Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Bra

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BraLa giornata è splendida per avventurarsi per le antiche vie del centro storico di Bra, l'occasione mi offre una visita ad amico che da molto tempo non vedo.
Mentre cerco di raggiungere questa cittadina posta all'inizio dei primi rilievi collinari del Roero, faccio un ripassino di storia locale. Le origini e gli insediamenti umani nella zona di Bra sono antichissimi, tanto che la presenza antropica è accertata fin dall'era neolitica. Posta lungo la valle del Tanaro, la città romana di Pollentia l'attuale Pollenzo, che venne fondata alla fine del II secolo a.C., fu un importante centro di traffico commerciale tra i porti liguri e la pianura piemontese. Dopo la battaglia di Pollenzo del 402, quando le truppe romane comandate da Stilicone vinsero e misero in fuga i Goti di Alarico, iniziò la decadenza di Pollentia e i suoi abitanti furono costretti a spostarsi verso l'altopiano dell'odierna Bra, ritenuto più sicuro.
Il nuovo borgo iniziò a prendere consistenza dall'inizio del V secolo d.C. intorno agli edifici religiosi di Sant'Andrea "Vecchio" e di San Giovanni "Lontano".
Bra fu assoggettata ai Savoia nel XII secolo dove signoreggia la famiglia De Brayda che prende il nome dal borgo. Mentre il nome del borgo Brayda dovrebbe derivare dal longobardo che indica una masseria con annessi terreni.
Nel 1224 entrò nei possedimenti del Comune di Asti che era in contrasto con il Comune di Alba per la supremazia territoriale. A tal fine nel 1243 il comune di Alba e il Vicario Imperiale di Federico II di Svevia fondano l'abitato di Cherasco e la città di Alba mantiene il controllo di ciò che rimane di Pollenzo, per contrastare gli astigiani e la famiglia De Brayda signoreggia sull'abitato di Bra.
Alla fine dello stesso secolo Pollenzo passa sotto il controllo degli astigiani. Dopo un breve periodo in cui Bra fu sotto il controllo angioino e poi dei Savoia-Acaja, nel 1347 passa sotto il dominio dei Visconti insieme ad Asti. Il 1515 fu un anno terribile per i braidesi, quando le truppe di Francesco I Re di Francia, al comando di Gian Giacomo Trivulzio, assalta Bra, la vince e la saccheggia. Nel 1552 dopo che le mura della città furono distrutte e ricostruite, Bra subisce l'assedio dell'Imperatore Carlo V con le truppe al comando del Principe Emanuele Filiberto di Savoia e Ferrante Gonzaga; la città capitolò e i suoi difensori e parte della popolazione fu passata a "fil di spada".
Con la pace di Cateau-Cambrésis, la città entrò nei domini del Duca Emanuele Filiberto. Con la vicina Cherasco diventa un importante presidio militare utile a Carlo Emanuele I per conquistare Alba e il Monferrato, che entreranno sotto i domini dei Sabaudi con il trattato di Cherasco del 1631. Bra nonostante non fosse stata esente da carestie ed epidemie, vede con il XVIII secolo il suo espandersi e fiorire sotto il profilo architettonico. Bra assorse al rango di città nel 1760 su decreto di Carlo Emanuele III di Savoia.
Lo sviluppo architettonico nel XVIII secolo avvenne anche grazie alla presenza di Bernardo Antonio Vittone, architetto dell'arte tardo-barocca.
Il XIX secolo, invece, diede a Bra uomini di notevole levatura in diversi campi, come San Giuseppe Benedetto Cottolengo natovi nel 1786 che fondò la Casa della Divina Provvidenza, oppure il famoso latinista G.B. Gandino, o anche l'archeologo Edoardo Brizio, oltre agli scienziati naturalisti Ettore e Federico Craveri.
Arrivo a Bra che è uno dei maggiori centri del Barocco Piemontese. Parcheggiata l'auto in Piazza XX Settembre, ad attendermi trovo Flavio, un giovane conoscente che milita in un sodalizio in cui tempo addietro anch'io avevo aderito. È un ragazzo alto, con una folta barba castana come i suoi corti capelli, due grandi occhiali sugli occhi marrone e posati su un lungo naso, quando sorride due fossette si creano ai lati delle guance. È un ragazzo gioviale, pieno di iniziative, amante della montagna e dei divertimenti. Insieme faremo un breve giro per la città, accompagnati anche dagli scritti di Giovanni Arpino (1927-1987). che in Bra visse. Quest'ultimo fu uno scrittore ruvido ed ironico che trascorse la sua giovinezza a Bra e la conosceva talmente profondamente da ambientarvi alcuni dei suoi scritti. Ritroverò così in compagnia di Flavio le piazza, le vie, i caffè, da lui citati e magari riesco ad assaporare l'atmosfera dei quel periodo, cercando di vivere Bra come un romanzo.
Piazza XX Settembre, da un lato è coronata da una lunga fila di attività commerciali tra cui anche diversi caratteristici bar e ristorantini. Dall'altro lato s'innalza maestosa la chiesa di Santa Maria degli Angeli, edificata sopra le mura delle antiche fortificazioni.
Percorriamo Corso Garibaldi, il principale asse viario che collega due importanti piazze del centro storico, Piazza Caduti per la Libertà e Piazza XX Settembre, da sempre sede del mercato cittadino, ed è qui che si trova lo storico portico dell'Ala.
"Lei e il suo innamorato Nino avevano smesso di incontrarsi sull'Ala, che è quella lingua di cemento aperta sul vuoto della piazza della Rocca, perché le vecchie dietro le persiane a furia di vederli passeggiare su e giù, dall'angolo del Municipio fino al fondo dell'Ala, mentre faceva sera, si erano messe in testa chissà cosa e una dopo l'altra andavano a inventar storie a sua madre", da "Regina di cuoi" (Solo una sera) di Giovanni Arpino.
Il porticato dell'Ala, ampio e spazioso, con relativo colonnato, venne realizzato nel 1858 ed ha tradizionalmente ospitato il mercato del pesce, oggi nei suoi antichi magazzini sono ricavati famosi e costosi ristoranti, come mi racconta Flavio.
Raggiungiamo Piazza Caduti per la Libertà con i suoi imponenti e importanti edifici che formano una bellissima cornice alla piazza.
Un ampio scalone collega il porticato con il sovrastante Corso Cottolengo, area pedonale dove si trovano significativi edifici storici.
Mi colpisce subito lo splendido Palazzo Comunale, realizzato in epoca medievale, ma che deve il suo aspetto attuale all'intervento settecentesco dell'architetto Bernardo Antonio Vittone che lo realizzò tra il 1730 e il 1732 con la caratteristica facciata ad andamento mosso. Il barocco palazzo, in mattoni a vista, mette in mostra, al centro della facciata, un corpo leggermente arretrato e convesso con un elegante scalinata che conduce all'atrio. Mentre di epoca medievale è la facciata lungo Via Monte di Pietà. Fanno bella mostra di sé sulla facciata il grande affresco che sovrasta l'ingresso principale e le due meridiane poste ai lati dello stesso.
La meridiana di sinistra conta le ore con il sistema francese, la meridiana di destra segna invece l'ora italica. Sono state realizzate entrambe nei primi anni del XIX secolo.
Il sistema francese è chiamato "francese" perché fu introdotto in Italia dopo l'annessione del Piemonte alla Francia, in seguito alla sconfitta di Marengo. Questo sistema fa riferimento al mezzogiorno ed alla mezzanotte per contare le 24 ore (uguali fra loro), ossia due blocchi di dodici. Invece l'ora italica, particolarmente significativa per la civiltà contadina, è legata alle stagioni ed ai fenomeni dell'alba e del tramonto. Le ore italiche risultano dalla divisione del giorno in ventiquattro parti uguali, ponendo l'origine all'istante del tramonto del sole; perciò un'ora italica pari, ad esempio, a 16, significa che sono passate sedici ore dal tramonto della sera precedente.
Opera del Vittone, anche l'atrio del Palazzo Comunale che introduce alla Sala Consiliare, ove sono conservati i busti dei più celebri braidesi, ed alla Sala della Resistenza, nella quale sono ospitati i cimeli della lotta partigiana.
Giovanni Arpino nel suo "Regina di cuoi" (Tigre dove sei) così ricorda il palazzo: "L'uomo del Municipio stava dividendo gli spalatori in squadre e Talin fu messo assieme ad altri tre, con l'incarico di sgomberare il piazzale della stazione. Prima di arrivare alla stazione, passarono davanti al caffè in via Cavour e Talin prese il grappino per scaldarsi".
Sempre sulla Piazza Caduti della Libertà, si affacciano anche Palazzo Mathis, Palazzo Garrone, Palazzo Valfre di Bonzo e la chiesa di Sant'Andrea.
Palazzo Mathis, già presente in epoca medioevale, nei secoli subì diverse trasformazioni e nel corso del XVIII secolo assume l'aspetto attuale di puro gusto Barocco. Il Palazzo è ben conservato, grazie anche ai recenti restauri, la facciata è delicatamente decorata, mentre nel suo interno al piano nobile, si trovano le opere di pregiata fattura artistica: numerosi sono gli affreschi, le settecentesche sovrapporte con dipinti ad olio con scene allegoriche dove è sempre ritratto il bue, simbolo della famiglia Boasso (che fu dalla metà del XVII secolo fino alla prima metà dell'Ottocento proprietaria dell'edificio, per passare ad altri proprietari e ai Mathis solo nei primi anni del XX secolo). Attualmente il Palazzo ospita gli uffici dei servizi culturali e promozionali del Comune.
Anche Palazzo Garrone è di impatto per l'imponente colonnato che si affaccia sulla piazza. Anch'esso di fondazione medievale, ha subito diversi rimaneggiamenti ad opera, nel XVIII secolo, dell'architetto Bernardo Antonio Vittone. Già di proprietà della famiglia Albrione, il suo nome deriva dalla famiglia Garrone che l'assunse con l'acquisizuione nel XIX secolo, mentre attualmente la proprietà è comunale. Il prospiciente portico neodorico che s'affaccia sulla Piazza fu aggiunto solo nel 1900. Il Palazzo nell'aprile del 1796 ospitò il generale francese Massena, che aveva occupato Bra con le sue truppe, nel mentre Napoleone Bonaparte dimorava nella vicina Cherasco.
Sulla Piazza all'angolo tra via Serra e Via Monte di Pietà si affaccia Palazzo Valfrè di Bonzo, caratterizzato dal suo piccolo portico ad arcate ogivali. L'edificio di antica fondazione conserva alcune sale affrescate da Pietro Paolo Operti, mentre altre sono decorate da pitture di Pietro Antonio Pozzi (1765). Fu la casa di Leopoldo Valfrè di Bonzo nato a Bra il 24 dicembre 1808, un importante politico italiano e generale di artiglieria che partecipò alla spedizione in Crimea come comandante superiore d'artiglieria.
Al centro della Piazza si trova la statua dedicata ad uno dei più illustri uomini braidesi, Giuseppe Agostino Benedetto Cottolengo, che nacque a Bra 3 maggio 1786; fu sacerdote e fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza e delle congregazioni ad essa collegate, ossia Fratelli, Suore e Sacerdoti del Cottolengo. Giuseppe Cottolengo venne proclamato Santo da Papa Pio XI nel 1934.
Giovanni Arpino negli "Gli anni del giudizio" così lo cita: "Ugo non rispose. Erano scesi dalle biciclette e spingevano con la mano sul manubrio lungo la salita del municipio. La statua del Cottolengo era nera e lucida nella notte. Si fermarono un momento davanti al portone di Ugo".
Sulla Piazza s'affaccia anche l'imponente Chiesa di Sant'Andrea, i cui lavori ebbero inizio nel 1672 sotto la direzione dell'architetto del Duca di Savoia, Guarino Guarini, ma il suo disegno è attribuito a Gian Lorenzo Bernini. L'edificio fu terminato nel 1687 benché la cupola ed il coronamento della facciata siano di epoca posteriore. La Chiesa fu inizialmente dedicata al Corpus Domini, cambiando l'intitolazione nel 1817, quando la Chiesa di Sant'Andrea "vecchio" era diventata inagibile.
La facciata è ornata da grandi colonne corinzie. Al suo interno presenta una pianta a tre navate con profonde cappelle, conserva un pregevole altare del 1760 dedicato a San Sebastiano, compatrono di Bra. Interessante la tela "Martirio di San Sebastiano" del 1761 dipinto dal pittore della corte sabauda Claudio Francesco Beaumont.
Sempre nella cappella che ospita l'altare di San Sebastiano, vi sono due tele che raffigurano San Rocco e Santa Vittoria e sono opera di Pietro Paolo Operti. Molte altre opere sono presenti in questa chiesa come la tela presente nella Sacrestia, raffigurante la Battaglia di Lepanto, opera del Claret.
Giovanni Arpino negli "Gli anni del giudizio" così descrive la Piazza: "Abitavamo all'ultimo piano della casa che fronteggiava il palazzo del municipio, una casa grande con alloggi signorili dopo la prima rampa di scale e alloggi più modesti dopo la seconda e la terza, che avevano gradini di pietra ruvida ed erano più ripidi." E ancora "Dalla finestra della cucina potevo vedere la piazza del municipio, tutta in pietre, con la statua del beato Cottolengo circondata al venerdì, giorno di mercato, dai banchi dei negozianti di stoffe e di sandali. Tutt'intorno erano le chiese che suonavano con fini scampanii i quarti, le mezze ore, i tre quarti e le ore. Il balcone della camera da letto dava su una via deserta, e al principio dell'estate arrivava il profumo dei tigli dal giardino dei frati. Nei giorni più silenziosi e pieni quando anche le finestre dei cortili interni erano spalancate, sentivo dal balcone il maestro di pianoforte che dava lezioni al pianterreno della casa dove era nato il Cottolengo".
Percorriamo la parte alta del porticato dell'Ala che, affacciandosi su corso Garibaldi e Piazza XX Settembre, ci offre un suggestivo panorama del centro storico. Lungo questa strada, ossia Corso Cottolengo, si prospettano alcuni storici edifici, quali la chiesa della SS. Trinità, la casa natale di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, Palazzo Guerra, il Palazzo Rosso e la Chiesa di Santa Maria degli Angeli.
La chiesa della SS Trinità meglio conosciuta come dei "Battuti Bianchi", risale al XIII secolo, quella che oggi possiamo ammirare fu eretta nel 1618. La sua facciata, a due ordini, è ornata da statue. Varchiamo il portale sormontato da una nicchia che contiene una statua della Madonna con il Bambino, ma la semplicità della facciata fa contrasto con il ridondare dei suoi stucchi al suo interno.
Sede della confraternita della SS. Trinità, è un edificio a pianta rettangolare, ad una sola navata. Al suo interno sono conservati quattro grandi affreschi ad opera del cheraschese Sebastiano Taricco. È inoltre contenuta una tela del 1678 di Charles Dauphin, che raffigura la "Presentazione di Gesù al Tempio". Il suo particolare e singolare campanile fu eretto nel 1834 e Giovanni Arpino cosi lo menziona in "Regina di cuoi" (Il "via"): "I pochi braidesi che hanno la malinconia di salire ogni tanto sul campanile dei Battuti Bianchi, per dare un'occhiata ai tetti bruciati del paese e agli orti nascosti tra le case e i muri, possono vedere distintamente Talin che esce dall'osteria "Garibaldi" e entra in quella "dell'Angelo" o viceversa".
Immediatamente dopo la Chiesa dei Battuti Bianchi vi è la Casa natale di San Giuseppe Cottolengo. La casa, di costruzione cinquecentesca, venne acquistata nel 1772 dalla famiglia del Santo. La posizione dell'edificio, le sue dimensioni con una ventina di stanze, un cortile interno dotato di pozzo e un loggiato che si affaccia su scorci panoramici sulla città, indica il rango borghese della famiglia, immigrata a Bra dalla francese Barcellonette.
Flavio mi racconta brevemente la storia di questo Santo braidese: Giuseppe Agostino Benedetto Cottolengo fu il primo di 12 figli, da Giuseppe Antonio e da Benedetta Chiarotti. Famiglia di intraprendenti mercanti di stoffe; fu la devotissima madre, originaria di Savigliano, a impartirgli i principi della vita cristiana. I suoi studi di teologia avvennero in clandestinità, in quanto il Piemonte era occupato dalle truppe napoleoniche, prima nella città natale e poi ad Asti alla cui diocesi apparteneva allora la città di Bra. Venne ordinato sacerdote l'8 giugno 1811 a Torino e celebrò la prima Messa nella sua Bra il giorno seguente. Nominato vice Parroco di Cornegliano d'Alba, con il declino di Napoleone poté riprendere gli studi teologici a Torino, fino al raggiungimento della laurea nel maggio 1816. Entrato a far parte della congregazione dei Canonici del Corpus Domini di Torino, il 2 settembre 1827 venne chiamato al capezzale di una donna francese al sesto mese di gravidanza, tale Giovanna Maria Gonnet, affetta da tubercolosi. Costei era stata portata dal marito in diversi ospedali torinesi, ma non era stata accettata da nessuno perché nelle sue condizioni avrebbe potuto contagiare le altre madri e i neonati. Di fronte all'agonia della giovane, lasciata morire in una misera stalla circondata dal dolore del marito e dei suoi figli piangenti, il Cottolengo sentì l'urgenza di creare un ricovero dove potessero essere accolti e soddisfatti i bisogni assistenziali che non trovavano risposta negli ospedali. Con l'aiuto di alcune donne, nel gennaio del 1828, aprì nel centro di Torino il "Deposito de' poveri infermi del Corpus Domini". Dopo tre anni e per i timori di un'epidemia di colera, gli fu ordinato di chiudere il ricovero del centro cittadino e il Cottolengo lo trasferì in Borgo Dora, dove il 27 aprile 1832 fondò, con l'aiuto del dottor Lorenzo Granetti, la Piccola Casa della Divina Provvidenza, tutto'ora e più comunemente conosciuta col nome del suo fondatore: il Cottolengo. Passò gli ultimi giorni della sua vita a Chieri nella casa del fratello Luigi, anch'egli prete, dove morì di tifo il 30 aprile 1842.
Dopo aver ascoltato il racconto proseguiamo la nostra passeggiata e costeggiamo il muro di cinta del giardino di Palazzo Guerra del Grione, il cui ingresso si trova nell'attigua Via San Giovanni Battista. Questo Palazzo venne costruito nel Cinquecento ed a più riprese fu ampliato e modificato nei secoli seguenti ed ha ospitato la famiglia dei Guerra, Conti del Grione, casata tra le più antiche in città, che si estinse nel 1738.
Al termine di Corso Cottolengo che sovrasta l'Ala, scendendo verso Piazza XX Settembre, si nota Palazzo Rosso o meglio Palazzo del Russo. La denominazione dell'edificio è dovuta ad un particolare evento che interessò il suo proprietario, Gioacchino Ternavasio che combattè in Russia durante le guerre napoleoniche. Flavio mi racconta che la caratteristica dell'edificio sono le sue cantine, denominate i "russi", realizzate con diversi cunicoli a raggiera, scavate nel tufo e che potevano contenere fino a 400.000 bottiglie.
Impossibile non vedere e voler visitare la Chiesa di Santa Maria degli Angeli, una costruzione a pianta ellittica fatta costruire dai Frati Minori Osservanti a partire dal 1752. Realizzata interamente in cotto, si erge maestosa su Piazza XX settembre, circondata da fiorite aiuole e una doppia bella scala d'accesso curvilinea e una rampa carrozzabile. Nel 1795 la Chiesa venne requisita dallo Stato Sabaudo e, successivamente, ceduta ad un privato. Fu utilizzata quale alloggiamento militare, deposito di munizioni e magazzino per la conservazione del sale. Dopo un lungo periodo di abbandono, nel 1906, la Chiesa fu acquistata dai Padri Cappuccini che la fecero restaurare riaprendola al culto. Entrati posso notare che contiene sei altari laterali oltre all'altare maggiore e conserva interessanti affreschi del pittore braidese Pietro Paolo Operti.
Tornati sui nostri passi percorriamo le vie che da Piazza Caduti Libertà portano verso la parte collinare del centro storico, dove possiamo ammirare subito Palazzo Traversa.
Il nucleo originario di questo edificio risale alla metà del XV secolo, su probabile committenza della famiglia astigiana dei Malabayla trasferitasi a Bra. I diversi proprietari che vi subentrarono, tra i quali gli Operti, gli Albrione e Traversa, vi fecero modifiche ed aggiunte anche nell'aspetto decorativo. L'importanza del Palazzo lo dimostra la sua raffigurazione nella veduta della città di Bra del Theatrum Sabaudiae del 1666. Oggi di proprietà comunale si presenta come un misto di stili architettonici, sormontato da merli ghibellini, ballatoi in legno, portali neo-barocchi, bifore, finestre con cornici in cotto e la torretta neo-gotica. L'edificio, dopo i lavori di restauro, è stato adibito a sede del museo civico di storia, arte e archeologia.
Raggiungiamo così la cappella del Santo Rosario anch'essa recentemente restaurata. Questa cappella, detta del "Boetto", è a pianta ottagonale e fu progettata nel 1622 dall'architetto fossanese Giovenale Boetto, nel luogo dove sorgeva il convento dominicano. La cappella faceva parte della distrutta chiesa di San Vincenzo Ferreri, oggi inserita nella moderna Scuola Media "Craveri". Durante il restauro sono stati riportati alla luce numerosi affreschi del pittore fiammingo Jan Claret che aveva aperto in Savigliano una bottega d'arte.
Flavio, nel descrivermela, mi racconta che il Boetto aveva soli diciannove anni quando ricevette la commessa per la progettazione della cappella dalla Compagnia del Rosario.
Risalendo ulteriormente il Monte Guglielmo, per raggiungere il punto più alto della città, transitiamo davanti ad una diruta cappella, quella dedicata a Santa Maria del Castello, risalente al XII secolo. La situazione è di grave degrado, in particolare sotto il profilo della stabilità e della conservazione di una cappella che benché priva degli arredi sacri, rappresenta un pezzo di storia di Bra.
Giungiamo così nel Parco della Zizzola, una curiosa descrizione della collina della Zizzola è fornita da Giovanni Arpino in "Regina di cuoi", dove si legge: "I braidesi di una volta facevano il contrabbando di carne, camminavano su e giù per le rive e i boschi da Pocapaglia a Bra, di notte, con coscie di vitello sulla schiena e porci e quarti di bue, mentre quelli del dazio li aspettavano alla cima della collina di Bra, nascosti sul pianoro della Zizzola, come le streghe e le maschere".
La Zizzola, è un edificio a pianta ottagonale simbolo di Bra. Il palazzo è a due piani sormontati da una piccola torretta, realizzata interamente in cotto a vista, fu costruita nel 1840 quale "villa delle delizie". Oggi di proprietà comunale è adibita ad uno scenografico museo con un allestimento multimediale dedicato all'identità cittadina.
Il parco intorno è molto curato, luogo di svago e relax per le famiglie braidesi, ma è soprattutto l'emozionante panorama a 360 gradi su Langhe e Roero con posizione privilegiata che Zizzola regala che mi affascina. Falvio mi racconta che Marta, la figlia di Guido Fasola ultimo proprietario della Villa, raccontava la "leggenda" secondo cui l'edificio sia stato costruito da un ricco nobile per la sua amante, una ballerina, che si sarebbe così potuta esibire al centro del grande salone, con le stanze intorno a fare da palco, come in un teatro. Secondo altri, continua Flavio, invece, la Villa sarebbe stata costruita da un ricco mercante di sete per l'elegante e raffinata moglie. Difficile comprendere perché si chiami Zizzola, forse un vezzeggiativo della famosa ballerina della leggenda raccontata da Flavio, oppure deriva da giuggiola come i liguri indicano questo frutto che era coltivato nel parco. Su questo colle in passato sorgevano delle fortificazioni a difesa del vicino castello.
Sempre Giovanni Arpino scrive sulla Zizzola da "Gli anni del giudizio": "Ripresero a pedalare, le gomme delle biciclette squittivano sull'asfalto nel silenzio della notte, l'aria era rinfrescata ancora. Laggiù le colline alzavano le creste nere contro un cielo pallido. Alla cima della collina era il palazzotto che sormontava la loro città. La sagoma bizzarra, a sei lati, di mattoni che il tempo aveva impallidito, appariva chiara e netta sotto la luna".
Scendendo dal Monte Gugliemo, già possiamo scorgere la caratteristica sagoma della Chiesa di Santa Chiara, capolavoro dell'architettura Rococò. Ma prima di arrivarci è d'obbligo una sosta a ciò che rimane della vecchia Chiesa di Sant'Andrea del X secolo, di cui è possibile ammirare solo il tozzo campanile del XVI secolo. Questo sito archeologico della preesistente chiesa di Sant'Andrea Vecchio, aveva annesso il cimitero ed era posta appena fuori della mura difensive del "Barbacano".
Arriviamo così alla Chiesa di Santa Chiara, vero capolavoro del Rococò piemontese; fu progettata da Bernardo Antonio Vittone su commessa delle Monache Clarisse. L'edificio a pianta quadrilobata sorregge una doppia cupola traforata, che il Vittone definì "cupola diafana" e un cupolino. I lavori per la realizzazione vennero iniziati nel maggio del 1742 e solo dopo sei anni, la Chiesa fu aperta al culto.
Entrati, possiamo ammirare lo scenografico e slanciato interno a croce greca, coperta da una bella cupola con la decorazione pittorica opera di Pietro Paolo Operti, impreziositi dai giochi di luce che le finestre della doppia cupola permette.
Inoltre conserva due grandi dipinti del XX secolo di Piero Dalle Ceste, sistemati sugli altari laterali. Flavio mi dice che grazie alla sua perfetta acustica, il coro ospita oggi alcune interessanti rassegne musicali. Del precedente oratorio del Monastero delle Clarisse, resta una tela seicentesca di Giovanni Claret raffigurante la Madonna con il bambino e i santi.
Poco distante dalla Chiesa è visitabile il Museo Civico di Storia Naturale Craveri, nato dalla collezione privata nella prima metà del Ottocento dell'avv. Angelo Craveri, Sottosegretario di Stato nel Regno di Re Carlo Felice.
Da Via Barbacana scendiamo verso Via Vittorio Emanuele II, per raggiungere una delle opere d'arte più note della città: la Chiesa di San Giovanni Battista. Questa appare subito imponente, con impianto ottocentesco. La sua pianta si sviluppa longitudinalmente ed è suddivisa in tre navate con transetto e corpo absidale allungato, con cappelle su ciascun lato ed è munita di cupola a doppia volta con esterno ottagonale. L'imponente facciata intonacata si sviluppa in due ordini. L'accesso al portale avviene attraverso una scalinata, progettata all'Architetto Giovanni Battista Schellino di Dogliani, coadiuvato dall'Ingegner Andrea Nogaris in qualità di direttore dei lavori.
Vi accediamo per ammirare, anche se la Chiesa non è molto luminosa, gli affreschi di Luigi Morgani eseguiti attorno alla metà degli anni Venti del XX secolo. Interessante anche l'opera di Agostino Cottolengo, fratello del Santo braidese, che raffigura il "Beato Sebastiano Valfrè che distribuisce l'elemosina ai poveri".
Altra via importante è Via Vittorio Emanuele II, una lunga arteria che collega sud e nord della città, costeggiata da antichi palazzi di fine XVIII secolo, con grandiosi ingressi, ornati di belle ringhiere, o da palazzi barocchi ancora incompiuti come Palazzo dei Conti di Cacciorna, ora scuola elementare. Vi sono anche dei negozi e molti edifici pubblici. Percorrendola arriviamo davanti ad un altra testimonianza dell'arte sacra, quale la Chiesa di San Giovanni decollato, conosciuta, dal nome della confraternita fondatrice, come Chiesa dei Battuti Neri.
Quest'edificio che troviamo aperto e ben illuminato fu realizzata nel 1591 dalla Compagnia della Misericordia, istituita nel 1588 con il compito di assistere i carcerati ed i condannati a morte, provvedendo anche alla loro sepoltura. La Chiesa, sorta sul sito dell'antica Chiesa di Santa Barbara, si presenta con una bella facciata, benché semplice. Superata la cancellata e la breve scalinata, che ci conduce all'ingresso, accediamo alla Chiesa che è ad un'unica navata. Al suo interno possiamo ammirare le preziose opere del pittore fiammingo Jean Claret, tra cui il "San Giovanni decollato", e quattro opere di Agostino Cottolengo, ma anche l'altare maggiore marmoreo progettato da Giovenale Boetto.
Tornato in strada, di questo crocicchio di vie, luogo di incontri e chiacchiere, Giovanni Arpino così lo descrive in "Regina di cuoi" (Un bel rosa): "Uscì sottobraccio all'avvocato. Avevano vinto ed entrarono nel caffè a bere qualcosa. In via Cavour non c'era nessuno e solo più le luci illuminate dei due caffè mettevano segni nella notte". E ancora in "Regina di cuoi" (I soldi) "Dopo la laurea e dopo la festa con le bignole e il vermut e gli zii orgogliosi e brindanti e gli amici sbronzi stravaccati nelle vecchie poltrone di casa, Baba si era ritrovato nuovamente a passeggiare su e giù dalla stazione al crocicchio dei Battuti Neri, lungo via Cavour, senza niente da fare, tranne che guardare i cartelli del cinema o i manifesti dei morti". E in "Regina di cuoi" (Soldi) "S'incamminarono verso il crocicchio dei Battuti Neri, l'avvocato era in vena di chiacchiere e si fermò per raccontare una storia. Luciano, pensando che il giorno dopo non avrebbe avuto gran che di lavoro in ufficio, si appoggiò al muro con le spalle e un piede, ascoltando l'amico con curiosità".
Lasciamo momentaneamente via Vittorio Emanuele II per percorrere Via Cavour fino a raggiungere Via Principi di Piemonte.
Via Cavour è "salotto buono" di Bra con storici esercizi commerciali, bar pasticceria con i loro dehors sempre molto affollati. È la via principale di Bra, posto di ritrovo e di lunghi discorsi con gli amici, Via Cavour è ricordata da Giovanni Arpino per i suoi Caffè e così scrive in "Regina di cuoi" (Un bel rosa) "Era novembre, ormai, ma quella domenica aveva ancora un sole che dava toni alle stanze e voci salivano dalla che dava su via Cavour. Ragazzi in motocicletta si chiamavano davanti alla porta del caffè e gli sembrò di riconoscere almeno due di quelle voci". Ancora in "Regina di cuoi" (Un bel rosa): "Arrivato al crocicchio dei Battuti Neri guardò in Via Cavour. Gente usciva e entrava nei cinema e nei caffè o era ferma a gruppi che parlavano a voce alta. Sentendosi a posto, volle fermarsi a guardare i risultati delle partite di calcio, appesi nel grande quadro metallico. Li lesse uno dopo l'altro, lentamente, con ostinazione".
Giovanni Arpino ci lascia nei suoi scritti delle belle pagine di storia vissuta nei vari Caffé di Bra, magari qualcuno di questi locali è anche scomparso. Da "Gli anni del giudizio" troviamo citata l'osteria del "Cannon d'oro": "La riunione era stata lunga e alla fine, tutti insieme, erano andati al "Cannone d'oro" a bere il vermut". Ed ancora: "Nel cortile dell'osteria "Cannone d'oro", sotto il pergolato, ricominciarono a parlare". Invece da: "Regina di cuoi" (Un bel rosa) "La sala del circolo era quasi vuota, a un tavolo solo giocavano, in un angolo. Dalla sala dei biliardi, oltre la porta vetrata, veniva il rumore secco delle biglie che s'urtavano".
Lasciando Via Cavour riporto ancora un brano di Arpino in "Soldi" di "Regina di cuoi": "Nell'ultimo tratto della passeggiata in via Cavour, prima di cena, si incontrava tutto il paese nella luce delle vetrine e dei caffè che si affrettava verso casa o faceva le ultime chiacchiere augurandosi il buon appetito, mentre scrosciavano le serrande e le file degli operai in bicicletta s'assottigliavano scomponendosi nei vicoli e su per la collina. Campane suonavano e noi eravamo ancora sull'angolo con sempre qualcosa da ridere e da dire".
Affacciata su Via Principi di Piemonte vi è la Chiesa di San Rocco, detta anche "del Salice", per distinguerla da un altro edificio dedicato a San Rocco, ormai scomparso. Questa fu costruita nella prima metà del XVI secolo ed ampliata nel 1715, con l'attuale bella facciata eseguita nel 1890. All'unico altare dedicato ai Santi Rocco e Sebastiano, protettori della peste, successivamente vi furono aggiunti gli altari dedicati a San Pietro e a Santa Elisabetta d'Ungheria. Durante la rivoluzione francese, nella chiesa di San Rocco si tenevano le adunanze politiche. Ora la chiesa è parrocchia ortodossa dedicata a Santa Caterina. La facciata ha una ricca decorazione, suddivisa in due ordini. In quello superiore sono presenti due nicchie con le statue di San Giuseppe Cottolengo e il Beato Sebastiano Valfrè. Nell'ordine inferiore, un cancello protegge un settecentesco portone a due battenti con diciotto riquadri ad altorilievo.
Proseguendo verso l'ampia Piazza Carlo Alberto, mi colpisce il porticato neoclassico e la maestosa cupola del Civico Teatro Politeama Boglione.
Questa un tempo era chiamata Piazza del Pascolo e conduce alla stazione ferroviaria. Giovanni Arpino in "Regina di cuoi" (Bra 1951-53) così la menziona: "Il vento muove appena circoli di polvere sulla piazza del Pascolo, depositandola sui tavolini dal vetro scuro del caffè Piumati. L'intera piazza è bianca e liscia come un ventre senza rughe senza desideri e accoglie il silenzio che dalla Zizzola, giù per i vicoli e le chiese e le pietre, scende a distendersi fino alla pianura". Ancora in "Gli anni del giudizio": "Uscimmo, la città era deserta, le vie del centro apparivano bianche nel sole, e la grande piazza che portava alla stazione era silenziosa. Faceva un caldo di piena estate e l'aria era odorosa di fieno". Da "Regina di cuoi" (Caffè Comino): "Chiusi la porta a vetri del caffè dietro le spalle e rimasi qualche minuto sugli scalini, respirando a bocca spalancata. L'aria fredda mi svegliava, alleggerendomi di tutti gli umori e le chiuse pesantezze aspirate durante il pomeriggio intorno al biliardo o ai tavoli delle carte. Gli scalini davano su Via Cavour e a quell'ora il passeggio degli studenti, delle madame e dei vecchi incominciava a calare, era quasi tempo di cena. Donne con il recipiente del latte tenuto in equilibrio passavano svelte girando nei portoni di casa. Qualche insegna luminosa al neon metteva solidi denti di luce nel buio della sera d'autunno e gruppi di persone sostavano nel breve tratto della via, davanti ai cartelli del cinema, ai manifesti freschi dei morti o nelle luci delle vetrine che facevano quadrati più chiari sui marciapiedi".
Ma la Piazza è altresì famosa perché vi è avvenuta l'esecuzione capitale di Francesco Delpero e dei suoi giovanissimi complici Giovanni Dogliani, Antonio Bonino e Giuseppe Piovano. Il fatto avvenne a Bra il 31 luglio 1858, alle quattro del mattino, nel "Pasco", il piazzale antistante alla stazione della ferrovia, davanti ad una imponente folla: "Alle cinque e mezza tutto era finito, e le turbe di que' villici, profondamente commosse pel ricordo di quel tremendo esempio, ripigliavano silenziose i sentieri de' loro abituri", così si concludeva la cronaca delle quattro impiccagioni riportata dal giornale torinese progressista "Il Diritto".
Delpero è «un giovine sui ventisei anni, d'alta statura, coi capelli neri e la barba nera, d'una pallidezza di morto» secondo il ritratto che Edmondo De Amicis fa nel racconto "La Ginevra italian", che è un capitolo del libro Alle porte d'Italia (1892), narrando la lettura della cattura a Vigone del bandito sulla Gazzetta del Popolo "Ah! l'hanno agguantato finalmente!». Il babbo sta parlando del bandito Francesco Delpero, del quale il giornale riporta le fasi del drammatico arresto avvenuto alcuni giorni prima a Vigone. Tutta la famiglia prorompe in una esclamazione di gioia e di meraviglia, poi «tutti zitti, immobili, a sentir la lettura d'una corrispondenza da Vigone, nella quale era raccontato l'arresto dell'assassino famoso, che da molti mesi atterriva e inorridiva il Piemonte; l'apparizione inaspettata dei carabinieri nell'osteria dove egli stava desinando con uno dei suoi, la lotta accanita, la resistenza furiosa del mostro, forte come un toro e svelto come una tigre, le varie vicende di quella mischia disperata».
Nascono così la moltitudine di leggende su Francesco Delpero, costituita da narrazioni fatte nel corso delle veglie serali nelle stalle e tramandata oralmente fino ai nostri giorni dai nonni. Interessante è che nelle varie storie legate all'esecuzione in Bra è sempre solo citato Delpero: i complici sono completamente dimenticati.
Si narra che sul patibolo Delpero abbia chiesto come ultimo desiderio di poter vedere la madre e, quando questa giunse, lui, fingendo di baciarla, le morsicò con forza un orecchio, incolpandola di tutti i suoi mali, perché non lo aveva adeguatamente rimproverato da bambino quando aveva iniziato a delinquere. Questo era la conclusione del racconto fatto da mamme, nonne e maestre a scopo educativo. Questa narrazione è sostanzialmente l'adattamento di una favola di Esopo, dal titolo "Il ragazzo che rubava e sua madre", con la morale che ciò che non si reprime dal principio, continua a crescere.
Da questa Piazza, e da quella alberata a giardino vicina che è Piazza Roma, un rapido pensiero, ricorrendo agli scritti di Giovanni Arpino, dobbiamo farlo nel ricordare il periodo in cui a Bra esistevano molte concerie e che davano lavoro a gran parte della popolazione ed ormai totalmente scomparse e sostituite da aziende metalmeccaniche. Così Arpino ricordava quella attività e i suoi operai conciatori, tanto da spingerlo a intitolare uno dei suoi racconti "La regina di cuoi": "Per un braidese basta sedersi nella sera, a uno dei tre o quattro caffè che danno sul passaggio in via Cavour, per sentirsi a casa. Infatti l'aria marcia lo prenderà subito alla gola, appena fa scuro, lasciandogli appena il tempo di scapparsene in un cinema o intorno a un biliardo a rimirare gli altri che giocano. Sono le fabbriche dei concimi chimici, le concerie, i magazzini stipati di pelli e di cuoio, che circondano il paese dalla parte della pianura a dare l'aria a Bra e verso sera gli odori del guano, del tannino, delle pelli e dei grassi usati per fare il sapone costringono la gente a fare in fretta per le strade o, se è d'estate, a salire nelle vigne di collina, per darsi respiro e stappare la bottiglia vecchia". Ma anche in "Storie dell'Italia minore" (L'uomo della conceria): "Tra la caserma e la stazione di Bra ci sono le antiche concerie, piccoli fabbricati governati da una famiglia. Quasi tutte, oggi, sono state assorbite dalle grandi fabbriche del cuoio del paese, e vivono su un ramo solo del processo del cuoio. Trenta anni fa erano esse sole a produrre suola e pelli e Bra, che dista cinquanta chilometri da Torino, era già la regina di cuoi". E poi ancora sempre tratto dallo stesso libro. "Così come qual Francesco che abita nel vicolo lungo la caserma. La sua è una delle più antiche e piccole concerie e ogni macchina, ogni coltello e specie di lavoro e di pelle vengono ancora chiamati con l'antico nome di gergo." - "Sotto il portico che gira intorno al cortile, c'è una fila di enormi botti di legno che girano sul loro asse spinte da cinghie innestate su un albero motore, e in queste botti il liquido scuro come tabacco masticato è il tannino".
La stazione ferroviaria di Bra è da sempre il luogo di partenza dei numerosi pendolari che ogni giorno partono e arrivano da Torino. Non poteva non essere un luogo arpiniano. Ma la stazione di Bra é anche citata nei romanzo di Cesare Pavese "Paesi Tuoi". Giovanni Arpino descrive l'ambiente che circonda la stazione e il suo via vai, in "Regina di cuoi" (Tigre dove sei): "ll piazzale della stazione non è grande e Talin lo guardò bene, con una occhiata circolare, poi disse agli altri che lui avrebbe ripulito il marciapiede lungo l'edificio della stazione. Perchè quello era il posto più importante e la gente avrebbe potuto camminare al pulito verso i treni", ancora: "Camminarono sottobraccio fino alla stazione. Gli alberi del giardino pubblico s'erano liberati dalla neve e venivano su nel buio neri e concreti. Gente saliva dalla stazione verso la circonvallazione, sentendo il braccio della ragazza ben convinto nel suo, e sentendo lei lunga e magra e aderente, nelle scarpe col tacco alto che si era comprate per fargli piacere.", da "Regina di cuoi" (Solo una sera). Invece in "Regina di cuoi" (Australia): "Eravamo sdraiati su due panche del giardino pubblico ed era così notte che anche i caffè avevano spento le luci. Di là del giardino c'era la stazione male illuminata e una piazza stretta che non si poteva vedere da coricati. Un'altra piazza era lì a fil d'occhi alla nostra destra, se alzavo un poco la testa potevo vedere i piedi di Luciano al fondo dell'altra panca".
Riprendiamo Via Vittorio Emanele II, fino a raggiungere la chiesa di Sant'Antonino. Questo edificio fu costruito dal 1693 a pianta longitudinale con due profonde cappelle laterali. Anche qui al suo interno si possono trovare tele di Jean Claret, eseguite verso la metà del Seicento, che provengono dalla chiesa del Convento dei Domenicani. Ma vi è anche una grande tela di Giovanni Antonio Molineri, che raffigura le "Anime del Purgatorio".
Seduti comodamente in un bar, sorseggiando e gustandosi come aperitivo, quel nettare che sono i vini del Roero, con Flavio tracciamo una bella chiacchierata sui più bei luoghi del cuneese, ma soprattutto sui sapori che la terra ci offre. Dalla Salsiccia di Bra, ai peperoni con acciughe, agnolotti del plin, tagliatelle, fonduta, brasato alla barbera, bolliti misti e i formaggi della zona vera squisitezza, innaffiati con quei vini rossi e bianchi che solo il Roero riesce ad offrire.
La mente corre ad Arpino e le osterie di Bra, da "Regina di cuoi": "Perciò, se non siete mercanti di cuoio o di tannino e nemmeno cacciatori, non vi capiterà mai l'occasione di venire fino qui, a bere vino nero e a mangiare insalate di carne cruda tritata con non molto olio aglio e pepe. E quei bolliti misti con salse al prezzemolo e senape, serviti fumanti nella pentola dal padrone in persona, mentre tutti si allentano le cinghie ai pranzi di leva e di nozze".
Sono quasi alla conclusione della mia passeggiata e Flavio mi accompagna all'auto, passando per Via Bartolomeo Gianoglio che Giovanni Arpino in "Regina di cuoi" (Solo una sera), chiama vicolo Gallina: "Adesso, ogni sera alle sei, lei scendeva di casa e si incontravano nel vicolo proprio mentre si staccavano le ore dei campanili. Il vicolo Gallina è tutto di pietra e portoni e porte e scende con una curva, subito dopo la curva c'è l'osteria "dell'Angelo" e voci che cantano dentro." ed ancora "Nel vicolo le luci erano già accese e il vento gelato correva lungo i muri. I negozietti di macellai calzolai corniciatori erano chiusi dalle imposte di legno e oltre il muro rimbombavano grasse e dosate le voci del cinema".
Lascio così Flavio, certo di incontrarlo nuovamente, magari la prossima volta sperimentando la tanto decantata cucina braidese che mi affascina.
Riprendo l'auto e raggiungo, appena fuori dal centro cittadino e nella parte nord della città, il Santuario della Madonna dei Fiori, complesso religioso costruito a ricordo dell'apparizione della Vergine Maria ad Egidia Mathis nel 1336. Questo complesso religioso è costituito dal Santuario Vecchio, il Santuario Nuovo e la Casa degli Esercizi Spirituali.
Il Santuario Vecchio venne eretto nel 1626 nel luogo dove una cappella ricordava l'apparizione della Madonna ad Egidia Mathis.
La leggenda racconta che nel dicembre del 1336, una giovane ragazza stava attraversando il bosco dove oggi sorge il Santuario, quando venne assalita da dai briganti. La giovane, spaventata si rivolse, alla Madonna che le apparve mentre tutte le piante e gli arbusti tutt'intorno si coprirono miracolosamente di fiori. Ciò provocò meraviglia e paura nei malviventi che fuggirono terrorizzati e la giovane fu salva. Ancora oggi un meraviglioso pruno fiorisce e mette le foglie con mesi d'anticipo sulla normale fioritura.
Un'altra leggenda vuole che durante una buia e freddissima notte di Natale, un gruppo di montanari, scalzi ed affamati, trovarono un paiolo di polenta sul fuoco, potendo così saziarsi e scaldarsi. Il miracolo fu che il paiolo era sempre pieno.
Il Santuario Nuovo venne realizzato nel 1933 su progetto dell'Ingegnere Bartolomeo Gallo e dell'Architetto Guido Radic. La facciata è composta da un alto pronao a quattro colonne, affiancata da due torri campanarie gemelle, tutto in travertino. L'ingresso è reso più solenne da un imponente recinzione, con colonne in travertino ed una cancellata in ferro battuto, con un bel vialetto lastricato in cubetti di porfido che conduce all'imponente gradinata. Il suo interno è a pianta centrale ottagonale con otto colonne monolitiche, mentre il presbiterio è a pianta quadrata. L'edifico sacro accoglie gli affreschi di Piero Dalle Ceste che ha realizzato anche il grande quadro che ritrae l'apparizione della Vergine Maria ad Eugenia Mathis. Invece l'adiacente Santuario Vecchio è stato eretto in stile barocco nel 1626 nel luogo in cui una precedente cappella commemorava il miracolo. La facciata attuale, modificata nel XIX secolo è preceduta da un pronao con quattro colonne con capitello ionico. L'edificio ha una pianta longitudinale ad una navata, con tre cappelle per ogni lato. In una di esse è conservata la statua della Madonna dei Fiori che ogni 8 settembre, giorno della festa patronale, viene portata in processione per la città. L'interno dell'edificio è ricco di opere d'arte attribuibili a importanti pittori locali oltre ad un dipinto del pittore fiammingo Jean Claret, che ritrae proprio la Madonna dei Fiori. Nel giardino o "Pruneto", vi è la casa canonica, le strutture oratoriali e l'annessa casa di riposo "Beato Valfrè" per sacerdoti anziani.
"Era un autunno freddo e pulito, senza pioggia, con notti smaltate che mostravano la luna come un quadro d'autore appena fatto, e le foglie lungo i viali e nei sentieri e nei fossi di collina non erano ancora marcite, ma crocchiavano vive sotto i piedi.
Donne dei poveri le raccoglievano nei sacchi per l'inverno e i vecchi ricoverati dell'ospedale le schiacciavano nelle ceste, muovendosi artritici e gobbi nei fossi lungo il viale che da Bra porta alla Chiesa del miracolo."
, da "Regina di cuoi" (Caffè Comino) di Giovanni Arpino. Ed ancora da "Regina di cuoi" (Bra 1951-53): "I grandi alberi del Viale della Madonna dei fiori sono caduti sotto le scuri, vuotando acqua a barili dai tronchi vuoti e fradici, ma i cordai sono rimasti a intrecciare la canapa, al rosso del sole, come aspettando la crescita delle giovine piantine che ci vorranno vent'anni a vedere fatte".
Nel lasciare Bra ricordo ancora che oltre a San Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842) e a suo fratello Agostino Cottolengo (1794-1853), pittore neoclassico e patriota coinvolto nei moti del 1821, Bra diede i natali a tanti altri illustri personaggi, tra i quali Edoardo Brizio (1847-1907) un Archeologo che partecipò per parecchi anni agli scavi di Pompei, docente universitario e direttore del Museo di Bologna; ma anche Giovanni Battista Gandino (1827- 1905), ricordato come insigne latinista dell'Università di Bologna, collega del Carducci e maestro del Pascoli.; poi ancora Giovanni Piumati (1850-1915) famoso Leonardista che studiò e trascrisse i principali codici di Leonardo da Vinci tra i quali il monumentale Codice Atlantico, fu anche docente universitario a Colonia e Bonn. Tra i pittori il già citato Pietro Paolo Operti (1704-1793) che formatosi alla Scuola di Bologna, non solo ha dipinto gli affreschi che si trovano nella chiesa di Santa Chiara, nella Casa degli esercizi spirituali ed in altri edifici religiosi di Bra , ma anche a Cherasco, Sommariva Bosco, Chieri e Trino Vercellese. Tra i musicisti Adolfo Gandino (1878-1940) che fu un compositore e membro dell'Accademia Filarmonica di Bologna, autore del Jaufé Rudel, Trilby e Imelda, opere ispirate alle cronache medioevali bolognesi. Invece Guglielmo Moffa di Lisio (1791-1877) fu un Patriota, fu protagonista dei primi moti risorgimentali del 1821 con Santorre di Santarosa, quando cercò segretamente di coinvolgere il Principe di Carignano a porsi alla testa del moto. Fu anche più volte parlamentare e ministro del Regno.
Ormai l'auto corre verso la mia dimora, lasciando Bra cuore e porta del Roero, ma con la città ho lasciato anche Giovanni Arpino che così meglio di chiunque altro ha descritto la sensazione che mi ha lasciato: da "Regina di cuoi": "Forse solo le città, anche nelle ore vuote, hanno una vita sotterranea, un cuore vivo, percepibile da chi veramente le vuole ascoltare. La campagna invece è come morta, nessuna delle sue stagioni dà rumori e grasse e morte sono le cittadine natele dentro, chiuse nel loro cerchio della circonvallazione che separa nettamente il verde dei campi dai colori delle case.
Queste cittadine non hanno vera vita nè vera presenza operante nello spazio. Stanno bene come amori scaduti, vecchie fotografie.
E così è Bra, senza storia, con un passato credibile solo perchè appartiene a un passato più vasto e completo, con un presente senza profili speciali, con un avvenire senza inquietudini. Una volta (ai tempi del miracolo della Madonna dei fiori quando la Vergine apparve alla contadina insidiata dai due briganti in divisa a bande rosse e gialle, e la salvò, e ogni anno a Settembre c'è la processione dei carabinieri e a febbraio fioriscono nel giardino cintato i pruni selvatici, che il parroco del santuario vende carissimo) una volta Bra cominciava a nascere, attorno alle filande settecentesche e solo boschi di gaggie e alte erbe circondavano il castello della Zizzola. Poi vennero i commerci del cuoio, che andava in oriente e faceva lucidi e grassi i signori delle concerie, dando al paese intorno, un odore, che più niente gli toglierà.
Ma pur nel lavoro il paese conservò quella sua aria di vacanza, di Dio fine a se stesso. A una cert'ora i calzolai si tolgono il grembiule e vanno a fare merenda con due spanne di salciccia e il mezzolitro e così gli avvocati e i dentisti, gli autisti e i piccoli proprietari nei cortile dell'"Angelo" o del "Regina", o della "Società dei conciapelli", giocano a bocce e al pallone elastico, a tarocchi e a tresette, mentre il tempo va lento e senza avvenimenti come negli anni che i signori usavano avere il ballo a palchetto per conto proprio nelle feste e i cappelli di paglia muovevano chiari e fioriti nei prati della festa di Fey.
Tutt'attorno ai prati della valle ci sono ancora le vigne e le ville dei braidesi. Anche il re lo sapeva. "Bra?" aveva detto "Ah quel paese che tutti hanno la vigna", e a tiro di fucile c'è infatti la tenuta che lui stesso regalò alla bella Mugnaia. Mio nonno ricordava quando la Regina traghettava il Tanaro sulla barca per l'occasione coperta di velluti rossi e i paesani erano scesi dai bricchi per guardarla nel bianco delle mani"
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