Blog di Dante Paolo Ferraris

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Redipuglia

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RedipugliaVi Sono passato migliaia di volte di fronte, viaggiando in autostrada e ogni volta mi dicevo che prima o poi mi devo fermare a ammirare questa immensa architettura di marmo e commemorare ciò che rappresenta per l'Italia intera.
Quel momento è arrivato e dal casello autostradale al Sacrario di Redipuglia la strada è breve.
La giornata si sta concludendo, ma ho ancora il tempo di viaggiare con la memoria nella storia che raccontano tutti quei giovani che qui sono sepolti, e ricordare il loro sacrificio.
Il sacrario fu inaugurato alla presenza di Benito Mussolini il 18 settembre 1938, alla presenza di più di 50.000 veterani e contiene le spoglie di oltre 100.000 soldati italiani caduti durante la prima guerra mondiale. Il sacrario è luogo di commemorazione per tutti i 689 000 soldati morti durante questa tragico conflitto.
Questo monumentale cimitero militare fu progettato da un gruppo di lavoro presieduto dallo scultore Giannino Castiglioni e dall'architetto Giovanni Greppi; i lavori iniziarono nel 1935 con grande impiego di uomini e risorse. La mia visita inizia dal parco della Rimembranza che fu il primo cimitero di guerra della 3ª Armata sul colle Sant'Elia. Questo luogo è oggi è una sorta di museo all'aperto. Proprio di fronte a questo colle si erge il maestoso Sacrario di Redipuglia. Mi perdo lungo il viale, provvisto di alti cipressi, dove trovo cippi in pietra carsica con riproduzioni dei cimeli e delle epigrafi che adornavano le tombe del primo cimitero. Fu voluto dal Comandante del III Corpo D'Armata il duca Emanuele Filiberto d'Aosta, su proposta del generale Giuseppe Paolini. Questo cimitero, detto anche degli "Invitti della III Armata" fu inaugurato nel 1923 alla presenza del Re, di Benito Mussolini e dal duca Emanuele Filiberto d'Aosta. Quest'ultimo, sul letto di morte l'8 luglio 1931 chiese di essere sepolto tra i suoi soldati. Infatti dopo i solenni funerali svoltesi a Torino la salma fu trasferita a Redipuglia. Agli inizi degli anni 30 del secolo scorso, questo cimitero risultava inadeguato, vista anche la necessità di riunire il più possibile le salme dei militari caduti in un grande Sacrario. Scrive L. Bartolini in Il Ritorno sul Carso: "Sembra, il Cimitero, un alveare: una collina con un alveare grande. Le api, a terra son le croci." Su questo colle, tra i viali e i cippi in pietra carsico sono in mostra, guardinghi strumenti di difesa, antichi strumenti di guerra, come cannoni e mortai. Il Cippo con la lapide che più mi ha colpito recita: "Tu che passi per le vie sacre d'Italia, qui sosta e chiuso nel tuo cuore profondo ascendi il colle di Sant'Elia, in offerta devota di riconoscenza e di amore ai legionari ferrei della terza armata invitta che sull'arido Carso fecero di porpora il cammino verso Trieste agognata. Condottieri di tenacia e di vittoria. S.A.R. Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d'Aosta."
Questa Sacrario raccoglieva 30.000 salme di cui 400 ufficiali, riesumate dai cimiteri di battaglia e direttamente dai luoghi del conflitto. In cima al colle fu eretto un monumento crocifero sormontato da obelisco, fungente da faro. Il monumento è collocato sopra ad una cappella votiva.
Ai piedi del colle sant'Elia vi è la "La piazza delle Pietre d'Italia". Un bellissimo enorme mosaico che simboleggia l'unità del Paese nel collettivo sacrifico prestato alla Patria. La piazza è realizzata con pietre provenienti dai bacini estrattiferi presenti su tutto territorio nazionale. Il mosaico è retroilluminato così di notte crea un bellissimo impatto visivo, creando dalle pietre che sembrano vivere la bandiera nazionale.
Attraverso la strada statale 305 e mi trovo alle falde del monte Sei Busi, cima aspramente contesa della prima guerra e dove si svolsero ripetute battaglie. Una grande catena è posta all'ingresso. Si tratta di una grossa catena d'ancora che appartenne alla torpediniera Triglav della marina austro-ungarica, ribattezzata con il nome Grado quando fu ceduta all'Italia dopo la fine della guerra insieme ad altre sei unità navali quale conto riparazioni danni di guerra. Una lapide posta sull'ingresso recita" Non curiosità di vedere ma proposita di ispirarvi vi conduca" quale monito mi introduce ad un luogo sacro e di forte identità nazionale. Di fronte a me vi è la monumentale scala che si presenta come uno schieramento militare con a capo ossia alla base, la tomba di Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, comandante della III Armata.
Sul grande piazzale che anticipa la grande scalinata, posto in leggero declivio lastricato in pietra del Carso, corrono in due file lastre di bronzo, diciannove per lato, su ciascuna è inciso il nome di una località dove la guerra fu aspra e sanguinosa. Prima di accedere alla grande scalinata mi soffermo davanti alla tomba di Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, realizzato in un monolito di porfido, posto in posizione centrale e dove ai suoi lati vi sono quelli dei suoi generali Antonio Edoardo Chinotto, Giuseppe Paolini, Giovanni Prelli, Fulvio Riccieri e Tommaso Monti.
Di fronte al sottoscritto si eleva solenne la gradinata che custodisce, in ordine alfabetico dal basso verso l'alto, le spoglie di circa 39.857 caduti identificati, i cui nomi figurano incisi in singole lapidi di bronzo, ivi compresi quelli traslati dal cimitero del colle di Sant'Elia.
Inizio a salire la maestosa scalinata formata da ventidue gradoni su cui sono allineate le tombe dei caduti. Tutte le iscrizioni dei caduti recano tutte la scritta «Presente», un richiamo al rito fascista dell'appello. Nell'ultimo gradone, in due grandi tombe comuni ai lati della cappella votiva, riposano le salme di 60.330 caduti ignoti. La salita è ardua ma la faccio in silenzio, leggendo di tanto in tanto i nomi dei soldati sepolti, ed il pensiero corre alla lacrime di madri, mogli o fidanzate che non videro tornare a casa i loro cari. Non posso pensare quanto la mia famiglia sia stata fortunata a non avere i miei nonni periti in questa drammatica guerra.
Scendendo mi soffermo per un attimo davanti alla lapide della tomba dell'unica donna ivi sepolta; è una crocerossina, morta a 21 anni, di nome Margherita Kaiser Parodi. Scendo mesto e pensieroso la scalinata e la via sacra, mi soffermo ancora ad osservare la "Trincea Blindata", costruita e presidiata dai Fanti della Brigata Siena (31 e 32 Fanteria) e successivamente dalla Brigata Savona (15 e 16 Fanteria) e poi ancora dalla Brigata Cagliari ( 63 e 64 Fanteria) durante le azioni offensive del Giugno-Luglio 1915 nella prima e seconda battaglia dell'Isonzo.
Uscendo dal Sacrario altri due marmi riportano due forti richiami: "O viventi che uscite, se per voi non duri e non cresca la gloria della patria, noi saremo morti invano" e ancora "O viventi che Uscite se non vi sentite più sereno e più gagliardo l'animo, voi sarete qui venuti invano".
Purtroppo il museo militare di Redipuglia è chiuso e dovrò rimandare ad un altra occasione la mia visita.
Lasciato il Sacrario, voglio andare a vedere il vicino cimitero di guerra dell'esercito austro-ungarico. Transito vicino alla stazione ferroviaria di Fogliano - Redipuglia, realizzata nel 1936 in stile razionalista; la sua monumentalità è legata al vicino Sacrario. Il Cimitero austro-ungarico di Redipuglia si trova a poche centinaia di metri dal Sacrario e raccolto intorno ad alte mura trovano sepoltura 14.550 militari. Vi accedo e trovo un luogo ordinato, abbellito da aiuole e da due fila di cipressi. 2550 cippi indicano il luogo di sepoltura dei militari identificati. In una grande tomba comune, posta in fondo al cimitero, sotto una artistica croce, trovano sepoltura 7000 soldati austro-ungarici ignoti. Altri 5000 soldati austro-ungarici non riconosciuti sono posti in altre due tombe.
I cimiteri austro-ungarici erano stati tutti progettati secondo schemi rigidi con una rigorosa prassi delle posizioni di sepoltura dei caduti in relazione al grado del militare, alla lingua d'origine ed eventualmente alla religione professata.
Riprendo l'auto, ormai il tramonto ha vinto e le prime luci delle case si accendono, il mio viaggio è lungo ma lo affronto serenamente, nel ricordo di tante, troppe giovani che non hanno potuto godere della vita ma hanno sofferto le brutalità della guerra.