Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Priorato Cluniacense di San Pietro e Paolo

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Prioratoo CluniacenseStamattina il cielo azzurro ha trovato un po di spazio tra le nuvole, ma il sole si farà spazio e renderà questa giornata autunnale semplicemente fantastica.
La giornata è dedicata ad un giro "fuori porta" alla scoperta di un monastero cluniacense.
Raggiungo così il piccolo borgo, posto nella pianura biellese. Mi attende Gian, un amico, titolare di un blog di viaggi, "viaggia e scopri", è uno dei più quotati travel blogger italiani e con lui mi reco a visitare il Priorato Cluniacense di Castelletto Cervo. Il priorato è anche conosciuto come monastero cluniacense di San Pietro della Garella, anche se il suo vero nome è Priorato cluniacense dei Santissimi Pietro e Paolo di Castelletto Cervo.
Raggiungiamo il cortile dell'antico cenobio, parcheggiamo in cortile, che un tempo doveva essere il giardino del chiostro del monastero.
Una anziana signora ci accoglie, scusandosi di non essere in grado da farci da guida alla visita nella chiesa.
Sta pulendo la chiesa per i preparativi di un battesimo programmato per il giorno successivo.
Il monastero fu istituito anteriormente al X secolo per ospitare i "viatores" transitanti il lungo e antico percorso che univa le vallate delle zone alpine biellesi alla pianura vercellese.
Il territorio, già abitato in periodo preistorico, e poi romano, testimoniato da una necropoli romana, scoperta a poca distanza dal monastero, conferma l'importanza del luogo.
Infatti non solo vi era il guado sul torrente Cervo, ma l'area è ancora percorsa da diversi corsi d'acqua, come l'Ostola, il Guarrabione e rio Triogna che scendono dalla Baraggia. Oggi quest'ultimo corso d'acqua è pressoché scomparso e ridotto a risaia. L'area prima dell'anno mille faceva parte del Comitato di Vercelli, sotto la signoria del conte Aimone di Mosezzo.
Attraverso diversi passaggi feudali passo ai conti di Pombia, a quello dell'Ossola, ai Signori di Robbio e Biandrate, ai conti del Canavese, fino al dominio sabaudo nel 1431 e quindi infeudati agli Alciati e poi ai Conti Nomis.
Ma il primo documento che riguarda il monastero, a me noto, risale al 1095-1096 quando compare la prima menzione scritta in una lettera inviata da Oberto conte del Canavese e castellano di Castelletto all'abate di Cluny, contenente lamentele circa la situazione creatasi nella cella monastica della Garella a causa della malvagità del priore.
Nel corso del secolo XII il priorato è prospero, grazie ad un'oculata gestione dell'ampia dotazione di beni e donazioni. Inoltre il suo patrimonio monastico fu anche nello sviluppo dello sfruttamento delle risorse offerte terriere, dislocati tra pianura e montagna. Tra i quali alcuni alpeggi e foreste in Valsesia.
Il monastero godette di protezione di molti regnanti, fintanto che furono investiti della signoria gli Alciati di Mottalciata.
Verso la fine del XV secolo rimanevano sette monaci e nel Seicento la chiesa fu eretta a parrocchiale.
Muniti di macchina fotografica entriamo nella chiesa dell'antico monastero, attraverso una porta laterale munita di una lunetta sopra l'architrave. Sulla lunetta vi è dipinta la frase " Questa è la casa di dio e dell'orazione" a monito di chi volesse fare di questo luogo sacro, oggetto di sacrilegio.
Come entriamo, notiamo subito una piccola ara in pietra, appoggiata ad un pilastro. L'altare fu trovata durante gli scavi del secolo scorso e ricorda come la zona fosse già anticamente abitata.
La chiesa a prima vista appare disadorna e fredda.
Benché nei secoli, soprattutto dopo che la chiesa del monastero divenne parrocchiale, furono tanti gli interventi di modifica alla struttura, ma la sua origine medioevale è comunque ben presente. Infatti ne restano tracce nell'impianto a tre navate, scandito da pilastri, forse un tempo terminanti con delle absidi laterali. Sicuramente la volta ha avuto più rimaneggiamenti, ora è a botte con residui di decorazioni ad affresco. L'umidità e la scarsa manutenzione stanno lentamente degradando un patrimonio di ciò che un tempo era uno dei più potenti priorati cluniacensi del nord Italia. Infatti occorre ricordare che il priorato di Castelletto Cervo aveva diverse dipendenze, come unità fondiarie agricole e diritti detenuti su diverse chiese come quella di San Giovanni a Sant'Abbondio di Buronzo con l'annesso diritto di riscossione delle decime, ossia la tassa ecclesiastica imposta ai fedeli. Ma anche della cappella di San Sebastiano di Rado, presso Gattinata. Di questo antico centro medioevale, Radum, non ne rimane traccia se non dei ruderi.
Nel patrimonio cluniacense di Castelletto Cervo faceva anche parte la chiesa di San Martino di Salomone presso Roppolo e quella di Sant'Andrea di Valdengo.
La Congregazione cluniacense o di Cluny è una congregazione dell'ordine di San Benedetto a cui s'ispira la Regola. L'abate di Baume, Bernone, ricevette in dono da Guglielmo I, duca di Aquitania nel settembre del 909 la "villa" di Cluny per fondarci un monastero per dodici monaci, sotto la Regola di San Benedetto. Successivamente con l'abate Odone, la regola adattata e seguita dai cluniacensi fu adottata da altri monasteri, nei fatti creando una grande rete che formò intorno all'abbazia di Cluny un vero e proprio potentato monastico. Infatti benché i priorati fossero autonomi nella loro organizzazione erano comunque sottomessi al governo dell'abate di Cluny.
Nel XII secolo l'ordine cluniacense poteva contare su circa duemila priorati. Direttamente sottomessa alla Santa Sede, Cluny fu parte attiva nella riforma gregoriana, diventando difensore dei principi della riforma contro i vizi di cui soffriva parte della chiesa. Soprattutto avversando il nicolaismo e la simonia, ossia la prima il libertinaggio e il concubinaggio del clero, la seconda era la pratica diffusa di vendere indulgenze o comprare cariche ecclesiastiche. L'ordine ha espresso diversi monaci che salirono sul soglio pontificio, come Gregorio VII (1073-1085), al secolo Ildebrando Aldobrandeschi di Soana; Urbano II (1088 -1099), al secolo Ottone di Lagery; Pasquale II (1009-1118), al secolo Rainerio Raineri; Urbano V (1362-1370) al secolo Guillaume de Grimoard.
Anche i monaci cluniacensi di Castelletto Cervo, seguendo la Regola di San Benedetto occupavano la giornata tra preghiera e lavoro. Il lavoro era sostanzialmente nella trascrizione di antichi testi sacri ma anche profani. Prerogativa dei monaci fu sempre l'ospitalità dei pellegrini, il soccorso ai malati e ai poveri, visitando anche a domicilio gli ammalati. I monaci accoglievano i bambini e i ragazzi per istruirli, soprattutto se i genitori erano intenzionati ad avviarli alla vita monacale.
Ad eccezione per i canti e le preghiere i monaci erano tenuti al silenzio, tanto da comunicare attraverso i gesti.
Ci aggiriamo per la chiesa e notiamo come abbia subito nei secoli diverse stratificazioni di colore, ma l'attenzione è tutta rivolta ad un affresco molto particolare. L'affresco con San Giacomo e la Santissima Trinità, collocato in un vano chiuso posto sulla sinistra dell'area presbiteriale. L'affresco è tardoquattrocentesco di autore ignoto. Nella parte destra è dipinta la Santissima Trinità, rappresentando tre volte Cristo seduto ad un tavolo, ispirato forse a quello dell'ultima cena. Questa insolita rappresentazione del Cristo benedicente tre volte riprodotto, era uno schema iconografico medioevale che venne adottato con la controriforma per spiegare con immagini il valore e il significato della Trinità a coloro che non sapevano leggere. Sul lato sinistro invece un po' danneggiato e ritratto San Giacomo, corredato da alcuni elementi che suggeriscono la narrazione del miracolo di San Domingo de la Calzada, facente parte della tradizione legata ai pellegrinaggi a Santiago di Compostela.
Uscendo dalla porta principale ci troviamo sotto l'avancorpo della chiesa. Si nota subito che è stato costruito successivamente ed appoggiato alla facciata, cambiandone totalmente l'aspetto originario.
La parte inferiore dell'avancorpo è dotata di bifore, non più originali ma fedelmente riprodotte. Dall'esterno si nota chiaramente come le modifiche del XV-XVI secolo non solo abbiano cambiato la facciata, ma come la chiesa fosse stata sopraelevata, ricavando anche dei locali lungo tutti i fianchi, oltre al prospetto anteriore.
Dal cortile la massiccia torre quadrata del campanile è sicuramente ascrivibile al periodo medioevale. Facendomi largo tra le alte erbe infestanti, tra cui molte ortiche, riesco a fare il giro intorno a tutto l'edificio, trovo ancora delle lapidi mortuarie murate intorno all'abside, ciò indica evidentemente che qui vi fosse il cimitero.
Dal cortile della canonica, un'altra costruzione, dalle fattezze di una seconda chiesa, mi fa presumere, dalle concezioni architettoniche e liturgiche cluniacensi che potesse essere utilizzata come locale di "transito", ossia dove venivano portati i monaci agonizzanti nel momento del loro trapasso. Devo ringraziare Gian, per avermi condotto alla scoperta del priorato cluniacense di Castelletto Cervo. Ho potuto vedere e leggere pagine di storia antica, toccare con mano antiche pietre che hanno fatto parte della storia dell'Ordine cluniacense. Di vedere anche come l'incuria possa creare danni incommensurabili a un piccolo scrigno di civiltà e spiritualità.
Ritroviamo in cortile l'anziana signora, accompagnata da un giovane ragazzo che spinge una carriola carica di erbe estirpate; tutti e due ancora intenti nei preparativi dell'importante funzione religiosa del giorno dopo. Ringraziamo la gentile Signora per la disponibilità e con Gian ci avviamo a chiudere la giornata in un altro locale, molto più profano, ma sicuramente santuario per le giovani generazioni e i loro happy hours.