Blog di Dante Paolo Ferraris

  • Aumenta dimensione caratteri
  • Dimensione caratteri predefinita
  • Diminuisci dimensione caratteri
Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Il mio Piemonte: Roccaverano

E-mail Stampa PDF
RoccaveranoLa mattinata promette bene, in cielo il sole sembra prendere per mano qualche bianca nuvola per una passeggiata nell'azzurro. La strade che oggi mi sono ripromesso di percorrere è lunga e tortuosa ma voglio raggiungere con la mia autovettura il più alto colle astigiano dove l'abitato di Roccaverano vi è adagiato.
In molti considerano Roccaverano come la capitale della Langa Astigiana. Posto sulla grande collina che divide le due valli Bormida di Spigno e la Bormida di Millesimo è famoso soprattutto per gli aspetti culinari. Si suppone che il paese esistesse già in età romana, di cui il nome deriverebbe dalla vicina presenza del torrente Ovrano, incassato nei calanchi verso Mombaldone e dalla sua posizione arroccata. Alcuni studiosi però fanno derivare il toponimo da Rupes e da Veprius o da Vibrius, gentilizi romani, altri dal dio delle tribù liguri Averanus, protettore delle alture. Qualunque sia l'etimologia giusta è attestato come Rochaevrano nel 1227 e Rocha Ovrani nel 1304, anche se nel X secolo un diploma dell'imperatore Ottone I, che concedeva il dominio del luogo ad Aleramo, riporta la dizione Ruspaverano, da cui si ottenne poi l'attuale Roccaverano.
Il paese si sviluppò come centro di notevole importanza nell'ambito dei domini aleramici di Bonifacio del Vasto, che morendo divise la Marca fra i suoi figli, determinando così la frammentazione politica della Langa. Il suo erede Ottone I Del Carretto ebbe giurisdizione sui molti luoghi tra Piemonte e Liguria su tutta l'alta Valle della Bormida di Millesimo. Fu feudo dei dal Carretto fino al 1322 quando passò a Manfredo IV di Saluzzo, anche se nel 1209 Ottone Del Carretto e il figlio Ugo vennero a patti con il Comune di Asti e dietro promessa di investitura, alienarono tutti i loro possessi delle Langhe per 1000 lire genoine. Fra le altre località era compresa Rocha Vevrana. Asti annoverò dunque Roccaverano tra i propri feudi, lo inserì nel Codex astensis al capitolo XXXIX. Come feudo astigiano il borgo rimase alla famiglia Del Carretto e fu assegnato a Enrico III, fratello di Ugo, che probabilmente vi elesse la sua residenza, sicché nel 1240 viene detto Signore di Roccaverano.
Da Enrico II discesero Guglielmo e Bonifacio, quest'ultimo fu Signore di Ponti, al quale si deve l'edificazione del castello e nel 1322 fu proprio un nipote di Bonifacio, che portava lo stesso nome dell'avo, a donare il feudo di Roccaverano, insieme con Manfredo Del Carretto della linea di Cairo, al marchese Manfredo IV di Saluzzo. I Saluzzo, che non avevano interessi per le Langhe, alienarono dopo alcuni anni il paese, vendettero nel 1337 il feudo di Roccaverano a Oddone, Giacomo, Matteo, Giovannone e Tomasino, tutti figli di Antonio Scarampi, insieme ad altri territori.
Gli Scarampi, la cui loro grande ricchezza proveniva dall'attività bancaria che svolgevano in Francia, divennero Signori incontrastati dell'intero territorio. La loro professione bancaria, non era aliena dal ricorso all'usura, a tal punto che il termine scaramps divenne sinonimo di usuraio e avevo letto che secondo uno statuto fiammingo del secolo XIII, era da considerarsi un'ingiuria.
Dei figli di Antonio, Giacomo portò il titolo di signore di Altare e di Roccaverano, che fu mantenuto dai discendenti, fino all'estinzione del ramo maschile nel 1575 con Claudia Maria, moglie di Bonifacio Valperga di Caluso. Quest'ultima, con il secondo marito Augusto Manfredi Scaglia di Verrua, fu investita del feudo di Roccaverano nel 1607. Infine Carlo Emanuele II acquistò nel 1615 dai Valperga marchesi dell'Olmo, i diritti che questi avevano su Roccaverano e in seguito furono comprate dai Savoia anche tutte le ragioni feudali superstiti degli Scarampi, il che comportò per la popolazione la rinuncia agli antichi diritti concessi dai Del Carretto, compresa l'esenzione dai dazi e dalle imposte per le merci, diventando definitivamente di casa Savoia nel 1771.
Sulla mia strada trovo una deviazione per la frazione San Gerolamo e decido di andare a visitare questo piccolo borgo. Il borgo è veramente molto piccolo per avere una così grande chiesa parrocchiale, parcheggio l'auto nella piazza retrostante la chiesa e dai manifesti mi accorgo che deve comunque essere una località abbastanza vivace considerato le manifestazioni che annualmente programma. Sulla piazzetta della chiesa che fa anche da belvedere sulle Langhe una lapide, ombreggiata da un alto albero, ricorda i caduti della guerra 1915-1918 e 1940-1945. Sembra che i soldati caduti con i loro nomi incollati sul bianco marmo osservino dal basso verso l'alto la grande chiesa dedicata a San Gerolamo. L'edificio con forme alquanto eclettiche ha una facciata bipartita, nella parte superiore vi sono tre finestroni rettangolari, alternati da esili e grigie colonnine, sopra ad essa su una ampia lunetta è raffigurato San Gerolamo nel deserto con il leone. Un alto campanile con orologio e sopra la cella campanaria un lanternino esagonale con finestrelle ovali e cupolino esagonale tondeggiante sembra osservare guardingo tutti i visitatori. La facciata della chiesa, nella parte inferiore ha una sola porta centrale circondato da esili colonnine. La facciata è in mattone rosso acceso, mentre il resto della chiesa in un intonacato con chiari colori pastello. La chiesa fu eretta nel 1850 al posto di una cappelletta preesistente ed ha subito nel 1911 diversi interventi sia d'ampliamento che rifacimenti, fu eretta a parrocchia nel 1922; il suo interno è a croce latina con alte volte a crociera e catino absidale.
Prima di raggiungere il centro abitato di Roccaverano devo fare obbligatoriamente una sosta in un caseificio ad adagiare e comprare la famosa Robiola di Roccaverano, un formaggio italiano a denominazione di origine protetta. È un formaggio fresco, piuttosto grasso, a pasta cruda e bianca e privo di crosta. Una gentile e giovane casara mi propone le diverse forme di Robiola e mi spiega con grande dovizia di particolari le caratteristiche del formaggio. Infatti mi conferma che deve contenere come minimo il 50% di latte caprino, che può essere integrato con percentuali variabili di latte vaccino e/o ovino. Il latte viene portato a temperatura di 18º, con aggiunta di presame liquido e se il latte è stato pastorizzato, vengono aggiunti anche enzimi; talvolta viene spruzzato di sale di cucina. La pasta è quasi bianca o di un pallido paglierino, privo di crosta vera e propria, dal gusto "dolce", un po' più saporito nelle forme stagionate. Costituisce anche l'ingrediente base di alcuni tipi di bruss. La mia scelta ricade su quello tutto caprino con una stagionatura non superiore a 20 giorni, è mia intenzione accompagnarlo con una mostarda d'uva e un buon bicchiere di vino Barbera. Il nome robiola deriverebbe dal termine tardo-latino rubeolus riferito alla colorazione rosata rossastra assunta dalla superficie dei formaggi con l'avanzare della stagionatura. Di antica origine, è citata da A. Frugoli nel suo ponderoso trattato scritto intorno al 1638, "Pratica e Scalcaria", ove si afferma: «...e questo prodotto con latte di capra sarà il peggiore di tutti i formaggi, poiché asciuga rapidamente e non sarà adatto a coloro che soffrono di malinconia o a chi soffre di renella.». Il toponimo di Robiola è legato a Roccaverano, ma l'area di produzione della robiola comprende il territorio a cavallo fra le province di Asti e di Alessandria nella parte orientale delle Langhe.
Risalito in auto la mia prima tappa è la chiesa cimiteriale di Santa Maria o Madonna di Palazzolo. La chiesa non è all'interno del cimitero ma subito a ridosso delle sue mura, si presenta in fase di restauro o comunque con diverse impalcature al suo interno, mentre l'esterno necessita si diversi lavori urgenti di manutenzione. Solo la facciata sembra in ottime condizioni, nonostante un brutto portico in calcestruzzo che anticipa l'ingresso della chiesa. La chiesa presenta una facciata a capanna con una sola porta d'accesso e due finestre con massicce grate di ferro ai lati, quattro paraste, comprese quelle d'angolo ne disegnano la facciata; quelle angolari all'incirca alla loro metà hanno un accenno di capitello, tanto da voler suddividere almeno idealmente la facciata in due ordini. Un rosone centrale, privo di vetri ma protetto da una massiccia grata di ferro con due nicchie vuote ai lati ne completano la facciata. Il timpano ha al centro una finta finestra rettangolare. Completa la chiesa una cella campanaria a vela con una piccola campana.
La chiesa è già citata nel 1648 ed è totalmente realizzata in pietra locale. Mi affaccio attraverso le grate della chiesa e posso notare che il suo interno è a croce latina, con volte a botta e archi. Alcune descrizioni affermano che nel transetto vi sono due altari minori, alcuni affreschi nel coro tra cui è ancora riconoscibile Santa Caterina da Siena con la ruota dentata del martirio. Sarei curioso di vedere l'affresco citato perché Santa Caterina con la ruota dentata del martirio non è quella di Siena, ma quella di Alessandria e chissà qual è veramente raffigurata? Purtroppo il locale è buio ed è anche occupato da molte impalcature che ne rendono impossibile una maggiore osservazione, ivi compreso l'altare maggiore che sempre il cartello turistico indica come decorato a rilievo con cherubini.
Accedo così al centro urbano ed ad accogliermi trovo un bellissimo gatto che, seduto su una scala d'accesso ad una abitazione con fare sornione mi osserva guardingo, il suo pelo bruno striato di nero evidenzia il suo paffuto muso e i due grandi occhi giallo paglierino; dopo due coccole con annesse fuse decide di accompagnarmi per un breve tratto di strada, fino a quasi la piazza principale, dove si affacciano le scuole, il castello e la chiesa parrocchiale. Il borgo è un intrigo di strette stradine e larghe piazze, case addossate l'una all'altra, bei giardini e fantastici scorci sulle alte Langhe, non a casa Roccaverano è il paese più alto di tutto l'astigiano coni suoi 759 metri s.l.m. Colpisce subito l'immensa facciata della chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria Annunziata. La parrocchiale, come attesta una lapide, fu voluta nel 1509 dal Vescovo Enrico Bruno, nativo del borgo, su disegno del Bramante, almeno così mi raccontano. Il Vescovo Enrico Bruno che era tesoriere di Papa Giulio II non riuscì a vederne la conclusione essendo morto pochi mesi dopo l'avvio dei lavori; la costruzione della chiesa fu portata a conclusione dai nipoti Paolo Emilio e Giovanni Francesco. Quest'ultimo, divenuto Vescovo di Nola consacrò nel 1516 la chiesa che è a pianta a croce greca, con tiburio all'incrocio del transetto.
La facciata, di idea bramantesca è a capanna ed è tripartita da lesene con capitelli corinzi, entro cui s'inseriscono i profili di tre arcate, quello centrale più alto e ampio ed è a sua volta sormontato da un frontone al centro del quale campeggia, il bassorilievo, di Cristo Salvatore benedicente contornato da quattro cherubini e da altri simboli astrali come il Sole e la Luna. Sulla facciata, in pietra arenaria grigia, sono presenti altri medaglioni e bassorilievi. Dentro ad ogni arco vi sono le porte d'accesso a luce rettangolare che danno accesso alla chiesa che sono contornate da sagomati: le due porte laterali sono sormontate da un frontone curvilineo mentre quella centrale, da un frontone triangolare. Le modanature degli stipiti e del frontone della porta centrale sono più elaborate come lo è il fregio. Sopra l'arco centrale vi sono due medaglioni scolpiti in arenaria che rappresentano l'Annunciazione, uno con l'Arcangelo Gabriele, l'altro con la Vergine ma è più guastato dal tempo e dall'incuria dell'uomo. Tre stemmi di marmo bianco sono posti al di sopra delle tre porte, gli stemmi si comprendono assai poco visto che furono scalpellati durante la dominazione francese. Una finestra rettangolare è posta nell'arco centrale e sopra di essa vi è una statuina settecentesca in marmo bianco rappresentante San Rocco. L'interno della chiesa con la cupola centrale che poggia su quattro massicci pilastri in pietra. La chiesa subì molte modifiche interne nel 1827, per costruire il coro, forse in precedenza aveva un abside rettilinea. Nel fregio della cornice di imposta degli archi della cupola sono visibili dei soli in rilievo a stucco dorato ed un altro Sole è scolpito nella lastra di pietra davanti all'altare dei Bruno, situato al centro del lato destro, infatti il Sole con i raggi era lo stemma dei Bruno. Questo simbolo è ripetuto in molte parti, come sul frontone della cappella di San Giuseppe. Uscito dalla chiesa, ormai il "gattone custode" mi ha lasciato prima che io entrassi in chiesa, mi dirigo verso ciò che rimane del castello. L'edificazione del castello risalirebbe al 1204, durante la dominazione del marchese Del Carretto, altri fanno risalire la sua edificazione intorno al 1285. Del castello rimane un'ampia e alta parete in arenaria, ornata da tre eleganti bifore sovrastate da cornice in pietra; sulla parte inferiore della parete quattro feritoie denunciano l'uso in prevalenza militare del castello. Altra parte che si è salvata è una grande ed alta torre rotonda che supera raggiunge i 30 metri d'altezza ed è decorata nella sua sommità da una triplice fila di archetti ciechi. Il materiale usato per la costruzione della torre è la pietra arenaria, squadrata in blocchi regolari e presenta un'apertura all'altezza di oltre sette metri,oggi raggiungibile per i visitatori attraverso una scala metallica. Recentemente restaurato il luogo ha una funzione esclusivamente turistica. Da ciò che rimane del castello si gode un panorama unico su tutta la langa astigiana. Questo castello subì lonta di occupazioni, guerre e distruzioni come durante il XVII secolo quando il castello, proprio per la sua posizione strategica, subì diverse occupazioni da parte degli eserciti che combattevano sul suolo piemontese. In occasione della guerra di Monferrato venne preso d'assalto nel 1615 dagli Spagnoli mentre era occupato dai francesi. L'intero borgo in quell'occasione fu saccheggiato ed ancora nel 1633 viene messo a sacco dalle milizie napoletane dirette in Alsazia, come furono saccheggiate la chiesa, la canonica e distrutto l'archivio parrocchiale. Nel XVIII secolo subì dapprima l'occupazioni francese nel 1715 e una spagnola nel 1744. Una razzia del borgo si ha anche nel 1799 quando ci pensarono un gruppo di cavalleggeri russi.
Ormai è l'ora di andare a gustare i prodotti tipici locali nel vicino "Bar Osteria del Bramante" che s'affaccia sulla piazza principale tra chiesa e castello. Il locale è ben inserito in una cornice romantica con antiche mura in pietra locale, arredi rustici con delicati fiori e passamaneria, ben arredato e raffinati anche i tavoli con delicate stoviglie e tovaglie. Inizio il pasto con un aperitivo, ossia un buon calice di vino Dolcetto d'Acqui e uno squisito tagliere di salumi e l'immancabile robiola di Roccaverano. Il menù del ristorante offre una cucina tipica piemontese e i piatti sono artigianali, come la pasta fresca, ravioli del plin, tajarin, polenta, bolliti e cacciagione in stufato. Non mi faccio mancare niente e concludo con un delicato e soffice dolce alla nocciola tonda gentile delle Langhe. Prima di allontanarmi dalla piazza un rapido sguardo alla scuola elementare, intitolata al caporalmaggiore Pietro Poggio, edificio sul quale su marmo bianco sono elencati i nomi di numerosi caduti di Roccaverano nelle ultime guerre mondiali.
Girando per l'antico borgo trovo in Via Bruno una grande lapide in marmo bianco che ricorda il soggiorno nel suo paese natio del Cav. di Gran Croce Federico Brofferio, Direttore generale del tesoro dal 1910 al 1918 e Consigliere di Stato, ma ciò che mi colpisce di più in questa passeggiata per il centro storico di Roccaverano sono le ripide strade e voltoni in pietra, portali scolpiti delle case. Questo borgo della Langa astigiana è ricco di opere d'arte e sicuramente una delle più belle e armoniose scenografie piemontesi. Ma giunto davanti al non proprio bello edificio del Municipio ecco che ti ritrovo il mio "gattone custode" che mi attende pronto a cogliere due carezze per poi salutarmi, andandosene con la coda diritta a mò di antenna, è stato per tutto il tempo che ho vagato per il borgo l'unico essere vivente che si è voltato ad osservare uno "straniero" in terra langarola. Riprendo la mia auto per raggiungere, seguendo il crinale del colle, il piccolo pilone di San Giuseppe, quasi nascosto nella ripida riva; è ciò che rimane di una piccola cappelletta, sempre voluta dai Bruno e fatta demolire al tempo dell'occupazione giacobina. Dopo la caduta di Napoleone Bonaparte fu edificata con i reti della precedente costruzione questo pilone votivo. Non posso non notare sul frontone del pilone il sole dello stemma dei Bruno, scolpito nell'arenaria. Poco distante e seguendo sempre il crinale raggiungo un ampio altipiano dove sorge la chiesa di San Giovanni Battista con l'annesso cimitero. La chiesa ha una facciata ottocentesca, ma il resto della costruzione ha mantenuto in parte caratteri romanici. Si dice che la prima costruzione potesse esistere già prima del 1200, forse addirittura verso il 1000, ma la prima menzione accertata è del 25 novembre 1345, in occasione dell'investitura delle decime concesse dal Vescovo di Acqui Guido II dei Marchesi di Incisa al feudatario Matteo Scarampi. L'originaria chiesa romanica subì, durante il medioevo diverse trasformazioni dotandola di un imponente e importante ciclo di affreschi e delle forme gotiche che ancora conserva. La chiesa di San Giovanni Battista è stata per secoli la chiesa parrocchiale di Roccaverano, fino a quando il nucleo dell'abitato si spostò sulla collina intorno al castello alla fine del Medioevo e con la costruzione nel 1509, della nuova chiesa parrocchiale dedicata alla Santissima Annunziata. Facendo un giro intorno all'edificio, gli unici elementi dell'attuale costruzione, che posso attribuire all'epoca romanica, sono i primi due ordini del campanile, con archetti ciechi pensili. Accedo così all'edificio attraverso l'unica porta d'accesso: l' interno, a una sola navata, è decorato con motivi ottocenteschi a stella, con l'eccezione della zona absidale che è totalmente affrescata, benché l'apertura di alcune finestre ha in parte rovinato gli affreschi quattrocenteschi che sono stati recentemente restaurati.
Sulla parete absidale di fondo, sono effigiati otto Apostoli, gli altri quattro Apostoli sono disposti due per parte sulle pareti laterali. Alle pareti si susseguono otto pannelli con le storie di San Giovanni Battista patrono della chiesa. Purtroppo gli affreschi sono stati fortemente compromessi dall'apertura successiva di porte e finestre, come la piccola Crocifissione la cui porzione centrale è andata perduta per l'apertura di una finestra; sulla volta sono rappresentati i quattro Evangelisti e un Cristo Pantocratore, mentre i sottarchi accolgono le figure intere di quattro sante. Mi soffermo ad ammirare un esclusivo affresco delle storie di San Giovanni, dove la dovizia dei particolari dei costumi e la resa cromatica rendono la scena del banchetto, in cui è recata la testa mozzata del Profeta, molto intensa. Anche la volta ed il sottarco sono affrescate con scene di vita dei santi, così come la navata, purtroppo alcune porzioni della parete destra sono andate perdute per alcuni lavori di muratura, compreso l'installazione a muro di in antiestetico condizionatore.
Sempre in auto raggiungo a poche centinaia di metri un colle ove svetta l'isolata torre duecentesca di Vengore, è molto simile, per forma e dimensioni, a quelle di Olmo Gentile e di Visone. La torre serviva come vedetta verso la valle Bormida di Spigno, il Ponzone e l'Acquese. Costruita a base quadrata, è molto alta e le mura in pietra la rendono possente, la sommità, in parte danneggiata dal tempo e dall'incuria presenta ancora le mensole e beccatelli che originariamente sorreggevano il camminamento esterno. Alla torre è associata una leggenda che vuole la costruzione della torre sia dovuta alla vanità di alcuni abitanti che avrebbero voluto uguagliare la potenza del Re, innalzando un fabbricato più grande e possente di quello dei sovrani e gridando al cielo: "Vengo, Re, Vengo, Re", da cui farebbero derivare il nome. Naturalmente il loro orgoglio fu subito punito dall'ira divina e la maestosa torre rimase in mezzo alla campagna inutilizzata. Con l'auto e seguendo le indicazioni del giovane cameriere del "Bar Osteria del Bramante", riattraverso l'antico Borgo e m'avvio per una lunga, stretta e tortuosa strada fino a raggiungere uno spiazzo ove è stata costruita la seicentesca chiesetta di San Rocco, posta sul crinale del colle che s'affaccia su Olmo Gentile. L'edificio fu fatto costruire nel 1631 dal cappellano della frazione di Garbaoli proprio per invocare la protezione del Santo dalla peste che stava dilagando nell'alta valle. Successivamente nel 1667 alla chiesetta fu aggiunto il pronao per volontà del sacerdote Carlo Murialdi di Roccaverano. La chiesetta posta su un rilievo, circondata dal verde paesaggio presenta un scala d'accesso in pietra affiancata da una siepe di sempreverde. La chiesa è a capanna e l'arco d'accesso al pronao non è assolutamente centrato, una cancellata ne impedisce l'accesso ma mi permette comunque di vedere sulla facciata sopra alla porta d'ingresso della chiesa un grande e assai moderno affresco che ricorda la dedicazione a San Rocco della chiesetta. Dedicazione anche incisa sullo stipite in pietra della porta che recita: "Ecclesia Sancti Rochi tempore pestis costructa anno 1631". Un campanile con una cupola a cipolla è posto sulla destra dell'edificio religioso, caratteristico come tutta la chiesa per il suo colore giallo in cui è stata tinteggiata. Sempre in auto rientrando verso il centro del borgo, ma prima di accederci , volto in direzione Garbaoli, frazione posta a pochi chilometri dal centro storico di Roccaverano e totalmente immerso nel verde. Caratterizza la frazione la chiesa dedicata a San Marziano già parrocchiale e l'ex oratorio dei Disciplinati. L'attuale chiesa è del 1604, costruita su un preesistente edificio religioso, forse romanico ma di cui non vi sono evidenti tracce. La chiesa ha un imponente facciata, tutta intonacata e tripartita da bianche lesene mentre il resto della facciata è color rosa. L'unica porta d'accesso alla chiesa è piccola e la trovo chiusa, mentre tre alte finestre frontali ne permetto l'ingresso dalla luce, un marcapiano modellato in bianco divide la parte sommitale centrale curvilinea. Di fianco il piccolo oratorio anche'esso intonato e tinteggiato in giallo paglierino, mentre le due lesene angolari sono in bianco ghiaccio. L'edificio è a capanna con un timpano triangolare modanato. Un grande porta d'accesso, più ampia di quella della chiesa e una piccola finestra quadrata sopradi essa. Sul lato sinistro e sul retro della chiesa e dell'oratorio un ampio prato ne ricorda l'uso cimiteriale, ancora alcune lapidi ne sono murate sugli edifici religiosi. L'adiacente casa canonica di Garbaoli è utilizzata dall'Azione Cattolica della diocesi di Acqui Terme durante il periodo estivo per i Campi scuola dei giovani.
Ho così concluso la mia visita per questo antico borgo dell'alta Langa astigiana, circondato dai boschi e da verdi prati, dove le torri e i campanili ne fanno da sempre vedetta. Rientro verso casa su strade immerse nel verde dei pascoli e dei boschi, sembra tutto una dimensione mitica che trasuda storia e leggenda, anche questo è il mio Piemonte.