Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Volpedo

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VolpedoLa giornata inizia con una mattinata di una limpidezza incantevole, il cielo bizzoso di ieri ci ha abbandonato. Oggi ci lasciamo illuminare da questo sole non sapendo cosa ci aspetta domani. In compagnia di Matteo raggiungo dopo un breve viaggio "Vicus Pecudis" come veniva chiamato il villaggio romano di Volpedo, già insediamento di popolazioni liguri. Antichi reperti di necropoli trovate lungo la riva destra del torrente Curone, ove insisteva la strada che conduceva a Derthona ne dimostrano l'importanza. La storia medioevale del borgo s'intreccia con quella di Tortona, infatti durante l'assedio di Tortona da parte di Federico I nel 1155 i suoi abitanti insieme a quelli di Monleale, Montemarzino e Pozzol Groppo intervennero in aiuto ai tortonesi. Nel 1347 segui le sorti di Tortona e passò sotto il ducato Visconteo. Il capitano Perino Cameri di Tortona, uomo di fiducia dei Visconti ne diventò feudatario e nel 1425 con testamento donò i suoi possedimenti alla Fabbrica del Duomo di Milano. Volpedo rimase sotto questi ultimi fino al 1756 quando, passato il tortonese sotto il regno di Savoia divenne feudo dei Guidobono Cavalchini e poi nel 1849 dei Malaspina. Nel 1513 la storica rivalità con il villaggio di Monleale, sulla sponda sinistra del Curone, di fazione Ghibellina, e Volpedo, Guelfo, portò alla distruzione di quest'ultima, comprese le mura del castrum che vennero ricostruite a partire dal 1589 quando Milano era sotto la dominazione spagnola.
Parcheggiamo l'auto vicino al noto mercato ortofrutticolo di Volpedo, che tanto ha significato e significa per la comunità di Volpedo, grazie alla commercializzazione del prodotto principe della terra, la pesca di Volpedo. La pesca si sviluppò intorno al 1920 a Volpeglino, un piccolo comune del territorio, grazie all'intuizione del Cav. Guidobono che dopo che la fillossera aveva distrutto, negli anni Venti, gran parte della viticoltura locale, propose lo sviluppo di impianti di frutticoltura in alternativa alla viticoltura. Venne introdotta quindi la coltura del pesco varietà Waddel o Guidobono, Hale, Elberta, Amsden. La coltivazione del pesco si sviluppa negli anni compresi tra il 1925 e il 1930 anche nei paesi limitrofi al comune di Volpeglino. Si deve a Carlo Baravalle, prestigioso avvocato del foro Torinese e appassionato fotografo, il vero sviluppo commerciale della pesca. Le pesche di Volpedo sono prodotte ancora in aziende a conduzione familiare e vengono raccolte il più tardi possibile dalla pianta, poco dalla maturazione, affinché la permanenza prolungata esalti il più possibile il gusto con polpa compatta e gustosa e il profumo sia intenso e delicato. Con Matteo ci dirigiamo da subito verso la piazza quarto Stato, già piazza Malaspina, luogo più elevato del borgo, ove si affaccia il Palazzo Malaspina, sorto sul luogo dell'antico castello, residenza da Perino Cameri. Castello trasformato in residenza signorile nel XVIII secolo dai Guidobono Cavalchini e poi ulteriormente ampliato dai Malaspina, a cui passò nel 1849.
La piazza è stata scenario ideale e prescelto da uno dei suoi cittadini più illustri, il pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo; autentica gloria locale che ha voluto tramandare il nome della sua terra natia legandola indissolubilmente al proprio nome. Sulla piazza sono esposte due sue riproduzioni di famosi quadri. La più famosa è proprio il "Quarto Stato" del 1901, rappresenta una marcia di lavoratori in sciopero: due uomini ed una donna con un bambino in braccio precedono il fronte compatto dei loro compagni. Si tratta di contadini, ma Pellizza non volle caratterizzarli ponendo loro in mano gli attrezzi agricoli e priva pure i riferimenti paesistici, tanto ricercati in altri quadri dell'artista.
L'altra opera e quella intitolata a "Piazza Malaspina", antico nome della piazza.
Ci soffermiamo sopra ad un tratto della mura medioevali, ove sorge palazzo Fezia. Un anziano volpedese, in bicicletta, si sofferma davanti a noi e ci ricorda le vicende della antica famiglia. Casa Fezia è un caseggiato costruito in periodi diversi tra il XVII e il XIX secolo e ancora sopraelevato nel corso del XX secolo. La parte più antica è stata costruita con le pietre raccolte nel vicino torrente Curone. L'interno dispone di un bel cortile delimitato sia dalla parte abitativa che dalle ampie stalle e fienile, ma soprattutto dalla mascalcia, attività di famiglia attiva fino agli anni ottanta del secolo scorso. L'edificio è spesso ripreso in diversi quadri di Pellizza come "Ambasciatori della fame" 1892, un quadro di protesta e di rivalsa dei contadini, dove nella piazza davanti a palazzo Malaspina, simbolo del potere signorile di antica data., nella luce di un mattino primaverile, sull'imbocco di Via del Torraglio, Pellizza fece avanzare un gruppo di lavoratori guidati da due portavoce dall'espressione decisa. Ci dirigiamo così verso l'antica Pieve di San Pietro, non prima di essere passati davanti all'edificio della Società operaia di mutuo soccorso e istruzione degli operai e agricoltori, fondata nel 1869. Questa nuova sede fu inaugurata nel 1895 con un discorso di Giuseppe Pellizza, ricordato da un cartello turistico […] in essa che, madre pietosa, sovveniva il socio infermo; fu essa che promosse l'istruzione, fu essa che allargò e tenne vivo quel sentimento umanitario, il qual'è è destinato a conquistare ogni essere che porta il nome di uomo …[…]. Il semplice edificio ha un fascino particolare, grazie alla sua facciata ricoperta da una verde vite canadese. Vicino troviamo un installazione con la riproduzione del quadro del Pellizza " panni al Sole". Raggiungiamo così la pieve di San Pietro, costruzione Romanica del X-XI secolo, modificata nel XV secolo. La pieve è citata per la prima volta in un documento del 965 conservato nell'archivio capitolare di Tortona. Forse, già in precedenza in questo luogo preesisteva un antica chiesa battesimale. La facciata è divisa da otto leggere lesene distribuite irregolarmente che terminano sotto una cornice a mattoni aggettanti. Le lesene dividono la facciata in tre scomparti irregolari, tra i quali quello centrale più ampio e alto a formare un tetto a capanna. La porta d'accesso è unica ad arco acuto, sulla cui zona superiore era preesistente un affresco, di cui rimane qualche traccia, sopra ad esso un ampia finestra che permette alla luce di penetrare in chiesa ed illuminare l'altare maggiore. Due finestre, aperte sicuramente posteriormente alla primaria edificazione sono poste lateralmente alla porta d'accesso All'interno a triplice navata con soffitto a capriate, Alta e spaziosa è scandita da quattro grossi pilastri quadrangolari per lato che sostengono cinque arcate sulle pareti affreschi votivi databili XV secolo. Ci soffermiamo dapprima ad osservare un Ancona addossata al terzo pilastro di destra, raffigurante la "Madonna col bambino tra i Santissimo Rocco e Agata" attribuita a Quirico di Tortona (1502). Incredibile e degno di una più lunga sosta è l'affresco sito nel catino e sulla parete circolare dell'abside con il Cristo pantocratore e i dodici apostoli e un interessante Re Davide posto al centro della parete circolare. Sui pilasti compaiono altri affreschi, tra cui una Vergine in trono con bambino, i Santi Cosma e Damiano, San Rocco, San Bartolomeo, San Sebastiano e ancora una Vergine in trono con bambino attorniati dai Santi Giacomo e Agata, tutti attribuiti alla scuola tortonese del Boxilio. Impressionante un altare ligneo barocco con decorazioni in oro posto nella navata di destra. Fu senz'altro un vecchio altare della chiesa parrocchiale, quasi sicuramente qui spostato nel 1830 quando nel nella chiesa parrocchiale si aprirono vistose crepe e se ne temeva il crollo. Riparata la chiesa fu dotata di un nuovo altare e questo rimase nella pieve utilizzato come altare maggiore, poi spostato con i restauri della pieve. L'altare fu soggetto a diversi furti, asportarono i ladri dei putti ed angeli dorati che non furono mai ritrovati. Dopo una lunga sosta nella pieve ci sposiamo fuori di essa per guardare due diverse installazioni poste intorno alla Pieve. Queste installazioni riproducono tre quadri di Giuseppe Pellizza. Subito fuori dalla chiesa, vicina al sagrato quella delle "Mammine" del 1892. Il dipinto non è solo uno studio dal vero sulla natura, ma anche di un soggetto di quotidiana vita campestre, rappresenta un verde prato brillante sotto la luce del sole, su cui si stagliano nette le figure di fanciulle che fanno da mamma ai fratellini, in un caldo controluce.
Mentre nei prati della Pieve "Idillio primaverile", un'opera pensata e iniziata dal pittore nel 1896 e terminata nel 1901. un opera realizzata in un tondo con al centro un albero e un gruppo di fanciulli che giocano al girotondo, mentre altri, sotto l'albero mentre sotto l'albero altri due bimbi giocano sotto la sua ombre. Il poeta pare qui inneggiare alla civiltà attraverso la primavera che sboccia nelle forme dei fiori della natura e nella gioia dei fanciulli. Siamo poco distanti dalla casa con studio del famoso pittore e lentamente ci dirigiamo verso questa casa, posta ai bordi del borgo. Prima di entrare ci soffermiamo a guardare altre installazioni con riproduzioni del pittore come quella posta in strada Casalnoceto intitolata "La processione", 1894-1895. Il soggetto è tratto dal vero, è ambientato nei pressi della casa dell'artista, verso il viale che porta al cimitero, attento a documentare usi e costumi popolari. Nel quadro si evince la ricerca di una pacata armonia tra uomo e natura. sempre in strada Casalnoceto, viale del cimitero l'installazione con "il morticino" ovvero "Fiore reciso" del 1903.
In via Garibaldi invece la riproduzione de "Sul fienile", preparato nel 1892, fu eseguito nel corso del 1893 ed esposto a Milano nel 1894, ma poi ancora ripreso nel 1895. Ambientato nel vecchio portico di casa, rivela una scrupolosa attenzione al vero.
Entriamo nella casa natale di Giuseppe Pellizza da Pietro e Maddalena Cantù. Una volta entrati, si resta colpiti dall'ampiezza del locale. Giuseppe nacque il 28 luglio 1868 e vi trascorse la fanciullezza insieme alle sorelle Marietta e Antonietta. Dopo gli studi e dopo il matrimonio con Teresa Bidone avvenuto nel 1892, Giuseppe ingrandisce la casa paterna dotandola di un suo atelier. Qui il pittore visse con la sua famiglia e qui vi nacquero le figlie Maria e Nerina e anche il piccolo Pietro, morto pochi giorni dopo la nascita nel 1907. Sempre qui il pittore si suicida impiccandosi alla scala del suo studio nel 1907, provato dalla perdita della moglie e dell'ultimogenito. Entriamo così nel suo studio, rimasto perlopiù come lo aveva lasciato Pellizza, i suoi quadri appesi alle pareti come quelli dei genitori, Ritratto di "mio papà", olio su tela, eseguito nel 1889-90, l'impostazione iniziale a mezzo busto fu mutata nell'estate del 1890 aggiungendovi una seconda tela e raffigurando l'intero corpo del padre, con nella mano sinistra un giornale. Il secondo è il Ritratto di "mia mamma", olio su tela, che fu dipinto nel 1890, anch'esso a corpo intero rappresentata in una figura raffinata o come le sue tele incompiute come quella della sorella Antonietta, olio su tela, sempre del 1890: Antonietta era morta nel 1889, mentre Pellizza si trovava a Parigi, pertanto il pittore per eseguirlo si servì di una fotografia. Questo quadro non fu portato a termine. Ma anche i suoi bozzetti, i suoi libri i modelli in gesso, la sua scrivania i libri e la fatidica scala. Pittore, figura centrale del divisionismo, nasce da una famiglia di piccoli agricoltori, compie i primi studi alla scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia, frequenta successivamente l'Accademia di Brera a Milano, dove espone i suoi quadri per la prima volta. Poi si trasferisce a Roma per frequentare l'Accademia di San Luca per studiare Raffaello e poi passa all'Accademia di Firenze sotto la guida di Giovanni Fattori e poi ancora all'Accademia di Bergamo per studiare disegno. Nel 1982 sposa Teresa, una donna di Volpedo, che sarà la sua musa ispiratrice, oltre che la sua modella in molte opere.
Torniamo verso il centro del borgo e sostiamo un attimo sotto gli spalti delle mure spagnole dove vi è collocata un installazione con la riproduzione del quadro "il Sole" o il "sole nascente"del 1904.
Risaliti, grazie a delle ampie e antiche scale nel centro del borgo antico in piazza degli Emigranti in quello che era il vecchio Torraglio un'altra installazione riproduce "Membra stanche" ovvero "Famiglia di Emigranti".
Percorsa via della chiesa dalle belle case medioevali, decorosamente restaurate, abbellite da fioriere dai mille colori. Raggiungiamo cosi la piazza Monsignor Guerra, dove si specchia la chiesa parrocchiale di San Pietro, iniziata nel 1623 e completata negli anni successivi, insiste sul luogo in cui sorgeva un oratorio dedicato al Beato Giovannino. Della fabbrica secentesca sopravvivono integri solo l'abside e il campanile, mentre la navata e la facciata, dichiarate pericolanti nel 1827, furono ricostruite nel 1831-1832. Vi entriamo, la chiesa è a navata unica, dove nel primo altare di sinistra è custodito una tela riproducente "San Luigi Gonzaga" di Giuseppe Pellizza. Ma la particolarità di questa chiesa e di questa comunità è che si venera il Beato Giovannino le cui reliquie sono conservate in altare dedicato. La tradizione vuole che Giovannino Costa nasca a Volpedo intorno al 1410 da poveri contadini, da giovanissimo si occupa della custodia delle greggi e riceve i primi rudimenti d'istruzione dal pievano di allora. I genitori lo mandano spesso al mercato di Tortona a vendere i prodotti della terra e dell'allevamento. Proprio durante il rientro a Volpedo, nella settimana Santa del 1482, viene assalito da due malviventi e condotto nella stalla della cascina "Scorticavacca" nel territorio di Casalnoceto e qui barbaramente trucidato. Subito riconosciute le sue virtù e sentimenti fortemente cristiani dalla popolazione locale, viene da subito pianto come martire e ne fu richiesta la beatificazione e la nomina a patrono del paese. Anche il piccolo corpo del bambino per diversi anni furono divisi per volere dell'autorità ecclesiastica fra Tortona che ne custodiva il corpo presso la chiesa conventuale di San Domenico, e Volpedo a cui era concesso tenere la testa. Solo nel 1919 le reliquie del Beato furono riunite ed affidate alla parrocchia, dove ora riposano dentro un artistico corpo modellato e conservato dentro ad un urna.
Usciti dalla chiesa, facciamo un giro intorno ad essa, nella zona posteriore, troviamo murata su una casa una stele sepolcrale romana del I° secolo, benché il tempo e l'usura abbiano compiuto il suo corso si può ancora leggere : " V(ivus) f(ecit) Cn(aeus) Pactumeius T(iti) f(ilius) Niger P(ublio) Pactumeio P(uli) f(ilio) vetera(no), nepoti…" ossia "Da vivo fece Cneo Pattumeio Nigro, figlio di Tito, a Publio Pattumeio, figlio di Publio, veterano, suo nipote.
Poco dopo ci ritroviamo in piazza della libertà Vittorio Emanuele III, dove si affaccia il Municipio e molte attività commerciali. Nell'atrio del palazzo municipale è conservato un bassorilievo del Quattrocento che rappresenta Perino Cameri mentre offre il castello di Volpedo alla Madonna. Sempre sulla piazza un installazione riproduce il quadro di Pellizza "La piazza di Volpedo" del 1888 un opera di particolare taglio sugli esempi macchiaioli. Curioso che l'artista non abbia riprodotto il palazzo municipale. Abbiamo ormai raggiunto la nostra auto, ma prima ci soffermiamo a guardare un'altra installazione di Pellizza, "Strada nuova a Volpedo" o "Via a Volpedo" dipinta nel 1898, proprio l'anno in cui aveva incominciato a dipingere "Il Quarto Stato". Il vecchio abitato di Volpedo era delimitato dalla cinta muraria che fiancheggiava il castello dei Malaspina e che già metà ottocento era stato trasformato in un palazzo signorile. L'abbattimento delle mura favorì la relazione della strada, tanto che il palazzo poté essere collegato al giardino con una passerella che passava sopra la strada. Questa tela è conservata nella Pinacoteca provinciale di Bari Sempre nei pressi, all'angolo di piazza Perino con via Mazzini vi è l'installazione della riproduzione del quadro "Vecchio Mulino" Il mulino era mosso dalle acque della roggia Ligozzo, riprodotto nel 1903 da Pellizza nella piazza Perino all'imbocco dell'attuale via Mazzini. il Mulino fu abbattuto negli agli anni venti del secolo scorso, ormai inattivo, e il corso d'acqua deviato fuori dal centro abitato, facendo del quadro di Pellizza un documento storico del borgo. Sempre in via Mazzini si possono trovare le installazioni "Speranze deluse", quadro del 189, dove il motivo trattato è quello del dolore della pastorella abbandono da parte dell'innamorato che, sullo sfondo, porta in sposa un'altra donna, mentre due musici fanno strada al piccolo corteo. e "Pontecastello" dove la zona di Pontecastello ritratta da Pellizza nel 1904, sebbene detenga ancor oggi l'antica denominazione appare totalmente diversa.
In auto rientrando verso caso, passiamo vicino ad altre due installazioni, quella di "Volpedo sotto la neve". Altra, all'altezza del ponte sul torrente Curone, "Lo specchio della vita"1898, ambientata sul greto del Curone, non distante da casa Pellizza, è ispirata al verso dantesco "E ciò che l'una fa, e l'altre fanno" (Purgatorio, canto III, 82). L'artista in una tela dove nessuna tonalità cromatica è dominante, lavora su linee orizzontali dove la sequenza di pecore giunge esattamente a metà dell'altezza della tela che procedono lungo un arginello senza toccare le pozze d'acqua in primo piano, mentre su l'ampia pianura retrostante convergono le morbide linee dei colli e delle macchie d'alberi.
In strada clementina, che non abbiamo percorso invece c'è l'installazione con la riproduzione della tela "La neve" opera del 1906 dove la campagna innevata, l'artista mette in evidenza due chiuse e un ponticello su un torrentello, mentre sulla destra una figura femminile s'avvia sulla strada. L'opera è di grande efficacia cromatica, ricca di vibrazioni luminose dal candore della neve in contrasto con o manufatti e la vegetazione.
Lasciamo l'antico borgo, soddisfatti della breve visita a questo piccolo scrigno in terra alessandrina.