Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Aramengo

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AramengoLa giornata si presenta già afosa al mattino presto, preferisco pertanto di concedermi un breve giro sulle colline del basso Monferrato. È bello salire e scendere da verdi colline, girarci in torno e scoprire nuove vallette, ove torrenti e rii sono accompagnati da roverelle, pioppi e salici. La campagna è un alternarsi di colture diverse e da boschi di latifoglie.
Raggiungo così Aramengo, il cui toponimo, qualcuno afferma avrebbe origini romane, derivando da Ara Mea divenuto poi Aramengum in epoca longobarda con l'aggiunta del suffisso –engo. Altri affermano invece che l'origine del nome debba essere collegata ad una voce germanico, dato il suffisso -engo, ossia dal tedesco -ing, la cui radice potrebbe indicare un nome personale, sempre di origine tedesca. Comunque sia, non è ancora ben definita l'origine.
La mia curiosità invece è nel modo di dire che ancor oggi si dice vai a “ramengo” espressione che equivale ad andare in rovina, in bancarotta. Un esclamazione volgare di stizza per mandare qualcuno al diavolo.
Sembra che questo modo di dire abbia origini molto antiche, ossia nell'Alto Medioevo, quando l'astigiano era sotto la dominazione longobarda. Durante questo periodo, coloro che si macchiavano di crimini economici, subivano la condanna all'esilio forzato agli estremi confini del territorio che corrispondevano esattamente con Aramengo. Le cose non cambiarono neanche successivamente e i malfattori patrimoniali, continuarono a dover “andare Aramengo” per scontare la loro pena a tempo indeterminato. Ma forse deriva da Ramingo, ossia dal vagabondare. Infatti il vagabondo che vive errabondo, non ha mai goduto di una buona luce, tanto da indicare una persona sfortunata o che vive di espedienti perché andato in malora o disgrazia.
Salgo verso il centro del Paese, che ha assunto l'assetto urbanistico ad emiciclo, seguendo la cresta delle colline. L'attuale assetto del centro storico ricalca fedelmente quello medioevale, le cui case si susseguono con continuità lungo un unico asse principale. Già arrivando dalla valle il Paese appare dominato dalla imponente mole della chiesa parrocchiale. Parcheggiato l'auto, m'aggiro dapprima tra le case del Borgo, fino a finire davanti alla piccola chiesetta intitolata a Sant'Anna, patrona di Aramengo. Questa Cappella fu forse edificata una prima volta durante la peste del 1348 e ricostruita nel XVII secolo. Una lapide posta sulla facciata ricorda che qui San Giovanni Bosco nel 1840, ancora diacono, tenne il suo primo sermone su Sant'Anna. L'edificio si presenta a capanna, con in facciata una coppia di lesene ai lati e tre brevi gradini per accedere all'unica porta d'accesso, accompagnata da due piccole finestre.
Sopra alla porta, oltre la lapide sopracitata, vi è una grande finestra quadrata incorniciata da un motivo geometrico lineare sul quale vi è un timpano semicircolare al cui interno è dipinto il titolo dedicatorio alla Santa. Un frontone triangolare completa l'edificio con una piccola cella campanaria.
Le case che vi sono intorno, sono realizzati in laterizio e presentano gli aspetti medioevali con belle finestre e decorazioni. Ciò mi permette di ricordare la breve storia, anche se antica del Borgo.
Le origini dell'insediamento non sono certe perché non documentate da testimonianze scritte o archeologiche e pertanto vi sono diverse ipotesi. Una pretende verosimilmente una presunta origine romana. Pretesa voluta per la sua particolare posizione geografica, a breve distanza da Albugnano, dove furono trovati numerosi reperti archeologici. Ma anche la vicinanza al sito romano di Industria, ossia Monteu da Po.
La storia medioevale di Aramengo risulta invece documentata, già citata insieme ad altri borghi in vari documenti. Soprattutto quando Arduino di Ivrea, che nel 1002 è incoronato re d'Italia, concede in commenda ereditaria a Manfredo XII di Brozolo un vasto territorio comprendente Aramengo. Intorno al 1135 il Borgo passa ad un certo Ardizzone, più tardi, nel 1249, i possedimenti passano alla nobile famiglia dei conti Radicati, che la mantengono in feudo fino al 1586, quando l'intero feudo è ceduto al duca di Savoia Carlo Emanuele I. Aramengo subisce sia nel 1704 che nel 1705 ingenti danni da parte delle truppe francesi, impegnate nell'assedio della fortezza di Verrua Savoia. Tra gli ultimi signori del luogo troviamo i Morelli, Balbiano e i Ghisella.
Tornato sui miei passi e superato il Monumento ad ara dedicato ai caduti della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, posto tra via Giuseppe Mazzini e via Roma, raggiungo l'alto edificio della Chiesa Parrocchiale, vero esempio Barocco di fine Settecento. La Chiesa Parrocchiale è intitolata a Sant'Antonio Abate. L'imponente costruzione, sorge a ridosso di una rocca, detta “il castello”, a ricordo dell'antico maniero che vi sorgeva e che fu distrutto nel XV secolo. Talunistudiosi affermano che furono smantellate le antiche mura castrensi per far posto alla nuova chiesa. Alcuni documenti ricordano che parti del castello erano presenti anche dopo la demolizione del corpo principale tra cui la cappella castrale dedicata a San Carlo. L'attuale chiesa fu progettata con sobrie forme barocche dall'architetto Giacomo Maria Molino nel 1770. Il materiale laterizio proviene in gran parte dal castello dei conti Radicati. La chiesa verrà consacrata nel 1809, ed il campanile è ultimato nel 1826. Mentre i marmi per l'altare maggiore con i delicati bassorilievi, come la preziosa croce astile in argento, dovrebbe provenire dalla Certosa di Valmanera di Asti, smantellata durante il periodo napoleonico. La bella facciata in cotto è divisa in due ordini con un frontone sormontato da una croce in ferro. Il primo ordine è tripartito da colonne e paraste sempre in laterizio, terminanti con capitelli di ispirazione ionica. L'accesso alla porta d'ingresso avviene attraverso una bella scalinata ellittica. Il portale è in cotto con diverse decorazioni, un timpano a lunetta è posto sopra l'architrave. Due piccole finestre sono poste nelle ali. Un interessante marcapiano aggettante suddivide i due ordini, in quello superiore, nella parte centrale vi è un bel rosone con cornice in cotto. Tutta la facciata è scandita da elaborati cornicioni in mattoni e lastre di pietra, ed è arricchita con statue e fiaccole in cotto.
La chiesa la trovo chiusa ma apprendo che il suo interno è in parte di impronta neoclassica e presenta un'unica aula. Conserva un interessante quadreria, tra cui una preziosa tela, attribuita a Charles Dauphin, "Le Tentazioni di San Antonio Abate", ascrivibile alla seconda metà del 1600. Per raggiungere il Palazzo Municipale, transito davanti a bellissime abitazioni medioevali, perfettamente restaurate e abbellite da colorati fiori sulle finestre. Il Palazzo Comunale risale al XVIII secolo ed era in origine una lussuosa dimora di una famiglia del luogo. L'edificio, nonostante i diversi rimaneggiamenti, soprattutto avvenuti dopo il nel 1919 quando fu ceduto al Comune per realizzarvi le scuole e poi gli uffici comunali, mantiene ancora elementi architettonici di interesse, come soffitti decorati.
Dal belvedere antistante il Palazzo Comunale si gode d un incantevole vista su tutto il Borgo.
Per raggiungere Chiesa di San Giorgio devo prendere l'auto e percorrere un breve tratto di strada. Infatti questo antico edificio sorge poco distante dal paese, nella borgata di Masio, l'antica “al Maso”.
Questa cappella romanica di San Giorgio è situata su di una piccola altura e pare proteggere le case dell'antica borgata. L'edificio è già attestato intorno al 1298. All'epoca la Chiesa aveva funzione di parrocchiale, funzione che mantenne almeno fino alla prima metà del 1500 quando fu costruita la prima chiesa nei pressi del castello. Intorno ad essa vi era il cimitero poi per lungo tempo rimase abbandonata e in grave stato di degrado. L'edificio fu parzialmente ricostruito nelle murature perimetrali, nel tetto, rifatta la facciata e la cella campanaria di ispirazione barocca.
Di semplici forme romaniche, infatti presenta un'elegante facciata seicentesca con un frontone curvilineo modanato. Al centro del frontone, vi è una nicchia priva di statua, sotto la quale vi è un'apertura quadrilobata. Al centro, il portale composto da due lesene collegate a un piccolo frontone composito, fiancheggiato da due finestre con archivolto a tutto sesto. La parte più antica risale al XII-XIII secolo ed è rappresentata dall'abside con tre eleganti monofore con archetti in pietra, intercalati da leggere lesene e da due agili semicolonne in pietra. Sullo spiovente del tetto a capanna, si eleva una piccola cella campanaria. L'interno dell'edificio, posso immaginare si presenti ad aula unica e rettangolare terminante con abside semicircolare.
Prima di raggiungere la frazione più grande ossia Marmorito Santa Maria, faccio un giro per le borgate minori. Raggiungo così la Borgata Gonengo che conserva la Cappella San Rocco. Questa semplice chiesetta fu edificata probabilmente intorno alla fine XVIII secolo. La cappella sorge nella borgata in posizione un po' arretrata rispetto al tracciato stradale di collegamento con Aramengo. L'edificio attuale è un ampliamento di un più antico edificio ed ha un piccolo sagrato, anticipa l'ingresso alla cappelletta. La facciata è completamente intonacata e presenta un frontone curvilineo sul tetto a capanna che pare sorretto nella porzione inferiore da due paraste angolari. Il semplice portone in legno d'ingresso è affiancato da due finestre arcuate. Sopra il portone vi è una finestra sagomata centrale. All'interno del frontone è ricavata una nicchia che accoglie la statua di San Rocco.
Mentre in borgata Tana, vi è in mezzo alla campagna il Santuario di Santa Maria di Gonengo. Di questa Cappella campestre di Santa Maria ho raccolto scarse notizie riguardanti la sua origine e costruzione. Di certo su questo sito esisteva già anticamente una chiesa probabilmente una costruzione medioevale, forse romanica e coeva della cappella romanica di San Giorgio. La chiesa doveva poi essere in grave stato di abbandono se un fatto miracoloso qui non fosse avvenuto. Si narra che il 4 del mese di maggio dell'anno 1666 faceva ritorno a casa "distante un tiro di archibugiata" dalle rovine dell'antica chiesa, un certo Matteo Casassa fu Alberto, partito sedici anni prima e imbarcato su di una "barcha nelle parti di Venetia con altri per (fare) il soldato". Ritornava così a casa con la lingua tagliata e privo di parola. Il racconto vuole che: " Et doppo il suo arrivo, et ivi a otto giorni, cioè li undeci del medesimo mese di maggio, sendo andato per sua divotione alla chiesa distrutta, ivi stando in oratione gli apparve ivi la SS. Vergine, et in quel punto restando tutto attonito e stupefatto gli fu restituita la lingua, com'esso ha referto et dichiarato". Fu così proclamato popolarmente il miracolo ma mai ammesso ufficialmente dai vertici ecclesiastici. Dopo un ulteriore ed eguale miracolo, sui resti dell'antica chiesa, già nel 1673, sorse un nuovo Santuario dedicato a Santa Maria.
L'edificio oggi è profondamente modificato dalla sua forma originale, a causa di diversi interventi successivi. A testimoniare l'antico splendore, rimane la facciata originale e il piccolo campanile quadrato. L'interno, mi hanno raccontato, seppur semplice negli arredi, ha una pianta a croce greca, coperta da una cupola centrale. Mi si dice che sull'altare maggiore un tempo vi era la statua della Madonna, che fu oggetto di furto da ladri.
Mi sposto in Borgata Braia, dove vi è la Cappella di San Simone e Giuda, realizzata in mattoni. Questa Cappella presenta un tetto a capanna, con una semplice porta d'accesso accompagnata ai lati da due piccole finestrature; una finestra ovale si apre sopra la porta e un bel frontone completa la facciata. Anch'essa ha un piccolo campanile a vela sulla facciata.
Posso così raggiungere Marmorito Santa Maria o Marmorito di Aramengo anch'esso in cresta di una collina. Marmorito fu Comune autonomo fino al 1929 quando venne soppresso ed il suo territorio suddiviso tra i confinanti comuni di Aramengo e Passerano. La piazza principale di Marmorito è intitolata a San Rocco, perché ospita la piccola cappella dedicata al medesimo Santo. La costruzione dell'attuale edificio è datato inizio XIX secolo, ma le origini sono ben più antiche anche se le notizie sono assai scarse. La facciata si presenta con un semplice tetto a capanna e un frontone triangolare. Due paraste angolari sembrano voler slanciare il piccolo edificio verso l'alto. La porta centrale, raggiungibile attraverso una scalinata, è affiancata da due aperture a tutto sesto. Sopra la porta in una lunetta è visibile la rappresentazione di San Rocco. Un piccolo oculo sopra la lunetta completa la facciata. Dalle finestre posso vedere l'interno, costituito da una piccola aula e da una volta a botte. L'unico altare è in marmo bianco, con decorazioni.
Sulla piazza vi è anche il bel Monumento ai Caduti della Prima e Seconda Guerra Mondiale. Su questo pilone ove vi sono incisi i nomi di tutti i caduti vi è collocata una scultura di un'aquila, quale allegoria della Vittoria.
Prima di andare a vedere l'ultimo edificio religioso di Marmorito, d'obbligo una sosta al ristorante dei cacciatori. Un'antica locanda che da sempre nella semplice gestione familiare propone al viandante, al turista, piatti della tradizione monferrina. La locanda si presenta modesta, come il suo bar ma aggraziata nella sua semplicità. Cortesia e disponibilità sono le caratteristiche delle due Signore che si aggirano tra i tavoli e il bancone. Il menù di giornata è affisso nel locale e raccoglie sicuramente il meglio della tradizione culinaria monferrina, tanto da farmi venire un deciso languorino. Anche questo Borgo ha, nonostante le caratteristiche del paese di campagna, un inconfondibile tratto urbanistico e ambientale tipico degli storici paesi monferrini, ove si assapora e respira l'aria della storia e delle leggende cavalleresche. Raggiungo, poco costato dal borgo stesso, l'antica chiesa parrocchiale intitolata a Santa Maria della Neve. L'attuale chiesa di Santa Maria della Neve sorge in sostituzione di un più antico edificio medievale di cui oggi non resta alcuna traccia. Nei pressi della chiesa sorge il cimitero. La facciata è interamente intonacata ed è tripartita da paraste che sorreggono il monumentale cornicione interrotto dalla presenza del rosone, sopra il quale è affrescata la Madonna con il bambino. L'affresco è protetto da un frontone spezzato dallo stesso affresco. La facciata si conclude con un ampio frontone triangolare. L'unico ingresso è anticipato da una scalinata e sopra l'architrave vi è un frontone semicircolare con all'interno iscritta la dedicazione della chiesa. L'edificio è provvisto di un piccolo campanile a pianta quadrata.
Sfrutto la presenza di alcuni operai intenti nella manutenzione dell'edificio per dare una fugace occhiata al suo interno. L'interno è suddiviso in tre navate, in quella centrale che termina con un arco trionfale in una profonda abside e una vetrata dai colori molto intensi e l'immagine della Madonna della Neve. Al centro del presbiterio è collocato l'altare maggiore in marmo policromo e nel coro vi sono bei stalli in legno. La fonte battesimale è collocata nei pressi dell'ingresso nella navata destra, è costituito da un piccolo altare in gesso decorato a finti marmi sul quale vi è un ditela che raffigurante San Giovanni Battista.
Sempre a Marmorito, proprio a poca distanza dalla Chiesa, vi è la Big Bench, ossia una delle grandi panchine che sono collocate in punti di interesse paesaggistico in tutto il Monferrato e nelle Langhe, ai soli fini turistici. Questa Big Bench denominata la "Bonardina" dai colori giallo e rossi è installata vicino alle vigne di Bonarda.
Ormai è tardi, mi devo avvicinare verso casa, lascio questo angolo del Monferrato ricordando uno dei suoi illustri cittadini, ossia il conte di Aramengo Francesco Morelli natovi nel 1761 e morto nel 1841. Costui fu un importante poeta satirico e la sua produzione letteraria è permeata di nazionalismo antifrancese e Austriaco.