alta e camminata indifferente Petunia Evans. Come quella del Hogwarts della Rowling è magra, ha un profilo cavallino e un collo molto lungo. Ama i pettegolezzi e farsi gli affari altrui. Ha una vera ossessione per l'ordine e la pulizia. La Petunia torinese, benché babbana come in quella della Rowling, è molto più vicina ai mangiamorte di quanto non sembri. Capelli tagliati corti, di un colore tendente al rosso, fronte alta e spaziosa, sempre truccata, su un viso ovale di color molto chiaro, occhi castani e un naso regolare. Un leggero doppio mento, occhiali da vista sempre con montature all'ultima moda. Dal primo incontro l'ho inquadrata come una persona rappresentante l'essenza di rabbia, risentimento e collera, il suo atteggiamento fu sempre acido e presuntuoso. E se nel Hogwarts della Rowling è sposata con Vernon Dursley in quello torinese è una zitella e credo che lo rimarrà a lungo.
Mentre s'allontana rapidamente, mi avvio verso un'altra chiesa che si affaccia su via Milano, in un ampio e particolare slargo disegnato dallo Juvarra. Si tratta della chiesa dell'Arciconfraternita di Santa Croce, che nel 1728 fu requisita dal sovrano per adibirla a Basilica Magistrale dell'Ordine Religioso e Cavalleresco dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Per far risaltare la chiesa lo Juvarra crea un inedito slargo romboidale, sul quale si collocano anche ingressi monumentali dei grandi edifici prospicienti. Su questi edifici spiccano teste di animali diversi, tra cui torin, leoni e cani. Questo slargo o crocevia è definito anche "bestiario", proprio per questi particolari. Il primo edificio sfoggia enormi teste di tori che simboleggiano la Città di Torino. Il secondo fabbricato ornato con teste di leoni è l'antico palazzo del Conte Faussone di Germagnano che aveva il leone nel proprio stemma araldico e che lo riporta sul palazzo. L'ultimo posto sullo stabile adiacente l'omonima chiesa vi sono imponenti teste di cane. Queste teste che dominano l'ingresso non solo sono lì per proteggerlo simbolicamente, ma vuole anche ricordare come venivano chiamati i frati domenicani "Domini Canes", così come il cane protegge il proprio padrone, i frati domenicani, proteggono i cristiani dall'eresia.
Nello slargo fa bella mostra l'antica farmacia Anglesio, famosa per la produzione del il Chinato 800.
Questo prodotto,il barolo chinato, più noto tra gli enologi che tra i farmacisti, nasce però nel retrobottega di due piccole farmacie dell'albese sul finire dell'ottocento, dalla sapiente combinazione di oltre trenta droghe vegetali diverse e trova nella farmacia Anglesio e in quella della Consolata il laboratorio di produzione torinese.
Le farmacie storiche torinesi, conservano testimonianze di quell'arte che si trovava nei laboratori galenici che ancora oggi preparano, seguendo ricette secolari, elisir, vini chinati ed amari della tradizione piemontese, manipolando sapientemente le droghe vegetali necessarie per produrli. Ricordiamo tra queste la farmacia degli Stemmi, dove si prepara ancora oggi l'elisir di china secondo una formula di origini ottocentesche. Oppure la Regia farmacia XX settembre, sia via XX settembre angolo piazza san Giovanni. In questa farmacia nel 1825 G.B. Schiapparelli, uno dei fondatori dell'industria farmaceutica in Italia, avviò la produzione del chinino, principio attivo della corteccia di china. La stessa farmacia è famosa per la produzione Balsamo di Gerusalemme, galenico dalle origini assai antiche prodotto dalla farmacia, infatti si racconta che la ricetta segreta sia giunta a Torino a seguito di due frati speziali al ritorno dalla seconda crociata. Tra gli estimatori del Balsamo di Gerusalemme, la farmacia annovera Camillo Benso conte di Cavour, Francesco Crispi, Quintino Sella e Urbano Rattazzi.
Nei ricettari e nelle farmacopee torinesi compaiono formule che prefigurano senz'altro prodotti che oggi sarebbero definiti liquori salutistici ma che un tempo erano considerati soprattutto medicinali. Questi vini aromatizzati con droghe e spezie sono definiti dagli enologi "vini dei farmacisti". Anche l'antica farmacia Collegiata, situata in via del Carmine, all'angolo con piazza Savoia, più conosciuta dai Torinesi come "piazza dell'obelisco" ha una ricca collezione di prodotti galenici e droghe vegetali. Le apparizioni di fantasmi si raccontano siano presenti anche in via Milano, proprio a ridosso tra lo slargo e le mura della chiesa di san Domenico. Si dice che sia lo spettro del frate Domenicano, Pietro Cambiani, che comparirebbe il 10 di ogni mese mentre si dirige verso la sede dell'inquisizione torinese.
Di gusto tipicamente barocco, la basilica di santa Croce è posta a ridosso della Galleria Umberto I e di quello che un tempo era l'ospedale Mauriziano.
La facciata neoclassica, ha delle belle colonne corinzie e un grande frontone, che risale al 1836 ed è decorata dalle statue dei santi titolari Maurizio e Lazzaro.
La basilica Magistrale Mauriziana, come è anche chiamata è una chiesa a navata unica su pianta a croce greca, con una grande cupola su base ellittica che la sovrasta, di influenza guariniana.
La presenza di una chiesa in questo luogo, un tempo intitolata a san Paolo, è documentata fin dal XII secolo. Nel 1572 entrò in custodia della confraternita dei Disciplinati di Santa Croce, forse la più antica di Torino, fondata forse prima del 1300. Nel 1572 la confraternita chiede a Papa Gregorio XIII l'uso della antica chiesa parrocchiale di san Paolo, costruzione romanica risalente al 1207 che versa in condizioni di semi-abbandono.
Tra 1678 e 1699 la confraternita fece ricostruire l'edificio, ormai conosciuto come chiesa di Santa Croce, da un giovane progettista che aveva collaborato con il Guarini alla Cappella della Sindone: Antonio Bettino.
La chiesa venne requisita nel 1728 dal re Vittorio Amedeo II ed unirla agli attigui ospedale e casa dell'Ordine Mauriziano. Così anche la confraternita di santa Croce confluì così nell'Arciconfraternita dei santi Maurizio e Lazzaro, tuttora attiva, costituitasi per occuparsi della gestione di quella che ormai era diventata la Basilica Mauriziana.
La cripta della basilica Mauriziana corrisponde a quella della vecchia chiesa di san Paolo, purtroppo non più visitabile.
La cripta è interessante, proprio perché in epoca lontana, i defunti venivano sepolti dentro le chiese dell'abitato. Mentre le persone povere e non abbienti finivano nei pozzi comuni sotto i pavimenti delle chiese, i ricchi e i nobili avevano la tomba lungo le pareti della chiesa. Molti i sepolcri gentilizi e fosse comuni si trovavano in cripte sotterranee. Questi luoghi, benché cupi, umidi e silenti, sono i custodi delle memorie cittadine, tutt'oggi sono presenti, ma quasi mai aperti al pubblico. Anche la basilica Mauriziana, con la cripta della vecchia chiesa di san Paolo, contiene molte memorie.



Fine XLIV parte.