Blog di Dante Paolo Ferraris

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A zonzo con il calessino (V parte)

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CalessinoRiprendiamo la nostra "corsa" con i nostri Ape calessino; dopo aver superato il torrente Agogna, transitando per Agnellengo, frazione di Momo e costeggiando l'antico castello con il suo tozzo torrione, che pare ergersi verso il cielo quasi a gareggiare con il campanile della vicina chiesa dedicata ai Santi Nazario e Celso. Ormai i nostri potenti automezzi corrono nelle campagne diretti a Barengo. Da lontano riusciamo a scorgere il centro abitato; il piccolo borgo, sorge a ridosso di una delle dorsali moreniche tra il fiume Sesia e il torrente Agogna, sovrastato dal bel castello quattrocentesco che da lontano riusciamo a scorgere. L'abitato ha sicura origine longobarda, come suggerisce il suffisso -engo, infatti Barengo dall'841 al 969 appartenne al Comitato di Pombia. Il grappolo di case che da lontano sembra coronato da un ampio terreno pianeggiante, è dedito alla coltura del riso, ma si notano anche ampi terreni boscati già sulle prime propaggini collinari. Attraversiamo il borgo che all'inizio del XI secolo è ricordato come abitato da un gruppo di arimanni: si indicava col termine di arimanno (dal germanico Heer - esercito e Mann - uomo), specificamente in ambito longobardo, ogni maschio adulto libero in grado di portare le armi, ammesso per questo a partecipare all'assemblea comunitaria (gairethinx), facendo così coincidere dignità militare e dignità civile. Passò successivamente ad Ingone di Bercledo ed a Ribaldo di Suno. Il Borgo fu confiscato da Enrico I per i suoi legami con Arduino d'Ivrea e fu donato alla chiesa di Novara, il cui vescovo Pietro III era un partigiano dell'Imperatore. A inizio del XII secolo il vescovo di Novara lo infeudò ai Signori di Momo e ne segui le vicende fino al 1441 quando Filippo Maria Visconti, lo smembrò, donando Barengo a Galeotto Toscano, passo poi alla famiglia Tornielli. Questi ultimi ne rimasero i feudatari fino al 1686 quando cedettero parte del feudo a Pietro Ferrero, mantenendo solo il diritto sul dazio del vino che poi il nipote, cedette alla Comunità di Barengo nel 1730. Ammiriamo durante il nostro passaggio il castello con la sua forma di quadrilatero irregolare e le sue torri d'angolo. Il castello fu ampiamente ricostruito a fine del XIX secolo, ora di proprietà privata, ma di certo ha un grande effetto scenico sul borgo. Subito sotto il castello, vi è la parrocchiale di Santa Maria Assunta, chiesa ampliata nel 1640, quando la parrocchia fu spostata dalla cappella castrense. Le chiese più antiche non sono nell'abitato del borgo ma in campagna, come San Pietro e San Clemente, poste lungo il corso dell'Agogna, dove sicuramente esisteva una deviazione della via francisca per il guado. Presenti anche preziosi oratori come quelli di Santa Maria di campagna e di San Rocco. Mentre iniziamo il saliscendi della strada che ci conduce a Fara, dove il nostro calessino offre il meglio di se, mi sovviene alla memoria un noto personaggio legato a Barengo, ossia Giampiero Boniperti, ivi nato e cresciuto. Nato nel 1928, Boniperti fu calciatore prima e dirigente sportivo poi della Juventus, diventandone Presidente onorario. Rimasto sempre fedele alla maglia bianco-nera, è ricordato insieme a Joh Charles e Omar Sivori nel cosiddetto "trio magico". Boniperti affermava "La Juve non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore". Giocò pressoché sempre come centro avanti e i primi calci al pallone le diede nel Barengo, poi nel Momo, formazioni dilettantistica. Esordì nel club zebrato nel campionato 1946-1947 debuttando contro il Milan il 2 marzo. Il campo di calcio lo vide protagonista fino al 1961. Alle elezioni europee del 1994 Giampiero Boniperti fu eletto eurodeputato, nelle liste di Forza Italia, rimanendo in carica per tutta la durata della IV legislatura del Parlamento europeo, fino al 1999.
Lungo la strada, non posso che notare e apprezzare i molti vigneti, infatti Barengo rientra nel territorio di produzione del vino D.O.C. (denominazione d'origine controllata) delle colline novaresi. Raggiungiamo Fara Novarese e l'attraversiamo con il nostro rosso calessino; agli sguardi stupiti dei passanti, rispondiamo con la tromba del clacson. I bambini sorridono e ci indicano con il dito, rispondiamo con il saluto a mano aperta a cui prontamente i bambini rispondono con il loro saluto. Fara è posta sulle pendici collinari del Sesia, posto in posizione strategica sulla strada che da Oleggio e Borgomanero conducevano ad Ivrea. E se il nome è di sicura origine longobarda, fara per i longobardi erano le truppe armate poste a vigilanza di punti strategici come strade, guadi e confini, non mancano nemmeno numerosi ritrovamenti con reperti importanti, come il sarcofago di Lucio Luperco, monete, monili e lucerne di origine romana. Probabilmente vi era un insediamento romano poi occupato dai longobardi. Intorno all'anno mille di deve la costruzione della chiesa di San Pietro, oggi cappella cimiteriale. I nobili di Fara erano vassalli del Vescovo e della Chiesa novarese, schierata nel XII secolo con l'imperatore Federico Barbarossa in aperto contrasto con il Comune di Milano, fu pertanto soggetto a incursioni da parte dei milanesi, come quello del 1156 in cui i milanesi occuparono militarmente il borgo.
Ma tutta la sua storia è costellata di drammatici eventi bellici come il conflitto, nel corso del Duecento, tra le fazioni novaresi dei Tornielli e dei Brusati. Ma anche nel XVI secolo vi furono devastazioni prodotte dagli eserciti viscontei e quelli del marchese del Monferrato Giovanni Paleologo. Nel 1449 Fara subì l'occupazione delle truppe dei Savoia, dopo la sconfitta subita dalle truppe sforzesche comandate da Bartolomeo Colleoni. Nel XV secolo il paese possedeva due castelli, un castello inferiore o castrum vetus oggi chiamato il castellone e un castrum novum. Durante il dominio sforzesco, Fara non fu mai infeudata però nel 1538 insieme a Novara entro a far parte del marchesato dei Farnese, ossia i duchi di Parma e Piacenza. Nel 1546 i Farnese l'infeudarono a Filippo Tornielli, generale degli eserciti imperiali. Nel 1578 Manfredo Tornielli lo vende a Rinaldo Tettoni, ed è in questa epoca i due castelli vennero trasformati in residenze signorili. Sempre nel 1578 il feudo fu smembrato in due parti, ai Farnese spettò la giurisdizione, mentre il diritto a riscuotere i dazi fu mantenuta dai Tettoni. Nel 1601 i Duchi di Parma vendettero il feudo con i loro privilegi al marchese Francesco Serafini, loro castellano a Piacenza. La chiesa parrocchiale del XVI secolo, divenne la chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano, prima lo era la chiesa di San Pietro ormai cappella cimiteriale. Importanti sono i monumenti, soprattutto le architetture religiose come lo Scurolo (una cappella reliquiario) di San Damiano, l'oratorio di Santa Marta, l'oratorio di San Giulio, la chiesa di San Giuseppe e la chiesa Madonna dei campi. Lasciamo Fara Novarese e la sua zona vitivinicola con i suoi pregiati vitigni locali: il Caramino e il Ronchi.
Il calessino con il suo particolare rombo, scosso la sonnolenta Fara ora corre verso Carpignano Sesia. Questa nuova cittadina è posta nelle vicinanze del torrente Sesia, il territorio comunale è anche attraversato dalle rogge Biraga e Busca. La sua posizione ne fece nel medioevo un centro di notevole importanza strategica, il suo nome parrebbe derivare da una derivazione romana di -anum ma il primo documento che cita il borgo è del 901 ed è chiamato Calpurnianum, poi passato nei secoli a Calpiniano e ancora Carpignano.
A rafforzare l'ipotesi di essere stata insediamento romano, vi sono alcuni ritrovamenti archeologici in zona denominata di san Michele, dove furono ritrovate soprattutto urne cinerarie. Ma il borgo contiene al suo interno il nucleo di un antico ricetto medioevale, che ha una forma irregolare tendente alla circolare; l'agglomerato di case raccolte nel suo interno sono distribuite in un pittoresco disordine edilizio. Il ricetto infatti è quell'insieme di costruzioni civili raccolte all'interno di una cinta di mura fortificate, destinato alla difesa dei contadini e artigiani e ai loro prodotti agricoli. Le sue mura di cinta e le abitazioni sono edificate con mattoni e ciottoli di fiume disposti a spina di pesce che mantengono al borgo la sua suggestione medioevale. Il modello della casa è ripetitivo, una stanza inferiore e una superiore collegate tra loro da una scala esterna, di particolare interesse sono le case quattrocentesche di vicolo San Martino. Il ricetto fu costruito nel XI secolo e fu voluto dai conti di Pombia e poi di Biandrate, poi passo insieme a Novara ai marchesi del Monferrato, quindi ai Visconti, ancora ai Tettoni ed infine nel 1559 ai Pitti a cui rimase infeudato fino al XVII secolo. All'interno del ricetto vi è l'antica chiesa dell'XI secolo dedicata a San Pietro martire che venne edificata nel castrum di Carpignano, forse inizialmente come cappella castrense. Dopo una lenta decadenza tra il secolo XV e il secolo XIX, la chiesa di San Pietro venne sconsacrata e venduta a privati nella seconda metà dell'800 e solo in anni recenti è iniziata una lenta opera di recupero dell'edificio, passato nel frattempo in proprietà dell'amministrazione comunale. La chiesa conserva l'abside romanica, con lesene ed archetti e preziosi affreschi del secolo XII. Mentre la parrocchiale è dedicata a Santa Maria Assunta ed è un monumentale edificio del XVII-XVIII secolo posta sulla piazza centrale del paese. L'interno della chiesa parrocchiale è costituito da un'aula unica, fiancheggiata da quattro ambienti e racchiudenti due cappelle laterali. Prima del presbiterio si aprono altre due cappelle laterali. Attraverso due entrate ai lati dell'altare si può accedere allo Scurolo, ove sono custodite le reliquie di Sant'Olivo, patrono di Carpignano. Di fianco alla chiesa parrocchiale s'affaccia la bella e piccola chiesa di Santa Marta, la cui facciata evidenzia nella muratura la tecnica costruttiva cosiddetta "a spina di pesce", con l'utilizzo delle pietre della Sesia, ed il piccolo campanile. La chiesetta è a navata unica è rettangolare, ultimamente l'oratorio di Santa Marta è utilizzata come cappella invernale della chiesa parrocchiale. Non si può lasciare Carpignano senza aver visto l'oratorio di San Giuseppe, già cappella privata della famiglia nobile Perego - Pinzio - Lavagetto, adiacente alla Casa di Riposo per anziani. L'oratorio di San Giuseppe, collocato in posizione leggermente arretrata rispetto alla strada, ha una facciata interamente affrescata con ritratti di Santi.
All'interno come pala d'altare si può ammirare l'affresco ritraente la morte di San Giuseppe, infatti l'oratorio anticamente era dedicato ai Santi Bartolomeo e Giuseppe agonizzante.
Lasciato Carpignano Sesia, i nostri calessini corrono veloci verso Ghislarengo. Le auto che incrociamo o ci sorpassano rallentano incuriosite nel vedere meglio questi due veicoli che solcano le strade del novarese. Superato il ponte sul fiume Sesia entriamo così in provincia di Vercelli.



Fine V parte.