Blog di Dante Paolo Ferraris

  • Aumenta dimensione caratteri
  • Dimensione caratteri predefinita
  • Diminuisci dimensione caratteri
Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Il mio Piemonte: Masio

E-mail Stampa PDF
MasioForse non sarà splendente questo sabato mattina, ma le nuvole non copriranno per tutto il giorno il cielo.
Raggiungo con la mia piccola autovettura il borgo di Masio, posto sulla destra orografica del fiume Tanaro, posto ai confini con l'astigiano.
L'abitato sorge su un rilievo collinare, supero agevolmente il ponte sul torrente Tiglione prima di entrare in Paese.
Sulla mia destra trovo una chiesetta campestre, oggi quasi incorporata nel centro abitato, è la chiesa è dedicata a San Rocco, che sicuramente è stata edificata con la peste seicentesca, è certo che questa chiesetta fungesse da cappella del lazzaretto. Infatti San Rocco e San Sebastiano venivano spesso invocati per proteggersi dalle pestilenze. Mi soffermo per ammirare la sua semplice facciata con una piccola porta d'accesso, nessuna finestra, lesena se non quelle angolari, risulta così priva di ogni ornamento. L'unico vezzo in facciata è nella porzione superiore con un timpano ad arco tutto sesto e un terreo colore rosa e grigio nelle lesene angolari e nelle leggere cornici dell'arco della facciata. In questa cappellania, ancora nel XVII secolo, il cappellano era tenuto a coadiuvare il Prevosto in qualità di vice curato e doveva fungere da maestro di scuola.
Raggiungo così la Piazza della biblioteca, ed a piedi mi avvio verso il Palazzo Municipale. Sosto per un attimo davanti alla casa posta al civico 45 di Via Rattazzi, dove una lapide ricorda Urbano Rattazzi, uomo politico del Risorgimento italiano e primo Ministro del Regno, forse il cittadino masiese più famoso. Urbano nacque ad Alessandria nel 1808 da una famiglia originaria di Masio e qui vi trascorse, come recita la lapide, "le ferie autunnali, alla frivolezza dei sollazzi a severi studi e lettere gentili anteponendo".
Poco distante sul lato opposto una lapide ricorda Benito Fossati detto Fulmine, nato nel 1926 e morto nel campo di concentramento di Mauthausen nel maggio 1945. Il maestro Giuseppe Cacciabue, detto Pimpi nel suo libro "Masio, storie di vita partigiane" lo ricorda come un ragazzo di inesorabile determinazione, un partigiano temerario che non si arrese mai, neanche quando fu catturato dai nazisti. Costui giunse a Mauthausen con la testa spaccata, dopo aver avuto un diverbio con una SS. nazista che lo colpì con il calcio del fucile. Messo a lavorare in officina, il maestro Cacciabue ricorda che Benito lasciò scritto col carbone sul muro questa scritta: "Sono il partigiano Fulmin: se muoio vendicatemi". Ma furono anche altri i masiesi che persero la vita nel campo di concentramento di Gusen, come Aldo Perfumo, mentre il fratello Pierino, incolpevole vittima del feroce odio nazista, finì presto per essere "passato per il camino", come ricorda sempre Cacciabue.
Ormai sono sotto la volta della pubblica pesa e poco distante trovo l'edificio scolastico, il municipio e il bel monumento a un eroe masiese, dimenticato da molti. Il monumento lo ritrae a mezzo busto, senza braccia e con il suo enorme barbone ed un medagliere importante. Si tratta di Giovanni Poggio, un soldato semplice d'artiglieria, di cui le eroiche gesta sono raccontate anche da Edmondo De Amicis, che ebbe modo di incontrarlo. Intervista che fu pubblicata nel settembre del 1884 sul giornale argentino "El Nacional" del quale De Amicis era corrispondente. L'intervista fu successivamente pubblicata anche in Italia, con il titolo "Il soldato Poggio".
Costui nacque ad Abazia di Masio il 4 agosto 1830. Si arruolò molto giovane nell'esercito sabaudo e incorporato nell'artiglieria da piazza come cannoniere di prima classe. Partecipò alla guerra di Crimea in qualità di Capo pezzo di artiglieria della "batteria La Rocca di Cavour", dove partecipando alla battaglia della Cernaia, meritò encomi francesi ed inglesi e venne decorato della British Crimea medal-Queen Victoria nel 1856. Si distinse altresì nelle principali battaglie risorgimentali italiana del 1859, guadagnandosi la Mèdaille de la campagne d'Italie, voluta dall'Imperatore Napoleone III. Di questa onorificenza furono decorati pochi ufficiali piemontesi e ancor meno soldati. Durante la campagna dell'Italia meridionale del 1860, in particolare della battaglia del Volturno del 30 settembre, fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare. L'eroica motivazione è ben raccontata nell'intervista di De Amicis, come dell'eroica impresa che vide Poggio protagonista il 12 novembre 1860 durante l'assedio della città di Capua, dove fu decorato con la medaglia d'oro al valor militare. In quell'impresa Giovanni poggio perse le due braccia colpito da due distinte cannonate borboniche. Re Vittorio Emanuele II, visitandolo all'ospedale di Napoli lo promosse Ufficiale sul campo, ma la burocrazia lo lasciò per sempre soldato.
Rientrato a Masio, senza le due braccia, riuscì comunque a sposarsi ed avere numerosa prole. Morirà a Torino il 5 dicembre 1910.
Su Giovanni Poggio e sull'intervista di Edmondo De Amicis mi permetto una digressione. Infatti troppi esimi critici letterali e non solo, tennero e tengono ancora un atteggiamento distaccato se non liquidatorio nei confronti di De Amicis, noto solo come autore del libro "Cuore".
Costui è da sempre ritenuto uno scrittore minore e per letteratura per ragazzi dell'Italia umbertina, tutta buoni sentimenti e colma di perbenismo borghese, in un Italia attenta all'innovazione, alle esposizioni internazionali e al rinnovamento architettonico con il nuovo stile Liberty. Valutazione che mi è sempre apparsa, fin dai tempi scolastici, pregiudizievole e stereotipata, nei confronti di quei romanzieri che seppero valorizzare la Patria e la famiglia.
L'intervista a Giovanni Poggio, ne è una testimonianza, attraverso le domande poste ad un uomo che nonostante la perdita degli arti superiori e le conseguenti difficoltà, seppe, grazie ai genitori, superarle e trovare moglie e ancora chiedere che dopo la sua morte: "Ai miei figli, dopo che il Governo avrà sistemato vostra madre e tutte le cose saranno aggiustate, se potete mandate non meno di lire cento al Ministro della Marina, pregandolo di accettarle come primo fondo per la sottoscrizione popolare di cui vi fate iniziatori per regalare allo Stato una nave che porti il nome Patria".
Giovanni Poggio, imparò a scrivere stringendo la penna coi denti, come afferma nell'intervista. Ma degna di nota, a mio parere, credo debba essere considerata Camilla Fossati, la moglie di Giovanni, che fu di lui le braccia. Non fu assistenza la sua "all'uomo senza braccia", ma una scelta d'onore e di sacrificio per una persona più anziana di lei di diciotto anni, forse il Comune di Masio dovrebbe più degnamente ricordare in qualche modo questa esemplare silenziosa eroina.
Arrivo quindi alla Torre di Masio dopo una breve salita sulla vetta più alta del Borgo, denominato Villanova. Prima di entrare nella torre, mi soffermo nel sottostante giardino a ripassare un po' di storia locale. È importante sapere che Masio è equidistante tra Alessandria e Asti, posto su un altura a ridosso del fiume Tanaro e vicino all'antica Via romana Fulvia che collegava Dertona (Tortona) Hasta (Asti) e Augusta Taurinorum (Torino) passando per Forum Fulvii (Villa del Foro), ma soprattutto vi era un collegamento con traghetto che univa le due sponde del Tanaro. Questo poneva il Borgo, già in antichità, in posizione strategica per i commerci.
In alcuni documenti dell'899 d.C viene citato come Massius, poi ancora Villa Masias e poi nel 1081 come Maxius, che sembra indicare l'origine del toponimo in "cascinali".
Nel 1190 gli uomini di Maxium si alleano con Asti e Alessandria, diventando di fatto cittadini di entrambi i Comuni, godendo dell'esenzione del pedaggio e impegnandosi ad aiutare entrambi i Comuni in caso di guerra. Sia Asti che Alessandria avevano interessi ad entrare in possesso del territorio masiese.
I rapporti tra i due Comuni furono sempre tesi, nonostante l'impegno di entrambi di ritenere il borgo zona franca. Fu sempre zona di confine, dapprima tra Asti e Alessandria, poi tra Milano e Asti e il marchese del Monferrato.
Sia Alessandria che Asti acquistarono comunque dei diritti sul Borgo, tanto che nel 1212 Asti intimò ad Alessandria di non acquistare nessun diritto sopra il Borgo, ma a sua volta nel 1218 acquistò da vari proprietari parte della loro giurisdizione. Ne seguì un periodo di scontri che vide firmata la pace tra Alessandria, Asti e Alba, solo nel 1223, sottoscritta nella chiesa di Santa Maria Maddalena di Masio. Trattato che fu subito rotto. Il territorio di Masio fu quindi diviso tra Asti e Alessandria impegnandosi reciprocamente di non fortificare il Borgo.
Asti nel 1229 acquistò il terreno sul quale verrà edificata la torre su cui sto per accingermi a salire, intorno alla quale voleva costruire un nuovo borgo, appunto Villanova. Il paese rimase lungamente così legato ad Asti.
Salgo lentamente i sette piani ricavati nella Torre, dove è stato realizzato un museo che racconta la storia della stessa e del fiume. La Torre fu edificata con lo scopo di consolidare, da parte astigiana, il controllo del territorio. Mi raccontano i cartelli illustrativi nella Torre che questa avesse anche lo scopo di indebolire il Borgo antico e costringere gli abitanti a spostarsi nel Borgo nuovo, cosa che riuscì molto limitatamente.
Nel corso dei secoli la Torre perse lo scopo difensivo, limitandosi a diventare punto di avvistamento. Occorre ricordare che la Torre per un terzo della sua altezza era colma di terra per aumentarne la stabilità. Si accedeva anticamente attraverso una scala esterna in legno.
Raggiungo la cima, dove un tempo esisteva una copertura lignea. Il panorama da in cima la Torre è veramente incredibile, si vede la sinuosità del fiume Tanaro con le sue lanche e le zone recentemente allagate dall'ultima alluvione, ma anche i dolci versanti delle colline che si distendono verso l'astigiano, distinguendo chiaramente in fondo alla pianura la città di Alessandria.
L'ultima traccia di storia della Torre, tra l'altro rimasta indelebile nel tempo, sono i segni del cannoneggiamento tedesco del 1944.
Ammirata la Torre, simbolo di Masio, scendo dal colle e mi reco nel piazzale antistante l'Oratorio di Santa Maria Maddalena.
La chiesa ha un prospetto semplice, nonostante si distingua per la sua alta facciata con il caratteristico campanile. Si affaccia su un decoroso sagrato, arricchito da panchine, cespugli fioriti e protetto da colonnine in ghisa tornita con catenelle. Presente una sola porta d'accesso con una leggera cancellata in ferro a protezione. La chiesa è tutta in mattoni a vista, sono intonacate solo le lesene angolari sia della chiesa che della torre campanaria, il timpano della facciata e il marcapiano. In testa alla lesene angolari vi sono due pigne, mentre sul culmine del timpano triangolare vi è una croce metallica. Subito sotto il marcapiano vi è una lunetta a tutto sesto vetrato, mentre sopra la porta d'ingresso una cornice con volute intonacate, forse un tempo racchiudeva un affresco o una frase.
È aperta e quindi posso accederci ed osservo che è a navata unica. La fonte più antica che ricorda la devozione dei masiesi a Santa Maria di Maddalena è negli statuti trecenteschi in cui si racconta l'esistenza a Masio di una confraternita di Battuti ai quali si attribuisce la costruzione di un primo edificio verso la fine del XIII secolo. I Battuti erano gli appartenenti a diverse confraternite di laici attive dal Medioevo ed il loro nome deriva inizialmente dalla penitenza della flagellazione che almeno alcuni gruppi si imponevano come regola.
Il termine rimane poi anche quando tale usanza di battersi o flagellarsi cade in disuso, assumendo il senso morale di afflitti. Solitamente erano votati alla Madonna e si adoperavano in opere di beneficenza e assistenza e assistendo ai riti religiosi.
Il periodo più fulgido per l'Oratorio fu sicuramente il Settecento, quando fu dotato di un altare in scaglia policroma, un opera di grande pregio artistico. I membri della Confraternita vestivano una cappa bianca e la loro esistenza è documentata fino agli anni cinquanta del Novecento.
Mentre la mia passeggiata prosegue verso la parrocchiale, mi sovvengono altri tratti di storia di Masio. Dopo che gli astigiani edificarono la Torre, il Borgo rimase lungamente legato ad Asti e fu successivamente signoria dei Visconti e degli Sforza di Milano e poi dei Valperga, dei Civalieri di Quattordio e degli Olivazzi.
Raggiungo così la parrocchiale di Santa Maria e San Dalmazzo. I documenti attestano la presenza di una pieve sulla collina di Masio dedicata alla Madonna Assunta, già posta sotto la giurisdizione del Vescovo di Asti in epoca medioevale. L'attuale Parrocchia è in stile romanico-gotico. La sua costruzione è stata assai lunga e i vari stili lo dimostrano. La facciata attuale risale alla seconda metà dell'Ottocento, della chiesa originale sono il rosone con una cornice in conci bianchi e rossi. Disegno richiamato sulle leggere lesene di una facciata tripartita a capanna sfalsata. Sulle lesene i conci bianchi disegnano piccole croci. Stesso richiamo in conci bianchi e rossi sono le cornici del portone a sesto acuto e delle due finestre goticheggianti poste ai lati della porta, nelle parti laterali della chiesa. Sopra di esse due piccole finestre tonde, sempre incorniciate da mattoni bianchi e rossi. In testa alle lesene, comprese quelle angolari, quattro pinnacoli in mattoni rossi. Il campanile è massiccio e tozzo, la cella campanaria ha aperture con leggere bifore con colonnine centrali. L'interno della chiesa è a tre navate.
Entrato, vengo piacevolmente attratto dalla pala dell'altare maggiore. Si tratta di un trittico ligneo dipinto e dorato risalente al XVI secolo. Al centro del trittico, posto nella parte superiore, una piccola tavola circolare che rappresenta la Vergine in gloria, incoronata da putti musicanti. Le tre tavole principali rappresentano al centro la resurrezione in gloria di Cristo, Sulla tavola di sinistra, San Dalmazzo vestito con una tonaca romana di color rosso carminio, il viso dipinto con delicato lineamenti e con tanto di barba, baffi e bianchi capelli fluenti. I simboli del martirio sono indicati dalla scura infissa sul capo.
Nella tavola di destra vi è dipinto San Secondo, patrono di Asti, vestito da soldato romano che impugna nella mano destra la spada, mentre sulla sinistra ha il modellino di una città, forse Asti o la stessa Masio.
Nella predella, divisa in due registri, sono riprodotti i dottori della chiesa e scene che fanno riferimento all'Antico Testamento con la creazione del mondo. Nel registro inferiore, invece, vi sono Gesù tra i discepoli e i quattro evangelisti.
Un'altra preziosa opera conservata nella parrocchiale è un crocifisso, opera lignea quattrocentesca di notevoli dimensioni.
Ma la parrocchiale conserva anche delle reliquie di San Dalmazzo. La tradizione vuole che nel 907 i masiesi videro arrivare un lungo corteo, guidato da un Vescovo con molti monaci salmodianti, scortati da uomini armati che accompagnavano un carro trainato da buoi con sopra il sarcofago contenente il corpo di San dal Mazzo.
Il corteo arrivava da Pedona, l'attuale Borgo San Dalmazzo e diretto a Quargnento. La traslazione del corpo del Santo fu voluta dal vescovo di Asti, audace, per mettere in sicurezza le reliquie del Santo dalle scorrerie dei saraceni. Seguiva la processione, un corteo di persone imploranti grazie e perdoni.
Giunto ai piedi del colle di Masio, il nutrito gruppo di uomini e il sarcofago del Santo dovevano attraversare il fiume Tanaro con il traghetto. I traghettatori discussero sul costo del trasporto e pattuirono, come ricompensa, una reliquia del corpo di San Dalmazzo, affinché proteggesse la popolazione dell'intero Borgo di Masio. Fu così staccato un dito dalla mano del santo ed affidato ai religiosi locali che lo custodissero, ed ancora oggi è conservato nella parrocchiale. San Dalmazzo, viene descritto come un evangelizzatore itinerante sulle Alpi marittime, in Provenza, ad Alba, nel milanese e pavese, morto il 5 dicembre 254.
Un altro importante edificio storico è il Settecentesco e austero palazzo già dei Conti Baiveri Incisa della Rocchetta rimasto quasi inalterato fino ad oggi.
Ritorno verso l'auto e con essa prendo la strada Serra, cioè in direzione Asti, fermandomi ai bordi dell'abitato di Masio.
Una signora è prona nel fosso a tagliare l'erba e curare dei bei fiori di Iris che decorano l'accesso al piccolo Oratorio di San Sebastiano.
Come per la chiesetta campestre di San Rocco, anche San Sebastiano era invocato a protezione dalle malattie infettive, dalle calamità e a protezione degli animali. Forse anche intorno a questa chiesetta vi era un lazzaretto, considerato che la devozione a San Sebastiano è più antica e diffusa almeno dal IX secolo.
La chiesetta probabilmente è di fine Trecento, ossia quando il morbo della peste stava infestando le terre piemontesi. Anche questo piccolo edificio sacro è semplice, fatto a capanna ed è tutto intonacato. La facciata presenta una sola piccola porta d'accesso, ai fianchi di questa vi sono due piccole finestre, protette da una grata metallica.
Lascio l'abitato di Masio e mi reco nella vicina frazione di Abazia. Mentre salgo verso il centro abitato mi corre l'obbligo ricordare che fu nel periodo della presenza spagnola sul territorio, nel 1561, che fu istituita la Provincia di Alessandria, nella quale entrò a far parte Masio. Con l'occupazione francese del 1798 anche Masio seguì le sorti della sua provincia, entrando dapprima nel Dipartimento del Tanaro e dopo la riorganizzazione amministrativa napoleonica, entrò a far parte del Dipartimento di Marengo arrondissement di Alessandria.
Mi piacerebbe scoprire dove per Masio passasse la strada franca "detta di Felizzano". La strada franca era una via di comunicazione esente dal pagamento del dazio di Alessandria e che permetteva un collegamento fra i due territori dello stato del Monferrato, ormai privo di continuità territoriale a causa dell'incunearsi del dominio milanese. Sostanzialmente questa strada permetteva il libero transito da Fubine, ultima terra monferrina a nord del Tanaro e Bergamasco, prima terra monferrina a sud di questo corso d'acqua.
Raggiungo cosi la frazione di Abazia, parcheggio l'auto nella Piazza dedicata a Oreste Piacenza.
Oreste Piacenza, conosciuto con il nome di battaglia Mirko, era un combattente coraggioso, i più affermano che fosse senza paura e forse fu proprio la sua audacia estrema fu la causa della sua morte. Infatti sacrificò la sua vita durante uno scontro, avvenuto a Rocca d'Arazzo paesino dell'astigiano, con elementi della Brigata nera, dove venne dilaniato da una raffica di mitra nel cinema del Paese.
La strada del Borgo è pressoché deserta, si sentono solo rumori provenire da una vicina falegnameria.
Poco distante vi è la Chiesa Parrocchiale, dedicata alla "Regina degli Apostoli". La facciata è molto semplice ed è totalmente in mattoni. Due gradini permettono l'accesso alla Chiesa, dotata di un unico ingresso frontale. Il prospetto della Chiesa è assai slanciato, grazie anche a quattro leggere lesene che sembrano sorreggere un enorme cornice in mattoni che copre tutta la sua facciata longitudinalmente. All'interno di questa cornice, una scritta in latino su sfondo bianco recita "Deo Optimo Maximo - in hon (onore) Regina Apostolorum."
Un leggero timpano con finestra semicircolare chiude a capanna la facciata. Sopra alla porta d'ingresso, contenuta dentro una piccola bussola in mattoni, un architrave con sopra un finto timpano. Al centro della facciata un bel rosone con una cornice in mattoni.
La Chiesa è a navata unica, tutt'intorno, un intero coro di santi affrescati. Anche il soffitto è finemente decorato. Purtroppo si mostrano evidenti segni di degrado ed infiltrazione d'acqua.
Masio e le sue frazioni ricadono sotto la giurisdizione della diocesi di Asti.
Questa Chiesa fu edificata tra il 1882 e il 1883, insieme al Collegio delle missioni estere, quest'ultimo iniziato a edificare nel 1879. Questa istituzione fu voluta dall'abate Giuseppe Faà di Bruno. Da allora il complesso divenne fulcro dell'azione dei Pallottini, religiosi della Società dell'apostolato cattolico fondata da San Vincenzo Pallotti (Roma, 21 aprile 1795 - Roma, 22 gennaio 1850).
Il degrado che ora insiste sul fabbricato dell'ex Collegio per le missioni estere è notevole. Da lontano, tra la boscaglia, riesco a intravedere questa grande costruzione ormai in fatiscente stato.
Nel 1948 la Chiesa, nata come parte integrante del collegio, assume funzioni di parrocchia. Il Borgo fino all'Ottocento non esisteva, o meglio era un gruppo di cascine sparse, solo allora inizierà ad assumere una conformazione più aggregata.
Diverse sono state le Chiese parrocchiali della frazione di Abazia e la loro cronologia è indissolubilmente la storia del piccolo Borgo.
Fonti locali affermano che in cima alla collina, rivolta verso Masio, già nel Medioevo vi esistesse un edificio sacro con annesso convento, dedicato alla Beata Vergine dei molti doni. Questo convento, era più o meno edificato dove oggi sorge una statua della Madonna, che poc'anzi ho visto in cima alla salita che da Masio conduce ad Abazia.
Sul finire del Seicento, lo storico locale, il Professor Cacciabue, afferma che in località Moncucco, all'interno di una cascina vi fosse una Chiesa più piccola, dedicata alla Beata Vergine Assunta, in cui si celebrava la Messa.
Faccio due passi per il borgo, in cui con vero piacere vedo ancora presenti e attivi diverse botteghe. Su un piccolo edificio in mattoni a vista, una lunga scritta nera su sfondo bianco, indica la sede della società cooperativa di Mutuo Soccorso fra gli operai agricoli di Abazia.
Questa istituzione nasce nel 1893 quale accordo di mutuo soccorso tra i contadini per offrire assistenza medica, aiuti economici in caso di malattia tra i soci. Inoltre vi era anche uno spaccio alimentare; attualmente vi è un bar ed è ancora gestito come una S.O.M.S.
In auto mi dirigo verso quello che è l'insediamento più antico, ancora visibile, di origine medioevale. Raggiungo così Cascina Roncaglia, dove ancora oggi si conservano i resti di una Chiesa intitolata a San Giovanni. Qui vi era l'antica Precettoria di San Giovanni di Roncaglia, sede di un insediamento dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, noti anche come Cavalieri di Malta. Presenti in questo luogo almeno dal XIV secolo. I loro insediamenti erano posti lungo le strade con grande affluenza di viandanti e che vi fosse pericolo per la pubblica incolumità. Queste Precettorie offrivano alloggio e protezione.
La facciata di questa Chiesa è ormai totalmente inglobata nella cascina ed è anche bisognosa di importanti ed urgenti restauri. Una lapide posta sulla facciata, sopra l'ingresso, in cui è inciso 1728, ci ricorda che questa chiesa o quantomeno la facciata, fosse stata rifatta totalmente nel XVIII secolo.
Non vi è più nulla che ci possa ricordare come potesse essere fatta questa Precettoria, con la sua casa per ospitare i pellegrini, le sue mura di protezione, quasi un autentico ricetto.
Sempre in auto raggiungo la Casa del popolo, fondata nel 1901, come reca la rinnovata insegna in stile liberty. L'edificio rappresentava un importante punto di ritrovo per la Comunità di Abazia ed inoltre era dotata di un forno comune per panificare per tutte le famiglie contadine. Oggi la struttura, ben restaurata è utilizzata quale locale di ristorazione. Tra Abazia e Masio, lungo il corso del torrente Tiglione, posto su un colle, ormai immersa e nascosta tra gli alberi, non so se protetta e divorata da questi, si erge ciò che rimane di Villa Marina.
Un edificio rurale ma dalle nobili fattezze, appartenuta alla famiglia Rattazzi. Luogo dove avvenne lo storico incontro tra Urbano Rattazzi e Camillo Benso Conte di Cavour che diede vita al famoso "connubio" che portò Rattazzi e Cavour alla guida dei governi decisivi per l'Unità d'Italia.
Mentre mi allontano da Abazia in direzione Redabue, penso a ciò che ho avuto modo di vedere. ma sono altresì rammaricato di non aver individuato dove ad Abazia fosse nato l'eroe locale, Giovanni Poggio. Ma altri furono i personaggi famosi natii di Masio, quali ad esempio Civalieri Giovanni Battista, di cui si sa solo che morì nel 1815 e che servì con valore la bandiera dei Savoia quale comandante di un reggimento che combatté contro i francesi e fu insignito dell'Ordine equestre mauriziano.
Sempre dell'antica famiglia Civalieri appartenne anche Giovanni Giacomo, giureconsulto morto nel 1610 ed inviato quale ambasciatore da Massimiliano di Baviera, per sostenere i diritti di Quattordio contro il duca di Mantova.
Altro personaggio famoso fu eliso Rivera nato a Masio nel 1896 e morto in Alessandria nel 1936, avvocato e fondatore insieme a Eugenio Camillo Costamagna, della Gazzetta dello Sport. Costui abbandonata l'editoria, continuò la sua attività di avvocato penalista e rimase nel consiglio direttivo dell'Unione Velocipedistica Italiana. Trasferitosi in Argentina fondò la Gazzetta degli Italiani, organo degli emigranti dell'America del sud.
Ormai, mentre torno verso casa in direzione Oviglio, transito davanti al parco del castello di Redabue, ancora proprietà della famiglia Doria, oggetto di una mia prossima giornata di svago e curiosità.
Questo castello risale in parte al XII secolo e fu protagonista di tutte le guerre che coinvolsero il Monferrato. Fu distrutto da Facino Cane nel 1403 e non conobbe mai pace fino all'annessione dei suoi territori al Regno di Vittorio Amedeo II. Il castello come il borgo annesso, ebbe diversi feudatari, dagli Scarampi ai Della Rovere fino ai Doria Lamba. Già in antichità in questo luogo vi era un antico rifugio di caccia, denominato Repabovio o Ripabovio appartenente all'Abbazia di Santa Maria di Brera di Milano.
Il castello fu ripetutamente ricostruito e rimaneggiato. Interessante è la cappella barocca consacrata nel 1774 e utilizzata anche come parrocchia del borgo. Durante la seconda guerra mondiale il castello fu occupato dalle truppe tedesche che ne fecero un loro acquartieramento.
Questo mi permette di ricordare la grande presenza partigiana in Masio, tanto da vedere questo territorio tra i 44 comuni facenti parte nell'ottobre del 1944 della Repubblica Partigiana dell'Alto Monferrato con capoluogo Nizza Monferrato.
Il 2 dicembre 1944, tedeschi e fascisti attaccarono la Repubblica partigiana dell'Alto Monferrato a Rocca d'Arazzo e in poche ore raggiunsero Masio risalendo la Val Tiglione rendendo vana ogni difesa possibile dei partigiani. L'esercito Nazi-fascista concentrò, nelle città limitrofe di Alessandria - Asti - Acqui Terme, un consistente numero di uomini e mezzi.
Masio subì molti attacchi da parte dell'esercito Nazi-fascista, ricordiamo infatti il bombardamento che danneggiò la Torre del paese e provocò una vittima e diversi feriti.
Il 4 novembre 1944 Masio fu attaccata da più di 700 uomini con 18 autocarri, 2 pezzi da 88mm e da una dozzina di mitragliere da 20mm, subendo un pesante rastrellamento con vittime e feriti. Ma il colpo più duro Masio lo subì circa un mese dopo con il Rastrellamento del 2 dicembre 1944.
L'attacco fu durissimo, tant'è vero che quasi tutta la popolazione fu costretta a scappare nei boschi limitrofi poiché l'abitato fu quasi completamente incendiato.
Lascio così questo piccolo borgo, lontano dalle grandi direttrici stradali, e forse per questo un po' dimenticato ma certamente non privo di fascino.