Blog di Dante Paolo Ferraris

  • Aumenta dimensione caratteri
  • Dimensione caratteri predefinita
  • Diminuisci dimensione caratteri
Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

La prima guerra mondiale e mio nonno

E-mail Stampa PDF
07/191707 Forcella Ombladet - Paolo CostaIn un cassetto di casa, ritrovo una serie di piccole, ingiallite fotografie, sono foto che ritraggono i miei nonni materni. Le foto mi riportano alla mente pagine di storia che ormai temevo dimenticate e mi raccontano la gli eventi dei primi decenni del XX secolo.
Seduto su mio divano, osservo la foto che ritrae mio nonno Paolo, in posa sul suo cavallo con il suo attendente ritto in piedi sull'attenti. Fotografia scattata in mezzo alla neve sulla forcella dell'Ombladet a 2255 metri, la foto è datata luglio 1917. Per portare mio nonno dalla tranquilla sua cittadina dell'alto Monferrato sulle montagne del Carso c'è voluta una guerra.
Ripercorro velocemente le mie scarne reminiscenze scolastiche sulla storia. È un ventaglio di nazioni, di re ed imperatori, di vessilli che mi riportano la mente ai primi tre lustri del XX sec. Secolo iniziato con la "Belle Époque"; Torino nel 1911 è sede dell'esposizione internazionale, interamente dedicata all'Industria e all'arte. Lo stile imperante è il liberty, che imperversa nell'arredamento e nelle costruzioni delle grandi città. È un periodo contrassegnato dall'ottimismo, con grandi scoperte nel campo della scienza e dell'industria. E benché le classi sociali sono sempre gravemente divise tra ricchi e poveri, industriali, nobili terrieri e contadini ed operai, la borghesia conquista sempre più spazio, l'idea di una guerra è lontana dalla mente di tutti.
La Bell'Époche tra il 1870 e il 1914 fu un lungo periodo di pace che fece arricchire e progredire l'Europa, nonostante l'Italia avesse pagato con un duro smacco l'idea di diventare una potenza coloniale. Infatti la guerra d'Etiopia si concluse amaramente con la sconfitta di Adua o Abba Garima il 1 marzo 1896.
Gran parte dell'Europa era sotto il dominio di vasti imperi saldamente in possesso di monarchie ereditarie. Molte delle Nazioni come le conosciamo oggi, non esistevano come Stati indipendenti. Milioni di africani e asiatici erano sottomessi ai governi di Londra, Parigi e Berlino; l'Africa e l'Asia erano territorio di conquista e di competizione tra le grandi potenze straniere. In questo periodo di pace, in Europa, il nazionalismo si accentua, assumendo nomi diversi, revanscismo in Francia, pangermanesimo in Germania, irredentismo nei paesi Slavi, rivolte sempre duramente soffocate.
I protagonisti del primo ventennio del XIX secolo sono: Francesco Giuseppe, imperatore d'Austria e re d'Ungheria, la cui dinastia, gli Asburgo, affonda le radici nel medioevo. Costui ha trasformato Vienna, all'inizio del nuovo secolo in una delle città più progredite d'Europa. Il vicino Guglielmo II, Kaiser del Reick, che unì tutti gli stati tedeschi in un Impero a carattere federativo, con a capo il re di Prussia. Sempre ad est, Nicola II, che fu l'ultimo imperatore di Russia, il suo titolo ufficiale era: «Per Grazia di Dio, Imperatore e Autocrate di tutte le Russie». I cugini francesi, in quel periodo videro l'alternarsi di diversi governi, presieduti da politici come Georges Benjamin Clemenceau, Aristide Briand, e il socialista René Viviani. Invece Giorgio V, nome completo George Frederick Ernest Albert, era il re di Gran Bretagna, d'Irlanda e dei Dominion britannici d'oltremare, nonché imperatore d'India. Ma anche Taishō che fu il 123º imperatore del Giappone; Taishō, figlio dell'Imperatore Mutsuhito al quale succedette nel 1912 dopo la sua morte. Sempre ad est, Carlo I di Romania, nato principe Carlo Eitel Federico Zefirino Ludovico di Hohenzollern-Sigmaringen, principe della casa di Hohenzollern-Sigmaringen, che fu eletto Domnitor (Signore) di Romania nell'aprile 1866, a seguito del rovesciamento del potere di Alexandru Ioan Cuza, e proclamato Re di Romania il 26 marzo 1881. Il confinante Vasil Hristov Radoslavov, fu il primo ministro del Regno di Bulgaria per due differenti mandati, durante la prima guerra mondiale. Quest'ultimo governò quando Ferdinando I di Bulgaria era zar di Bulgaria, ossia dal 1908 al 1918. In Italia regnava Vittorio Emanuele III ovvero Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia. Il suo parente Nicola I Mirkov Petrović-Njegoš, era il primo re e fondatore del regno del Montenegro, dapprima fu Knjaz (principe), dal 1860 al 1910 e poi re del Montenegro dal 1910 al 1918. Ancora Pietro I, ossia Pietro Karađorđević fu re di Serbia dal 1903. Politici italiani di rilievo in quegli anni furono, Giovanni Giolitti, più volte presidente del Consiglio dei ministri, anche prima del conflitto mondiale, dal 1911 al 1914. Con lui, Antonio Salandra, presidente del Consiglio dei ministri dal 1914 al 1916, dopo di Salandra fu presidente per poco più di un anno Paolo Boselli. Ed infine Vittorio Emanuele Orlando dal 1917 al 1919. Sicuramente ci ricordiamo di più i capi di stato maggiori italiani dell'esercito italiano: Luigi Cadorna, legato indissolubilmente alla disfatta di Caporetto dell'ottobre 1917 e Armando Diaz che lo sostituì.
Ma la tranquillità di questo periodo era effimera; all'orizzonte dell'Europa si prospettava una terribile guerra che coinvolgerà buona parte del mondo, lasciando tracce e dolori in tutte le famiglie.
Mio nonno, che mai conobbi, era sicuramente un piccolo borghese, avendo un'impresa edile e le sue informazioni sugli accadimenti nazionali e internazionali, poteva averli, solo tramite i giornali come "La Stampa", "Il Corriere della sera" e "Il Popolo d'Italia". Il radiogiornale doveva ancora essere inventato e arriverà nelle case degli italiani solo alle 21.00 del 6 ottobre 1924 con la prima trasmissione di radiodiffusione.
Quando Francesco Ferdinando d'Asburgo, erede al trono austro-ungarico, fu ucciso a Sarajevo, il 28 giugno 1914, l'Italia era membro, con l'Austria e la Germania, della triplice alleanza. Un accordo di non belligeranza e difesa reciproca. Il gesto omicida che colpì l'arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie Sofia durante una visita ufficiale nella città bosniaca fu compiuto dal diciannovenne serbo, Gavrilo Princip, membro della Mlada Bosna (Giovane Bosnia), un gruppo politico che mirava all'unificazione di tutti gli jugoslavi (slavi del sud). Se la Serbia avesse provocatoriamente attaccato l'Austria, l'Italia sarebbe stata obbligata ad intervenire, ma la guerra fu provocata da un durissimo inaccettabile ultimatum che Vienna inviò a Belgrado. Ciò permise a Giovanni Giolitti di ricordare ad Antonio Salandra che in quelle circostanze, aveva il diritto di proclamarsi neutrale. Inizia così nel 1914 uno dei conflitti armati che per un gioco di alleanze e di interessi assumerà dimensioni mondiali. Certamente i miei nonni non potevano minimamente comprendere cosa sarebbe da lì a poco accaduto, e chissà se mio nonno Paolo era tra i neutralisti o gli interventisti? Infatti molti esponenti della vita pubblica italiana pensarono che la neutralità potesse venire negoziata per ottenere la cessione delle province italiane ancora affrancate all'impero asburgico. Il negoziato, mediato e sostenuto dalla Germania, sia per pregiudizi austriaci anti italiani sia perché vi era il timore che la rinuncia alle province italiane avrebbe incoraggiato altre nazionalità dell'impero austro-ungarico, ad avanzare analoghe richieste, subiva diversi intoppi e difficoltà.
Gli interventisti, con a capo esteti come Gabriele D'Annunzio e futuristi come Marinetti, affermavano che la guerra era un occasione per risorgere e ritemprarsi.
Nonostante Vienna fosse disposta a rinunziare al Tirolo italiano fino al confine linguistico, all'Isonzo ed avrebbe fatto di Trieste una libera città imperiale purché l'Italia avesse mantenuto la propria neutralità nel conflitto, l'Italia iniziò la guerra nel maggio 1915 a fianco dell'intesa dopo aver rotto con l'alleanza con Germania e Austria, siglata nel 1882. L'Italia firmò nell'aprile del 1915 il patto di Londra, siglato dal ministero degli esteri Sidney Sonnino su autorizzazione del Re Vittorio Emanuele III per l'entrata in guerra al fianco degli alleati.
Tale patto fu tenuto nascosto agli italiani fino all'ultimo e prevedeva la cessione all'Italia dei territori entro la linea delle Alpi, dalla Svizzera al golfo di Fiume (un'area comprendente il Tirolo, il Brennero, Gorizia, e Trieste), compresa la Dalmazia e le isole dalmate dell'adriatico settentrionale e una parte dell'Albania. L'Italia entra in guerra il 23 maggio del 1915, e mio nonno Paolo viene chiamato sotto le armi come altri 5 milioni di italiani. Circa 650 mila non torneranno mai più dal fronte, circa un milione e mezzo saranno feriti o rimarranno mutilati dagli atroci combattimenti.
Tutti i miei nonni furono chiamati sotto le armi, chi come ufficiale del Genio, chi come umile fante, chissà se dal fronte e dalle trincee si resero conto delle reali dimensioni del conflitto? La guerra fu veramente mondiale perché, in tempi e modalità diverse, oltre a quasi tutte le nazioni d'Europa vi presero parte attiva l'Asia sia perché l'impero ottomano si estendeva dall'Anatolia al Medio Oriente, ma anche perché Stati Uniti, Giappone oltre a Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, India e altre colonie britanniche e francesi inviarono truppe. Le operazioni di guerra si svolsero principalmente in Europa e Medio Oriente ma alcuni combattimenti avvennero anche in Africa, in alcune isole del pacifico e sulle coste cinesi a Tsingtao. Anche le colonie tedesche dell'attuale Tanzania, Togo, Camerum, Namibia, ecc.. furono pesantemente coinvolte nel conflitto.
Chissà quali pensieri hanno percorso la mente di mio nonno Paolo, che già faceva parte di una evoluta Arma dell'esercito, il genio telegrafisti, nel vedere l'evoluzione di una guerra moderna, nel corso del quale furono perfezionate o realizzate nuove armi? I primi autocarri Fiat 18 BL che trasportavano 40 quintali ad una velocità massima di 22 Km orari, sostituivano o integravano le lunghe colonne di carri a trazione animale. L'eterna lotta della cavalleria con spade, lance e corazza sembra ormai storia antica difronte a alle mitragliatrice, agli alti reticolati di filo spinato che difendevano le trincee. Le autoblindo, dette anche Automitragliatrice Bianchi, già presente nella guerra italo-turca erano le armi corazzate dell'esercito italiano, mentre i primi carri armati italiani comparvero a guerra conclusa. Sconvolsero comunque l'antica idea dell'assalto. I potenti treni armati vigilavano le coste, i sommergibili affondavano perfidamente navi da guerra e mercantile e i primi aerei stanavano i soldati dai loro rifugi come il gatto gioca con il topo. Per non parlare dell'uso dei gas asfissianti e vescicanti e del lanciafiamme.
La foto tra le mie mani è stata scattata prima della disfatta di Caporetto 4 ottobre - 12 novembre 1917, quando la vittoria austro-ungarico-tedesca costrinse la ritirata delle truppe italiane fino al Piave e l'Italia cambio strategia cambiando anche Capo di Stato Maggiore da Cadorna a Diaz. Non ho idea cosa accadde a mio nonno in quell'occasione, non l'ho mai conosciuto essendo morto quando mia madre era molto piccola. Avrei voluto tanto interrogarlo su quella sua esperienza e sulla sua partecipazione alla guerra italo-turca, nota anche come guerra di Libia o campagna di Libia, combattuta dal 29 settembre 1911 al 18 ottobre 1912, per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica. Ma anche mio nonno paterno, che fu un fante durante il conflitto, e che diventò Cavaliere di Vittorio Veneto, prestigioso riconoscimento per chi aveva combattuto quella terribile guerra, non l'ho mai interrogato, ero troppo piccolo quando è mancato per poter avere capacità di raccogliere, timori, sensazioni, paure e racconti di quei terribili anni di guerra.
La guerra si conclude, nonno Paolo, rientra nella sua Ovada ed inizia un'altra storia, fatta di fame e miseria e di mancati riconoscimenti da parte di Stato che aveva trasformato uomini in numeri e che non poteva o voleva mantenere le promesse fatte prima e durante il conflitto. Benché l'Italia la guerra la vinse, furono gli uomini come mio nonno e tanti altri nonni che pur portando a casa la pelle e riabbracciare moglie e figli furono vinti dalla miseria. Vedevano ormai lontani gli anni e la vita della Belle Époche che avevano lasciato prima di indossare la regia uniforme. Rimetto la foto nella scatola, come unico ricordo che mi rimane di mio nonno Paolo e ricomincio a combattere la mia guerra, non più fatta di battaglie sanguinolente ma combattendo le insidie e le perfidie che tutti i giorni sei costretto a combattere per raggiungere sera. Chissà quando anch'io avrò la mia "Belle Époche"?