Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Staffarda

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StaffardaStaffarda è una frazione del comune Revello, in provincia di Cuneo ed è conosciuta per la Abbazia di Santa Maria, fondata dai monaci Cistercensi sui terreni pianeggianti vicino al fiume Po, donati dal Marchese di Saluzzo nel 1135, per migliora la produzione agricola e così ed onorare il Signore, come si usava un tempo dire e scrivere. I monaci cistercensi, provenivano dall'Abbazia ligure di Tiglieto, una dei primi insediamenti cistercensi della penisola. Il complesso monastico fu edificato, forse, sopra o nei pressi di precedenti costruzioni, risalenti ad epoca romana e poi longobarda. Ciò è testimoniato da un epigrafe sepolcrale che venne dissotterrata nel 1811 a Staffarda sotto il pavimento di una stalla e recita:
[Hi]c requiescit [in] sonno pacis b(onae) m(emoriae) [Ho]norata qui vix[it]
in speculo a[nnos]
pl(us) m(inus) XL defunct[a]
sub rege Adlowa[ldo]
anno XVIII regni e[ius]
indic(tione) VIII VIII idus f[ebruariuas]
die mer si quis hunf[c tu]
molum violare tem[ta]
verit iram D(e)ii incul[rat]
et anathematus [set].

Si tratta di una lastra marmorea ora al Museo di Antichità di Torino databile VII sec. Al principio del sec. XII il territorio di Staffarda era un'immensa boscaglia, il nemus Stapharde. Nel giro di pochi decenni l'area fu bonificata e parte elle foreste disboscate per guadagnare terreno coltivabile. Le coltivazioni erano, grano, segale, avena, legumi e ortaggi. I monaci, fedeli alla regola ora et labora, oltre alla preghiera dedicavano molto tempo alle attività agricole, ma abbisognavano anche dell'operosità di contadini e braccianti che lavorassero le loro vaste proprietà, costoro non erano considerati servi ma uomini liberi. L'abbazia dai suoi albori era autosufficiente e la sua produzione agricola era bastevole per i monaci, i conversi, i coloni con le loro famiglie. Sorsero all'interno della corte della stessa, diverse botteghe artigiane di sartoria, calzolai, tintori, falegnami, fabbri e conciatori, nonché carpentieri e muratori per le attività di edificazione e riparazione del complesso abbaziale e dei suoi abitanti. All'Abbazia di Staffarda facevano parte grandi estensioni di terreni con costruzioni coloniche agricole, chiamate Grange, ove oltre alla coltivazione della terra si allevava bestiame e si svolgeva l'attività casearia. I Cistercensi non gestivano direttamente le loro Grange, ma questa attività era affidata ai Conversi, religiosi laici ma facenti parte dell'Ordine. Gli anni d'oro di Staffarda iniziano ben presto e il complesso funzionò come organizzazione anche del territorio, per diversi decenni fino all'epoca dei Comuni nei primi decenni del XIV° secolo, prima del rafforzarsi delle predominanti signorie locali. Inoltre anche le vocazioni vennero meno, sempre in misura minore le persone bussavano alle porte dell'Abbazia per diventare monaci o Conversi. Infatti stavano prendendo sempre più spazi tra gli Ordini religiosi quello dei Mendicanti, francescani e domenicani. Questo provocò anche un mutamento della gestione del patrimonio agricolo e le Grange furono date in affitto, preludio del processo di frantumazione della proprietà. La crisi economica del XIII° secolo l'abbazia dovette ipotecare molte altre Grange. Infatti la situazione economica dell'Abbazia si era aggravata per la ricostruzione degli edifici andati distrutti per un l'incendio. Ancora nel 1678, poco prima della distruzione ad opera dei francesi del generale Catinat, l'abbazia possedeva 34 cascine.
Infatti durante la battaglia di Staffarda, che contrappose i francesi ai piemontesi, Vittorio Amedeo II pensò di utilizzare un tunnel segreto posto sotto al fiume Po per aggirare le truppe del Catinat; la soluzione gli era stata suggerita dall'abate. Ma la battaglia fu poi perduta, ed in alcuni documenti dell'epoca si attribuiscono parte della responsabilità, al crollo della volta del tunnel. L'Abbazia e il suo territorio il 31 luglio 1690 furono spettattatori di questa sanguinosa battaglia che ebbe conseguenze anche gravi per l'Abbazia stessa che subì danni ingenti in particolare al chiostro e al refettorio.
Nel 1750, il papa Benedetto XIV eresse in commenda l'Abbazia. L'erezione in commenda privava l‘Abbazia di una propria vita monastica. Tra gli abati commendatari si può annoverare anche il cardinal Maurizio di Savoia. L'Abbazia venne così affidata all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, creato dai duchi di Savoia.
La storia e la leggenda di questo tunnel posto nei pressi dell'Abbazia e detto di Santa Maria Staffarda o Nido del Diavolo è una galleria scavata nel sottosuolo lunga circa 2 km che collega la località Staffarda di Revello con la località Revalanca, situata sulla sponda opposta del fiume Po. L'origine della galleria è avvolta nel mistero, forse opera degli stessi monaci.
Ma vi è una leggenda che racconta che fu il diavolo stesso a scavare il tunnel dopo aver stretto un accordo con il Marchese Manfredo I di Saluzzo, proprietario delle terre. Un alluvione, intorno al 1150, aveva creato diversi danni e modificato il corso del fiume ed i Marchese non trovò di meglio che chiedere aiuto al Diavolo per la rimozione dei grandi massi che ostruivano il regolare corso delle acque in cambio della prima anima di un essere vivente che avesse attraversato il fiume. Ma il Manfredo aggiunse al patto la costruzione di un tunnel sotto il fiume, che avrebbe potuto tornargli utile per le sue esigenze militari. Anche in questo patto che rimase segreto si stabilì che il prezzo da pagare sarebbe stato un 'anima di vivente che per primo ad attraversare il fiume nel tunnel. Se il primo essere vivente che attraversò il fiume fu un caprone, il tunnel fu attraversato da un contadino, che ne aveva scoperto per caso l'ingresso, passando egli stesso sotto la galleria, ignaro del patto segreto, subì la stessa sorte dell'animale. La moglie del contadino, maledisse Manfredo I, che per uno scherzo del destino morì proprio a Staffarda nel 1175, in circostanze misteriose.
Parcheggio l'auto nei pressi di un antica costruzione; si tratta della loggia del mercato, costruita intorno al 1270 ed è caratterizzata dal suo porticato composta da quattro campate rettangolari, sormontate da un edificio, sempre in cotto, a due piani. L'edificio era utilizzato dai monaci come magazzino per l'ammasso del grano ed in parte per la panificazione. L'edificio con il suo porticato dimostra l'attività produttiva all'interno della Abbazia e lo scambio e commercio delle eccedenze. Quasi in mezzo all'ampio piazzale vi trovo il cippo inaugurale che i monaci vi posero nella piazza del convento, dove è scolpita la croce e la “M” unciale, ma non vi si leggo alcuna data.
Entro così all'interno dell'Abbazia e dopo aver pagato il biglietto d'ingresso accedo per prima cosa nel chiostro e ne rimango immediatamente stupito per la sua bellezza. Ricordo che l'abbazia venne eretta dai monaci cistercensi in diversi stili, dal romanico al gotico, secondo i tempi di edificazione ma con la preoccupazione di costruire un complesso funzionale ai principi delle regole cistercensi. Il chiostro è splendido, esprime una immane armonia con i suoi porticati dalle colonne binate, nonostante sia mutilato per la scomparsa del portico del braccio meridionale e parte di quello orientale a seguito dei gravi danni nella battaglia del 1690. Questo è il vero cuore dell'Abbazia, infatti qui avevano luogo molteplici attività come luogo di meditazione, di transito di processioni ma anche attività domestiche come quelle del riposo, dello scambio di idee sull'andamento del monastero, quale luogo di passeggio obbligato per raggiungere altri locali o anche semplicemente per radersi o tagliarsi i capelli. Il portico attualmente è retto da un muretto in mattoni su cui poggiano colonnine binate a formare archi a tutto sesto. Al centro vi è un cortile con bei giardinetti con delicati e colorati fiori ed una rigogliosa Tamerice. Sul chiostro s'affaccia il refettorio dei monaci, una sala rettangolare divisa longitudinalmente da robuste colonne. In questo ambiente i monaci prendevano i pasti inseme o in comune come prevedeva la Regola di San Benedetto. Durante i pasti era prescritto che venisse fatta la lettura delle Sacre Scritture o di un libro spirituale. Su una parete si trovano resti di un affresco tardo quattrocentesco o di inizio Cinquecento, raffigurante l'Ultima Cena e che avrebbe necessità di un intervento di recupero e restauro. Di fianco al refettorio vi erano le cucine a cui era vietato l'accesso ad esclusione del sagrestano che vi accedeva per attingere al fuoco per accendere le candele o per prendere il fuoco per i riti liturgici, come quello della preparazione dell'incenso. Vi accedevano anche gli amanuensi per preparare gli inchiostri e le pergamene. Dalle cucine ai due refettori, quello per i monaci e quello per i conversi, i pasti passavano attraverso due finestre passavivande interne. I pasti comprendevano generalmente legumi conditi con sale e olio, bandito dalla mensa, ordinariamente, uova, latte e formaggi. La carne era servita solo in caso di malattia. Un altro locale affacciato sul chiostro è il laboratorio, questo è un grande locale rettangolare, attualmente con il pavimento parzialmente i terra, e quattro grandi colonne con capitelli in pietra che lo dividono in due navate. Tra il refettorio e il laboratorio in un altro locale ha trovato rifugio una colonia di Pipistrelli della specie Vespertillo maggiore o Vespertillo di Blyth, ove ad Aprile si radunano le femmine ed a giugno partoriscono un piccolo. Accedo successivamente alla Sala Capitolare; questa è divisa in nove campate da quattro colonne centrali in marmo chiaro che sostengono le volte a crociera. Eleganti trifore ogivali si aprono dalla sala Capitolare verso il chiostro. In questo luogo, come nel chiostro potevano accederci solo i monaci capitolari ed avvenivano le rogazioni per i lavori dei campi e la lettura di un capitolo della Regola. Quotidianamente era luogo di svolgimento della prima, ossia la preghiera del mattino, ed era una delle ore canoniche ed era recitata circa un'ora dopo l'alba, con la lettura del Martirologio. Ma si radunavano i monaci anche per l'elezione dell'abate, l'ammissione al noviziato e vi si svolgeva il Capitolo delle Colpe, ove i monaci si accusavano spontaneamente delle violazioni alla Regola. Ma era sempre qui che si decideva la vita comunitaria come l'acquisto o la vendita di terreni o di altre importanti iniziative.
Prima di entrare in chiesa trovo esposta sulla parete del porticato una lisca di pesce, la tradizione vuole che appartenesse ad un grosso pesce inviato dalla Divina Provvidenza per sfamare i monaci assediati nel convento da una terribile alluvione. Accedo quindi dal chiostro alla chiesa, ed appena entrato la meraviglia è tanta. L'edificio è a tre navate molto alte, con finto transetto e con absidi semicircolari; apparentemente appare spoglio ma ogni elemento presenta ha un significato particolare che lo impreziosisce.
Infatti sono conservate significative testimonianze dell'arte tardo-gotica e rinascimentale, tra cui una una Crocifissione con san Giovanni e la Vergine dolente, scolpiti in legno policromo, databile intorno al 1530; un pulpito tardogotico e la straordinaria macchina d'altare con i dipinti di Oddone Pascale eseguito intorno anch'esso agli anni trenta del XVI° secolo. Questa magnifica macchina, è un polittico a valve in legno dipinto e dorato. La parte centrale, con piccole statue lignee finemente intagliate rappresentano scene del Nuovo Testamento. I battenti sono dipinti su entrambi i lati e rappresentano l'incoronazione della Vergine, la Resurrezione, L'ascensione, la Pentecoste, visibile con le ante o valve aperte, mentre a chiuse vi sono rappresentati San Bernardo, San Benedetto e l'Annunciazione a Maria. Bella l'acquasantiera con vasca rotonda realizzata in pietra con scolpiti motivi floreali. Interessante l'altare cinquecentesco dell'abside sinistra, con Ancona lignea del 1525, scolpita con eleganti candelabri rinascimentali dallo scultore Agostino Nigra.
Notevole anche, collocata sulla parete di sinistra, la tela in cui sono rappresentati i monaci cistercensi riuniti intorno a San Francesco da Sales, in qualità di inviato papale, ed una tela con il battesimo di Gesù. Totalmente assenti sono affreschi alle pareti o altre decorazioni. Le uniche decorazioni che si possono trovare sono nelle colonne polistili, nelle volte e nei costoloni realizzate in fasce policrome alternate bianche e rosse, o il grande affresco con costellazioni dipinto nell'abside maggiore, proprio come prescrive la severa regola di San Benedetto. Un occhio attento nota la mancanza d simmetria, infatti non solo non vi è una colonna uguale all'altra, sia in forma che in distanze, le colonne hanno capitelli diversi sia cubici che polilobati, sono diverse le absidi, quella di destra è più alta ed ha una sola monofora. Sul lato destro verso il chiostro sono presenti anche oculi per permettere alla luce di accedervi, mentre nella navata sinistra vi sono alte finestre gotiche. Sulla navata sinistra si apre una scala di 33 scalini che conduce al piano piano superiore dell'adiacente chiostro e che ospitava le celle dei monaci.
Ricordo che i monaci dovevano dormire vestiti ma senza scarpe, ossia con la tunica, la cocolla e calze. Infatti vestivano quotidianamente con la tunica che consisteva in un camicione di lana grossa che arrivava fino alle caviglie, e doveva avere maniche larghe. La cocolla è la classica veste esterna del monaco, si tratta di un mantello con ampio cappuccio che quando calzato doveva coprire il più possibile il voto. Anche la cocolla era di lana grossa, sbiancata e tinta, fa cui il nome dato ai cistercensi di monaci bianchi. Lo scapolare non era antro che un grembiule che copriva davanti e dietro e arrivava fino alle ginocchia ed era utilizzato dai monaci durante i lavori manuali. Il tutto era fermato in vita da una cintura. Ogni monaco possedeva due paia di scarpe, ossia una per il giorno, una specie di stivale da lavoro ed una da notte. Queste ultime una sorta di pantofole.
Nell'abside di sinistra è dipinta la rosa di Staffarda. Questo è uno strano simbolo non è ancor oggi ben chiaro il suo significato, poi posto vicino ad una finestra in una posizione assolutamente strana. Vicino alla rosa c'è una campanella con corda e una croce 'templare' o croce patente oltre all'accesso alla sagrestia e alla scala che conduce alle celle dei monaci.
Prima di andare a vedere l'esterno della chiesa mi domando dove fosse collocata la biblioteca dell'Abbazia che doveva contenere un cospicuo patrimonio librario, fra cui l'importante manoscritto musicale noto come Codice di Staffarda?. Di certo sono state le diverse spogliazioni subite dall'Abbazia, dove anche la biblioteca fu dispersa e buona parte dei codici entrarono in possesso di Casa Savoia. Il Codice di Staffarda è un codice musicale già custodito nell'Abbazia ora conservato alla Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, risale agli ultimi anni del XV secolo e presenta tredici composizioni profane. Ciò ci suggerisce che la sua destinazione originaria non fosse né l'Abbazia né una Cattedrale, ma piuttosto una corte aristocratica della zona.
Posso così ammirare la facciate della chiesa abbaziale ove sono evidenti elementi dell'architettura romanica della prima metà del XII secolo e gotica dei secoli XIII-XV. Ma vi sono elementi di epoca moderna come i contrafforti ad archi rampanti sui lati lunghi della chiesa. Lungo tutta la facciata corre un portico che da accesso con tre porte alla chiesa. Il portico e il campanile sono databili intorno al 1250. L'imponente facciata è caratterizzata da un rosone centrale con due monofore laterali e presenta un tetto a capanna con due salienti. Un altra corte si apre di fianco al chiostro, i locali ora occupati da un ristorante, un tempo ospitava il refettorio dei conversi, l'auditorio per i conversi, l'infermeria e gli alloggi per il noviziato.
Nel lato sud, ma sempre all'interno del muro di cinta del complesso si trova il vasto ambiente della foresteria. Un locale rimasto integro e senza modifiche importanti; suddiviso in due navate con quattro possenti colonne a conci di pietra e volte a crociera. Questo edificio comunemente noto come ospizio dei pellegrini, per la sua vastità ci offre l'idea dell'importanza dell'Abbazia. Oltre agli edifici che ho potuto visitare e ammirare, il complesso possiede altre strutture di tipo agricole, che abitative per i contadini, nonché la grande porta turrita d'ingresso alla cinta fortificata due-trecentesca dell'Abbazia.
È il momento di lasciare Staffarda, uno altro scrigno di arte e cultura da visitare in questo meraviglioso Piemonte